Bnn)IN& LIST AUGI 1922:
I VICERÉ.
OPERE DI FKDEKICO DE ROBERTO
(Edizioni Treves).
Le donne, i cavalier'.... Edizione di lusso, in-8,
illustrata da loo incisioni . . L. io —
Una pagina della storia dell'amore ... 2 —
L'illusione, romanzo. Nuova edizione ■ • 2 —
La SOI te, novelle. 4." migliaio
La jìiessa di nosze, romanzo. 2.° migliaio ■
L'albero della scienza, novelle. Nuova edizione
Al rombo del cannone. 2° migliaio • •
GiacoMio Leopardi 4 —
/ Viceré, -z vi io —
5 —
4 —
5 —
FEDERICO DE ROBERTO
I VICERÉ
ROMANZO
Nuova edì zìone Treves
(in 2 volumi)
VOLUME PRIMO
/o
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MILANO
Fratelli Treves, Editori
1 920
Secondo miglialo.
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PKOPRIETA LETTERARIA.
/ diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati
per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.
Si riterrà contraiiatto qualun<ine esemplare di quest'opera che hoh
porti il doppio tiuibni a secco delia Società Italiana degli Autori.
Milaao, Tip. Trcvcs.
I VICERÉ
PARTE PRIMA
Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bam-
bino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo
marmoreo infisso al sommo dell'arco, la rastrelliera in-
chiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi,
i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando
s'udì e crebbe rapidamente il rumore d'una carrozza
arrivante a tutta carriera ; e prima ancora che egli
avesse il tempo di voltarsi, un legnetto sul quale pa-
reva fosse nevicato, dalla tanta polvere, e il cui ca-
vallo era tutto spumante di sudore, entrò nella corte
con assordante fracasso. Dall'arco del secondo cortile
affacciaronsi servi e famigli : Baldassarre, il maestro
di casa, schiuse la vetrata della loggia del secondo
piano, intanto che Salvatore Cerra precipitavasì dalla
carrozzella con una lettera in mano.
— Don Salvatore?... Che c'è?... Che novità?...
Ma quegli fece col braccio un gesto disperato e salì
le scale a quattro a quattro.
Giuseppe, col bambino ancora in collo, era rimasto
intontito, non comprendendo ; ma sua moglie, la mo-
glie di Baldassarre, la lavandaia, una quantità d'altri
servi già circondavano la carrozzella, si segnavano
udendo il cocchiere narrare, interrottamente :
— La principessa — Morta d'un colpo — Stamat-
tina, mentre lavavo la carrozza —
De Roberto. I Viceré - I 1
— Gesù !... Gesù !...
— . Ordine d'attaccare — il signor Marco che cor-
reva su e giù — il \'icario e i vicini appena il
tempo di far la via
— Gesù! Gesù !... Ma come?,.. Se stava meglio?
E il sig-nor Marco?... Senza mandare avviso?
— Che so io?... Io non ho visto niente; m'hanno
chiamato.... lersera dice che stava bene
— E senza nessuno dei suoi figli !... In mano di
estranei !... Malata, era malata; però, cosi a un tratto?
Ma una vociata, dall'alto dello scalone, interruppe
subitamente il cicaleccio :
— . Pasquale !... Pasquale !...
— Ehi, Baldassarre ?
— Un cavallo fresco, in un 'salto!...
— ■ Subito, corro
Intanto che cocchieri e famigli lavoravano a staccare
il cavallo sudato e ansimante e ad attaccarne un altro,
tutta la servitù s'era raccolta nel cortile, commentava
la notizia, la comunicava agli scritturali dell'ammini-
strazione che s'affacciavano dalle finestrelle del primo
piano, o scendevano anch'essi giù addirittura.
— Che disgrazia!... Par di sognare!... Chi se l'a-
spettava, cosi ?...
E specialmente le donne lamentavano :
— Senza nessuno dei suoi figli !... Non aver tempo
di chiamare i figli !...
— Il portone?... Perchè non chiudete il portone?
— ingiunse Salem i, con la penna ancora all'orecchio.
Ma il portinaio che aveva finalmente affidato alla
moglie il Piccolino e cominciava a capire qualcosa,
guardava in giro i compagni :
— Ho da chiudere?... E don Baldassarre?
— Sst !... Sst!...
— Che c'è?
I discorsi morirono ancora una volta, e tutti s'im-
palarono cavandosi i berretti ed abbassando le pipe,
perchè il principe in persona, tra Baldassarre e Salva-
tore, scendeva le scale. Non aveva neppure mutato dì
abito ! Partiva con g\ì stessi panni di casa per arrivar
più presto al capezzale della madre morta ! Ed era
bianco in viso come un foglio di carta, volgeva sguardi
impazienti ai cocchieri non ancora pronti, intanto che
dava sottovoce ordini a Baldassarre, il quale chinava
il capo nudo e lucente ad ogni parola del padrone :
« Eccellenza sì ! Eccellenza si ! )> E il cocchiere affib-
biava ancora le cinghie che il padrone saltò nella car-
lozza, con Salvatore in serpe : Baldassarre, afferrato
allo sportello, stava sempre ad udire gli ordini, se-
guiva correndo il legnetto fin oltre il portone per ac-
chiappare le ultime raccomandazioni : « Eccellenza si !
Eccellenza si ! "
— Baldassarre!... Don Baldassarre!... — Tutti as-
sediavano ora il maestro di casa ; poiché, lasciata la
carrozza che scappava di corsa, egli rientrava nel cor-
tile : — Baldassarre, che è stato?... E ora che si fa?...
Don Baldassarre, chiudere?...
Ma egli aveva l'aria grave delle circostanze solenni,
s'affrettava verso le scale, liberandosi dagli importuni
con un gesto del braccio e un « Vengo!... » spazientito.
Il portone restava spalancato; tuttavia alcuni pas-
santi, scorto lo straordinario movimento nel cortile,
s'informavano col portinaio dell'accaduto; l'ebanista,
il fornaio, il bettoliere e l'orologiaio che tenevano in
affitto le botteghe di levante, venivano anch'essi a dare
una capatina, a sentir la notizia della gran disgrazia,
a comimentare la repentina partenza del principe :
— E poi dicevano che il padrone non voleva bene
alla madre !... Pareva Cristo sceso dalla croce, povero
figlio !...
Le donne pensavano alla signorina Lucrezia, alla
principessa nuora : sapevano nulla, o avevano loro na-
scosto la notizia?... E Baldassarre, Baldassarre dove
diamine aveva il capo, se non ordinava di chiudere
ogni cosa?... Don Gaspare, il cocchiere maggiore,
verde in viso come un aglio, si stringeva nelle spalle :
- — ■ Tutto a rovescio, qui dentro.
Ma Pasqualino Riso, il secondo cocchiere, gii spiat-
tellò chiaro e tondo :
— Non avrete il disturbo di restarci un pezzo !
E l'altro, di rimando :
— Tu no, che hai fatto il ruffiano al tuo padrone !
E Pasqualino, botta e risposta :
— E voi che lo faceste al contino!...
Tanto che Salemi, il quale risaliva all'ammiinistra-
zione, ammonì :
— ■ Che è questa vergogna ?
Ma don Gaspare, a cui la certezza di perdere il po-
sto toglieva il lume degli occhi, continuava :
— Quale vergogna?... Quella d'una casa dove ma-
dre e figli si soffrivano come il fumo negli occhi?...
Molte voci finalmente ingiunsero :
— Silenzio, adesso !
Però quelli che s'eran messi troppo apertamente con
la principessa avevano il cuore piccino piccino, sicuri
di ricevere il benservito dal figlio. Giuseppe, in quella
confusione, non sapeva che fare : chiudere il portone
per la morte della padrona era una cosa, in verità, che
andava con i suoi piedi ; ma perchè mai don Baldas-
sarre non dava l'ordine ? Senza l'ordine di don Bal-
dassarre non si poteva far nulla. Del resto, neppure
gli scuri erano chiusi su al piano nobile ; e poiché il
tempo passava senza che l'ordine venisse, qualcuno
cominciava ad accogliere un timore e una speranza,
nella corte : se la padrona non fosse morta ? « Chi ha
detto che è morta?... Il cocchiere!... Ma non l'ha ve-
duta!... Può aver capito male!...» Altri argomenti
convalidavano la supposizione : il principe non sarebbe
partito così a rotta di collo, se fosse morta, perchè
non avrebbe avuto nulla da fare lassili E il dubbio
cominciava a divenire per alcuni certezza : doVeva es-
serci un malinteso, la principessa era soltanto in ago-
nia, quando finalmente Baldassarre affacciossi dall'alto
della loggia gridando :
— 5 —
— Giuseppe, il portone ! Non hai chiuso il por-
tone ? Chiudete le finestre della stalla e delle scude-
rie Dite che chiudano le botteg'he. Chiudete tutto!
— Non c'era fretta ! — mormorò don Gaspare.
E come, spinto da Giuseppe, il portone girò final-
mente sui cardini, i passanti cominciarono ad accroc-
chiarsi : «Chi è morta?... La principessa?... Al Bel-
vedere?...» Giuseppe si stringeva nelle spalle, avendo
perso del tutto la testa ; ma domande e risposte s'm-
crociavano confusamente tra la folla : « Era in cam-
pag"na?... Ammalata da quasi un anno Sola?...
Senza nessuno dei figli !... » I meglio informati spie-
gavano : « Non voleva nessuno vicino, fuorché l'ammi-
nistratore Non li poteva soffrire » Un vecchio
disse, scrollando il capo : « Razza di matti, questi Fran-
calanza ! »
I famigli, frattanto, sbarravano le finestre delle scu-
derie e delle rimesse; il fornaio, il bettoliere, l'ebanista
e l'orologiaio accostavano anch'essi i loro usci. Un al-
tro crocchio di curiosi radunati dinanzi al portone di
servizio, rimasto ancora aperto, guardavano dentro alla
corte dove c'era un confuso andirivieni di domestici;
mentre dall'alto della loggia, come un capitano di ba-
stimento, Baldassarre impartiva ordini sopra ordini :
— ■ Pasqualino, dalla signora marchesa e ai Bene-
dettini ma da' la notizia al signor marchese e a
Padre don Blasco, hai capito?... non al Priore!... A
te, Filippo: passa da donna Ferdinanda Donna Vin-
cenza? Dov'è donna Vincenza?... Prendete lo scialle e
andate alla badia parlate alla Madre Badessa perchè
prepari la monaca alla notizia Un momento! Salite
prima dalla principessa che ha da parlarvi — Salemi?...
Giuseppe, ordine di lasciar passare i soli stretti pa-
renti— È venuto Salemi?... Lasciate ogni cosa; il
principe e il signor Marco v'aspettano lassù, che c'è
bisogno d'aiuto. Natale, tu andrai da donna Gra-
ziella e dalla duchessa. Agostino, questi dispacci al^
telegrafo — e passa dal sarto
Secondo che ricevevano le commissioni, i servi usci-
vano, aprendosi la via in mezzo alla folla; passavano
con l'aria affrettata di altrettanti aiutanti di campo tra
i curiosi che annunziavano : « Vanno ad avvertire i pa-
renti i figli, i cognati, i nipoti, i cugini della mor-
ta » Tutta la nobiltà sarebbe stata in lutto, tutti i.
portomi dei palazzi signorili, a quell'ora, si chiudevano
o si socchiudevano, secondo il grado della parentela. E
l'ebanista la spiegava :
— Sette figliuoli, possiamo contarli : il principe Gia-
como e la signorina Lucrezia che è in casa con lui :
due; il Priore di San Nicola e la monaca di San Pla-
cido: quattro; donna Chiara, maritata col marchese
di Villardita : e cinque ; il cavaliere Ferdinando che sta
alla Pietra dell'Ovo : sei; e finalmente il contino Rai-
mondo che ha la figlia del barone Palmi.... Poi ven-
gono i cognati, i quattro cognati : il duca d'Oragua,
fratello del principe morto ; padre don Blasco, anch'e-
gli monaco benedettino ; il cavaliere don Eugenio e
donna Ferdinanda la zitellona
Ogni volta che lo s.portello si schiudeva per dar pas-
sa,ggio a qualche servo, i curiosi cercavano di guar-
dare dentro il cortile ; Giuseppe, spazientito, esclamava :
— - Via di qua ! Che diavolo volete? Aspettate i nu-
meri del lotto ?
Ma la folla non si moveva, guardava per aria le fi-
nestre ora chiuse quasi aspettando l'apparizione della
stampiglia coi numeri.
E la notizia correva di bocca in bocca come quella
d'un pubblico avvenimento : « È morta donna Teresa
Uzeda.... », i popolani pronunziavano Auzeda, «la prin-
cipessa di Francalanza È morta stamani all'alba —
C'era il principe suo figlio.... No, è partito da un'ora- »
L'ebanista frattanto, in mezzo a un cerchio di gente
attenta come alla storia dei Reali di Francia, conti-
nuava a enumerare il resto della parentela : il duca
don Mario Radali, il pazzo, che aveva due figli maschi,
Michele e Giovannino, da donna Caterina Bonello, e
— 7 —
apparteneva al ramo collaterale dei Radali- Uzeda ; la
S'ignora donna Graziella, figlia d'una defunta sorella
della principessa e moglie del cavaliere Carvano, cu-
gina 'Carnale perciò di tutti i figliuoli della morta; il
barone Grazzeri, zio della principessa nuora, con tutta
la parentela; e poi i parenti piìi lontani, gli affini,
quasi tutta la nobiltà paesana : i Costante, i Raimonti,
i Cùrcuma, i Cugino... A un tratto s'interruppe per
dire :
— To' ! Guardate i lavapiatti che arrivano prima di >
tutti !
Don Mariano Grispo e don Giacinto Costantino ar-
rivavano, come ogni giorno, all'ora della colazione,
per far la corte al principe, e non sapevano niente :
scorgendo la folla ed il portone chiuso, si fermarono
di botto :
— Santa fede!... Buon Dio d'amore!...
E a un tratto affrettarono il passo, entrarono inter-
rogando costernati il portinaio che dava le prime no-
tizie : «Non mi sembra vero!... Un fulmine a ciel se-
reno!... » Poi salirono per lo scalone con Baldassarre
che risaliva anch'egli in quel punto dalla corte e fa-
ceva loro strada mormorando :
— Povera principessa!... Non potè superarla!... Il
signor principe è subito partito.
Traversando la fila delle anticamere dagli usci do-
rati ma quasi nude di mobili, don Giacinto esclamava
a bassa voce, come in chiesa :
— È una gran disgrazia!... Per questa famiglia è
una disgrazia piia grande che non sarebbe per ogni
altra....
E piano anch'egli, don Mariano confermava, scrol-
lando il capo :
— La testa che gaiidava tutti, che aggiustò la peri-
colante baracca!...
Introdotti nella Sala Gialla, si fermarono dopo qual-
— 8 —
che passo, non distinguendo nulla pel buio ; ma la voce
della principessa Margherita li gnidò :
— Don Mariano!... Don Giacinto!...
— Principessa!... Signora mia!... Com'è stato?...
E Lucrezia?... Consalvo?... La bambina?...
Il principino, seduto sopra uno sgabello, con le
gambe penzoloni, le dondolava ritmicamente, guar-
dando per aria a bocca aperta ; discosta, in un angolo
di divano, Lucrezia stava ingrottata, con gli occhi
asciutti.
— Ma com'è avvenuto, cosi a un tratto? — insi-
steva don Mariano.
E la principessa, aprendo le braccia :
— Non so — non capisco È arrivato Salvatore
dal Belvedere, con un biglietto del signor Marco
Li, su quella tavola, guardate Giacomo è partito su-
bito. — A bassa voce, rivolta a don Mariano, intanto
che l'altro leggeva il biglietto : — Lucrezia voleva an-
dare anche lei, — aggiunse ; — suo fratello ha detto di
no.... Che ci avrebbe fatto?
— Confusione di più !.... Il principe ha avuto ra-
gione
— Niente ! — ■ annunziava frattanto don Giacinto,
finito di leggere il biglietto. — Non spiega niente!...
E hanno avvertito gli altri?... hanno dispacciato?...
— Io non so — Baldassarre
— Morire cosi, sola sola, senza un figlio, un pa-
rente ! — esclamava don Mariano, non potendo darsi
pace ; ma don Giacinto :
— La colpa non è di questi qui, poveretti!... Essi
hanno la coscienza tranquilla.
— Se ci avesse voluti — • cominciò la principessa,
timidamente, piii piano di prima ; ma poi, quasi im-
paurita, non fini la frase.
Don Mariano tirò un sospiro doloroso e andò a met-
tersi vicino alla signorina.
— Povera Lucrezia ! Che disgrazia !... Avete ra-
gione !... Ma fatevi animo!... Coraggio!,..
— 9 —
Ella che se ne stava a guardare per terra, battendo
un piede, levò la testa con aria di stupore, quasi non
comprendendo. Ma, come udivasi un frastuono di car-
rozze che entravano nel cortile, don Mariano e don
Giacinto tornarono ad esclamare, a due :
— Che sciagura irreparabile !
Arrivavano la marchesa Chiara col marito e la cu-
gina Graziella :
— Lucrezia, la mamma!... Sorella!... Cugina!...
Subito dopo entrò la zia Ferdinanda, a cui le donne
baciarono le mani, mormorando :
— • Eccellenza!... Ha sentito?...
La zitellona, asciutta asciutta, scrollava il capo;
Chiara abbracciava Lucrezia piangendo ; il marchese
salutava mestamente i lavapiatti ; ma la più commossa
era donna Graziella :
— Non mi par vero!... Non volevo crederci!... Che
si muore cosi?... E il povero Giacomo? Dice che è
corso subito lassij?... Povero cugino!... Se almeno
avesse potuto arrivare a chiuderle gli occhi!... Che
dolore, non aver tempo di rivederla!... — Udendo
Chiara singhiozzare in seno alla sorella Lucrezia,
esclamò : — Hai ragione, sfogati, poveretta ! Mamma
ce n'è una sola !...
Ella pareva tanto addolorata della digrazia dei cu-
gini da dimenticare perfino che la morta era sorella
della sua propria madre. Si profferiva alla principessa ;
le diceva, traendola in disparte :
— Hai bisogno di nulla?... Vuoi che ti dia una
mano?... Come sta la mia figlioccia?... Che ha la-
sciato detto il cugino?...
— Non so.... Ha ordinato a Baldassarre il da fare
Baldassarre, infatti, andava su e giù, mandando an-
cora messi, ricevendo quelli che tornavano dall'aver
eseguito le ambasciate. Tutti i parenti, oramai, erano
avvertiti : soltanto il famiglio mandato ai Benedettini
venne a dire che Padre don Lodovico stava per arri-
vare, ma che Padre don Blasco non era nel convento.
— Va' dalla Sigaraia.... a quest'ora sarà da lei....
Corri, digli che è morta sua cognata —
Don Lodovico arrivò con la carrozza di San Nicola;
e nella Sala Gialla tutti s'alzarono all'apparire del
Priore. Chiara e Lucrezia gli andarono incontro, gli
presero ciascuna una mano, e la marchesa, cadendo in
ginocchio, proruppe :
— Lodovico!... Lodovico!... La nostra povera
mamms !
Tacevano tutti, guardando quel gruppo : la cugina,
con gli occhi rossi, mormorava:
— È una cosa che strazia l'anima !
Il Priore, chinatosi sulla sorella, la rialzò senza guar-
darla in viso, e nel silenzio generale, rotto da brevi
singhiozzi repressi, disse, alzando gli occhi asciutti al
cielo :
— Il Signore l'ha chiamata a sé... Chiniamo la
fronte ai decreti della Provvidenza divina.... — e poi-
ché Chiara voleva baciargli la mano, egli si schermi :
— No, no, sorella mia.... — e la strinse al petto, ba-
ciandola in fronte.
— Perchè si nasce!... — esclamò dolorosamente
don Giacinto all'orecchio di don Mariano; ma questi,
scrollando il capo, si fece innanzi con piglio risoluto :
— ■ Basta adesso, signori miei !... I morti son morti,
e il pianto non li risuscita Pensate alla vostra sa-
lute, adesso, che è l' importante....
— ■ Coraggio, poveretti!... — confermò la cugina
Graziella, prendendo per mano le cugine, costringen-
dole amorosamente a sedere ; mentre il marchese ba-
ciava sua moglie in fronte, le asciugava gli occhi, le
parlava all'orecchio, e donna Ferdinanda, poco por-
tata alle scene patetiche, si metteva il principino sulle
ginocchia.
Il biglietto del signor Marco passava di mano in
mano; il Priore manifestava anch'egli l'intenzione di
partire per il Belvedere, ma i lavapiatti protestarono.
— Per far che cosa?... Angustiarsi per niente?... Se
si potesse dar aiuto —
— • Partirei io ! — soggiunse la cugina.
— Aspettiamo, piuttosto; — propose il marchese.
— Giacomo manderà certo a dire qualcosa —
L'arrivo di un'altra carrozza fece infatti supporre die
venisse qualcuno dal Belvedere. Era invece la duchessa
Radali. Poiché ella aveva il marito impazzato e non
faceva visite a nessuno, il suo pronto accorrere intenerì
più che mai la cug-ina, che la chiamava zia, quantunque
non ci fosse parentela tra loro ; ma il ritorno di donna
A'incenza da San Placido segnò il colmo della commo-
zione. La cameriera non trovava parole per esprimere
il dolore della monaca, giungeva le mani dalla pietà :
— Figlia mia ! povera figlia !... Come una pazza, fa
come una pazza!... E chiama: « Sorelle mie! Sorelle
mie !... »
Lucrezia piangeva anch'ella, adesso; Chiara disse
tra i singhiozzi :
— • Io vado alla badia
— . Vostra Eccellenza farà un'opera santa Anche
la Madre Badessa piangeva: « Povera principessa!...
Degna serva di Dio ! »
La cugina s'offerse d'accompagnarla; ma poi, visto
che la principessa non sapeva dove dar del capo :
— Resto piuttosto ad aiutar Margherita — disse a
Chiara; e questa s'alzò, m-entre le raccomandavano: —
Baciala per me — e per me — Dille che domani andrò
a trovarla — E don Giacinto chiamava: — Mar-
chese, marchese!... accompa,gnate vostra moglie
In mezzo alla confusione, mentre la marchesa andava
via col marito, spuntò finalmente don Blasco, col fac-
cione sudato che luceva e il tricorno in capo. Entrò
senza salutar nessuno, esclamando :
— • L'avevo detto, eh?... Doveva finire così!...
Non gli risposero. Il Priore, anzi, chinò gli occhi a
terra quasi cercando qualcosa ; donna Ferdinanda, per
suo conto, pareva non essersi neppure accorta dell'arrivo
del fratello. Il monaco si mise a passeggiare da un
capo all'altro della sala, asciugandosi il sudore del collo
e continuando a parlar solo :
— .12
— Che testa!... Che testa!... Fin all'ultimo!... An-
dare a crepare in mano di quell'imbroglione!... Io
l'avevo profetato, ah?... Dov'è?... Non è venuto?...
È lui il padrone, qui dentro !
Poiché nessuno fiatava, la cugina credè d'osservare :
— Zio, in questo momento
— Che vuol dire, in questo momento?... — rispose
il monaco, piccato. — È morta, Dio l'abbia in gloria !...
Ma che s'ha da dire? che ha fatto una gran cosa?... E
Giacomo?... È andato?... È andato solo?... Perchè non
va nessun altro?... Ha proibito agli altri di andare?...
— • No, Eccellenza — rispose timidamente la
principessa. — È partito appena saputa la notizia.
— • Io volevo accompagnarlo — disse Lucrezia;
ma allora il Benedettino saltò su :
— . Tu ? Per far che cosa ? Sempre voialtre femmine
tra i piedi ? Vi pare che sappiate sole aggiustare il
mondo?... Dov'è Ferdinando?... Non è venuto ancora?
Soprav^^enivano in quel momento il cavaliere don Eu-
genio e don Cono Canalà, altro dei lavapiatti. Don Cono
entrò in punta di piedi, quasi per paura di schiacciar
qualcosa, e fermatosi dinanzi alla principessa esclamò,
gestendo col braccio :
— ■ Immensa iattura!... Catastrofe immensurabile!...
La parola spira sul labbro — mentre il cavaliere
leggeva il biglietto del signor Marco.
Frattanto don Blasco, girando come un trottolone,
soffermavasi dinanzi agli usci, gnardava in fondo alla sfi-
lata delle stanze, pareva fiutasse l'aria, borbottava :
«Che fretta!... Che affezione!... » ed altre parole in-
comprensibili.
Nel crocchio dei parenti, ciascuno adesso diceva la
sua : il Priore, a bassa voce, accanto alla duchessa ed
alla zia Ferdinanda, parlava della « dolorosa ostinazio-
ne » della madre ; ma tratto tratto, quasi pavido di far
male discutendo anche rispettosamente la volontà della
morta, s'interrompeva, chinava il capo; la cugina era
inquieta per la mancanza di notizie dal Belvedere :
— 13 —
— Giacomo avrebbe potuto mandar qualcuno!...
Per questo don Eugenio offrivasi di salir lassù, se
gli facevano attaccare una carrozza; ma allora la prin-
cipessa, imibarazzata, confusa, non sapendo che fare,
osservò all'orecchio della cugina :
— Non so forse può dispiacere a Giacomo
E donna Graziella intervenne :
— Aspettiamo un altro poco ; forse il cugino tornerà
egli stesso.
Il Priore e la duchessa tornarono a domandare :
— Ferdinando ? Non viene più ?
I lavapiatti corsero a interrogar Baldassarre ; il mae-
stro di casa rispose :
— Non ho mandato nessuno dal cavaliere, perchè il
signor principe m'ha dettO' che pajssava lui a chiamarlo.
— Sarà andato anch'egli al Belvedere Se no a
quest'ora sarebbe qui.
Per arrivare dalla Pietra dell'Ovo ci voleva a ogni
modo del tempo ; tornò infatti prima dalla badia la
marchesa, alla quale la sorella monaca aveva conse-
gnato un abitino della Madonna perchè lo mettessero
indosso alla morta.
— Toccante tratto di pietà filiale ! — sussurrò don
Cono a don Eugenio.
Nessun altro parlava, in quei momenti di commozione ;
solamente la cugina, asciugandosi gli occhi rossi, pro-
pose all'orecchio della principessa :
— Io vorrei profittare di questo momento per indurre
lo zio Blasco^ a far pace con la zia Ferdinanda e con
Lodovico. Che ne dici, Margherita?
— Come credi se credi.... fa' tu
E la cugina andò in cerca del monaco. Non si tro-
vava, era scomparso. Baldassarre, incaricato di rintrac-
ciarlo, lo scoperse in fondo alla casa, dinanzi all'uscio
serrato che metteva nelle stanze della morta. Udendo
rumor di passi, il monaco si voltò di botto :
— Chi è là?
— Aspettano Vostra Paternità nella Sala Gialla.
-^ 14 -^
Il Benedettino tornò indietro, soffiando, e come la
cucina, andandogli incontro con aria di mistero :
— Eccellenza — gli disse — venga ad abbracciare
sua sorella — Lodovico le bacerà la mano — egli le
voltò le spalle, esclamando forte, in modo che lo udirono
sino nella corte :
— ■ Non facciamo pulcinellate.
Donna Graziella si strinse nelle spalle, con un gesto
di rassegnazione dolente.
E il monaco, scorto il marcb.ese che era tornato con
la moglie dalla badia, l'andò ad afferrare per un braccio
e lo trascinò nella Galleria dei ritratti :
— • Che stai a far qui?... Perchè non parti?... Quel-
l'altro è scappato
— Per far che cosa. Eccellenza ?
— E sarai sempre minchione?... Quell'altro è scap-
pato! A quest'ora fa scomparire ogni cosa!...
— Eccellenza !... — protestò il nipote, scandalizzato.
Don Blasco lo guardò nel bianco degli occhi, quasi
volesse mangiarselo. Ma, come passava in fretta e in
furia Baldassarre, girò sui tacchi, tonando :
— Ah, no ? E andate un poco a farvi friggere,
tutti quanti !...
Finito di dar ordini alla servitij, Baldassarre aveva
adesso un altro gran da fare, poiché cominciavano a
venire ambasciate dei parenti più lontani, degli amici,
dei conoscenti che mandavano ad esprimere le loro con-
doglianze e a prender notizie dei superstiti. Il maestro
di casa riceveva nell'anticamera dell'amministrazione le
persone di riguardo, lasciando al portinaio i servitori ;
ma parecchi fra questi portavano 1 regali funebri : vassoi
pieni di dolci, di forme di marmellata o di cioccolata,
di frutta candite, di pan di Spagna, di bottiglie di
moscato o di rosolio, e allora Baldassarre si faceva in
quattro per riporre quella roba, e annunziare i doni ai
padroni, e ringraziare i donatori, e dare udienza ai so-
pravvenienti. La cugina Graziella, con le chiavi delle
credenze alla cintola, faceva da padrona di casa, per ri-
sparmiare la principessa ; il cavaliere don Eugenio dava
anch'egli una mano, e quantunque i lavapiatti che la-
voravano come domestici protestassero : « Lasciate fare
a noi ; » egli vuotava i vassoi da restituire, trasportava
la roba nella sala da pranzo e tratto tratto si ficcava in
tasca una manata di dolci.
Per la duchessa Radali che era andata via, non po-
tendo lasciare a lungo il marito solo, dieci altre visite
erano sopravvenute : il barone Vita, il principe di
Roccasciano, i Giliforte, i Grazzeri, don Carlo Car-
vano, marito della cugina. Secondo che la giornata
s'inoltrava, lettere e biglietti di condoglianza piovevano
da tutte le parti : l'Intendente mandava a esprimere il
suo dolore per il lutto d'una famiglia devota al Re ed
alla buona causa ; Monsignor Vescovo associavasi al do-
lore dei suoi cari figli ; dall'Orfanotrofio Uzeda, dal-
l'Ospizio dei Vecchi, dagli altri istituti di beneficenza
che i Francalanza avevano fondato o sussidiato, veniva-
no i rettori, i cappellani, una quantità di tonache nere,
oppure i poveri ospitati ; ma questi non eran lasciati
salire ed esprimevano il loro rammarico al portinaio o
al sotto-cocchiere. Il comandante della guarnigione, il
presidente della Gran Corte, tutte le autorità, tutta la
città si condoleva con la famiglia. Gruppi di mendicanti •
aspettavano, con la speranza che avrebbero distribuito
elemosine ; molte persone domandavano con insistenza
del signor Marco : udendo che ancora non era sceso dal
Belvedere, alcuni andavano via per tornare più tardi ;
altri si mettevano a passeggiare su e giìi dinanzi alla
casa, aspettando d'acchiapparlo al varco, pazientemente.
I due cortili parevano una fiera, dalle tante carrozze
allineate all' ombra : ,i cavalli, con le teste dentro le
coffe, ruminavano raspando tratto tratto il selciato con
l'unghia. Ad uno ad uno, poiché imbruniva, arriva-
vano i servitori dei parenti, aspettando i padroni; e la
conversazione della servitù, animatissima, aggiravasi
intorno all'avvenimento ed alle sue conseguenze. Le
— ib —
donne, vedendo quella gran confusione, quell'andirivieni
di gente, quel succedersi d'ambasciate e di lettere, com-
piangevano vivamente la principessa nuora : « Povera
signora! A quest'ora dev'essere sulle spine!... » In-
fatti, ella soffriva d'una specie di malattia nervosa
per la quale non tollerava di star pigiata tra la gente,
di toccar cose maneggiate da altri : fortunatamente la
cugina era li ad aiutarla. E alcuni facevano riflessioni
filosofiche : « Se invece d'oggi la madre del principe
fosse morta sei anni addietro, la cugina, adesso, invece
di aiutar la padrona, sarebbe lei la padrona qui dentro. »
Non era stato permesso dalla principessa vecchia, quel
matrimonio ; e il padrone aveva obbedito alla madre,
sposando donna Margherita Grazzeri ; però, bisognava
dire la verità, la cugina s'era diportata benissimo :
maritata col cavaliere Carvano, era rimasta affeziona-
tìssima alla zia che non l'aveva voluta per nuora, e
aveva trattato come una vera sorella la moglie del-
l'antico suo innamorato. « E il principe? Forse che
pare si rammenti d'averle voluto bene in un certo
anodo?...» Per tanto, molti lodavano l'opera della
morta : ella aveva ben fatto ad opporsi a quel matri-
monio, (poiché i due antichi innamorati is'eran messo il
cuore in pace. « Gran donna, la principessa! Basti dire
che' rifece la caisa già fallita!» E tutti domandavano:
« A chi lascerà?... » ma come saperne nulla se non
si era confidata mai con nessuno, neppure coi figli?...
« Se ci fosse stato il contino Raimondo, però!... »
Allora i partigiani del principe, senza tanti riguardi :
« La roba dovrebbe andare al padrone, se quella pazza
non ne avrà fatta un'altra delle sue!... » Infatti non
aveva potuto soffrire il primogenito, prediligendo il con-
tino Raimondo ; e il contino, quantunque chiamato e ri-
chiamato dalla madre che sentiva vicina la propria fine,
non s'era mosso da Firenze!...
All'arrivo di Fra Carmelo, spedito dall'abate di San
Nicola per aver notizie di don Lodovico e di don Blasco,
il discorso prese un'altra piega. Fra Carmelo sapeva la
vìa del palazzo, dalle tante volte che ci aveva accom-
pagnato don Lodovico novizio ; e tutta la servitij lo co-
nosceva e gli voleva bene, tant'era buono, con quel suo
faccione che pareva scoppiare, grasso fin sulla nuca.
— • Povera principessa!... Che gran disgrazia!
Egli lodava la morta e rammentava i tempi del no-
viziato di Padre Lodovico, quando, conducendo a casa
il ragazzo in permesso, le portava regalucci di frutta
che ila buona signora degnavasi di accettare.
— . Alla mano con tutti!... Affezionata con tutti!...
Povero Padre Lodovico ! Deve aver pianto !
Le donne esclamarono :
— ■ Figuriamoci! Un santo come lui!...
E Fra Carmelo :
— Un vero santo ! Non c'è monaci che gli possano
stare a paragone. Non per nulla l'han fatto Priore a
trent'anni !
— ■ Suo zio don Blasco non gli somiglia?... — disse
improvvisamente il cocchiere maggiore, con una striz-
zatina d'occhi.
— È un'altra cosa. Tutti gli uomini possono esser
formati a un modo?... Ma bravo anche lui!... Signore
anche lui !...
E giusto il discorso era a quel punto, quando un
lontano rumore di carrozza con le sonagliere fece tacer
tutti. Giuseppe, guardando dallo sportello, spalancò il
portone : il carrozzino della mattina entrò a rotta di
collo e ne scesero il principe e il signor Marco che te-
neva una valigia in mano, mentre tutti si scoprivano e
dalla loggia del piano nobile affacciavasi don Blasco.
Il ritorno del capo della famiglia, nella Sala Gialla,
produsse una nuova commozione : sospiri, singhiozzi,
mute strette di mano. Il principe era sempre pallido e
parlava a stento, con gesti larghi di sconforto :
— Troppo tardi!... Più nulla da fare!... Fino a ier-
sera stava benissimo, mangiò anzi con appetito due uova
e bevve una tazza di latte — All'alba di stamani, im-
provvisamente, chiamò e — e tacque, quasi non
potendo proseguire.
De Roberto. I Viceré - I 3
— i8 —
Il signor Marco, deposta la valigia, confermava :
— Impossibile prevedere questa catastrofe.... Nel
primo momento, speravo fosse soltanto una sincope
ma pur troppo la triste verità
Chiara e la cugina piangevano ; il Priore deplorava
specialmente che nessun sacerdote l'avesse assistita
negli ultimi istanti ; ma il signor Marco assicurò che ella
erasi confessata due giorni innanzi, che il vicario Ra-
gusa era arrivato in tempo a darle l'assoluzione ; mentre
il principe da canto suo riferiva ;
— Abbiamo improvvisato una cappella ardente —
tutti i fiori della villa.... ne hanno mandati da ogni
parte....
— E Ferdinando? — domandò Chiara.
— Non è venuto?... Ah ! — Egli si battè a un tratto
la fronte. — Dovevo passar io ad avvertirlo!... Me ne
sono scordato!... Baldassarre!... Baldassarre!...
Ma, sul più bello, don Blasco, il quale aveva tenuto
d'occhio la valigia quasi ci fosse dentro roba di con-
trabbando, lo tirò per la manica, domandando :
— E il testamento ?
Il principe, con un altro tono di voce, non più do-
lente, ma premuroso, pieno di scrupoli :
— • Il signor Marco qui presente — rispose — m'ha
comunicato che le ultime volontà di nostra madre sono
depositate presso il notaio Rubino. Noi aspetteremo, se
credete, l'arrivo di Raimondo e dello zio duca — Frat-
tanto, abbiamo suggellato tutto quel che s' è trovato,
per renderne stretto conto, a suo tempo, a chi di ra-
gione.... Il signor Marco possiede però un documento
che riguarda i funerali.... Credo che di questo si debba
dar subito lettura —
E il signor Marco, tratto di tasca un foglio, lesse in
mezzo a un profondo silenzio :
« In questo giorno, ig maggio 1855, trovandomi sana
di mente e non di corpo, io sottoscritta. Teresa Uzeda
principessa di Francalanza, raccomando l'anima a Dio
e dispongo quanto appresso. Il giorno che piacerà al
— iq ^
Signore chiamarmi con se, ordino che il mio corpo sia
aflìclnto ai RcAcrendi Padri Cappuccini aflìnchè sia da
essi imbalsamato e nella necropoli del loro cenobio cu-
stodito. \'oglio che il funerale sia celebrato, con quel
decoro che compete alla famiglia, nella chiesa dei detti
Padri in segno della mia devozione alla Beata Ximena,
nostra gloriosa parente, la cui salma nella loro chiesa
si venera. Durante il funerale e dopo che il mio corpo
sarà imbalsamato, voglio, ordino e comando che esso
sia vestito della tonaca delle Religiose di San Placido,
e che alla cintura mi sia messa la corona del Santis-
simo Rosario donatami dalla mia diletta figlia Suor
Maria Crocifissa il giorno della sua monacazione, e che
sul petto mi sia posto il crocifisso d'avorio, memoria
del mio amato consorte principe Consalvo di Franca-
lanza. In segno di particolare penitenza ed umiltà,
espressamente impongo che il mio capo sia appoggiato
sopra una semplice e nuda tegola : così voglio e non
altrimenti. Per la necropoli dei Cappuccini ordino che
si costruisca una cassa a cristalli, dentro alla quale
sarà posto il mio corpo nel modo di cui sopra; essa
avrà una serratura con tre chiavi delle quali una ri-
marrà a mio figlio Raimondo conte di Lumera, la se-
conda, in segno di speciale benevolenza pei servigi
prestatimi, al signor Marco Roscitano, mio procuratore
e amministratore generale, e la terza al reverendo Pa-
dre Guardiano di esso cenobio dei Cappuccini. Nel
caso però che il detto signor Roscitano dovesse lasciare
l'amministrazione della mia casa, ordino che la chiave
passi all'altro mio figlio Lodovico, Priore nel mona-
stero di San Nicola dell'Arena. Questa è la mia volontà
e non altra.
« Teresa Uzeda ».
Il signor Marco, che s' era rispettosamente inchinato
al passaggio relativo alla sua persona, abbassò il foglio ;
il principe disse guardando in giro gli astanti :
— Le volontà di nostra madre sono leggi per noi.
Sarà fatto secondo ha prescritto.
->-. 20 —
■ — In tutto e per tutto.... — confermò il Priore,
chinando il capo.
Don Blasco, che sotHava come un mantice, non aspettò
neppure che 1' adunanza si sciogliesse. Afferrato il mar-
chese per un bottone del soprabito, esclamò :
— Sempre pulcinellate?... Fin all'ultimo?... Per far
ridere la gente?...
E il signor Marco era appena salito al primo piano,
nelle stanze dell' amministrazione contigue al suo quar-
tierino, per dare ai dipendenti gli ordini opportuni, che
le persone venute a cercarlo si presentarono a lui. II
ceraiolo di San Francesco veniva a offrire cera di prima
qualità, lavorata all'uso di Venezia, a sei tari; il mae-
stro Mascione portava una lettera dell' avvocato Spe-
dalottl, il quale pregava il signor Marco di far eseguire
la mesaa di requiem del giovane compositore; Brusa, il
pittore, sollecitava l'appalto della decorazione pel fune-
rale solenne della principessa....
— ■ Come sapete che ci sarà un funerale solenne ?
— Per una signora come la principessa !
— Ripassate domani
E Baldassarre chiamava :
— Signor Marco! signor Marco !..^ Il principe!...
Ma nuovi postulanti sopravvenivano. Nessuno 1' aveva
ancor detto, ma si sapeva che la principessa di Fran-
calanza non poteva andare all' altro mondo senza una
gran cerimonia, senza un gran scialacquo di quattrini,
e ognuno sperava di guadagnarne. Raciti, il primo vio-
lino del Comtinaìe, voleva offrire la messa funebre di
suo figlio ; saputo che Mascione aveva ottenuto una
lettera di Spedalotti, era corso a sollecitare la racco-,
mandazione più valevole del barone Vita ; Santo Ferro,
che aveva la manutenzione del giardino pubblico, spe-
rava gli commettessero la camera ardente, e poiché
Baldassarre, dal cortile, tornava a chiamare :
— Signor Marco! signor Marco!... Il principe!... —
il .signor Marco si sbarazzò bruscamente dei postulanti :
— Ma andate al diavolo !... Ho altro da fare, adesso!
Un formicaio, la chiesa dei Cappuccini nella mattina
del sabato, che neppure il Giovedì Santo tanta gente
traeva a visitarvi il Sepolcro. Tutta la notte era venuto
dalla chiesa un frastuono di martelli, d'asce e di seghe,
e le finestre erano state abbrunate fin dal giorno pre-
cedente. A buon'ora, dinanzi alla folla curiosa che gre-
miva la terrazza e le scalinate, avevano inchiodato sulla
porta maggiore il drappellone di velluto nero con frange
d'argento, sul quale leggevasi a caratteri d'oro:
PER l' AXl.MA
DI
DONNA TERESA UZEDA E RIsA
PRINCIPESSA DI FRANCALANZA
ESEQUIE
Verso sedici ore, don Carlo Canalà, col naso in aria,
sotto la porta, spiegava al principe di Roccasciano, tra
le gomitate di quelli che entravano continuamente :
— Veda: all'esterno non giudicai conveniente.... di-
lungarmi del sover'chio — Massima semplicità: per
ranima esequie Penso che nella sua concisione...,
per avventura....
Ma gli urti, le pestate di piedi, le esclamazioni dei
curiosi non gli consentivano di filare il discorso ; la
gente sbucava a torrenti da tutte le parti, sospingevasi
in chiesa, calpestava i mendicanti venuti a mettersi ac-
costo alle porte ed ai cancelli per far baiocchi.
— Sol esso il nome onde i concetti, per avven-
tura....
Alla fine, don Cono si decise anch' egli ad entrare;
ma, separato dal compagno, fu travolto, come un
chicco di caffè nel macinino, dal turbine umano che per
il troppo angusto passaggio s' ingolfava nella chiesa.
Essa era buia, pei veli delle finestre, pei manti neri
che rivestivano le pareti e pendevano dalle arcate delle
cappelle e si stendevano lungo il cornicione. Sopra una
piattaforma alta sei o sette gradini dal pavimento e
girata da una triplice fila di ceri, sorgeva il catafalco :
una piramide tronca le cui quattro facce, tappezzate
d'ellera e di mortella, portavano nel mezzo, disegnati
a fiori freschi, quattro grandi scudi della casa di Fran-
calanza. Al sommo della piramide, due angeli d' argento
inginocchiati da una sola gamba aspettavano di reg-
gere il feretro. Ad ogni angolo inferiore del catafalco,
su tripodi d'argento, erano confitte quattro torce grosse
quanto le stanghe, con uno scudo di cartone legato a
mezz'asta; sei valletti con le livree del secolo XVIII,
rosse, nere e dorate, impalati come statue, con le facce
rase di fresco, reggevano ciascuno una delle antiche
bandiere d'alleanza; dopo i valletti dodici prefiche, ve-
stite di neri manti, coi capelli scarmigliati, stavano
tutt' intorno al catafalco coi fazzoletti in mano, per
asciugarsi le lacrime. Ma bisognava lavorar di gomiti,
camminare sui piedi dei vicini, lasciarsi ammaccare le
costole e pestare i calli e sudare una camicia prima
d'arrivare a quell'apparato, intorno al quale una folla
d' operai, di servi, di donnicciuole stava estatica ad am-
mirare, in attesa del corteo, il finto marmo della piatta-
forma, le urne di cartone scaglionate sui gradini, le la-
crime di carta argentata gocciolanti dai veli neri :
« Una galanteria!... Una cosa mai vista!... Per questo
sono signoroni!... Lasciate fare a loro!... E dodici
piangenti !... Neanche pel funerale del papa!... Ma il
cadavere è già posto al colatoio per l'imbalsamazione. »
E Vito Rosa, il barbiere del principe, spiegava : « Ap-
pena sceso dal Belvedere fu portato a palazzo e .gli
fecero girare gli appartamenti per 1' ultima volta, come
usano Il cataletto era portato a spalla, senza stan-
ghe.... e tutta la parentela dietro, la servitù con le
torce accese, come una processione!... » Le comari
esclamavano: «E una tegola sotto il capo!... Che gli
mancavano forse cuscini di velluto?... Anzi, questo è
per maggior penitenza, con la tonaca di San Placido :
non capite ? »
Ma la gente incalzava alle spalle e i discorsi s' in-
terrompevano, i primi arrivati dovevano cedere il posto,
— 23 —
se ne andavano sotto il palco dell'orchestra, eretto a
ridosso dell'org-ano, con quattro ordini di panche e i ma-
nichi dei contrabbassi che spuntavano dal più alto, ma
ancora vuoto ; o giravano dalla parte opposta, verso la
cappella della Beata Uzeda, tutta splendente di lam-
pade votive; e si fermavano, una volta fuor della ressa,
a g-uardare l'altare scavato dove si vedeva, attraverso
un vetro, la cassa antica rivestita di cuoio, che racchiu-
deva il corpo della santa donna ; poi tentavano tornare
verso il centro della chiesa per legg'ere le iscrizioni at
taccate agli altri altari ; ma la folla era adesso coni
patta come un muro. Don Co'uo Canalà, data un'oc
chiata all'apparato, aveva tentato tre o quattro volte
per conto suo, d' avvicinarsi a qualcuno degli epitaffi!
ma non era riuscito a spingersi tanto innanzi da leg-
gerli ; e col capo rovesciato, il cappello ammaccato dai
continui urtoni, i piedi pestati, la camicia in sudore
tangheggiava come una barca in mezzo alla tempesta
Con belle maniere, dicendo : « Di grazia !... La prego !..
Mi scusi !... » arrivò finalmente a tiro della prima ta
bella, dove leggevasi :
SOTTO MULIEBRI SPOGLIE
CUORE GAGLIARDO PIETOSO
ANIMO ELETTO MUNIFICO
SPIRITO SVEGLIATO FECONDO
ONNINAMENTE DEGNA
DELLA MAGNANIMA STIRPE
CHE LA FE' SUA.
— Onninamente?... — disse il barone Carcaretta
che si trovava a fianco di don Cono. — Che cosa si-
gnifica?
— Importa interamente, o vogliam dire del tutto
Onninamente degna della stirpe — Come le piace questo
concetto ?...
— Eh, va bene; ma non capisco perchè si divertano
a pescar le parole difficili !
— Veda.... — spiegò allora don Cono, insinuai;ite :
— 24 —
• — lo stile epigrafico tiene al sommo grado del nobile
e del sostenuto — Io non potevo adoprare
— Ah, r avete scritta voi ?
— Sissig"nore — ma non solo, veramente: di unita
col cavaliere don Eugenio Io ho curato sovra tutto la
forma.... Bramerei vedere le altre: temo non abbian
preso un qualche abbag'lio, in copiando
Ma la chiesa era talmente gremita che potevano ap-
pena fare due passi ogni quarto d'ora; e tutt' intorno
la gente che non riusciva ad andare né avanti né indietro
né a veder altro fuorché la cima della piramide, ingan-
nava l'impazienza dell'attesa chiacchierando, dicendo
vita, morte e miracoli della principessa : « Adesso I suoi
figli potranno respirare ! Lì ha tenuti in un pugno di
ferro — — I suoi figli : quali?... — Costrinse don Lodo-
vico, il secondogenito, a farsi monaco mentre gli toccava
il titolo di duca; la primogenita fu chiusa alla badia !...
Se campava ancora ci avrebbe messo anche l'altra!...
Maritò Chiara perché questa non voleva maritarsi !...
Tutto per amor d'un solo, del contino Raimondo —
Ma il padre?... — Il padre, ai suoi tempi, non contava
più del due di briscola ; la principessa teneva in un
pugno lui e il suocero!... »
Però tutti riconoscevano che, se non fosse stata lei,
a queir ora non avrebbero avuto più niente. Ignorante,
sì ; ma accorta, calcolatrice !
— È vero che non sapeva leggere né scrivere ?
— • Sapeva leggere soltanto nel libro delle devozioni
e in quello dei conti !
Frattanto don Cono avvicinavasi, a passo di formica,
alla seconda iscrizione :
ORBATA
DEL TUO FIDO CONSORTE
NEL MORTALE VIAGGIO
VECE FACESTI
AI TUOI FIGLI
DEL PADRE LORO,
Prima ancora di scorgere i caratteri, don Cono che
la sapeva a memoria, recitò l'epigrafe al barone, fer-
mandosi un poco a ciascuna parola, più a lungo ad ogni
capoverso, gestendo con la mano come se spruzzasse
acqua benedetta, per sottolineare i passaggi salienti :
— Ignoro se approvate questo concetto : orbata....
vece facesti
Ma nuove ondate della folla lo divisero la seconda
volta dal compagno. Veniva ora dalla terrazza e dalle
scalinate un vasto sussurro, perchè i rintocchi del
mortorio annunziavano finalmente la partenza del corteo
dal palazzo.
Intorno alla casa Francalanza c'era sempre una fiera,
per le tante carrozze aspettanti, pel tanto popolo fre-
mente d'impazienza. Dal portone socchiuso vedevasi
un'altra folla ragunata nei due cortili, uno sciame di
servi con le livree nere che andavano e venivano, il
maestro di casa senza cappello che s'affannava a dar
ordini, la carrozza di gala a quattro cavalli che sarebbe
servita da carro funebre. Quando finalmente le due pe-
santi imposte girarono sui cardini, tutte le teste si vol-
tarono, tutte le persone s' alzarono sulle punte dei
piedi. Veniva innanzi la fila dei frati cappuccini con la
croce, poi la carrozza funebre, dentro alla quale si ve-
deva il feretro di velluto rosso, fiancheggiata da tutta
la servitù con le torce in mano; poi l'Ospizio Uzeda
dei vecchi indigenti, tutti a testa nuda; poi le ragazze
dell'Orfanotrofio coi veli azzurri pendenti fino a terra;
poi tutte le carrozze di famiglia : altri due tiri a quattro,
cinque tiri a due, e poi ancora un altro gruppo di gente :
una quarantina d'uomini, la più parte barbuti, con le
giubbe di velluto nero, anch' essi coi ceri in mano.
— Chi sono?... Di dove spuntano?...
Erano i zolfai delle miniere dell' Oleastro chiamati
a posta da Caltanissetta per l'accompagnamento della
padrona : quest'ultimo accessorio finiva di sbalordire
tutti quanti : ancora non s'era vista una cosa simile !...
Ma gli equipaggi che s' avanzavano da ogni parte per
mettersi in fila sbaragliavano la calca : tiri a quattro
che venivano a prendere i primi posti, tiri a due che
rinculavano scalpitando tra un fitto schioccar di fruste ;
e i curiosi, a rischio di lasciarsi pestare sotto i piedi
delle bestie, li venivano riconoscendo dagli stemmi degli
sportelli e anche dai cocchieri :
— Il duca Radali il principe di Roccasciano — il
barone Grazzeri.... i Cùrcuma i Costante — non
manca nessuno !...
Di repente tutti si volsero a un lontano vocio :
— Che è?... Che cos'è stato?... La carrozza di Tri-
gona !... Il cocchiere non vuole andare in coda, gli altri
non cedono il posto Ha ragione!... Questi sono
soprusi !...
Il cocchiere del marchese Trigona, appunto, quan-
tunque guidasse un trespolo tirato da due ronzinanti,
non voleva mettersi in coda dove e' erano le carrozze
dei non nobili più belle della sua. E Baldassarre, tutto
in sudore per la fatica sostenuta nell' ordinare il corteo,
nel far rispettare le precedenze, s' avanzava per dar ra-
gione al cocchiere, aprendosi a stento il varco tra la folla,
allungando ceffoni ai .monelli che gli si mettevano fra
i piedi, ingiungendo: «Largo!... largo!...» mentre
una buona metà dell'accompagnamento s' era avviata.
Il mortorio sonato da tutte le chiese della città chia-
mava gente da ogni parte sul suo passaggio ; ma spe-
cialm.ente il campanone della cattedrale sospingeva a
frotte i curiosi. Sonava a morto solo pei nobili e i dottori,
e il suo nton-iitvn grave e solenne costava quattr'onze
di moneta; talché la gente, udendo la gran voce di
bronzo, diceva : « Se n'è andato qualche pezzo grosso ! »
E ancora buon numero di carrozze, dopo quella di
Trigona, aspettavano d' incamminarsi, che già la testa
del corteo fermavasi ai Cappuccini.
Impossibile portare in chiesa la bara dalle scale. Non
già che pesasse molto, che anzi era vuota ; ma la ressa,
sulle scale, cresceva, nessuno poteva andare" né avanti
né indietro, solo il cannone avrebbe potuto far luogo.
— 27 —
Bisognò girare la situazione, aprire un varco fra la
turma che gremiva la salita del Santo Carcere e di
San Domenico e portare il feretro dal convento e dalla
sacrestia : trascorse quasi un'ora prima che fosse posto
sul catafalco.
I sonatori avevano già preso posto sul palco e sfo-
derato i loro strumenti, i frati accendevano con le
canne lunghe i ceri dell' aitar maggiore. E i curiosi
stipati nella chiesa, continuando a parlar della morta,
si rivolgevano insistentemente una domanda e si pro-
ponevano una quistione : «Chi sarà l'erede?...» No-
bili e plebei, ricchi e poveri, tutti volevano sapere che
direbbe il testamento, come se la morta avesse potuto
lasciar qualcosa a tutti i suoi concittadini. Aspettavano,
al palazzo, l'arrivo del contino da Firenze e del duaa da
Palermo per leggere le ultime volontà della princi-
pessa; e le opinioni, nel pubblico, erano diametral-
mente opposte : alcuni sostenevano che tutto sarebbe
andato al contino; ma, quantunque la defunta odiasse
il primogenito, era proprio possibile che lo diseredasse ?
« Nossignore : tutto andrà al primogenito : è vero che
non lo poteva soffrire, ma è il capo della casa, l'erede
del principato !... »
Un nuovo pigia pigia troncò di botto ogni discorso,
infitti la folla in fondo alla chiesa : entravano le orfa-
nelle del Sacro Cuore con le vesti verdi e gli scialletti
bianchi ; Baldassarre, tutto vestito di nero, le dirigeva
verso l'aitar maggiore, ingiungendo :
— Largo, largo, signori miei!...
Un bambino, mezzo soffocato tra la calca, si mise a
strillare ; un mendicante, riuscito ad entrare, inciampò
contro un gradino d'altare e cadde per terra.
BENEFICENTE
CO! DERELITTI
L' obolo DELLA CARITÀ
TI PIA RESO
CENTUPLICATO
CON l' ESPIATORIE PRECI.
— 28 —
Don Cono declamava, a bassa voce, 1' altra iscrizione
al canonico Sortini che aveva pescato tra la folla :
— Conciliar l' invenzione del concetto con la venustà
della forma: difficoltà precipua dello stile epigrafico
L'obolo centuplicato non so se mi appongo
Adesso l'aitar maggiore era tutto una fiamma, dai
tanti ceri ; il movimento dei frati e dei sagrestani cre-
sceva ; sul palco della musica accordavano gli stru-
menti, un clarino sospirava, gli archetti stridevano, un
contrabasso borbottava ; e Baldassarre, aiutato dai
camerieri di tutta la parentela, vestiti di nero anch'essi,
faceva disporre due file di sedie pei vecchi e le orfa-
nelle : le sedie, tenute alte sulla folla, parevano navigare
sul mar delle teste, e poiché sempre nuova gente entrava
a furia, la ressa era terribile. I fiati, l'odor di mocco-
laia, il caldo della giornata facevano della piccola chiesa
una bolgia ; alcune donne erano già svenute, in due o
tre punti si litigava fra chi voleva spingersi avanti e chi
non voleva tirarsi indietro; ma nessuno si decideva ad
andarsene; e negli angoli, lungo i muri, avanti agli
altari, i curiosi, gli scioperati rifacevano la storia della
morta e della famiglia, ne commentavano le stra-
vaganze :
— La cassa con tre chiavi!... Sarà tanto più diffi-
cile tornare a questo mondo!... E la tonaca e il ro-
sario!... Tanta penitenza con un funerale da regina!
A voce pila bassa le male lingue aggiungevano :
— Dopo l'allegra vita!...
Accanto alla pila dell'acqua santa, in mezzo a un
crocchio di nobilastri invidiosi e a corto di quattrini,
don Casimiro Scaglisi annunziava :
— E il principe ? Non sapete che ha fatto il prin-
cipe ? Quand'ebbe la notizia della morte della madre,
scappò al Belvedere senza far cTìiudere il portone, per
avere il tempo d'arrivar solo alla villa, e senza avvertir
Ferdinando alla Pietra delI'Ovo
Alcuni protestarono ; don Casimiro confermò :
— Se ve lo dico io!... Per aver tempo di maneg-
giarsi, di far sparire carte e denari !
- 29 -
Tutt' Intorno scrollavano il capo : don Casimiro par-
lava cosi per astio, giacché fin a tre giorni addietro
era stato lavapiatti di casa Francalanza, ma fin da
quando la principessa era andata in campagna, il prin-
cipe non l'aveva piij ricevuto, credendolo iettatore.
— Del resto, scusate, — gli facevano osservare —
che bisogno aveva mai il principe d'allontanare Fer-
dinando ?
— Sissignori, fa la vita del Robinson Crusoè alla
Pietra dell'Ovo, non s'occupa d'affari e in famiglia lo
chiamano il Babbeo, col soprannome messogli da sua
madre. Ma che vuol dire ? Babbeo o no, il principe
non voleva nessuno dei suoi tra i piedi !... Vi dico che
lo so di sicuro !
Un altro osservò :
— Non parlate male di Ferdinando ; con le sue
manìe non fa ,male a nessuno; è il migliore di tutta
la casata.
— Tanto che non parrebbe dello stesso seme — —
rispose don Casimiro.
— Sst, sst ! Siamo in chiesa, — gì' ingiunsero.
— • Passa don Cono.
Don Cono adesso traversava la chiesa per leggere
l'iscrizione posta sulla pila dell'acqua benedetta; come
fu giunto vicino al crocchio, lo fermarono :
— Don Cono !... Don Cono !... Voi che avete la vista
lunga; come dice lassù?
E don Cono compitò :
IN QUESTO TEMPIO
OVE IL FRALE SI ACCOGLIE
DELLA BEATA UZEDA
CORROBORATE
FIENO LE PRECI
dall' INTERCESSORA PARENTE
— Bellissimo! Bravo!... Bene V intercessora.... - —
esclamarono in coro ; ma un sst prolungato passò di
repente di bocca in bocca : il maestro Mascione, appol-
^ 30 —
laiato in cima al palco dell'orchestra, aveva picchiato
Ire colpi sul leggio; e le conversazioni morirono, tutte
le teste si volsero verso i sonatori. In mezzo all'atlen-
zione generale don Casimiro urtò a un tratto col gomito
i vicini, esclamando piano :
— Guardate ! Guardate !
Entrava in quel punto, protetto contro la folla dal
servitore, il vecchio don Alessandro Tagliavia : nono-
stante l'età, reggeva ancora diritta l'alta persona e
dominava la folla con la bella testa bianca e rosea, dagli
occhi chiari com'acqua marina e dai baffi bionditi dal
tabacco. Non potendo avanzare, guardava da lontano il
catafalco, il palco della musica, le tabelle degli epitaffii ;
e intanto, nel silenzio fattosi come per incanto, l'or-
chestra intonava il preludio : un lungo gemito, suoni
rotti in cadenza come da brevi singulti si diffondevano
per la chiesa, e le piangenti riprendevano a lacrimare,
mentre i monaci, dinanzi all'altare, cominciavano le
genuflessioni. Molti capi si chinarono, al sordo vocio
sottentrò un raccoglimento profondo.
— Guardate!... — ripetè don Casimiro, nel gruppo
accanto alla pila. — • È venuto a dirle l'ultimo addio !
Tutti avevano gli occhi fìssi sul vecchio : il lava-
piatti a spasso continuò, interrompendosi quando l'or-
chestra taceva :
— Ed io che me lo rammento piangere come un
bambino come un disperato quando la morta lo
lasciò per Felice Cùrcuma dopo quello che c'era
stato fra loro !... Adesso lei è a marcire al colatoio —
Lui camperà vent'anni ancora: una salute di ferro....
— A voce più bassa, mentre le trombe tratto tratto
squillavano e le voci cantavano Requiem aeternam dona
eis, aggiunse : — Ed ha la sua brava ragazza, in una
villetta al Borgo — Tutte le sere le passa con lei !...
Il vecchio tentava ancora di avvicinarsi ad una iscri-
zione; ma poiché, principiata la messa, nessuno più si
moveva, tornò indietro. Giunto sulla porta della chiesa,
colpendogli l'aria fresca la fronte, si calcò il cappello
sulla testa che non era ancor fuori.
_ 31 —
— Sic tnnisit gloria mundi l...
Però, passato il primo effetto della musica, le conver-
sazioni andavano qua e là riappiccandosi ; e Raciti, il
primo violino del Comunale, borbottava in mezzo agli
sconosciuti :
— Bell'apparato, non c'è che dire; bella funzione!...
La quistione è di sapere chi pagherà !
Era furente, dopo che il signor Marco aveva prefe-
rito la messa di Mascione a quella di suo figlio ; ma si
consolava sparlando della casata : non c'era l'eguale
per la stitichezza nel pa,gare ; e Titta Caruso, il bollet-
tinaio del teatro, ne sapeva qualcosa, costretto com'era
ogni anno a far cento volte le scale del palazzo prima
di vedersi pagato l'appalto del palchetto : oggi non
c'era il principe, domani non c'era la principessa,
vm 'altra volta mancava pel signor Marco, poi erano
tutti in campagna
— Mio figlio Salvatore non voleva offrir loro la sua
messa ? Meglio sonarla gratis per le anim^e del Purga-
torio ; almeno se ne guadagna altrettanta salute al-
l'anima !
E voltò le spalle, furioso, per andarsene, mentre
intonavano il Tuha mirum rubato al Palestrina !... Come
lui, erano venuti in chiesa quanti eran corsi nei primi
momenti al palazzo per offrire i loro servigi ; ma i
rimasti a mani vuote tiravano adesso in ballo le storie
d'avarizia e d'intima spilorceria di quella famiglia il
cui lusso era solo apparente : la principessa, una volta,
non aveva fatto citare dinanzi al giudice il suo calzo-
laio perchè le restituisse il prezzo di un paio di scarpe
non riuscite di suo gradimento? E in cucina, il ciioco
non aveva l'ordine di scolar l'olio rimasto nella pa-
della dopo la frittura pel" riconsegnarlo alla padrona ?
— Più sono ricchi, cotesti porci, più sono spilorci !...
Un sitti! imperioso troncò le chiacchiere : l'orchestra
intonava il Che dirò io misero ? e la gente che stava
attenta alla musica non voleva esser disturbata. Ma
dopo un momento le conversazioni si riannodarono.
^ 3à ^-
In certi crocchi di liberali, vantavano il patriottismo
del duca Gaspare, sotto voce, però, e guardandosi in-
torno per paura che qualche spia non udisse.
/ — Un colpo al cerchio e un altro alla botte ! —
esclamava don Casimiro accanto alla pila. — In questa
casa chi fa il rivoluzionario e chi il borbonico ; cosi sono
certi di trovarsi bene, qualunque cosa avvenga ! La ra-
gazza Lucrezia non fa la liberale per amore di quello
sciocco di Benedetto Giulente?...
Il barone Carcaretta, imitosi ai maldicenti, protestò :
— Non daranno mai un' Uzeda a un Giulente !
E don Casimiro :
— Per questo io dico che il Giulente è uno sciocco....
— Silenzio, eccoli li.
Il giovanotto infatti entrava in quel momento insieme
con suo zio don Lorenzo, il celebre liberale lavapiatti
de] duca.
— E cosi ? — domandò don Casimiro — quando la
farete questa rivoluzione ?
— ■ Non lo diremmo a voi, in ogni caso ! — rispose
Benedetto sorridendo.
Allora l'altro si rivolse allo zio :
— E il vostro amico, il duca ? Gli muore la co-
gnata, i suoi nipoti l'aspettano, e non parte subito?
Che sta macchinando ?
— A voi che importa ?
— A me ? Un fico secco ! Io non faccio il lavapiatti
a nessuno !
— I lavapiatti — rispose don Lorenzo — dovete sa-
pere che io li ho tenuti sempre in cucina
— Silenzio!... Siamo in chiesa.
La preghiera ieratica diceva giustamente : « Serbami
un posto nel gregge. » Ma don Casimiro non voleva ri-
conoscere che il dispiacere di non goder più dell' inti-
mità degli Uzeda lo animava contro di loro.
— Bestioni ! — esclamò, quando i due Giulente si
allontanarono. — Mi diranno poi come finirà loro,
con quei birbanti !
— 33 —
Il principe di Roccasciano, che aveva girato per la
chiesa sballottato dalla folla, fu sospinto in mezzo al
gruppo; tutta la sua persona, cosi piccola e magra che
pareva fatta in economia, esprimeva uno straordinario
stupore :
— Signori miei, che funerale! che spesa!... Ci sa-
ranno per Io meno cent'onze di cera! E l'apparato ! La
messa cantata ! Io vi so dire che per la felice memoria
di mio padre spesi sessantotto onze e tredici tari, e
che feci? Niente!... Qui vi dico che ci sono spese cen-
t'onze di sole torce
— . Sst il Lux aeterna.
Ad ogni passaggio della messa operavasi un rime-
scolamento nella folla : alcuni tentavano uscire, la più
parte mutavan di posto, giravano intorno al catafalco,
andavano a leggere le iscrizioni. Restava a don Cono
da verificar l'ultima; don Casimiro gli si pose alle co-
stole, seguito da parecchi della comitiva.
ahi dura morte
il pianto
d'una illustre prosapia
d' un popolo intero
a disarmare il tuo braccio
non valse.
— . Benissimo ! — fece don Casimiro. — La prosapia
è illustre: discende difilato dall'anche d'Anchise. Il po-
polo piange : non vedete le lacrime ? — e mostrava
quelle d'argento che frangiavano l'addobbo funebre. —
Piangono anche le ragazze dell'Orfanotrofio pen-
sando che andranno a finir cameriere dell' illustre
principe
— Farmi sconvenga — obbiettò don Cono.
— E v'accerto io che sono tutti disperati per questa
morte, dal gran bene che si vogliono in casa. Poh ! Non
possono stare un giorno senza abbracciarsi e baciarsi....
— • Farmi sconvenga....
— Prudenza, signori miei.... siamo in chiesa!
Di Eobeito. I Vicerì; - I 3
— 34 —
Giusto, ]a ripresa del Dies irae assordava tutti ; i
frati erano scesi verso il catafalco, benedicendo ; la
musica intonava il Libera me, riprendeva le frasi del
principio, implorava il Requiem. «È finito?... Se Dio
vuole !» E un rimescolamento generale : chi era rimasto
lontano dal catafalco e dalle iscrizioni vi si dirigeva ;
molti che non reggevansi più in piedi dalla stanchezza,
s'avvicinavano alle porte; ma lì la confusione e la
ressa ricominciavano più grandi ; perchè tutta la gente
rimasta fuori, credendo che, finita la messa, fosse age-
vole entrare, s'affollava tumultuosamente, cozzando
contro quelli che volevano uscire, travolgendo gili
storpi, i ciechi e i mutilati che arrischiavano nuova-
mente di tender la mano ai passanti. «Adagio!... I
piedi !... Che maniera ! » e dominando quel vocio veniva
dalla piazza un incessante scalpitar di cavalli : le car-
rozze del corteo funebre che sfilavano una dopo l'altra,
andandosene.
Il principe di Roccasciano, affacciato dalla terrazza,
le veniva numerando :
— Sette tiri a quattro, sessantatre carrozze padro-
nali, dodici di rimessa — disse, quando passò l'ultima.
E fece il conto: — A dodici tari l'una, tolte quelle
di famiglia, sono trentaquattr'onze !...
Allora l'onda degli spettatori cominciò a disperdersi.
I poveri rimasti accoccolati lungo i muri poterono final-
mente trascinarsi ai loro posti ; ma oramai non passava
più nessuno.
II.
Verso sera, mentre la servitù raccolta nel cortile
commentava ancora la magnificenza del funerale, arrivò
dalla via di Messina il conte Raimondo con la contessa
Matilde. Baldassarre, udendo il tintinnio delle sona-
gliere, si precipitò giù per lo scalone e arrivò allo
— 35 —
sportello della corriera giusto nel momento che questa
arrestavasi e che il padrone saltava giù.
— • Chi c'è? — domandò il contino, troncando con
voce breve le cerimonie di Baldassarre e mostrando le
carrozze allineate nella corte.
— Visite pel signor principe, Eccellenza — e su-
bito il maestro di casa prese l'aspetto grave e triste
conveniente alla circostanza luttuosa.
II conte s'avviò per lo scalone senza curarsi della
moglie né del bagaglio. Baldassarre, a capo chino,
offerse il gomito alla signora contessa, ma ella smontò
senza appoggiarsi. « Più bella che mai ! » giudicavan
le donne che le si appressavano rispettosamente,
« quantunque un po' dimagrata, in verità » La moglie
del portinaio osservò anche : « Pare più afflitta lei del
contino — » E con che dolce voce pregava che portas-
sero su le valige e i sacchi da notte, e rispondeva al :
« Benvenuta, Eccellenza ! » dei servi, informandosi della
loro salute, domandando a Giuseppe se il suo bambino
stava bene e a donna Mena se la sua figliuola s'era
maritata !...
Su, nelle anticamere, il principe e Lucrezia vennero
incontro al fratello ed alla cognata. Raimondo si lasciò
baciare dalla sorella, e stretta la mano che Giacomo
gli tendeva, entrò nella Sala Gialla, zeppa di gente al
pari della Rossa, poiché, tolto il divieto di lasciar
salire i soli prossimi parenti, ora i cugini in quarto e
in quinto grado, gli affini, gli amici venivano in pro-
cessione a condolersi della gran disgrazia. Tutti, all'ap-
parire della contessa Matilde, si levarono, ad eccezione
di don Blasco e di donna Ferdinanda. Quest'ultima,
quando la nipote le baciò la mano, borbottò un : « Ti
saluto » freddo freddo ; quanto a don Blasco, non le
rispose neppure. Egli vociava, gesticolando :
— Vogliono il resto? Ah, vogliono il resto? Se vo-
gliono il resto, non hanno da far altro che chiederlo !...
L'incontro del Priore con Raimondo fu osservato da
tutti : il Priore che stava seduto accanto a monsignor
- 36 -
Vescovo col Vicario e parecchi canonici, appena scorto
il fratello s'alzò e gli aperse le braccia : Raimondo si
lasciò abbracciare un'altra volta, ma quelle dimostra-
zioni d'affetto lo seccavano visibilmente. Poi il prin-
cipe lo condusse via, e tutti ripresero i loro posti e i
discorsi interrotti.
In un g^ruppo di pezzi grossi dove c'erano, fra gli
altri, il presidente della Gran Corte, il generale e alcuni
senatori municipali, don Blasco continuava a fiottare
contro i rivoluzionarli e i quarantottisti che minaccia-
vano d'alzar la coda. Non era bastata loro la famosa
lezione spiegata da Satriano? Volevano il resto? Sa-
rebbero stati immediatamente serviti !
— Ma la colpa più grande credete forse che sia dei
sanculotti o di quel ladro di Cavour ? È di quei ruffiani
che per la loro posizione dovrebbero sostenere il Ck)-
verno e invece si mettono coi morii di fame !
Egli l'aveva principalmente col fratello duca che s'era
fitto in capo di fare il liberalone, lui, il secondogenito
del principe di Francalanza ! Il marchese di Villardita
approvava, chinando la testa, giudicando però che i ri-
voluzionarii, con o senza l'aiuto dei signori, sarebbero
rimasti cheti almeno per un altro mezzo secolo : la città
portava ancora i segni della terribile repressione del-
l'aprile Quarantanove : non erano del tutto scomparse
le tracce del fuoco e del saccheggio, e mezza popolazione
piangeva i morti, i condannati all'ergastolo, gli esiliati.
Il Priore, tornato a sedere accanto a Monsignore,
nel gruppo delle tonache nere, deplorava anch'egli, a
bassa voce, l'iniquità dei tempi per via della legge pie-
montese contro le corporazioni religiose ; e don Blasco,
nel crocchio opposto : ^
— Adesso fanno la guerra senza denari ! Rubando
la Chiesa di Cristo! E quel celebre d'Azeglio? Avete
letto il suo sproloquio?...
Dalla parte delle donne la principessa se ne stava in
un angolo, un po' alla larga, per evitar contatti. Donna
Ferdinanda, seduta vicino al principe di Roccasciano,
— 37 —
parlava con lui d'affari, del raccolto, del prezzo delle
derrate, mentre la principessa di Roccasciano raccon-
tava alla baronessa Cùrcuma un suo sogno, la madre
che le era apparsa con tre numeri in mano : 6, 39 e
70, sui quali avea giocato dodici tari di nascosto del
marito. Le ragazze Mortara e Costante, amiche di Lu-
crezia, parlavano d'abiti a quest'ultima, per divagarla,
quantunque ella non desse loro ascolto e rispondesse a
sproposito, com'era sua abitudine; ma la cugina Gra-
ziella teneva da sola animata la conversazione, rivol-
gendosi a tutti ed a ciascuno, passando da una sala al-
l'altra, chiacchierando d'abiti, di sarte, della Crimea,
del Piemonte, della guerra, del colera. Stanca del viag-
gio, la contessa Matilde parlava poco, aspettando di
ritirarsi nelle sue camere ; don Cono, venuto a metter-
sele vicino, le recitava tutte le epigrafi da lui composte
pel funerale: « M'è sovvenuto d'una variante; bramo
il giudizio della contessa » E il cavaliere don Eu-
genio giudicava povertà il lusso dei moderni funerali a
paragone di quello di un tempo : « Nel 1692 fu perfino
emanato un bando, in via di prammatica, per impe-
dire l'eccedente sfarzo delle cerimonie mortuarie!»
Tutti s'alzarono al sopravvenire di donna Isabella
Fersa con suo marito don Mario e con Padre Gerbini :
il Benedettino reggeva galantemente sul braccio un velo
della dama. Questa baciò tutte le Uzeda, fuorché la
principessa, la quale, schivandosi, presentò :
— • Mia cognata Matilde....
Donna Isabella strinse forte la mano alla contessa e
le si mise a sedere a fianco, sospirando :
— Che grande disgrazia ! Ma bisogna fare la volontà
di Dio!... Siete stati a Firenze?... Anche noi ci fummo
l'anno scorso; ma voialtri allora eravate a Milazzo
Una sola bambina finora?... Il conte aspetta un m.a-
schietto, naturalmente. Felice voi che avete una figlia :
v' invidio, contessa, sapete
Padre Gerbini faceva intanto il giro delle signore,
discorrendo a lungo con le più giovani e belle, dicendo
— 38 -
loro cose galanti e proibite. Egli prendeva le morbide
e bianche mani femminili, le teneva un poco fra le sue
egualmente bianche e inanellate, poi le baciava. Ve-
dendo rientrare il principe col fratello, lasciò le dame
per condurre Raimondo dinanzi alla Persa.
— Il conte di Lumera,... donn' Isabella Persa, la
piij bella dama del regno....
— Non gli creda, dice a tutte cosi — esclamò ella
sorridendo. — Sono dolente di conoscerla — riprese, con
altro tono di voce e stringendogli la mano — in questa
triste circostanza — — Sospirò un poco, poi ricominciò :
— Giusto, la contessa mi diceva che arrivate da Fi-
renze...,
— Direttamente. Ci siamo fermati appena a Messina.
— Per lasciar la bambina a vostro suocero. Avete
fatto bene ! Com' è questa Milazzo ?
— ■ Non me ne parli.
Per fortuna, egli ci stava il meno che poteva, sempre
attirato a Firenze, dove aveva tante amicizie. Come egli
citava i grandi nomi di Toscana, donna Isabella chinava
ripetutamente il capo in atto affermativo : « I Morsini,
sicuro i Realmente »
La contessa volgeva supplici sguardi al marito, quasi
per dirgli: « Portami via » ma Raimondo non ces-
sava di parlare del suo tema favorito. Persa gli s'avvi-
cinò un momento per stringergli la mano ed esprimergli
il proprio rammarico.
— . Tuo zio il duca arriva domani ?
— Cosi m'ha detto Giacomo.
— E del testamento ?
— Non si sa nulla.
Tra i discorsi di politica, di moda, di viaggi, quella
domanda curiosa era sussurrata qua e là, otteneva sem-
pre la stessa risposta. II presidente della Gran Corte,
testimonio della consegna del testamento .segreto fatta
dalla principessa al notaio 1' anno innanzi, non sapeva
nulla intorno al contenuto della carta di cui aveva fir-
mato la busta, e i figli della morta erano al buio peggio
— 39 —
degli estranei. Forse, se Raimondo fosse venuto a
tempo, quando sua madre lo aveva insistentemente
chiamato, egli avrebbe saputo qualcosa ; ma il conte,
divertendosi a Firenze, aveva fatto orecchio da mercante,
quasi non si trattasse dei suoi stessi interessi. Possi-
bile, allora, che la principessa non si fosse confidata
proprio a nessuno ? a qualcuno dei cognati ? a un uomo
d'affari, almeno? Di botto don Blasco, lasciando in
pace Cavour e la Russia :
— E allora, che sugo ci sarebbe stato ? — esclamò.
— Cosi fanno tutti coloro che ragionano, eh?... Ma in
questa casa la logica era un'altra!... Nessuno doveva
saper niente ! tutto si doveva fare a loro capriccio; sem-
pre chiusi, sempre misteriosi, come se fabbricassero
moneta falsa !
Il presidente scrollava il capo con bonomia, per
acquietare il monaco focoso ; ma questi proseguiva :
— Volete sapere che dirà il testamento ? Domanda-
telo al confessore! Sissignori : al confessore!... Voi al
confessore di che parlate ? Dei peccati, eh ? delle cose
di coscienza?... Degli affari, naturalmente, incaricate
gli avvocati, i notai, i parenti, si o no?... Qui invece
il confessore scriveva il testamento : forse il notaio
impartiva 1' assoluzione !
Alcuni sorridevano a quelle sparate, e le supposizioni
avevano libero corso. Il presidente era sicuro, checché
si dicesse in contrario, che l'erede sarebbe stato il prin-
cipe, con un forte legato al conte ; e il generale confer-
mava : « Sicuramente, l'erede del nome ! » ma il barone
Grazzeri scrollava il capo : « Se non andarono mai
d'accordo? » Don Mario Fersa, infatti, piano al cava-
liere Carvano, manifestava la sua opinione, secondo la
quale l'erede sarebbe stato Raimondo. Forse il contegno
di lui durante la malattia della madre, il costante ri-
fiuto di venire a vederla, potevano avergli un poco
nociuto ; ma la prediilezione dimostrata dalla principessa
a quel figliuolo era stata troppo grande perchè in un
momento ne andassero dispersi gli effetti, « Non di-
mentichiamo, » rammentava il cavaliere Pezzino, « che
la felice memoria non volle mai chiedere l'istituzione del
maiorasco appunto per esser libera di fare a modo suo. »
Dunque si sarebbe proprio visto questa enormità? Il
capo della casa diseredato ? erede Raimondo che non
aveva figli maschi? diseredato il principe che aveva g-ià
nel piccolo Consalvo il successore?... I lavapiatti, come
familiari della defunta, erano richiesti della loro opinio-
ne, ma essi che ne sapevano meno di tutti, rispondevano
evasivamente, per non far torto a nessuno. « E gli altri
figli? Ferdinando? Le donne?... » La curiosità, benché
contenuta ed espressa sotto voce, era vivissima. Il con-
fessore, questo famoso Padre Camillo, non aveva par-
lato ? « Non c'è, è a Roma da parecchi mesi ; e anche
ci fosse, non parlerebbe: è volpe fina » E tutti gli
sguardi si volgevano naturalmente a Giacomo ed a
Raimondo. Questi chiacchierava ancora con donna
Isabella, e pareva che il testamento materno fosse
r ultimo dei suoi pensieri, anzi che egli ignorasse perfino
la morte della madre ; il prìncipe invece aveva un aspetto
più grave del consueto, quale conveniva alla tristezza di
quei giorni ; egli riceveva con espressioni di gratitudine
le reiterate condoglianze delle persone che si congeda-
vano. Alcune di queste però non riuscivano a trovarlo,
andavano via senza .poterlo salutare ; e i familiari si
guardavano con la coda dell' occhio, comprendendo.
Egli aveva una folle paura della iettatura, attribuiva
a una gran quantità d' individui il funesto potere; stava
sulle spine in loro presenza, evitava di salutarli, con le
mani iu tasca. Ma il presidente della Gran Corte,
appena alzatosi, se lo vide vicino :
— Se lo zio arriverà domani, presidente, fisseremo
per posdomani la lettura ?
— Quando credete, principe mio ! Sono agli ordini
vostri !,..
— . Veramente.... — aggiimse, abbassando la voce —
io non avrei tanta fretta — anzi mi parrebbe una scon-
venienza verso la memoria di nostra madre.... Ma sa-
-, 41 —
pete come succede quando si è in molti — quando bi-
sogna dar conto a tanti — E poiché suo fratello il
Priore se ne andava anche lui, insieme col Vescovo, li
avverti entrambi, essendo Monsignore un altro dei
testimone.
— Fate, fate voialtri — disse il Priore, disinteres-
sato. — Che bisogno avete di me ?
Ma Giacomo protestò :
— No, no ; che vuol dire ! Bisogna fare le cose in
regola, per soddisfazione di tutti
Siccome annottava, molti andavano via. Padre Ger-
bini, quantunque il Priore avesse dato 1' esempio, restò
ancora un poco a cicalare con le signore ; poi se n' andò
anche Jui. Restò, sbraitando contro i rivoluzionarli e la
cognata morta, don Blasco, che rientrava sempre Vu\^
timo al convento.
Adesso i servi accendevano le lampade; e con le fine-
stre chiuse, il calore diveniva intollerabile nella sala.
La contessa si sentiva mancare e non vedeva più il
marito che aveva seguito donna Isabella nella Sala
Rossa a discorrere di Parigi. Ancora una volta aveva
accanto lo zio Eugenio e don Cono, i quali continuavano
a sviscerare le antiche cronache cittadine e citavano
con linguaggio fiorito roba latina.
— I funeri di Carlo V furono celebrati a presenza
del Viceré Uzeda
— La real cappella tolse luogo nel nostro Duomo,
ove vi fu eretta un' altissima piramide ornata di busti
e personaggi, fra i quali 1' Italia, la Spagna, la Ger-
mania e r India
— • Per lo appunto ; anzi la epigrafe suonava cosi :
India ntoesta sedei Caroli posta funera Quinti.,..
— E il disvenamento del corsier favorito ?
— Pei funerali di nostro nonno, alla più corta !
Quando mori il principe nostro nonno, si svenò il suo
cavallo di coscia
— ■ Uso barbarico anziché no. Il nobil corsiere ri-
— 42 —
g-ava di sangue la via finché cadeva spirando l'ul-
timo fia —
A un tratto don Cono esclamò :
— Contessa, gran Dio !
Tutti accorsero. Era pallida e fredda, con gli occhi
rovesciati e le labbra dischiuse. Suo marito, accorso
anche lui con donna Isabella, disse :
— Non è nulla la fatica del viaggio — E piano,
quasi tra sé, mentre la portavano via : — Le solite
smorfie !...
Giorni di continue novità, quelli ! Il domani, come
s' aspettava, arrivò il duca. Mancava da cinque anni, e
nel primo momento la servitù e gli stessi parenti quasi
non lo riconobbero : quand' era partito per Palermo
aveva un bel collare di barba alla borbonica, adesso
invece s' era lasciato crescere il pizzo che dava un altro
carattere alla sua fisonomia. Tutti i nipoti gli baciarono
la mano; egli s'informò della disgrazia e si scusò per
non esser venuto più presto; si scusò anche, pel di-
sturbo che gli dava, col principe, il quale gli aveva fatto
preparare al terzo piano le stanze da lui occupate nella
casa paterna prima di lasciarla. Ma il nipote protestò :
— • Vostra Eccellenza non mi disturba, mi aiuta
E in questo momento ho più bisogno dei suoi consigli. . .
— Sai nulla ?
— Nulla !
— . Tua madre non avrà fatto, spero, una delle sue
pazzie —
— Quel che ha fatto mia madre sarà ben fatto !
Fu cosi stabilita la lettura pel domani, a mezzogiorno,
e il signor Marco ebbe ordine d' avvertire il notaio, il
giudice e i testimonii perchè si tenessero pronti. Intanto
la notizia dell'arrivo del duca s'era subito diffusa per
la città, e le prime visite gli furono annunziate che egli
non s'era neppur riposato del viaggio. Venivano a cer-
carlo una quantità di persone che non si sapeva chi fos-
sero : donna Ferdinanda, a udire i nomi annunziati da
— 43 —
Baldassarre : Raspinato, Zappag-lione, sgranava tanto
d'occhi; don Blasco, da canto suo, soffiava come un
mantice ; ma il peggio fu verso sera, quando cominciò
una vera processione « di tutti i sanculotti morti di
fame, » gridava il monaco al marchese « che hanno
scroccato o vogliono scroccar quattrini a quell' animale
di mio fratello ! » Mentre il duca dava udienza agli
amici, r Intendente Ramondino venne a far la sua visita
di condoglianza al principe, il quale lo ricevè nella Sala
Rossa, insieme col marchese di Villardita e don Blasco.
Questi, dimenticando che a San Nicola stavano per ser-
rare i portoni, fece una terribile sfuriata contro 1' agita-
zione dei quarantottisti ; ma il rappresentante del go-
verno, stringendosi nelle spalle, pareva non desse im-
portanza ai sintomi di cui si buccinava : in verità, a
Palermo avevano arrestato qualche facinoroso ; ma, al
fresco, le teste calde si sarebbero subito calmate.
— Perchè non fate venire altra truppa ? Perchè non
date un esempio?... Il bastone ci vuole : sante nerbate !
Il monaco pareva inferocito ; ma il capo della pro-
vincia stringevasi nelle spalle : bastavano i soldati della
guarnigione; non c'era paura di niente! Del resto, più
che sulle baionette, il governo faceva assegnamento sul-
r influenza morale dei benpensanti L'elogio era
diretto al principe, che se lo prese ; ma don Blasco
girava gli occhi stralunati come se, avendo un boccone
di traverso, facesse sforzi violenti per inghiottirlo del
tutto o vomitarlo.
— E il testamento della felice memoria ? — disse
r Intendente, curioso anche lui come tutta la città.
— Sarà aperto domani
Entrò a un tratto il duca che strinse la mano al-
l' Intendente e gli si mise a sedere a fianco. Allora don
Blasco s' alzò rumorosamente per andar via. E nell' an-
ticamera, al marchese che lo accompagnava :
— Capisci? — gridò. — Tutto il giorno coi sancu-
lotti e adesso si strofina all'autorità! Son cose che
mi rivoltano lo stomaco!... In questa casa non metterò
più piede !
— 44 —
Anche donna Ferdinanda, nella stanza di lavoro della
principessa, dov' era raccolto tutto il resto della famiglia
e alcuni lavapiatti, fiottava contro il fedifrago; ma
quando Baldassarre annunziò, suU' uscio, credendo che
il duca fosse lì :
— Don Lorenzo Giulente e suo nipote cercano del
signor duca —
— . Non se ne può più ! — proruppe la zitellona,
arrossendo fin nel bianco degli occhi. — È uno scan-
dalo ! Dovrebbe pensarci la polizia !
Don Mariano, con aria costernata, esclamò :
— xA.desso anche il ragazzo !... È una cosa veramente
dispiacevole!... Passi lo zio, che è morto di fame;
ma il nipote?...
— Il nipote ? — incalzò la zitellona. — Voi non
sapete che la volpe, quando non potè arrivare all' uva,
disse che era acerba ?
Lucrezia, impallidita, teneva gli occhi bassi, strap-
pando la frangia della poltrona ; il principino Consalvo,
seduto vicino alla zia, domandò :
— • Perchè l'uva?
— Perchè?... Perchè pretendevano il consenso reale
all' istituzione del maiorasco ! E non avendolo ottenuto
si sono buttati coi sanculotti!... Il consenso reale!...
Come se non ci fosse un certo articolo 948 nel Codice
civile che canta chiaro ! — E sempre rivolta al ragazzo
il quale la guardava con gli occhi sgranati, recitò, ge-
stendo con un dito e cantilenando : — Potrà doman-
darsene r istituzione (del maiorasco) da quegl' individui
i di cui nomi trovansi inscritti sia nel libro d' oro sia
negli altri registri di nobiltà, da tutti coloro che sono
neir attuale legittimo possesso di titoli per concessione
in qualunque tempo avvenuta, e finalmente da quelle
persone che appartengono a famiglie di conosciuta no-
BiL-TÀ nel Regno delle Due Sicilie....
— Io credo che i Giulente sono nobili — disse Lu-
crezia, prima che la zia finisse e senza alzare gli occhi.
— Io credo invece che sono ig^nobili — ribattè secco
— 45 —
donna Ferdinanda. — Se possedevano documenti da far
valere, avrebbero ottenuto I' approvazione reale.
— Nobili di Siracusa — cominciò don Mariano.
— O Siracusa o Caropepe, se avevano i titoli non
gli avrebbero negata l' iscrizione nel Libro rosso !
— Il Libro rosso è chiuso dal 1813 — annunziò
don Eugenio col tono di chi dà una notizia grave.
Lucrezia era rimasta a capo chino, guardando per
terra. Quando la zia potè credere d'averla ridotta al
silenzio, la ragazza riprese :
— I Giulente sono nobili di toga.
Un risolino fine fine della zitellona le rispose :
— Gli asini credono che la nobiltà di toga sia para-
gonabile a quella di spada!... Che differenza passava
tra i sei giudici del Real Patrimonio, don Mariano ?
I tre di cappacorta, erano nobili — nobili ! — e i tre
di cappalunga, giurisperiti giurisperiti.'... Adesso
sapete com'è?... Tutti ì mastri notai si credono al-
trettanti principi!... Un tempo c'erano i baroni da
dieci scudi, oggi ci sono quelli da dieci baiocchi —
Allora la ragazza s'alzò e andò via. Donna Ferdi-
nanda continuava a sorridere finem.ente, guardando la
contessa Matilde.
Frattanto il signor Marco faceva disporre ogni cosa
nella Galleria dei ritratti per la lettura del testamento.
II principe era stato un poco esitante sulla scelta del
luogo dove compiere la cerimonia : la Sala Rossa, di-
scretamente addobbata, capiva poca gente : il Salone
dei lampadari, vastissimo, non aveva altri mobili fuorché
le lampade antiche pendenti dalla volta e gli specchi in-
castrati nelle pareti ; la Galleria, invece, conciliava la
grandezza con la sontuosità, perchè era vasta come due
saloni messi in fila, e arredata di divani e sgabelli e
mensole e tripodi dorati, e finalmente più degna, per le
generazioni d' avi pendenti in effige dai muri, della so-
lennità che radunava i nipoti. Nel mezzo di quella specie
dì grande corridoio, l'amministratore generale fece
— 40 —
disporre una gran tavola coperta da un antico tappeto
e provveduta d'un monumentale calamaio d'argento.
Intorno alla tavola dodici seggioloni a bracciuoli aspet-
tavano i testimonii e gì' interessati : quello del principe,
più alto, volgeva la spalliera al grande ritratto centrale
del viceré Lopez Ximenes de Uzeda, a cavallo e in atto
di frenare la bestia con la sinistra e d' appuntar l' indice
destro al suolo come dicendo: « Qui comando io!... »
Torno torno, in alto e in basso, quanto la parete era
lunga, quant' eran larghi i vani tra finestra e finestra
nella parete di contro, una moltitudine d' antenati : uo-
mini e donne, monaci e guerrieri, vescovi e dottori,
dame e badesse, ambasciatori e viceré, di faccia, di pro-
filo e di tre quarti; vestiti d'acciaio, di velluto, d'armel-
lino; col capo coronato d'alloro, o chiuso negli elmi, o
coperto dai cappucci ; con scettri e libri e bacoli e spade
e fiori e mazze e ventagli in mano.
Il giorno stabilito, prima del notaio, del giudice e dei
testimonii e d'ogni altro parente, spuntò don Blasco,
rodendosi le unghie. Entrato che fu, si mise a girare
per la casa ficcando gli occhi dappertutto, con le orec-
chie erte come un gatto, con le narici aperte quasi a
fiutare la preda. Subito dopo apparve donna Ferdinan-
da; e la servitia, giù nella corte, osservava che i cognati
della morta, pei quali il testamento non aveva nessun
interesse, erano più impazienti di conoscerlo che gli
stessi figliuoli. Ma oramai la curiosità di tutti era
divenuta insofferente e quasi nervosa : i lavapiatti so-
praggiungendo per aiutare il principe al ricevimento,
scambiavano esclamazioni : « Oramai ci siamo ! Fra
qualche mezz'ora!... » Il Priore venne con Monsignor
\"escovo, riprotestando che la propria presenza era
inutile ; il principe ripetè che voleva tutti. Il giudice
col notaio Rubino arrivò nello stesso tempo che il
marchese con la moglie e don Eugenio. Poi il presi-
dente della Gran Corte col principe di Roccasciano,
altri testimonii ; poi la cugina Graziella col marito,
poi ancora la duchessa Radali, poi i parenti più lontani.
— 47 —
i Grazzeri, i Costante, poi l'ultimo testimonio, il
marchese Motta ; ma Ferdinando non si vedeva ancora.
E don Blasco, pigliando pel bottone del soprabito il
marchese, gli diceva :
— Scommettiamo che hanno dimenticato un'altra
volta d' avvertirlo ?
L'attesa fu penosa. Nessuno parlava più del testa-
mento, ma tutti gli sguardi erano rivolti alla cartella
del notaio. I più indifferenti, tuttavia, parevano il conte
Raimondo che chiacchierava con le signore e il prin-
cipe che parlava col presidente d'una causa relativa
alla dote della moglie. Mentre il fratello minore, però,
saltava da un discorso all'altro con grande disinvoltura,
il principe faceva lunghe pause, durante le quali i suoi
occhi si fissavano, corrugati, e un pensiero modesto gli
velava la fronte.
Quando finalmente Ferdinando spuntò, stralunato,
assonnato, come caduto dalle nuvole, fu uno scandalo :
mentre perfino la servitù era già vestita di nero, egli
portava ancora l'abito di colore, e a don Blasco il quale
gli diceva : « Che diavolo hai fatto? » rispondeva, bal-
bettando : «Scusate — scusate non ci pensavo
più ))
All'invito del principe, passarono tutti nella Galleria :
il principe, il duca, il conte, il marchese, il cavaliere, il
signor Marco, il giudice col notaio e i quattro tes.ti-
monii presero posto alla tavola ; gli altri sederono sui
divani tutt' intorno : la principessa appartata in un an-
golo : donna Ferdinanda con Chiara e la cugina Gra-
ziella da una parte ; Lucrezia con la duchessa e la con-
tessa Matilde da un'altra : il Priore, seduto sopra uno
sgabello, incrociò le mani in grembo e alzò gli sguardi
al soffitto con moto di rassegnata indifferenza; don
Blasco, appoggiato in piedi allo stipite della finestra
centrale, dominava l'adunanza come uno spettatore dif-
fidente dinanzi a una prova di prestigio.
— • Vostra Eccellenza permette ? — domandò il no-
taio, e ad un gesto d'assenso del principe cavò dalla
— 4fi -
cartella un plico sul quale tutti gli occhi si fermarono.
Accertata 1' incolumità dei sug-gelli, riscontrate le firme,
egli apri la busta e ne tolse un quadernetto di due o
tre fogli. Dopo un breve scambio di cerimonie col giu-
dice, questi, in mezzo a un religioso silenzio, cominciò
finalmente la lettura :
« Io, Teresa Uzeda nata Risa, principessa di Fran-
calanza e Mirabella, vedova di Consalvo VII, principe
di Francalanza e Mirabella, duca d'Oragua, conte della
Venerata e di Lumera, barone della Motta Reale, Gi-
bilfemi ed Alcamuro, signore delle terre di Bugliarello,
Malfermo, Martorana e Caltasipala, cameriere dì
S. M. il Re (che Dio sempre feliciti).
« In questo giorno 19 di marzo dell'anno di grazia
1854, sentendomi sana di 'mente ma non di corpo, rac-
comando l'anima mia a Nostro Signore Gesia Cristo,
alla Beata Vergine Maria ed a tutti i gloriosi Santi del
Paradiso e dispongo quanto segue :
« I miei amati figli non ignorano che nel giorno in
cui entrai in casa Francalanza ed assunsi l'ammini-
strazione del patrimonio, tali e tante passività obera-
vano la sostanza del mio consorte, che essa poteva con-
siderarsi, anzi era effettivamente distrutta ed alla vi-
gilia di venire smembrata tra i molteplici suoi creditori.
Spinta pertanto dall'affetto materno che mi spronava a
sacrificarmi pel bene dei miei figli amatissimi, io mi
accinsi fin da quel giorno all'opera del riscatto, la
quale è durata quanto tutta la mia vita. Assistita dai
consigli prudenti di ottimi amici e parenti, coadiuvata
dall'opera intelligente del signor Marco Roscitano, mio
amministratore e procuratore generale, con l'aiuto della
Divina Provvidenza alla quale ne rendo tutte le grazie
del mio cuore, io oggi mi trovo di avere non solamente
salvata ma anche accresciuta Ita sostanza della casa »
Il signor Marco, al passaggio che lo riguardava,
aveva chinato rispettosamente il capo. Don Blasco,
sempre in piedi, mutò posto : lasciata la finestra si
mise dietro al giudice, in modo non solamente da udir
— 49 —
meglio ma éa. verificare con l'occhio la fedeltà della let-
tura. Il principe teneva le braccia incrociate sul petto
e il capo un po' chino; Raimondo batteva un piede,
guardando per aria, seccato.
« Di tutta questa sostanza io sono l'unica e soia
donna e padrona, si per la parte che rappresenta la
mia dote in essa investita, si perchè il rimanente è
frutto dei miei capitali parafernali e dell'opera mia,
come ne fa ampia e piena fede il testamento del bena-
mato mio sposo Consalvo VII, il quale dice cosi — »
Il giudice sostò un momento per osservare :
— Credo che possiamo saltare questo passo...
— Infatti È inutile — risposero parecchie voci
Il principe invece, sciolte le braccia, protestò, guar-
dando in giro :
— No, no, io desidero che le cose si facciano in
piena regola — Leggete tutto, di grazia.
« .... il quale dice cosi : « Sul punto di rendere a
Dio l'anima mia, non avendo nulla da lasciare ai miei
figli, perchè, come essi un giorno sapranno, il nostro
patrimonio avito fu distrutto in seguito a disgrazie di
famiglia, lascio ad essi un prezioso consiglio : di obbedir
sempre alla loro madre e mia diletta sposa. Teresa
Uzeda, principessa di Francalanza, la quale, come si è
finora sempre ispirata al bene della nostra casa, così
continuerà per l'avvenire a non avere altra mira fuorché
quella di assicurare, col lustro della famiglia, l'avvenire
dei nostri figli benamati. Faccia il Signore che ella sia
ad essi conservata per mille anni ancora, e il giorno
che all'Onnipotente piacerà ridarmela compagna nella
vita migliore, seguano i miei figli fedelmente le sue
volontà, come quelle che non potranno esser dirette se
non al loro bene ed alla loro fortuna ».
« I miei cari figli, adunque, » continuava la testa-
trice, «non potranno dare miglior prova della loro af-
fezione e rispetto verso la memoria del padre loro e
mia, se non scrupolosamente rispettando le disposi-
zioni che io sono per dettare e i desiderii che esprimerò.
De Roberto. Z Viceré - I 4
— so —
« Io nomino pertanto — » tutti gli occhi si fermarono
sul lettore, don Blasco chinossi ancora un poco per
meglio vedere lo scritto « eredi universali.... » e le labbra
del principe ebbero a un tratto un' impercettibile con-
trazione « di tutti i miei beni, esclusi quelli che intendo
siano distribuiti nel modo qui appresso indicato, i miei
due figli Giacomo XIV principe di Francalanza e Rai-
mondo conte di Lumera »
Il giudice fece una breve pausa, durante la quale il
vescovo e il presidente scrollarono il capo, guardandosi,
in atto di stupore approvativo. Il principe, incrociate
di nuovo le braccia, aveva ripreso l'atteggiamento da
sfinge ; soltanto era un poco pallido ; Raimondo pareva
non accorgersi dei sorrisi di congratulazione che gli
rivolgevano; donna Ferdinanda, con le labbra cucite,
passava a rassegna i progenitori pendenti dalle pareti.
« Intendo però, » riprese il lettore, « che nella di-
visione tra i due fratelli suddetti restino assegnati al
principe Giacomo i feudi della famiglia Uzeda da me
riscattati, e spettino a Raimondo conte di Lumera le
proprietà di casa Risa e quelle che in progresso di
tempo furono da me acquistate. Il palazzo avito toc-
cherà al primogenito ; ma mio figlio Raimondo avrà
l'uso, vita naturai durante, del quartiere di mezzogiorno
e annesso servizio di stalla e scuderia. »
Con ripetuti cenni del capo,' il presidente e Monsi-
gnore continuavano ad esprimere la loro approvazione ;
si udì anche il marchese mormorare : « Giustissimo. »
La cugina, ammutolita pel quarto, d'ora, girava rapida-
mente gli sguardi dall'uno all'altro, come non sapendo
che pesci si pigliare. La lettura continuava :
« Usando successivamente del mio dritto di fare la
divisione agli altri miei figli legittimarli, e volendo dare
a ciascuno di essi una prova della mia particolare affe-
zione, assegno a ciascuno di essi, in compenso dei di-
ritti di legittima, altrettanti legati superiori alla quota
che loro spetterebbe per legge, nel modo qui appresso
descritto.
— 51 —
« Eccettuo innanzi tutto quelli entrati in religione,
pei quali richiamo, confermo e completo le disposi-
zioni da me prese al tempo della loro professione, e cioè :
« Primo : in favore del mio diletto figlio Lodovico,
in religione Padre Benedetto della Congregazione Cas-
sinese, decano nel convento di San Nicola dell'Arena in
Catania, la dotazione di onze 36 (dico trentasei) annue,
assegnategli con atto del 12 novembre 1844.
(c Secondo : in favore di mia figlia primogenita An-
giolina, in religione Suor Maria Crocifissa, monaca
nella badia di San Placido in Catania, come segno di
particolare soddisfazione e gradimento per l'obbedienza
osservata nel contentare il mio desiderio di vederla ab-
bracciare lo stato monastico, completo la mia disposi-
zione del 7 marzo 1852, ordinando che si prelevi dalla
massa dei beni la somma di onze 2000 (due mila) va-
lore del fondo denominato la Timpa, posto nel Bosco
etneo, contrada Belvedere, ordinando che coi frutti di
esso immobile siano celebrate tre messe quotidiane den-
tro la chiesa della predetta badia di San Placido, e
precisamente nell'altare del Crocifisso, dovendo tale
celebrazione aver principio in seguito alla morte della
predetta mia figlia Suor Maria Crocifissa, e intendendo
che durante vita della stessa i frutti si debbano da lei
percepire, a titolo di livello, vitaliziamente. Cessando
di vivere essa mia figlia, ordino che l'amministrazione
resti affidata alla Madre Badessa, prò tempore, della
prefata badia, alla quale superiora intendo che resti
conferita la facoltà di eleggere i sacerdoti celebranti,
e non ad altri.
« Venendo poi agli altri miei figli per eseguire la
divisione legittimarla, lascio al mio benamato Ferdi-
nando » e Ferdinando che era stato a seguire il volo
delle mosche, si voltò finalmente verso il lettore, « la
piena ed assoluta proprietà del latifondo denominato le
Ghiande, situato in contrada Pietra dell'Ovo, territorio
di Catania, perchè conosco l'aiifezione particolare che
egli porta a questa terra da me concessagli in affitto
— 52 —
con atto del 2 marzo 1847. E perchè detto mio figlio
abbia una prova speciale del mio affetto materno, intendo
che gli siano condonati, come infatti gli condono, tutti
gli arretrati della rendita da lui dovutami su detto la-
tifondo in virtij dell'atto sopracitato, a qualunque som-
ma essi arretrati siano per ascendere al momento del-
l'aperta successione. »
Testimonii e lavapiatti, con gesti e sguardi e som-
messe parole, esprimevano una sempre crescente am-
mirazione.
« Restano cosi le mie due care figlie Chiara, mar-
chesa di Villardita, e Lucrezia ; a ciascuna delle quali,
affinchè esse lascino la proprietà immobiliare ai loro
fratelli e miei eredi, voglio che sia pagata, sempre a
titolo di legittima, la somma di 10.000 (dico dieci mila)
onze — » quasi tutti adesso si voltarono verso le donne
con espressione di compiacimento, « tre anni dopo
l'aperta successione e con gli interessi, dal giorno del-
l'apertura, del cinque per cento ; restando naturalmente
inteso che mia figlia Chiara debba conferire la sua
dotazione di duecento onze annuali di cui ai suoi capi-
toli matrimoniali. Inoltre come prova di gradimento per
le nozze da lei contratte con mio genero il marchese
Federico Riolo di Villardita, le lascio tutte le gioie da
me portate in casa Uzeda, che si troveranno a parte
inventariate e descritte ; intendendo che quelle avite
di casa Francalanza, da me riscattate dalle mani dei
creditori, restino, durante vita della mia diletta figlia
Lucrezia, la quest'ultima ; ma poiché essa ben conosce
che lo stato maritale non è confacente né alla salute né
al carattere di lei, voglio che ella ne goda a titolo di
semplice depositaria, e che alla sua morte vengano di-
vise in eguali porzioni tra il principe Giacomo e il
conte Raimondo miei eredi imiversali come sopra.
(c Provvisto in tal modo all'avvenire dei miei figli
amatissimi, passo all'assegnazione delle seguenti ele-
mosine e legati pii da pagarsi dai miei eredi summen-
tovati. e cioè :
— 53 —
« A Monsignor Reverendissimo il vescovo Patti, onze
cinquecento, una volta tanto, perchè le distribuisca ai
poveri della città o perchè ne faccia celebrare altret-
tante messe a sacerdoti bisognosi della diocesi, secondo
stimerà conveniente nella sua alta prudenza.... » Mon-
signore si mise a scrollare il capo, a dimostrazione di
gratitudine, di ammirazione, di rimpianto e di modestia
ad un tempo; ma sopratutto d'ammirazione secondo
che il giudice leggeva le pietose disposizioni dei para-
grafi seguenti : « Alla Cappella della Beata Ximena
Uzeda, nella Chiesa dei Cappuccini in Catania, onze cin-
quanta annuali, per una lampada perpetua ed una messa
ebdomadaria da celebrarsi pel riposo dell'anima mia.
Alla chiesa dei Padri Domenicani in Catania, onze venti
annue per elemosina e celebrazione di altra messa ebdo-
madaria come sopra. Alla chiesa di Santa Maria delle
Grazie in Paterno onze venti come sopra. Ed alla chiesa
del monastero di Santa Maria del Santo Lume al Bel-
vedere, onze venti come sopra.
« Spetterà inoltre ai miei eredi osservare l'istituzione
dei seguenti legati, in favore dei creati che mi hanno
fedelmente servita ed assistita durante il corso delle
mie infermità, e cioè :
« Eccettuo innanzi tutto il mio amministratore e pro-
curatore generale signor Marco Roscitano, i cui eccel-
lenti servigi non potendo essere paragonati a quelli
d'un servo, non sono da compensare con moneta. » Il
signor Marco era diventato rosso come un pomodoro :
o per le lusinghiere parole, o perchè non gli toccava
altro che parole. « Lascio a lui pertanto gli oggetti
d'oro, le tabacchiere, spille ed orologi pervenutimi dal-
l'eredità di mio zio materno il cavaliere Risa, il cui
elenco si troverà fra le mie carte ; e faccio obbligo di
coscienza ai miei eredi di continuare ad avvalersi del-
l'opera sua, non potendo essi trovare persona che me-
glio di lui conosca lo stato del patrimonio e delle liti
pendenti, e che possa spendere maggior interesse per
il loro meglio. » Il principe pareva sempre non udire,
— 54 —
con le braccia conserte e lo sguardo cieco. « Tra i
creati, lascio al mio cameriere Salvatore Cerra due tari
al giorno, vitaliziamente ; altrettante alla mia cameriera
Anna Lauro. La somma di onze cento si paghi, una
volta tanto, al mio maestro di casa Baldassarre Grimi,
e di onze cinquanta al cocchiere maggiore Gaspare
Cambino, e di onze trenta al cuoco Salvatore Briguccia.
« Gome piccoli ricordi ai miei amici destino inoltre :
« L'orologio grande con miniature e brillanti del fu
mio consorte, al principe Giuseppe di Roccasciano; la
carabina del fu mio suocero a don Giacinto Costantino ;
il bastone col pomo d'oro cesellato a don Cono Canalà ;
i tre anelli di smeraldo a ciascuno dei tre testimonii
del presente testamento solenne, escluso il principe di
Roccasciano suddetto.
« Indistintamente poi a tutti i miei congiunti : co-
gnati, nipoti, cugini, ecc., si paghino onze dieci cia-
scuno per le spese del corrotto.
« Fatto al Belvedere, scritto da persona di mia con-
fidenza sotto la mia dettatura, da me letto, approvato
''^^ ^' « Teres.a Uzeda di Francalanza ».
Già qualche minuto prima che il giudice abbassasse
il foglio, don Blasco, lasciando la spalliera, aveva dato
segno che 'la lettura stava per finire ; ,e agli ultimi
passi i gesti approvativi ed ammirativi, le scrollate di
capo di ringraziamento erano stati generali ; ma appena
la voce del lettore si spense, il silenzio fu, per un istante,
così profondo che si sarebbe sentito volare una mosca.
A un tratto il principe, spinta indietro la sua seggiola :
— Grazie a voi, signori ed amici; grazie di cuore
— cominciò, ma non finì ; che i testimonii, alzatisi
anch'essi, lo circondarono, stringendogli le mani, strin-
gendo le mani a Raimondo, rallegrandosi con tutti :
— Non c'era veramente bisogno della lettura!... Si
sapeva bene che la felice memoria non avrebbe,... Un
modello di testamento!... Che saggezza! Che testa!...
Monsignore, specialmente, approvava :
3D
— Non ha dimenticato nessuno ! Tutti possono es-
sere contenti
E Ferdinando, Chiara, Lucrezia, tutti e tutte rice-
vevano la loro parte di congratulazioni imentre il notaio
e il giudice compivano le formalità del verbale. Ma don
Blasco, che appena finita la lettura aveva ripreso a ro-
dersi le unghie con più fame di prima, gironzolando
intorno intorno come un calabrone, acchiappò Ferdi-
nando mentre il presidente gli stringeva la mano e lo
trasse nel vano di una finestra :
— . Spogliati ! Spogliati ! Siete stati spogliati ! Spo-
gliati come in un bosco!... Rifiutate il testamento, do-
mandate quel che vi tocca !
— ■ Perchè ? — disse il giovane, attonito.
— Perchè ? — proruppe don Blasco guardandolo nel
bianco degli occhi, quasi volesse mangiarselo vivo,
quasi non potesse entrargli in mente l' idea di una
sciocchezza come quella del nipote, d'una ingenuità tanto
balorda. — Per questo ! — e giù una mala parola da
far arrossire g'ii antenati dipinti ; poi, voltate le spalle
a quel pezzo di babbeo, corse dietro al marchese :
— Rovinati, spogliati, messi nel sacco ! — gli spiat-
tellava, ficcandogli quasi le dita negli occhi. — Divi-
sione legittimarla? E come fa i conti?... Se accettate
cotesto testamento, siete gli ultimi.... — e giù un'altra
mala parola. — I conti ve li faccio io, in quattro e
quattr'otto ! E per te la collazione dell'assegno che
non avesti ! E neppure una parola sul legato di Calta-
girone ! Dichiara che rifiuti, seduta stante !
Il marchese, sbalordito da quella furia, balbettò :
— ■ Eccellenza, veramente
— Che veramente e falsamente mi vai...? O credi
che a me ne entri qualche cosa?... Io dico pel vostro
interesse, bestia che sei !
— Parlerò a mia moglie — rispose il marchese;
ma allora il monaco, guardatolo un momento fisso, lo
mandò a carte quarantotto come quell'altro babbaccio,
e si diresse verso la marchesa.
- 56 -
Questa era con tutte le altre signore che facevano
cerchio a donna Ferdinanda : la zitellona non esprimeva
il proprio parere, non rispondeva al cicaleccio degli
astanti: «Il giusto!... Tutti trattati bene!... Un mo-
dello di testamento — » E la cugina Graziella alla prin-
cipessa : « Le male lingue volevano dire che la zia
avrebbe diseredato tuo marito ! Come se il bene che vo-
leva a Raimondo potesse impedirle di riconoscere in
Giacomo il capo della casa, l'erede del titolo ! » La du-
chessa Radali, invece, con aria tra stupita e coster-
nata, confessava a don Mariano : « Non l'avrei mai
creduto ! Eredi tutti e due ? E allora la primogenitura
dove se ne va? Le case hanno proprio da finire?... »
Ma la principessa, imbarazzatissima, non osava rispon-
dere, non lasciava con gli occhi il principe. Questi,
nel gruppo degli uomini che non cessavano di ripetere :
« Che saggezza ! che previdenza ! » dichiarava con voce
grave : « Ciò che ha fatto nostra madre è ben fatto »
mentre il Priore ripeteva a Monsignore : « La volontà
della felice memoria sarà certo legge per tutti » e
solo Raimondo pareva stufo dei rallegramenti, insof-
ferente delle strette di mano congratulatorie. Ma già
Baldassarre, spalancato l' uscio di fondo, entrava se>
guito da due camerieri che reggevano due grandi vassoi
di gramolate e di paste e di biscotti. 11 principe comin-
ciò a servire i testimonii ; il maestro di casa si diresse
dalla parte delle signore.
— Rubati del vostro ! Spogliati ! Ridotti in camicia 1
-— diceva frattanto don Blasco alla nipote Chiara che
era riuscito ad agguantare. — Per favorire quello sca-
pestrato che neppur si diede la pena di venirla a ve-
dere prima che crepasse ! E quell'altra villana ch'è ve-
nuta a ficcarsi qui dentro ! — Il monaco fulminava
di sguardi rabbiosi la contessa Matilde. — Vi lascerete
rubare cosi ? Qui bisogna agire subito, spiattellare
chiaro e tondo che rifiutate il testamento, che chie-
dete quel che vi viene
— io non so, zio
— 57 —
— Come non sai ?
— Parlerò a Federico
Allora il monaco usci fuori dei gangheri :
— E andate un poco a farvi più che benedire, tu,
Federico, tutti quanti siete, compreso io, più bestia di-
tutti che me ne prendo !... Qui ! — ordinò a Baldassarre
che andava a servire la contessa, e presa una gramo-
lata, la bevve d' un sorso, per temperar la bile che gli
saliva alla gola.
Suo fratello don Eugenio, zitto zitto, si ficcava a
pugni nelle tasche paste e biscotti, ne masticava a due
palmenti, ci beveva su bicchieri di Marsala, non acqua
inzuccherata, come uno che non è certo di far cola-
zione. Ciò nonostante badava ad approvare con grandi
scrollate di capo Monsignor Vescovo, il quale, vedendo
che il Priore don Lodovico rifiutava di rinfrescarsi a
motivo che era vigilia, dichiarava al presidente : « Un
angelo ! Tutto quel che è interesse mondano non l'ha
mai toccato! Vivo esempio di virtù evangelica... » e il
presidente, con la bocca piena : « Famiglia esemplare! »
confermava; «dello stampo antico!... Dove mettete
quell'eccellente principe?» E il principe, finalmente,
ridottosi in un vano di finestra con lo zio duca :
— Ha udito Vostra Eccellenza?... — gli diceva con
riso amaro. — Quel che pareva impossibile è vero !...
La mia famiglia è rovinata!...
— Non credevo neppur io!... — esclamava il duca.
— Che gli avrebbe fatto una posizione privilegiata tra
i legittimarli, si; ma coerede?
— E perfino il quartiere qui in casa!... per farmi
un'onta ! La casa dei nostri maggiori ha da servire ai
Palmi !...
— Dev'esser contenta la Palmi ! — diceva ora la cu-
gina Graziella alla duchessa. — Suo marito coerede!,..
Il povero Giacomo costretto a dividere col fratello!...
A me dispiace per quest'intrusa, che metterà ancora un
altro poco di superbia
Pesavano sulla contessa Matilde gli sguardi irosi o
severi di don Blasco, della cugina, del principe. Tutte
le volte che Baldassarre s'era diretto a lei per servirla,
qualcuno aveva fatto cenno al maestro di casa di ser-
vire un'altra o un altro. E adesso rimaneva lei soltanto;
ma donna Ferdinanda, fatto venire il principino Con-
salvo, se lo mise a sedere sulle ginocchia e chiamò :
— Qui, Baldassarre....
III.
Da quel giorno, don Blasco non ebbe piij pace. A lui
come a lui, che l'eredità andasse spartita in un modo
piuttosto che in un altro, importava meno d'un fico
secco; m.a fin da quando egli era entrato al convento,
non avendo più affari propri!, la sua costante occupa-
zione era stata di ficcare il naso in quelli degli altri.
Ragazzo, egli aveva visto i bei tempi di casa Uzeda,
quando suo padre, il principe Giacomo XIII, spendeva
e spandeva regalmente, con venti cavalli in istalla, uno
sciame di servitori e un'intera corte di lavapiatti che
prendevano posto alla tavola imbandita giorno e notte.
Allora, il futuro Cassinese non aveva udito altri di-
scorsi fuorché quelli delle- straordinarie ricchezze di suo
padre, dei grandi feudi che possedeva, delle rendite
che riscoteva da mezza Sicilia; e glien'era natural-
mente venuta una smania di godimenti, un' ingordigia
di piaceri che ancora non sapeva precisare egli stesso ;
quando un bel giorno fu messo al noviziato di San Ni-
cola e p)oi costretto a pronunziare i voti. Tutte quelle
ricchezze erano del fratello primogenito : a lui non toc-
cava altro che la dotazione di trentasei onze l'anno in-
dispensabile per entrare nella ricca e nobile badia!...
Si scialava, veramente, a San Nicola, forse meglio che
in casa Francalanza. Il convento, immenso, sontuoso,
era agguagliato ai palazzi reali, a segno che c'eran le
catene distese dinanzi al portone ; e le rendite di cui go-
— 59 —
deva, circa settantamila onze l'anno, bastavano ap-
pena ad una cinquantina tra monaci, fratelli e novizii.
Ma il lauto trattamento e l'allegra vita e la quasi as-
soluta libertà di fare quel che gli piaceva, non dissi-
parono dal cuore del monaco il cruccio per la violenza
patita ; tanto più che gli altri fratelli cadetti, il se-
condogenito Gaspare duca d'Oragua e lo stesso Euge-
nio, restavano al secolo, con pochi quattrini, in verità,
ma con la possibilità di procacciarsene ; liberi del tutto,
a ogni modo, e padroni di vestirsi secondo la moda,
non costretti a portar la tonaca che pesava a don Blasco
più che a un servo la livrea. L'acrimonia del Benedet-
tino, il suo dolore per le perdute ricchezze, la sua in-
vidia contro i fratelli, il suo rancore contro il padre,
si sfogarono quindi con l'esercizio quotidiano d' una
censura acerba e inesorabile su tutta la parentela. Egli
ebbe tanto più campo di sfogarsi quanto che, venuti
i nodi al pettine, distrutta in poco tempo la fortuna
del padre, il principino Consalvo VII fu ammogliato
a quella Teresa Risa che entrò a far da padrona in
casa Uzeda. Secondo le tradizioni di famiglia, pre-
mendo d'assicurare la continuazione del ramo primo-
genito e più, in quelle speciali circostanze, di ristorare
le sconquassate finanze con una grossa dote, Consalvo
fu accasato a diciannove anni, quando don Blasco non
aveva ancora pronunziato i voti ; ma fin da quel mo-
mento il novizio concepì contro la cognata una par-
ticolare avversione che cominciò a manifestarsi più
tardi, ad ogni momento, per tutto ciò che ella fece e
che non fece.
Il barone di Risa di Niscemi, padre della sposa, era
venuto a Catania dall'interno dell' isola per dar marito
alle due uniche sue figliuole, alle quali, da principio,
voleva spartire egualmente le sue grandi ricchezze ;
ma quando la maggiore, Teresa, fu proposta al princi-
pino di Mirabella, futuro principe di Francalanza, gli
Uzeda gli fecero intendere che, quantunque falliti, essi
non avrebbero dato Consalvo VII alla figlia d'un sem-
-< 6o —
plice barone contadino, se costei non avesse colmato
coi quattrini la distanza che la separava da un discen-
dente dei Viceré. Tanto il barone che la ragazza rico-
nobbero che questo era giusto ; però, dando il padre
quattrocentomila on2e, cioè quasi tutto a Teresa, e
spogliando la minore Filomena che trovò poi per caso
da maritarsi col cavaliere Vita e restò sempre in freddo
con la sorella, pretese, d'accordo con la figliuola, che
il matrimonio fosse contratto col regime della comu-
nione dei beni e che a lei toccasse dirigere la baracca.
Aveva quasi trent'anni, la promessa ; dieci più di Con-
salvo VII, essendo nata nel 1795, e non avendo potuto
trovare per molto tempo un partito conveniente ; il suo
carattere, già forte, s'era inasprito nella lunga attesa
del matrimonio, e dalla grande ricchezza, dalla potenza
quasi feudale esercitata dal padre nel paesetto nativo
le veniva un bisogno di comando, d'autorità, di supre-
mazia che ella volle esercitare nella sua nuova casa. li
principe Giacomo XIII dovette piegarsi a quelle iure
condizioni per evitare il fallimento e la liquidazione; e
così tanto suo figlio quanto egli stesso furono costretti
a lasciar le redini in mano alla moglie e nuora. Donna
Teresa salvò infatti la casa, ma vi esercitò un potere
tirannico al quale si piegarono tutti, dal primo all'ul-
timo, fuorché don Blasco. Senza paura né di Dio né
del diavolo, il monaco la fece costante bersaglio della
sua più violenta opposizione. Se ella restrinse certe
spese, la accusò di disonorar la famiglia con la sua tir-
chieria ; se continuò a spendere in altre cose come
prima, le rinfacciò di volerla portare all'ultima rovina;
ascoltando gli altrui consigli, ella fu una bestia inca-
pace di pensare col proprio cervello; se fece da sé,
restò più bestia di prima, accoppiando la presunzione
alla bestialità. I quattrini che aveva portato in dote
che erano ? Una miseria ! Quando quella miseria pun-
tellò e fortificò la pericolante baracca, divenne il prezzo
col quale ella comprò il titolo di principessa. La sua
nobiltà era della quinta bussola, non solo incapace di
-. 6i -^
stare a paragone con quella sublime degli Uzeda, ma
neppur degna d' uno dei loro lavapiatti, di quei nobi-
lucci morti di fame che vivevano facendo quasi da
servitori ai gran signori. Ella non potè ordinare un
abito alla sarta, né comprare un cappellino o un paio
di guanti, senza che il monaco criticasse l'occasione
della spesa, la qualità dell'oggetto e la scelta del ne-
gozio. Ma don Blasco non risparmiava neppure gli
altri parenti ; non il padre, che aveva prima ingoiato
un patrimonio e adesso era ridotto a vivere dell'elemo-
sina della nuora, non il fratello che aveva lasciato por-
tare i calzoni alla moglie, mentre egli portava invece —
«Santa prudenza! santa prudenza! aiutami tu!...»
esclamava allora, tappandosi violentemente la bocca,
dicendone più con quelle reticenze che non con un
lungo discorso, confermando in tal modo le ciarle
sparse sul conto della cognata, spiattellando poi in
tutte sillabe il nome che conveniva a costei quando,
morti i due principi padre e figlio nello stesso anno,
la principessa restò sola, e molto più libera di prima,
che era stata liberissima.
Ella lo lasciava cantare. Le grida del monaco non le
potevano impedire di fare in tutto e per tutto quel che
le pareva e piaceva. E don Blasco si dannava l'anima,
vedendo le sue stravaganze e le sue pazzie. Il primo-
genito, in tutte le case di questo mondo, è il predi-
letto, va bene ? Lì, invece, era odiato ! Chi era i>l pre-
ferito ? Il terzogenito ! Da secoli e secoli, il titolo di
conte di Lumera era appartenuto, con tutti gli altri,
al capo della casa : adesso, per puro capriccio, per una
pazzia furiosa, toccava a quel Raimondo che era stato
educato come un « porco ! » E il secondogenito, a cui
neppure il Re avrebbe potuto togliere il suo titolo vita-
lizio di -duca d'Oragua, era invece chiuso a San Ni-
cola !...
La storia di don Lodovico rassomigliava molto a
quella di don Blasco, con questa differenza, tuttavia :
— 62 —
che mentre don Balsco era cadetto del cadetto, Lodo-
vico aveva dinanzi a so soltanto il principe, e come
duca d'Oragua avrebbe potuto sperare, se non dalla
madre, almeno da qualche zio i quattrini occorrenti a
portar con decoro quel titolo. Poiché era inteso che un
altro Uzeda, in questa generazione, doveva entrare a
San Nicola, la ragione e la tradizione designavano il
terzogenito, Raimondo; ma dorma Teresa, per far pas-
sare la propria volontà su tutte le leggi umane e di-
vine, invertì l'ordine naturale, e avendo preso a pro-
teggere Raimondo sopra gli altri fratelli, lo lasciò al
secolo facendolo conte, e cominciò invece a lavorare
perchè il duchino Lodovico sentisse la vocazione. Nes-
suno, quindi, potè dare al ragazzo, in presenza di lei,
il titolo che gli spettava ; fin dalla puerizia egli fu ve-
stito della nera tonaca benedettina ; come balocchi non
ebbe altro che altarini, piccole pissidi e aspersori! e
ogni altra sorta di oggetti sacri. Quando la mamma gli
domandava : « Tu che vuoi divenire ? » il bambino fu
avvezzo a rispondere : « Monaco di San Nicola. » A
questa risposta gli toccavano carezze e promesse di car-
lini, di svaghi, di passeggiate in carrozza; se talvolta
egli osava rispondere: «Non so.... » donna Teresa gli
pizzicottava il braccio tanto forte da farlo piangere
finché gli strappava la risposta obbligata. Il confessore
di lei, frattanto, il domenicano Padre Camillo, lavo-
rava a quel risultato educando il ragazzo alla cieca
obbedienza clericale, mortificandone in ogni modo i
sensi e la fantasia, dandogli la paura dell' inferno, fa-
cendogli intravedere le letizie del paradiso. Per meglio
riuscire nell' intento, la principessa non mise presto il
ragazzo al noviziato : lo tenne in casa fino ai quindici
anni. Erano i tempi delle rigide economie, dei creditori
affollati nelle stanze dell'amministrazione, dei debiti
estinti a poco a poco ; talché, dove don Blasco aveva
udito parlare continuamente dei tesori che in parte
erano colati sotto i suoi proprii occhi, Lodovico non
intese se non querimonie, minaccie di gente che rivo-
-, 63 -,
leva il suo, l'eterno ritornello della madre esa,gerante a
bello studio quelle strettezze : « Siamo rovinati ! Non
c'è come fare ! Non ci resterà più nulla ! » E mentre
al palazzo Francalanza la principessa lavorava di lesina
e prodigava le più efficaci dimostrazioni della miseria
in cui erano ridotti, raccogliendo fiammiferi spentì per
riaccenderli dall'altro capo, rivendendo le sue vesti
smesse prima di farsene una nuova ; ella poi descriveva
a Lodovico il monastero dei Benedettini come un luogo
di eterna delizia, dove la vita passava, senza cure del-
l'oggi e senza paure del domani, tra lauti conviti,
sontuose cerimonie, gaie conversazioni e scampagnate
gioconde. E quando finalmente Lodovico entrò novizio
a San Nicola potè riconoscere che la madre aveva detto
la verità, perchè il corno dell'abbondanza pareva rove-
sciarsi continuamente sul monastero e la vita vi scor-
reva facile e lieta. Il giovane che usciva dalla ferrea
tutela della principessa e del confessore, apprezzava
più specialmente la libertà, la quasi licenza che vedeva
regnar nel convento; talché egli si persuase della con-
venienza, stillatagli fin da bamjbino, di entrare in quel-
l'Ordine. Tuttavia, prima di pronunziare i voti, esitò
un momento, comprendendo sul punto di compierlo la
gravezza del sacrificio che gì' imponevano, fatto accorto
da don Blasco dei raggiri materni ; ma, oltre che egli
non prestava molta fede al monaco, del quale cono-
sceva r implacabile critica, quella stessa terribile seve-
rità della madre alla quale egli era impaziente di sfug-
gire lo fece rinunziare, spaventato, ad ogni tentativo di
aperta ribellione.
Padre don Lodovico s'accorse del giuoco di cui era
stato vittima troppo tardi, quando vide che le miserie
lamentate dalla madre erano mentite, e che il posto a
cui lo avevano costretto a rinunziare toccava al fratello
Raimondo. Ma non era più tempo di tornare indietro :
lo scapolare e la cocolla gli sarebbero pesati sulle spalle
fino alla morte. La ribellione, lo sdegno e l'odio scate-
natisi nell'animo suo furono tanto più violenti di quelli
-. 64 -
provati dallo zio, quanto meno egli era capace, per il
lungo abito della finzione e della mortificazione, di sfo-
garsi a parole come don Blasco. Nulla trapelò dei sen-
timenti che gli ribollivano in cuore : egli restò dinanzi
alla madre riverente e sommesso come prima, prodigò
dimostrazioni d'affetto veramente fraterno a quel Rai-
mondo che godeva del posto usurpato ; confermò, con
una vita esemplare, la vocazione per lo stato mona-
stico. Mentre don Blasco, grossolano, ignorante, avido
di godimenti materiali, gozzovigliava coi peggiori mo-
naci, giocava al lotto come un disperato per arricchire
e portava tanto di coltello sotto i panni ; don Lodovico,
più fine, pili istruito e sopratutto più accorto, più pa-
drone di sé, fu additato come raro esempio di virtù
ascetiche, come arca di dottrina teologica. Mentre lo
zio, per vendicarsi del perduto potere mondano, pre-
tendeva spadroneggiare nel convento, vociando contro
l'Abate e il Priore e i Decani e i Cellerarii, bestem-
miando San Nicola e San Benedetto e tutti i loro celesti
compagni, il nipote parve mettere ogni cura nel farsi
da parte, non nutrire altra ambizione fuorché quella di
studiare In cuor suo egli smaniava di prender la
rivincita. Poiché si trovava per sempre chiuso là dentro,
voleva arrivare, presto, prima d'ogni altro, ai gradi
supremi. Ai Benedettini, infatti, c'era un regno da
conquistare : l'Abate era una potenza, aveva non so
quanti titoli feudali, un patrimonio favoloso da ammi-
nistrare : le antiche Costituzioni di Sicilia gli davano il
diritto di sedere tra i Pari del regno ! Don Lodovico
volle pervenire a quel posto nel più breve tempo pos-
sibile; compresa qual era la via óa. tenere, non se ne
discostò d' una linea : nessuno potè mai rimproverargli
il più piccolo trascorso, nessuno lo potè mai trascinare
nei tanti partiti in cui si dividevano i monaci : appar-
tato, quasi sempre chiuso in biblioteca, si guadagnava
simpatie con l' umiltà del contegno, con l'obbedienza
prestata ai maggiori ed anche agli eguali, con la stretta
osservanza della Regola, con la fama di dottrina in
- 65 -
brev'ora .acquistata. Cosi era stato eletto Decano a
ventisette anni ; ma, portato in palma di mano dal-
l'Abate e da quasi tutti i monaci, egli si attirò l'odio
più acre e violento dello zio. Assetato di potere, don
Blasco voleva anch'egli esser Priore ed Abate; ma la
vita scandalosa, il carattere violento, l' ignoranza su-
pina gli rendevano se non imp>ossibile per lo meno diffi-
cilissimo l'appagamento di quell'ambizione, tanto che
non prima di quarant'anni era stato Decano ; veder
dunque a quel posto il nipote « col guscio ancora in
capo » lo fece uscir fuori dalla grazia di Dio. E la lotta
tremenda scoppiò alla morte del Priore Raimo, nei
primi di quell'anno 1855. Che uno degli Uzeda, i cui
antenati erano stati tanto benemeriti del convento, do-
vesse occupare la carica vacante, era fuori contesta-
zione; ma don Blasco pretendeva lui la dignità, né cre-
deva che quel « gesuita » del nipote potesse sognarsi
di contrastargliela : quando seppe che quel « porco » gli
faceva la concorrenza e ardiva mettersi di fronte allo
zio, mancò poco non gli pigliasse un accidente. Ciò
che gli uscì di bocca contro Lodovico fu cosa da atti-
rare i fulmini sulla cupola di San Nicola e da ince-
nerire il convento con tutti i suoi abitanti ; il meno che
gli disse fu « ruffiano del Capitolo, vuotapitali del-
l'Abate e figlio di non so chi » Don Lodovico lo
lasciò dire, edificando l' intero monastero con 1' umiltà
opposta alla violenta aggressione dello zio. Era troppo
sicuro del fatto suo : l'elezione di don Blasco, il quale
aveva seminato figliuoli in tutto il quartiere e mante-
neva tre o quattro ganze, fra cui la famosa Sigaraia,
ed era tanto ignorante e prepotente, giudicavasi da tutti
impossibile : sul nipote aveva il solo vantaggio dell'età,
ma questo non era tale da compensare tutti i suoi
enormi difetti. A maggioranza strabocchevole fu eletto
don Lodovico ; da quel giorno don Blasco diventò una
bestia contro quel « porco gesuita » e quella « — »
quella « .... » della principessa, alla quale fece natural-
mente una nuova, più grave, imperdonabile colpa del
calcio assestatogli da quel « gesuita porco ».
De Roberto. I Viceré - I 5
^ 66 —
Né gli altri nipoti che il monaco adesso difendeva in
odio alla morta, eccitandoli a rifiutare il testamento, ave-
vano goduto mai le sue buone grazie. Bastava già che
fossero figli di colei ch'egli considerava come sua perso-
nale nemica; ma poi, ai suoi occhi, avevan torti partico-
lari tutti quanti, a cominciar da Chiara e da suo marito.
La gran colpa di quest'ultimo consisteva nell'esser
stato scelto dalla principessa come genero e d'aver vo-
luto bene a Chiara nonostante l'avversione dimostra-
tagli dalla ragazza ; anzi appunto per ciò don Blasco
ci aveva sguazzato, potendo scagliarsi a un tempo
contro di lui che voleva « ficcarsi per forza » in casa
Uzeda, contro la principessa che voleva « violentare » la
figlia e contro la nipote « sciocca e pazza tanto » da
rifiutare un partito «come quello!... » Resistendo alla
madre, Chiara veramente avrebbe dovnato riscuoter lodi
e incoraggiamenti dallo zio monaco ; ma don Blasco
era fatto cosi, che quando qualcuno gli dava ragione
egli mutava opinione per dargli torto. Il fidanzamento
era stato perciò tutt' una guerra violenta fra cognato
e cognata, tra zio e nipote ed anche tra madre e figlia,
giacché la principessa ne aveva fatto anche qui una
delle sue.
Per lei, come per tutti i capi delle grandi famiglie,
i figliuoli desiderabili ed amabili non potevano essere
se non maschi : le femmine non sapevano far altro che
mangiare a ufo e portar via parte della roba di casa,
se andavano a marito. Questa idea salica molto ben
radicata nel suo cervello, ammetteva veramente qual-
che eccezione — ella stessa, per esempio — ma verso
la prole era la sola che la guidasse. Fra gli stessi ma-
schi, tuttavia, ella non ne aveva considerati due egual-
mente. In vita, aveva quasi odiato il primogenito e
idolatrato Raimondo; ma l'odiato era l'erede del titolo,
il futuro capo della casa; e il preferito, nonostante il
sacrificio di Lodovico, un semplice cadetto : per tanto
ella aveva messo d'accordo il rispetto alla tradizione
-. 67 -
feudale e la soddisfazione della sua personale volontà
deliberando, senza dirne nulla, di dividere le sue ric-
chezze ai due fratelli, cioè defraudando il primoge-
nito, che avrebbe dovuto aver tutto, e favorendo l'altro
che non avrebbe dovuto aver nulla. Degli altri due, Lo-
dovico era stato quasi soppresso per dar posto a Rai-
mondo, mentre Ferdinando aveva potuto vivere fin ad
un certo punto libero e a modo suo. Verso le donne,
invece, ella aveva nutrito un più profondo e uniforme
sentimento di repulsione e quasi di sprezzo, lavorando
a impedire che « rubassero » i fratelli. Angiolina, la
maggiore, era stata condannata alla vita claustrale fin
dalla nascita, per una colpa imperdonabile commessa
nel venire al mondo. Dopo un anno di matrimonio,
donna Teresa era vicina a partorire : aspettava un ma-
schio, il primogenito, il principino di Mirabella, il fu-
turo principe di Francalanza : ella non solo l'aspettava,
ma non ammetteva che non venisse. Nacque invece
una femmina : la madre non le perdonò più. Fin da
quando la tolse dalle fasce la vesti da monachella : la
bambina non parlava ancora che fu portata ogni giorno
alla badia di San Placido : a sei anni fu chiusa li dentro
« per educazione, » a sedici la mite e semplice creatura,
ignara del mondo, soggiogata dalla volontà materna
e dagli stessi impenetrabili muri del monastero, si senti
realmente chiamata a Dio : in tal modo mori Angiolina
Uzeda e restò Suor Maria Crocifissa.
Chiara, venuta subito dopo e rimasta in casa, aveva
provato peggio il rigore materno; né la principessa l'a-
veva lasciata al secolo per paura del biasimo con cui
la gente avrebbe considerato il sacrifizio di due figliuole :
bensì per esercitare ella stessa sulla ragazza una vigi-
lanza e un'autorità più severa e più forte di quella che
la Badessa esercita in una badia. « Ma da una pazza
come mia cognata, » soleva dire don Blasco, «e da
una bestia come mio fratello, che cosa doveva venir
fuori ? Una bestiona arcipazza, naturalmente ! » E che
s'era visto, infatti? S'era visto che fin a quando la
-^ 68 —
madre l'aveva tenuta in un pugno di ferro, questa fi-
gliuola aveva sempre chinato il capo, rispettosa e obbe-
diente ; il giorno poi che la principessa, trovato quello
stupido del marchese di Villardita il quale s'offriva di
sposare la giovane per niente, s'era persuasa di mari-
tarla, ella aveva detto di no, di no, di no : cose vera-
mente dell'altro mondo!... Il marchese, vista la ra-
gazza di tanto in tanto, sotto lo scialle, in chiesa, se
n' era innamorato, e la principessa risoilutissima a
dargli la figliuola, lo aveva ammesso in casa; ma, sco-
raggiato dalla fredda accoglienza e dalle ostinate re-
pulse di Chiara, persuaso da parenti ed amici che fa-
ceva una pazzia a sposar per forza chi non lo voleva,
egli si sarebbe ritirato in buon ordine, se donna Teresa,
che quando pigliava partito neppure il diavolo la fa-
ceva andar indietro, non gli avesse ingiunto di rima-
nere al suo posto. Così, quand'egli rivedeva la ragazza,
seduta in un angolo, a capo chino, col fazzoletto in
mano, aveva voglia di mettersi a piangere anche lui,
ce quel vitello, » diceva don Blasco « tanto tenero di
cuore da innamorarsi del faccione lungo di mia nipote ! »
Chiara, infatti, non era una bellezza, e la madre, dap-
prima per dissuaderla dal matrimonio, poi per indurla
ad accettare quel partito, le ripeteva tutti i santi giorni :
« Che non ti guardi allo specchio ? Non vedi quanto sei
brutta? Chi vuoi che ti pigli?... » ma Chiara, di ri-
mando : « Nessuno, tanto meglio ! Se Vostra Eccellenza
non voleva maritarmi? Mi lasci stare in casa!... » Di
prima impressione come tutti gli Uzeda, Chiara non
aveva voluto sentirne di quel promesso, per l'unica e
sola ragione che era un poco pingue; ma, una volta
preso quel partito, la cocciutaggine, ereditaria negli
Uzeda molto piij che l'impressionabilità, era stata la
pili potente ragione della resistenza opposta alla ma-
dre : fino all' ultimo momento, pertinace, ostinata, in-
flessibile, aveva detto che mai, mai, mai avrebbe spo-
sato quella mezza botte; e inutilmente i fratelli, gli zii,
il Padre confessore le avevano spiegato che se non era
- 6g -
magro, il marchese possedeva un cuor d'oro, e che la
sposava senza dote pel bene che le voleva, e che in casa
di lui sarebbe stata da regina perchè era solo e stra-
ricco, e che se lasciavasi sfuggire quel partito, la madre
poteva tornare alla prima idea di non maritarla, di la-
sciarla invecchiar zitellona : coi piedi al muro, ella
aveva sempre risposto di no, di no e poi di no. La
principessa dapprima le aveva tolto la parola, poi l'a-
veva strapazzata come una serva, poi l'aveva chiusa a
chiave in un camerino buio, senza vesti, con poco cibo;
poi l'aveva cominciata a picchiare con le mani noc-
chiute che facevano male, giurando di lasciarla morir
etica, se non si piegava. E al marchese il quale, preso
dagli scrupoli, veniva a restituirle la sua parola : « Nos-
signore, » diceva : « ha da sposarti, perchè cosi voglio.
Se lei è degli Uzeda, io sono dei Risa ! E vedrai che
cangerà!...» Ella sapeva com'eran fatti, tutti quegli
Uzeda; quando s'incaponivano in un'idea, neanche a
spaccargli la testa li potevan rimuovere; erano dei Vi-
ceré, la loro volontà doveva far legge ! Ma da un giorno
all'altro, quando uno meno se l'aspettava, senza per-
chè, cangiavano di botto ; dove prima dicevano bianco,
affermavano poi nero ; mentre prima volevano ammaz-
zare una persona, questa diventava poi il loro migliore
amico... Fino all'ultimo momento, Chiara non aveva
mutato : dinanzi all'altare, con due campieri a fianco,
due facce brigantesche scovate apposta dalla madre
per incuterle spavento, era svenuta, e solo il prete di
buona volontà aveva udito il sì; ma il domani delle
nozze, quando la famiglia andò a far visita agli sposi,
o non li trovarono abbracciati che si tenevano per
mano?... «cose da far trasecolare! » gridava don Bla-
sco. La gente di servizio, i famigliari, gli amici, scher-
zarono un pezzo tra loro sul mezzo che il marchese
aveva adoperato per addomesticar la moglie, fatto sta
che Chiara da qoael giorno fu tutt'una cosa col marito,
fino al punto che egli non potè tardare un quarto d'ora a
rincasare senza che ella gli mandasse dietro tutta la
— 70 —
servitù, fino ad essere gelosa dei suoi pensieri. E non
ebbe più, in tutte le circostanze piccole e grandi, altra
opinione che quella del marito ; prima di dare una ri-
sposta, ise le domandavano qualcosa, lo interrogava
cogli occhi quasi temendo di non dire ciò che egli stesso
pensava; il suo unico e grande dolore era quello di
non avere un figliuolo da lui, dopo tre anni di matri-
monio, dopo avere annunziato quattro o cinque volte,
per troppa fretta, la propria gravidanza; ma anche
cosi dimostrava il bene che voleva al suo Federico.
La principessa glielo aveva dato per molte ragioni.
Prima di tutto le era nata, dopo i quattro maschi, una
terza figlia, quindi ella aveva ragionato o « sragionato »
a giudizio di don Blasco, cosi : delle tre, la prima mo-
naca, la seconda a marito, l'ultima in casa. Ora il mar-
chese, innamorato della ragazza, prometteva non solo
di prenderla senza dote, ma di prestarsi anche ad una
piccola commedia. Se fermo proposito della madre era
che la -sostanza della casa non fosse intaccata dalle fem-
mine, il suo orgoglio di principessa di Francalanza non
poteva consentire che la gente vantasse la generosità
del genero nel prendersi Chiara senza un baiocco, quasi
togliendola all'ospizio delle trovatelle. Per tanto, nei
capitoli matrimoniali ella aveva costituito alla figlia una
rendita di dugent'onze annue : cosi diceva l'atto re-
gistrato dal notaio Rubino e cosi sapevano tutti ; ma
poi il marchese le aveva rilasciato un 'apoca, accusando
ricevuta dell'intero capitale di quattromila onze, delle
quali non aveva visto neppure tre denari !
Ora don Blasco, il quale s'era già messo contro al
marchese pel matrimonio con Chiara, e contro Chiara
per la repentina conversione dall'odio all'amore verso il
marito, aveva fatto un torto estremo ad entrambi della
finzione a cui s'eran prestati per obbedire a quella pazza
da legare della cognata. Un altro torto più grosso, forse
più imperdonabile, essi avevano commesso non facendo
valere i loro diritti all'eredità paterna. Infatti, secondo
il Benedettino, la casa Uzeda non era interamente di-
— 71 —
strutta quando c'era entrata donna Teresa ; e ad ogni
modo, siccome le rendite delle proprietà erano state ri-
scosse anche nei tempi peggiori, bisognava che la prin-
cipessa le conteggiasse, potendo dare a bere solo ai
gonzi che esse fossero servite alle spese del manteni-
mento quotidiano. Avevano aiutato, invece, a pagare
i debiti e a salvar le proprietà ; erano quindi confuse nel
patrimonio ricostruito e andavano ascritte all'attivo del
principe Consalvo VII. Costui, da quell'imbecille che
era sempre stato, aveva potuto coronare fa sua corta e
stupida vita con quel pulcinellesco testamento, impo-
stogli e dettatogli dalla moglie, col quale, dichiarando
distrutto il suo patrimonio per disgrazie di famiglia,
« la grazia delle disgrazie ! » lasciava ai figli « cose, cose
da far recere i cani!... » l'affetto della madre; i figli,
però, se non erano più imbecilli del padre, dovevano
chiedere i conti, fino all'ultimo tornese. Il monaco era
per questo andato assiduamente dietro ai nipoti, fuorché
a Raimondo, al quale non rivolgeva la parola da anni
ed anni per la ragione che era stato il beniamino della
madre, incitandoli a farsi valere ; ma nessuno, vivendo
la principessa, aveva osato fiatare ; ed egli li aveva a
malincorpo scusati, attesa la soggezione a cui erano
stati avvezzi da colei ; ma quel marchese che le era
soltanto genero, che non doveva quindi temerla, che
era stato giuntato una prima volta nell'affare dei ca-
pitoli, fu per don Blasco l'ultimo dei minchioni non
risolvendosi a parlar forte ; e perchè poi ? di grazia,
perchè? Perchè dichiarava d'aver sposato Chiara pel
bene che le voleva, non per i quattrini che potevano
venirgli !... La collera del monaco fu tale da procu-
rargli uno stravaso di bile; ma, col temp®, egli s'era
acchetato, aspettando la morte della cognata per riscen-
dere in campo. Crepata costei, finalmente, e aperto
quel bestiale testamento, il furioso Cassinese dimenti-
cava adesso le bestialità di Federico e di Chiara per dar
loro un nuovo assalto, per deciderli a muoversi. La
morta, invece di dichiarare « onestamente » quant'era
la parte del marito e dividerla « equamente » a tutti i
figli, disponeva invece dell'intero patrimonio come di
cosa propria ! Non contenta di ciò, defraudava i legit-
timarii fingendo di assegnar loro una quota superiore
alla legale, dando loro in realtà « quattro grani ! »
Chiara, specialmente, era spogliatja «come in un bosco»,
giacché il testamento non diceva parola del legato del
canonico Risa. Questo era un altro pasticcio combinato
tempo addietro da donna Teresa. Tra gli altri argomenti
per vincere la resistenza di Chiara e indurla al matri-
monio col marchese, ella aveva ricorso a quello dei quat-
trini e, per non sciogliere i cordoni della propria borsa,
tirato in ballo un suo zio, il canonico Risa di Caltagi-
rone, il quale prometteva un legato di cinquemila onze
a favore della pronipote se la ragazza avesse spo-
sato il marchese di Villardita. Nell'atto era intervenuta
donna Teresa per garantire l'assegno, a condizione che
la somma si trovasse realmente nel patrimonio del ca-
nonico, il quale prometteva di lasciare ogni cosa a lei.
Invece, due anni avanti il canonico era morto, divi-
dendo la roba tra una sua perpetua e la principessa, e
costei s'era allora rifiutata di riconoscere il patto sta-
bilito; né il marchese, per rispetto, per disinteresse,
aveva pensato di chiederne l'esecuzione. Don Blasco,
adesso, poiché neppure nel testamento la cognata s'era
rammentata di quel suo obbligo, poiché ella aveva com-
binato « con arte infernale » anche l'altra gherminella
delle quattromila onze che Chiara non aveva ricevute e
che doveva intanto conferire come se le avesse prese,
andava tutti i giorni dal marchese per istigarlo contro
la morta e gli eredi, incitandolo a reclamare : i° la di-
visione legale; 2° l'assegno matrimoniale con tutti gli
interessi arretrati ; 3° la parte che veniva a Chiara dal
padre; 4° il legato del canonico; dimostrandogli in
quattro e quattr' otto che non le diecimila onze asse-
gnate nel testamento, ma tre volte tante gliene veni-
vano per lo meno. Il marchese, pure ascoltandolo, chi-
nando il capo a tutto qud che diceva il monaco, perchè
— 72 —
con quel Benedettino benedetto la discussione era im-
possibile, esprimeva alla moglie il desiderio di non dar
l'esempio di una lite in famiglia, d'aspettare quel che
avrebbero fatto gli altri ; e Chiara consentiva in queste
come in tutte le altre opinioni del marito; in cuor suo
dava però ragione allo zio, voleva che le attribuissero
ciò che le toccava, iperchè, gareggiando d'affetto con
Federico, le doleva che egli dovesse sostener da solo il
peso della casa; ma il marchese, da canto suo, prote-
stava : « Io t' ho presa per te e non per i tuoi denari !
Anche se tu non avessi nulla, non m' importerebbe...
Del resto, non vuol dire che rinunzieremo ai nostri
diritti. Lasciamo prima fare a Lucrezia e a Ferdinando ;
io non voglio essere il primo a intentare una causa
alla tua famig'lia.... »
Quel disinteresse, quel rispetto da lui dimostrato
verso casa L^zeda, accrescevano la devozione e l'am-
mirazione di Chiara, la facevano uniformare ai suoi
desiderii con tanto maggior zelo, quanto che, giusto in
quei giorni, votatasi per consiglio della Badessa di
San Placido al miracoloso San Francesco di Paola, ella
aveva di nuovo la speranza d'essere incinta. Cosi, per
difendere il marito da quella mosca cavallina di don
Blasco, teneva fronte lei stessa allo zio, gli diceva :
— Sì, va bene; Vostra Eccellenza ha ragione, parla
per amor nostro ; ma il rispetto alla volontà di nostra
madre
— Tua madre era una bestia — gridava il monaco
— più di te!... Qual è stata la volontà di tua madre?
Quella di rovinarvi tutti per amore di Raimondo e per
odio di Giacomo ! Pazza tu e lei ! Manata di pazzi tutti
quanti!... — E montando più in bestia per le moine
che marito e moglie si facevano tutto il giorno, special-
mente all'ora del desinare, quando si servivano reci-
procamente come in piena luna di miele e s'imbecca-
vano al pari di due colombi, il monaco scoppiava : —
Io non so veramente chi è più bestia, fra voi due!...
Tanto che una volta Chiara, presolo a parte, protestò :
— 74 —
— Vostra Eccellenza mi dica quel che le piace, ma
non tocchi Federico. Non tollero che se ne parli male
— Che tolleri e talleri mi vai contando ? — proruppe
il monaco di rimando. — O credi che la gente abbia
dimenticato che prima non lo volevi neanche per cacio
bacato e minacciavi piuttosto di lasciarti morire che
sposar quel cocomero?...
Cosi la nipote voltò le spalle allo zio ; questi mandò
a farsi friggere la nipote e non mise più piede in casa
di lei, dandosi ad altissima voce del triplice minchione
per lo stupido interesse portato verso quel paio di ani-
mali. Ma erano giuramenti da marinaio; egli non po-
teva rassegnarsi a star zitto, gli coceva troppo che la
volontà della morta si compisse ; e allora, aspettando
un'occasione per tornare alla carica contro quelle bestie,
cominciò a prendersela con Ferdinando.
A qualunque ora andasse a cercarlo, lassij, alla Pietra
dell' Ovo, lo trovava, sempre solo, con la pialla o con
la isega o con la zappa in mano, intento a lavorar da
stipettaio o da giardiniere, in manica di camicia, come
un operaio o un contadino. Da bambino era stato così,
Ferdinando : taciturno, timido, mezzo selvaggio per la
mala grazia con cui lo aveva trattato sua madre, co-
stretto a svagarsi da solo, come meglio poteva, poiché
non gli toccava il regalo del piìi povero balocco. Era
cresciuto quasi da sé, ingegnandosi a procacciarsi quel
che gli bisognava, a cavarsi d'impiccio. Quando gli
altri andavano a spasso, egli restava in casa, a sfa-
sciar scatole di legno o di cartone per farne teatrini o
altarini o casucce che regalava poi a chi glieli chie-
deva, a Lucrezia specialmente, per la quale, come per
una compagna di destino, sentiva molta affezione ; e se
talvolta lo cercavano perché c'eran visite, perché
qualche parente voleva vederlo, egli scappava, si rin-
tanava in certi pertugi dove nessuno riusciva a tro-
varlo, o si rifugiava nella bottega dell'orologiaio, suo
grande amico, dal quale facevasi insegnar l'arte. Un
— 75 —
g-iorno, per San Ferdinando, don Cono Canalà gli regalò
il Robinson Crusoè ; egli lo divorò da cima a fondo e
restò sbalordito dalla lettura come da una rivelazione.
Da quel momento la sua selvatichezza s'accrebbe; il
suo unico e costante desiderio fu quello di naufragare
in un' isola deserta e di provveder da sé al proprio so-
stentamento. Cominciò allora a fare esperimenti di cul-
tura nel giardino e nella terrazza del palazzo, e gli
venne il gusto della campagna, che la principessa as-
secondò. Gli aveva messo il soprannome di Babbeo per
quelle sue sciocche manìe ; ma comprendendo che fa-
vorivano i proprii piani, gli abbandonò, alla Pietra del-
rOvo, prima la brulla chiusa delle ginestre e dei fichi
d'India, poi, col tempo, maturando il suo piano della
generale spogliazione a favore del primogenito e di
Raimondo, tutto il podere, stipulando però un con-
tratto in piena regola, col quale il figliuolo obbligavasì
di pagarle cinquecent'onze l'anno sui frutti del fondo,
restando a lui tutto il di più. Il contratto per donna
Teresa fu un affare : innanzi tutto ella risparmiò le
trentasei onze annue del fattore, giacché Ferdinando
andò subito subito a stabilirsi lì per coltivare da sé
V isola che aveva acquistata; e poi assicurossi una ren-
dita che il podere non dava. Il Babbeo faceva asse-
gnamento sulle bonifiche per pagare le cinquecent'onze
alla madre e restar padrone dell'avanzo; infatti, appena
entrato in possesso, cominciò a dissodare, a scavar
pozzi, a strappar mandorli per piantar limoni, a sbar-
bicar la vigna per ripiantarci i mandorli, a sbizzarrirsi
in una parola come aveva sognato. Il suo piacere, ve-
ramente, sarebbe stato più grande se avesse potuto far
tutto da solo ; ma costretto a chiamar zappatori e giar-
dinieri, egli stesso lavorava con loro, a strappar er-
bacce, a portar via corbelli di sassi, a rimondar alberi,
facendo anche da falegname, da muratore e da deco-
ratore, perché una delle sue prime occupazioni era
stata quella d'ingrandire ed abbellire la vecchia casa
del fattore. Egli era felice facendo la vita dell'eroe che
- 76 -
g"li aveva acceso la fantasia, come se veramente fosse
in un' isola deserta, a mille mig-lia dal mondo. Dor-
miva sopra una specie di cuccetta da marinaio, costruiva
da sé tavole e seggiole, e la casa pareva un arsenale
dalla tanta roba che v'era sparsa; seghe, pialle, tra-
pani, pulegge, zappe, picconi; e poi un assortimento
di assi e di travi, e sacchi di farina per fare il pane,
provviste di polvere, una scansia di libri, tutta la roba
che un naufrago può salvare dalla nave prima che questa
si sfasci.
Fin dal primo anno, però, egli non aveva potuto pa-
gare interamente la rendita promessa alla madre ; restò
a dargliene una buona metà che la principessa notò
regolarmente a suo debito. Poi, a furia di mutar cul-
ture, di porre in atto le novità di cui udiva parlare o
che leggeva nei trattati d'agricoltura o che speculava
da sé, il frutto del podere gli si venne sempre piij as-
sottigliando tra mano. Colpa dei mercenarii, diceva,
che non eseguivano bene i suoi ordini, o dello scom-
bussolamento delle stagioni ; ma la madre lo canzo-
nava, a posta, per incaponirlo in quella sua manìa, e
vi riesci va a meraviglia. E il frutto delle Ghiande sce-
mava sempre più, non arrivava neppure alle cent'onze,
nonostante che ad esclusione degli strumenti e di
qualche libro, egli non spendesse nulla per ^è e man-
giasse frugalmente i prodotti dell'orto e della caccia e
le rare volte che compariva al palazzo iscandalizzasse
perfino i servi, tanto era stracciato e unto e goffo nei
panni vecchi di anni ed anni. Ma la principessa, deri-
dendolo, lo lasciava fare, e segnava una dopo l'altra
nel libro dell'avere tutte le somme che ogni anno egli
le dava in meno. Esi&e formavano già -un discreto capi-
tale che il Babbeo non sapeva dove prendere ; il suo
continuo timore era perciò che la madre, stanca di non
vedersi pagata, gli togliesse di mano il podere; e infatti
la principessa piij d' una volta lo aveva minacciato di
questo. Il colpo maestro di costei, nel testamento, fu
dunque l'assegnazione delle Ghiande a Ferdinando. Per
lui quella proprietà valeva più d'un feudo; a scam-
biarla per tutta l'eredità dei fratelli maggiori temeva
di rimetterci. Come se non bastasse, c'era anche il con-
dono degli arretrati che sommavano ormai a mille e
cinquecento onze ; talché, al colmo della soddisfazione,
egli si credette trattato benissimo, oltre ogni speranza,
e a don Blasco, il quale gli si metteva alle costole per
indurlo a ribellarsi :
— Come ? — diceva, candidamente, lasciando di pial-
lare o di rimondare. — Non è abbastanza quello che
ho avuto ?
— Ma ti tocca il triplo, per lo meno ! Sei stato truf-
fato con tutti gli altri ! Ti tocca, in rate eguali con
tutti gli altri, la parte di tuo padre, che è il momento
di rivendicare ! E non sai che Giacomo non ti mandò
neppure a chiamare, il giorno della morte di tua madre?
— Non è possibile ! — rispondeva Ferdinando, scan-
dalizzato. — E perchè, poi ?
— Per far sparire carte e valori ! Scappò lassù, si
mise a rovistolare tutta la villa : le cose si risanno ! E
poi ha fatto la commedia dei suggelli ! Te ne accor-
gerai all' atto dell' inventario, anima vergine !
Il monaco smaniava dall' impazienza per quest'inven-
tario ; ma il principe invece pareva non avesse fretta di
conoscere quel che c'era in casa, non parlava d'affari
a nessuno dei fratelli e delle sorelle, neppure al coerede
Raimondo, il quale da parte sua pensava a tutto, fuor-
ché a chiedergliene conto. Nonostante il lutto, stava
sempre fuori casa, al Casino dei Nobili, a ragionar di
Firenze coi vecchi amici, a far la sua partita o a giudi-
care gli equipaggi che sfilavano nell'ora del passeggio.
E don Blasco intronava le orecchie di Ferdinando di
invettive contro il fratello. Era « uno scandalo, una
mancanza di rispetto alla morta calda ancora, » la con-
dotta di quello scapestrato che badava unicamente a
spassarsi, che non era venuto a « chiuder gli occhi alla
madre, » neppure per amor dei quattrini che ella gli
voleva dare brevi tnanu, « rubandoli agli altri !... » Ora
-, 78 -
il giorno che, cominciato finalmente l'inventario, risultò
che in cassa c'erano soltanto cinque onze e due tari di
contanti, e un titolo di rendita di cento ducati, il mo-
naco corse alle Ghiande come impazzito.
' — Hai visto ? Hai visto ? Hai visto ?... Che ti dicevo ?
Cinque onze ! Tua madre non ne teneva mai meno di
mille ! E la rendita, la rendita ! Fino a cinque mila du-
cati li sapevo io!... Capisci adesso? Hai visto come
v'ha rubati il tuo caro fratello? Quel ladro del si-
gnor Marco gli ha tenuto il sacco ! Rubati ! Rubati !
Se non gridate, se non vi fate sentire, siete degni che
vi sputino in viso.
Non la finiva più, dimostrando al nipote, intontito
dalle grida, la nuova magagna. Perchè mai, dunque,
Giacomo lasciava al suo posto il signor Marco, mentre
aveva già cacciato via tutti i servi protetti dalla madre,
il cocchiere maggiore, il cuoco, tutti coloro ai quali
ella aveva lasciato qualcosa ? Quel « porco » del signor
Marco, !'« anima dannata » della defunta, avrebbe do-
vuto esser preso « a calci nel preterito » appena la sua
protettrice aveva chiuso gli occhi; invece perchè mai,
dopo idue mesi, era ancora in servizio ? Appunto perchè,
appena morta la padrona antica, s'era buttato « vigliac-
camente » ai piedi del padrone nuovo, gli aveva conse-
gnato ogni cosa, gli aveva lasciato « rubare » i valori
che andavano « a tutti » o per lo meno « al coerede !... »
E quella bestia di Ferdinando che faceva l'ingenuo,
che non voleva credere a tante porcherie e si dichiarava
grato alla madre pel condono delle mille e cinquecen-
t'onze ! Quasi che quello strozzato contratto tra madre
e figlio non fosse stato immorale, quasi che la princi-
pessa non avesse a bella posta stabilito un canone su-
periore al frutto del podere per meglio impaniar quel-
l'allocco !... Tuttavia, a furia di predicargli che gli toc-
cava di più, che avrebbe potuto essere ricco più del
doppio, più del triplo, il monaco sarebbe forse riuscito
a scuotere il nipote se, come parlando male del marito
a Chiara, non avesse commesso anche con Ferdinando
I
— 79 —
una grave imprudenza. Rifiutando il testamento, chie-
dendo la divisione legale, Ferdinando temeva che le
Ghiande andassero in mano ad altri, o che, per lo meno,
egli dovesse spartirle coi fratelli ; don Blasco, che gli
dimostrava la possibilità di tenerle tutte per sé, un
giorno gli cantò :
— • E finalmente se perderai questo fondo, ne acqui-
sterai in cambio un altro che varrà centomila volte
più !...
— Eccellenza no; — ■ rispose Ferdinando — come
questo non ce n'è altri in casa nostra
— Le Ghiande? — scoppiò allora il monaco. — Una
terra che si chiama le Ghiande ? Buona veramente a
buttarci una mandra di maiali ? E che ci vengono, fuor-
ché le ghiande ? Ora specialmente che hai finito di
rovinarla con le tue speculazioni pazzesche ?
Ferdinando, a sentirsi cosi buttar giù la terra e l'o-
pera propria, ammutolì e arrossi come un pomodoro ;
poi, ricuperata la voce, dichiarò :
— Eccellenza, sa come dice il proverbio ? Ne sa più
un pazzo in casa propria che un savio nell'altrui !
Allora il monaco, eruttata una buona quantità di
male parole contro quel malcreato, non rifece più la via
del suo « porcile » e si ridusse a porre l'assedio intorno
a Lucrezia. L'aveva serbata per l'ultima, poiché, se
nutriva un'antipatia istintiva contro tutti i nipoti, era
specialmente furioso contro questa qui.
Come Chiara e Ferdinando, Lucrezia non ricordava
una carezza della madre ; ma dove Chiara aveva avuto
da principio agli occhi del monaco il merito relativo
della resistenza opposta alla principessa nell'affare del
matrimonio, e Ferdinando quello d'essere andato via di
casa, la nipote più piccola non aveva altro che torti,
uno più capitale dell'altro. Sotto la sferza di donna
Teresa, trattata con particolare durezza per esser nata
quando costei non aspettava più altri figli, considerata
come un 'intrusa venuta a rubare parte della roba già
— 8o —
destinata ai due maschi, Lucrezia era cresciuta come
« una marmotta, » diceva il Benedettino : tarda, taci-
turna, selvatica come Ferdinando, e sempre così di-
stratta che le sue risposte erano oggetto di risa per tutti
fuorché per lo zio Blasco che se la mangiava viva.
Asservendo e maltrattando la figlia, la principessa
non dimenticava tuttavia lo scopo principale da raggiun-
gere : cioè di lasciarla zitellona in casa. Perciò ella
dimostrava assiduainente, quotidianamente a Lucrezia
che il matrimonio non era fatto per lei ; prima di tutto
per la cattiva salute — e invece la ragazza stava be-
nissimo ; poi perchè così voleva il bene della casa —
e le additava l'esempio di donna Ferdinanda; poi
perchè, senza quattrini, non avrebbe potuto mai tro-
vare tm partito conveniente — e 1' eccezione del
marchese Federico confermava la regola ; e finalmente
perchè, quasi tutto questo non bastasse, era anche
brutta — e qui diceva la verità. Quando la vedeva allo
specchio, o le rare volte che la ragazza assisteva alle
visite che venivano per la madre, costei esclamava :
« Ma come sei brutta, figlia mia !... Che disgrazia avere
una figlia cosi brutta, è vero?» L'argomento più per-
suasivo era nondimeno quello della povertà : la roba
apparteneva « ai maschi ; » quando i fattori le portavano
sacchi di quattrini, ella diceva a Lucrezia : « Vedi que-
sti ? Sono tutti dei maschi » e se la ragazza alzava
gli occhi alle mappe dei feudi appese nelle anticamere,
la madre ripeteva : « Che guardi ? Sono le proprietà dei
maschi ! » Quando il discorso, presente la figlia, ca-
deva sui matrimonii, donna Teresa ammoniva : « Di che
parlate dinanzi alle ragazze ?» e a quattr'occhi le di-
ceva che pensare al matrimonio era peccato mortale, da
confessarsene : e il confessore, padre Camillo, confer-
mava in queste idee Lucrezia; poi la principessa rico-
minciava, fino alla sazietà : « Tu del resto non hai
niente, devi restare in caisa per forza : chi ti vorrà spo-
sare senza denari ? » Quanto a Chiara, era stata un'altra
cosa : si era trovato uno che la prendeva con la sola
— 8i —
camicia, perchè la sapeva saggia, timorata di Dio, ob-
bediente alla madre. E addolcendo la pillola, la princi-
pessa si lasciava scappare di tanto in tanto : ce Se anche
tu sarai come tua sorella, poi ti compenserò altrimenti. »
Cosi era cresciuta Lucrezia : costantemente mortificata
e umiliata, segregata dal mondo più che nella badia,
invisa ai fratelli maggiori ed agli stessi zii, tiranneg-
giata un poco anche da Chiara che per avere cinque
anni più di lei faceva la grande ; unicamente voluta bene
e protetta da Ferdinando, col carattere del quale s'ac-
cordava molto il suo. Il Babbeo aveva igià da badare a
sé stesso, non godendo troppe grazie in famiglia ; ma
dimostrava come poteva a Lucrezia il bene che le vo-
leva. Maggiore appena d'un anno, egli giocò con lei, le
diede i balocchi da lui stesso costruiti ; più tardi, quando
egli ebbe qualche nozione di lettere, quando apprese da
sé a disegnare, a far minuti lavorucci, comunicò la sua
scienza alla sorella per la quale non si faceva la spesa
d'un maestro. Del resto la compagnia e la protezione di
Ferdinando non fu la sola di cui godè Lucrezia : ella
ebbe anche quella di donna Vanna, una delle came-
riere : e la principessa, sempre accorta e sempre al-
l'erta, non vide il pericolo che correva da questa parte.
La servitù, in casa Francalanza, era pagata poco e
avvezza a tremare dinanzi alla padrona; nondimeno ra-
ramente qualcuno andava via se non era congedato,
perché tutti trovavano il mezzo di rifarsi moralmente e
materialmente del cattivo trattamento. Il mezzo consi-
steva nel parteggiare secretamente per qualcuno dei
figli o dei cognati contro la padrona, nel fomentare le
ribellioni, nel far la spia : per questo v'erano altrettanti
partiti, nel cortile, quante teste presumevano, su nel
palazzo, di fare a modo proprio. Donna Vanna era
dunque del partito delle « signorine : » come dapprima
aveva incoraggiato la disperata resistenza di Chiara al
matrimonio impostole, cosi più tardi venne narrando a
Lucrezia la storia della sorella per dimostrarle le du-
rezze e le strambiti della madre ; e le mise in testa
De Roberto. I Viceré - I 6
che anche lei doveva inaritarsi, e le diede la coscienza
dei suoi diritti e delle sue qualità. Non era vero che
ella fosse povera : la principessa poteva disporre sola-
mente della metà della propria sostanza : l'altra metà
andava eg?ualmente divisa fra tutti i figli : « S'ha da
fare così per forza, perchè è scritto nella legge : perciò
questa parte si chiama legittima » E Lucrezia l'a-
scoltava a bocca aperta, cercando di comprendere. Ella
comprendeva più facilmente le adulazioni della came-
riera che trovava recondite bellezze nella persona della
padroncina, quando la vestiva o la pettinava : « Com'è
ben formata Vostra Eccellenza !... Sembra una palma !...
E queste trecce ! Corde di bastimento ! » Poi conclu-
deva : « Ha da trovarsi uno che se la godrà!... »
Cosi accadde che, quando i Giulente vennero a star di
casa dirimpetto al palazzo dei Francalanza, donna Van-
na disse alla signorina : « Vostra Eccellenza ha visto
il signorino Benedetto ? Guardi che bel ragazzo ! » Ella
si mise a osservarlo dalla finestra, e fu del parere della
cameriera. « Vostra Eccellenza non s'è accorta come la
guarda?» Lucrezia si fece rossa più d'un papavero, e
da quel giorno ì suoi occhi andarono spesso al balcone
del giovanotto. Però, finché la principessa ebbe buona
salute, la cosa non usci da questi termini e nessuno la
sospettò. Un brutto giorno donna Teresa, già malan-
data, si svegliò con un doloretto al fianco, del quale
sulle prime non si curò, ma che un anno dopo doveva
condurla al sepolcro. Quando la malattia della padrona
aggravossi, e specialmente quando, per mutar d'aria,
ella ise ne andò al Belvedere, sola, giacché Raimondo,'
il beniamino, stava a Firenze e gli altri figliuoli erano
qual più qua! meno tutti aborriti, allora, più libera,
donna Vanna favori meglio l'amore della signorina,
parlò al giovanotto, portò da una parte all'altra dap-
prima saluti, poi ambasciate e finalmente biglietti. In
famiglia se ne accorsero, e tutti si scatenarono contro
' Lucrezia.
I Giulente, venuti circa un secolo addietro a Catania
- 83 -
da Siracusa, appartenevano a una casta equivoca, non
più « mezzo ceto » cioè borg-hesia, ma non ancora no-
biltà vera e propria. Nobili isi credevano e si vantavano ;
ma questa loro persuasione non riuscivano a trasfon-
dere negli altri. Da parecchie generazioni s'erano ve-
nuti imparentando con famiglie della vera « mastra an-
tica », ma avevano do\aito scegliere quelle ridotte a corto
di quattrini, perchè una ragazza nobile e ricca ad un
tempo non avrebbe mai sposato un Glulente. Per gio-
care a pari coi baroni autentici avevano adottato tutti
gli usi baronali : uno solo tra loro, il primogenito, po-
teva prender moglie ; gli altri dovevano restar scapoli.
L'abolizione del fedecommesso li aveva rallegrati, poiché
in casa loro non c'era : istituito il maiorasco, avevano
tentato di ottenerlo, senza riuscirvi. Nondimeno tutto era
andato egualmente al primogenito : don Paolo, il padre
di Benedetto, era ricchissimo, mentre don Lorenzo non
possedeva un baiocco : per questo, forse, trescava coi
rivoluzionarli. Benedetto, un po' per l'esempio dello
zio, un po' pel soffio dei nuovi tempi, faceva anch'eg-li
il liberale ; teneva moltissimo alla sua nascita, ma com-
battendo la bigotteria della nobiltà — quando la volpe
non arriva all'uva ! gridava la zitellona — e per questi
suoi sentimenti, quantunque tutta la sostanza del padre
dovesse un giorno spettargli, studiava per prendere la
laurea d'avvocato. Quindi l'ira di don Blasco contro la
nipote che s'arrischiava di fare all'amore senza chieder
permesso a lui ; e con chi ? con un Giulente, un libe-
rale, un avvocato !
Ora, dopo la lettura del testamento, dopo le difficoltà
opposte da Chiara, dal marchese e da Ferdinando alle
sue sobillazioni, il monaco si rivolse a Lucrezia. Aveva
maggiore speranza di riuscire con lei poiché, per l'amore
di Giulente, ella aveva interesse a ribellarsi alla fami-
glia; è vero che gli toccava pel momento secondare o
per lo meno fingere d'ignorare l'amoretto della nipote ;
" ma pur di complottare e di metter zeppe e di farsi va-
lere, don Blasco passava sopra a maggiori difficoltà.
- 84 -
Eg-li cominciò dunque a dimostrare a Lucrezia il torto
ricevuto, le ragioni da addurre, il furto di Giacomo ap-
pena morta la madre ; e le rifece i conti e la stimolò a
mettersi d'accordo con Ferdinando, sull'animo del quale
ella sola poteva, per contrastar poi, uniti, al fratello
magigiore. Lucrezia, che all'opposizione dei parenti s'era
impennata, come ogni L^zeda dinanzi alla contraddi-
zione, ed aveva giurato a donna Vanna che avrebbe
sposato Giulente a qualùnque costo ; udendo adesso il
monaco parlarle dei suoi diritti, dimostrarle che ella era
piij ricca di quanto credeva, istigarla a far valere la
propria volontà, gli dava ascolto, diffidente, tuttavia,
sospettosa di qualche raggiro. La notte prendeva con-
sigli dalla cameriera ; e poiché donna Vanna la con-
fortava a seguire il monaco, ella riconosceva, si, che
sua madre l'aveva messa in mezzo, come tutti gli altri,
a profitto di due soli, e chinava il capo agli argomenti
che don Blasco le ripeteva; ma sul punto d'impegnarsi
a dire il fatto suo a Giacomo, la paura l'arretrava. Era
cresciuta con l'idea che egli fosse d'una pasta diversa,
d'una natura più fine; mentre tutti i fratelli e le sorelle
si davano del tu fra loro, al primogenito toccava del
voi; e il principe che l'aveva sempre tenuta a distanza,
guardandola d'alto in basso, adesso, dopo la lettura
del testamento, mostravasi ancora più chiuso con tutti,
ma specialmente con lei. Preparata a sostener la lotta
per amore di Giulente, ella voleva riserbare le sue forze
pel momento buono, non sciuparle per uno scopo che
le pareva secondario. Benedetto le aveva fatto sapere
che, appena laureato, voleva dire fra un paio di anni,
avrebbe chiesto la sua mano; e che il duca d'Oragua,
tanto amico di suo zio Lorenzo, li avrebbe sicuramente
sostenuti ; ma che frattanto bisognava aver pazienza e
prudenza, studiare di non accrescere l'animosità degli
Uzeda. Consultato intorno alla quistione del testamento,
egli confermava il consiglio di non far nulla contro il
principe ; parte per le ragioni antiche, parte per non
parere ingordo della maggior dote di lei. « Vede ^'ostra
Eccellenza ? » commentava la cameriera, udendo queste
lettere che la padroncina le comunicava ; « vede Vostra
Eccellenza quant'è buono? \'uol bene a Vostra Eccel-
lenza, non ai quattrini ! Un altro che avesse uccellato
alla dote, che cosa avrebbe risposto ? — Facciamo la*"'^
lite !... » Egli era veramente un buon giovane, studioso,
un po' esaltato, infiammato dalle dottrine liberali dello
zio, bruciante d'amore per l'Italia : scrivendo alla ra-
gazza le diceva che le sue passioni erano tre : lei, la
madre e la patria che bisognava redimere.
Cosi anche Lucrezia, dopo aver dato ascolto alle
istigazioni di don Blasco, non faceva nulla di quel che
voleva lo zio : anzi, una volta che costui fu più insi-
stente, ella rispose :
— Perchè non parla Vostra Eccellenza con Giacomo ?
Il monaco, a quest'uscita, diventò paonazzo e parve
sul punto di soffocare.
— Ho da parlar io, ah, bestia? ah, bestiona ? Vi pia-
cerebbe, bestioni, prender la castagna con la zampa del
gatto? Ah, volevate che parlassi io!... E che cavolo
vi pare che ime n' importi, in fin dei conti, se vi spoglia,
se vi mangia tutti quanti, brancata di pazzi, di gesuiti
e d'imbecilli, oh ?...
Parlare a Giacomo, prendere le parti di quei nipoti
contro quell'altro, era veramente impossibile a don
Blasco. Egli si sarebbe cosi impegnato definitivamente,
avrebbe preso realmente un partito, non avrebbe potuto
pili dar torto a chi prima aveva dato ragione, e vice-
versa; e questo era per lui un bisogno. Cosi per esempio
il principe, solo fra tutta la « mala razza » (come il Be-
nedettino chiamava i suoi nei momenti d'esasperazione,
cioè quasi sempre) gli era stato dinanzi obbediente e
sommesso, gli aveva dato ragione nella lotta contro la
principessa ; ora don Blasco, in cambio, gli rivoltava
i fratelli e le sorelle. Ma il monaco non credeva di far
male, cosi ; scettico e diffidente, sapeva che Giacomo
— 86 —
s'era messo con lui non g^ià per affezione o per ri-
spetto, ma per semplice tornaconto.
II principe (Giacomo, infatti, aveva obbedito a sue
proprie ragioni. Quasi non potesse perdonargli di non
esser venuto a tempo, quand'ella l'aspettava e lo vo-
leva, la principessa non aveva fatto festa al primoge-
nito dei maschi, il quale aveva anche messo in pericolo,
nascendo, la vita di lei. Invece di volergli tanto più
bene quanto più lo aveva desiderato e quanto più le
costava, donna Teresa gliene aveva voluto tanto meno.
Alla nascita di Lodovico era rimasta ancora indifferente
e crucciata; le sue viscere materne s'erano improvvisa-
mente commosse per Raimondo. Cosi, mentre tutti gli
altri parenti che non eran « pazzi » come lei, o che
eran pazzi altrimenti, avevano dato a Giacomo l'idea
che eg'li fosse da più di tutti come primogenito, come
erede del titolo, la principessa aveva riposto tutto il suo
affetto, un affetto cieco, esclusivo, irragionevole, sopra
Raimondo. E la protezione della madre era molto più
efficace di quella del padre e degli zii ; perchè, mentre
costoro davano a Giacomo, avido di quattrini, ingordo
d'autorità, soltanto vane parole, Raimondo era colmato
di regali, otteneva ragione su tutti, faceva legge dei
proprii capricci. Cosi cominciarono le risse tra i due
fratelli, e Raimondo, più piccolo, ne toccò; ma quando
la principessa si vide dinanzi in lacrime il suo protetto,
Giacomo assaggiò le terribili mani di lei che lasciavano
i lividi dove cadevano. Il ragazzo s'ostinò un pezzo, fino
a mutare la freddezza della madre in odio deciso; poi,
accortosi di sbagliar via, mutò tattica, divenne infinto,
fece da spia a don Blasco, gustò il piacere della ven-
detta nel vedere Raimondo picchiato dal monaco in odio
alla cognata. Ma furono soddisfazioni mediocri e di
corta durata : con gli anni la principessa chiuse a San
Nicola il secondogenito, diede a Raimondo il titolo di
conte ; avara, anzi spiloircia, largheggiò soltanto col be-
niamino ; Giacomo non ebbe mai un baiocco, e i suoi
abiti cadevano a brandelli quando l'altro pareva un figu-
-. 87 -
rino. Se Raimondo esprimeva un'opinione, subito era
secondato, o per lo meao non deriso; Giacomo non potè
disporre di nulla. Uno dei suoi più lunghi desideri! era
stato quello di far atto di padrone, in casa, riadattando
a modo suo il palazzo : la madre non gli permise di ri-
muovere una seggiola. Ella stessa aveva lavorato a
mutar l'architettura dell'edificio, il quale pareva com-
posto di quattro o cinque diversi pezzi di fabbrica messi
insieme, poiché ognuno degli antenati s'era sbizzarrito
a chiuder qui finesitre per forare piìi là balconi, a innal-
zare piani da una parte per smantellarli dall'altra, a
mutare, a pezzo a pezzo, la tinta dell'intonaco e il di-
segno del cornicione. Dentro, il disordine era maggiore :
porte murate, scale che non portavano a nessuna parte,
stanze divise in due da tramezzi, muri buttati a terra
per fare di due stanze una : i « pazzi » come don Blasco
chiamava anche i suoi maggiori, avevano uno dopo
l'altro fatto e disfatto a modo loro. Il piii grande rime-
scolamento era stato quello operato da suo padre, il
principe Giacomo XIII, quando costui non sapeva come
buttar via i quattrini ; e quella « testa di zucca » di
donna Teresa, invece di pensare all'economia, non s'era
divertita a sciuparne degli altri in altre bislacche no-
vità?... Giacomo voleva anch'egli ritoccare la pianta
della casa, ma la imadre non gli lasciò neanche attac-
care un chiodo ; e il Benedettino andava in bestia spe-
cialmente per questo; che il figliuolo sempre contra-
riato era tutto sua madre : autoritario, cupido, duro,
almanacchista come lei ; mentre quella papera preferiva
Raimondo che non conosceva il valore del denaro, sper-
perava tutto quel che aveva, non s'intendeva d'affari,
amava e cercava unicamente gli svaghi e i piaceri!...
I due fratelli, quantunque avessero la stess'aria di fa-
miglia, non si rassomigliavano neppure fisicamente : Rai-
mondo era bellissimo, Giacomo più che brutto. Nella
Galleria dei ritratti si potevano riscontrare i due tipi.
Tra i progenitori più lontani c'era quella mescolanza di
forza e di grazia che formava la bellezza del contino ; a
— . 88 —
poco a poco, col passare dei secoli, i lineamenti comin-
ciavano ad alterarsi, i volti s'allungavano, i nasi spor-
gevano, il colorito diveniva più oscuro; un'estrema
pinguedine come quella di don Blasco, o un'estrema
magrezza come quella di don Eugenio, deturpava i per-
sonaggi. Fra le donne l'alterazione era più manifesta :
Chiara e Lucrezia, quantunque fresche e giovani en-
trambe, erano disavv^enenti, quasi non parevano donne ;
la zia Ferdinanda, sotto panni mascolini, sarebbe parsa
qualcosa di mezzo tra l'usuraio e il sagrestano; ed altret-
tante figure maschilmente dure spiccavano fra i ritratti
femminili di più fresca data ; mentre, negli antichi, le
strane acconciature e gli stravaganti costumi, gli stroz-
zanti collari alla fiamiminga che mettevan le teste come
sopra un bacino, le vesti abbondanti che chiudevano il
corpo come scaglie di testuggine, non riuscivano a na-
scondere la sveltezza elegante delle forme né ad alterare
la purezza fine dei lineamenti. Tratto tratto, fra le ge-
nerazioni più vicine, in mezzo alle figoire imbastardite,
se ne vedeva tuttavia qualcuna che rammentava le pri-
mitive ; così, per una specie di reviviscenza delle vec-
chie cellule del nobile sangue, Raimondo rassomigliava
al più puro tipo antico. Ridevano gli occhi alla princi-
pessa, quando lo vedeva, grazioso ed elegante, guidare,
montare a cavallo, tirare di scherma; al primogenito
invece dava altrettanti soprannomi quanti difetti tro-
vava nella sua persona : l'Orso die balla, per la goffag-
gine; Pulcinella, per il lungo naso; il Nano, per la corta
statura.
Così l'astio di Giacomo contro la madre e il fratello
si manteneva sempre vivo ; esso crebbe a dismisura
quando donna Teresa colmò lo staio, dando moglie a
Raimondo. La tradizione di famiglia, mantenuta fino
al 1812 dall'istituzione del fedecommesso, vietava che
nessuno fuorché il primogenito prendesse moglie ; e in-
fatti, nella generazione precedente, né il duca né don
Eugenio s'erano accasati; ma la principessa, come sem-
pre, s' infischiò delle regole e pensò di trovare un partito
-^ 89 -
a Raimondo pr"ma ancora che a Giacomo. Morendo lei
e lasciando ad entrambi la sua sostanza, la condizione
dei due fratelli sarebbe stata egnale; ma in vita, non
volendo ella spog'liarsi dì nulla, Giacomo, che doveva
necessariamente amimogliarsi per tramandare il princi-
pato, si sarebbe arricchito con la dote della moglie,
mentre Raimondo, restando scapolo, non avrebbe avuto
nulla. Pàrsuasa quindi della necessità di dar moglie
anche al beniamino, ella esitò nondimeno molto tempo
prima di attuare la sua risoluzione, e non già perchè
sentisse scrupolo d'infrangere la tradizione, di creare
nell'albero genealogico degli Uzeda un ramo storto che
avrebbe fatto concorrenza al diritto ; ma per la stessa
passione ispiratale dal giovane : all'idea che un'altra
donna gli sarebbe vissuta notte e giorno a fianco, una
sorda gelosia la struggeva. Per questo, il giorno che
finalmente si decise, non soffri di dargli nessuna delle
ragazze della città e neppure della provincia ; ma co-
minciò invece a cercargli un partito a Messina, a Pa-
lermo, più lontano ancora, nel continente, con certi suoi '
criterii particolari, uno dei quali era che la sposa fosse
orfana di madre. Cercò parecchi anni e nessuna la
contentò. Alla fine, per mezzo d' un monaco benedettino
compagno di don Blasco, Padre Dilenna di Milazzo,
fermò la sua scelta sulla figlia del barone Palmi, cugina
del Cassinese. Tuttavia, parendo troppo a lei stessa
che Raimondo prendesse moglie priima di Giacomo, il
quale a venticinque anni era ancora scapolo, caso unico
nella storia della famiglia, provvide ad ammogliare i
due fratelli nello stesso tempo, e destinò al primoge-
nito la figha del marchese Grazzeri.
Le liti scoppiate in quell'occasione furono straordi-
narie. Se il rancore di Giacomo per il matrimonio del
fratello divenne piij cocente, vedendo egli prepararsi ac-
canto alla propria un'altra progenie di Uzeda che gli
avrebbe sottratto parte delle sue sostanze, non fu meno
grande il rancore pel matrimonio suo proprio. Violento,
avido e arido com'era, egli aveva amoreggiato colla
-< 90 —
cugina Graziella, figlia della sorella della madre, e s'era
messo in testa di sposarla, quantunque la dote di lei
fosse infinitamente più scarsa di quella della Grazzeri ;
ma la principessa, un poco appunto per questa conside-
razione della maggiore ricchezza, un poco perchè non
era mai andata d'accordo con la sorella, anzi l'aveva
sempre tenuta lontana da sé, e sopratutto pel gusto di
contrariare l'inclinazione del figliuolo, lo sforzò invece
a sposar la Grazzeri.
Giacomo non era piij ragazzo, da obbedire alla madre
per paura di castighi o di busse ; ella aveva però
un'arma piiJ potente in mano, essendo padrona dei quat-
trini e potendo minacciare di diseredarlo. « Neppure
un grano!... » gli diceva, freddamente, facendo scattar
l'unghia del pollice contro i denti; «non avrai neppure
un grano!...» e la poca simpatia dimostrata a quel
figliuolo e la passione per Raimondo e il matrimonio
imminente di quest'ultimo confermavano la minaccia,
facevano sospettare che ella l'avrebbe compiuta. Il prin-
cipe che fino a quel punto non era riuscito interamente
ad adottar la politica della finzione, dopo quest'ultimo
e violento contrasto le s'inchinò, rassegnato e devoto,
le prestò un'obbedienza scrupolosa e cieca anche nelle
cose inutili e ridicole, non parlò più se non d'amor
fraterno, d'unione, di rispetto ai maggiori. Dentro, si
rodeva ; ed aspettando di cogliere il frutto di quella con-
dotta, esercitava il proprio tirannico impero e faceva
pesare il suo cruccio unicamente sulla moglie. Dal
primo giorno del matrimonio questa fu trattata peggio
d'una serva; non che volontà, non potè esprimere nep-
pure opinioni; il principe l'addestrò ad obbedirgli a un
semplice muover di sguardi ; quando ella ebbe bisogno
di comperare una matassa di cotone o un palmo di
nastro, le convenne chiedere a lui i baiocchi occorrenti
— e in dote gli aveva portato centomila onze. La sua
missione fu quella di dare un erede al marito, di per-
petuare la razza dei Viceré; compitala, ella fu conside-
rata come una bocca inutile, peggio d'un lavapiatti;
— 91 —
perchè i la\apiatti facevano almeno la corte alla fami-
glila, all'occorrenza davano una mano al maestro di casa ;
mentre donna Margherita non sapeva far nulla e non
■pensava ad altro fuorché ad evitar contatti e vicinanze,
con la mania della nettezza e l'incubo dei contag-i. Era
del resto una creatura mite, senza volontà, cera molle
che il principe plasmò a suo talento. In odio al figlio,
non per amore che le portasse, la principessa suocera
pigliò più d'una volta le sue difese; allora ella sofferse
maggiormente, perchè Giacomo, arrendendosi in appa-
renza, le faceva poi scontare più duramente quella pro-
tezione.
Se il matrimonio del principe andò tanto male, quello
di Raimondo andò molto peggio. Giacomo non voleva
la Grazzeri, amando la cugina ; Raimondo invece non
voleva nessuna, era deciso a non armmogliarsi. Le
moine e le preferenze usategli dalla madre avevano de-
stato in lui appetiti insaziabili di piaceri e di libertà ;
ma la protezione della principessa pesava quasi quanto
la sua avversione, tanto ella era dispotica in tutto. Il
suo protetto doveva fare quel che voleva lei, pagarle
con una obbedienza più rassegnata i privilegi che ella
gli accordava ; né questi privilegi, straordinarii a para-
gone della soggezione in cui erano tenuti gli altri figli,
bastavano a Raimondo : svegliavano invece le sue voglie
seinza arrivare a soddisfarle. A lui solo, per esempio,
toccavano quattrini da buttar via a suo capriccio ; ma la
principessa donava per lambicco ; e il giovane che spen-
deva continuamente per gli abiti, per le donne, e avea
fra l'altre la passione del giuoco, sciupava in una notte
quel che la madre gli dava in un anno. Solo a lui,
anche, era stato consentito di arrivare sino a Firenze,
ma quella rapida corsa, mettendo in corpo al giovanotto
la niania dei viaggi, dei lunghi soggiorni nei paesi più
belli e più ricchi, non potè esser seguita da altre. Quin-
di, benché trattati in modo tanto diverso, entrambi i fra-
telli aspettavano con eguale impazienza la morte della
madre : Giacomo per esercitare la propria autorità di
— 92 —
capo della casa, per vendicarsi dei maltrattamenti sof-
ferti, per afferrare la roba; Raimondo per saldare i de-
biti nascostamente contratti, per buttar via i quattrini
nella soddisfazione delle proprie voglie, per appagare il
piij grande desiderio che lo struggeva : andar via dalla
Sicilia, vecier Milano e Torino, vivere a Firenze o a
Parigi.
Al primo annunzio del matrimonio egli si ribellò
dunque apertamente alla madre, poiché solo fra tutti
poteva dirle in faccia : « Non voglio !» Il matrimonio
era la catena al collo, la schiavitù, la rinunzia alla vita
che egli sognava : a nessun patto poteva accettarlo. Ma
la principessa, che verso gli altri figli adoperava i più
acri sarcasmi, le imposizioni più dure e le minacele
estreme, tenne a lui il linguaggio della persuasione. Vo-
leva egli divertirsi, aver molti quattrini da spendere, far
quello che gli piaceva? La dote gli avrebbe subito per-
messo ogni cosa ! Quella gelosa che si adattava a dargli
moglie per necessità, e non voleva la nuora del paese e
gili andava invece a cercare un partito lontano, non po-
teva ammettere che suo figlio amasse quest'altra donna,
che le fosse fedele, che le si credesse legato sul serio.
« Stupido che sei ! » gli diceva dunque, « sposala per
adesso; poi, se ti secca, la pianterai!» E solamente
quel linguaggio e quegli argomenti indussero il giovane
a dir di si, persuadendolo che a quel modo egli sarebbe
stato subito ricco e si sarebbe nello stesso tempo sot-
tratto all'opprimente protezione della madre.
Don Blasco, al matrimonio di Giacomo, aveva fatto
cose dell'altro mondo e vomitato gli ultimi vituperii sul
nipote che s'era ficcato in testa di sposare la cugina
Graziella, la figlia d 'un'altra Risa ! e sulla cognata che
gli dava invece « per forza » una Grazzeri ! Ma a coro-
nare l'opera mancava proprio il matrimonio di Rai-
mondo!... AmmiOgliare un altro figliuolo? Creare una
seconda famiglia ? \'enir meno alle tradizioni della casa ?
C'era esempio d'una pazzia più furiosa?... Don Blasco
non badava alla contraddizione fra quel rispetto che pre-
— 93 —
tendeva portassero alle tradizioni, ed il proprio insazia-
bile rancore per ess'cr stato sacrificato alle tradizioni
medesime : pur di fare l'opposizione, pur di sfogarsi in
qualche modo, egli saltava ostacoli molto più grandi. E
quel che più specialmente l'offendeva, nel matrimonio
di Raimondo, era la scelta della sposa. Fra tanti par-
titi che le erano offerti, quale aveva preferito sua co-
gnata? Quello proposto da Padre Dilenna, nemico per-
sonale di don Blasco !
Lassù, ai Benedettini, fra le molte fazioni in cui si
dividevano i monaci, le più accanite eran le politiche :
ora don Blasco era borbonico sfegatato e Padre Dilenna,
al Quarantotto, aveva fatto galloria con gli altri libe-
rali per la cacciata di Ferdinando II. L'anno dopo, don
Blasco aveva ottenuto la rivincita ; ma Dilenna gli fece
più tardi mangiar l'aglio quando, in previsione della
vacanza del priorato, sostenne Lodovico Uzeda, mentre
don Blasco in persona aspirava a quell'ufficio ! Sceglier
dunque per Raimondo la moglie proposta dal Dilenna,
anzi la sua propria cugina, era veramente un po'
troppo. Tutte le cose che don Blasco fece e disse, al pa-
lazzo ; le seggiole che rovesciò, i pugni che lasciò ca-
dere sui mobili, le male parole e le bestemmie che gli
usciron di bocca, non si potrebbero ridire; tanto che la
principessa, mentre prima l'aveva lasciato gridare, oppo-
nendogli una resistenza passiva, gli spiattellò finalmente
sul muso che, in casa propria, ella aveva ^sempre fatto
quel che le era piaciuto ; e che lo stesso suo marito
non s'era mai arrischiato di dirle una parola più forte
d' un' altra : « Sapete dunque che e' è? Fatemi il famo-
sissimo (piacere di non venirci più ! » Don Blasco, botta
e risposta : « Mi dite voi di non venirci ? E non sapete
che io vi ho fatto un altissimo onore tutte le volte che
sono entrato in questa bottega ? E non sapete che di voi
e di tutti i vostri me ne importa meno di quattordici
paia di...? Ma andate un poco a farvi più che tutti
quanti siete, e maledetti siano i piedi d'asino e di porco
che mi ci portarono! » Egli andò poi a dir cose, contro
— 94 —
la cog^nata, fra i monaci amici, da far cascare il mona-
stero, e non mise piede per più di un anno al palazzo
struggendosi però di inon poter più gridare, cadendone
quasi ammalato ; talché, alla nascita del principino Con-
salvo Vili, quando Giacomo, tutto spirante pace ed
amore, propose alla madre ed ottenne che s'invitasse
lo zio alla festa del battesimo, il Cassinese riapparve
in casa della cognata, per ricominciare, dopo un breve
periodo di calma apparente, a gridar peggio di prima.
La principessa aveva dunque sostenuto, per accasar
Raimondo, una lotta ora sorda, ora violenta non solo
sul primogenito e con don Blasco, ma con lo stesso
figlio di cui voleva assicurare l'avvenire, e perfino con
sé stessa. Ella ebbe in quell' occasione un altro nemico,
e non meno terribile : donna Ferdinanda.
La zitellona contava allora trentotto anni, ma ne di-
mostrava cinquanta ; né in età più fresca aveva mai pos-
seduto le grazie del suo se&so. Destinata a restar nu-
bile per non portar via nulla del patrimonio riserbato
al fratello principe, ella sarebbe stata forse rinchiusa,
per precauzione, in un monastero, se la sua bruttezza
e più la naturale sincera avversione allo stato mari-
tale non avessero assicurato i suoi parenti meglio della
clausura contro i pericoli della tentazione. Non era parsa
mai donna, né di corpo né d'anima. Quando, bambina,
le sue compagne parlavano dii vesti e di svaghi, ella
enumerava i feudi di casa Francalanza; non compren-
deva il valore delle stoffe, dei nastri, degli oggetti di
moda, ma sapeva, come un sensale, il prezzo dei fru-
menti, dei vini e dei legumi; aveva sulla punta delle
dita tutto il complicato sistema di misurazione dei so-
lidi, dei liquidi e delle monete; sapeva quanti tari, quanti
carlini e quanti grani entrano in un'onza; in quanti tù-
moli si divide una salma di frumento o di terreno, quanti
rotoli e quanti coppi formano un cafisso d'olio... A quel
modo che, fisicamente, gli Uzeda si dividevano in due
grandi categorie di belli e di brutti, cosi al morale essi
~ 95 —
erano o sfrenatamente amanti dei piaceri e dissipatori
come il principe Giacomo XIII e il contino Raimondo;
o interessati, avari, spilorci, capaci di vender l'anima
per un baiocco, come il principe Giacomo XIV e donna
Ferdinanda. Costei aveva avuto dal padre una miseria,
il cosi detto piatto, cioè tanto da assicurare il vitto
quotidiano, la magra provvisione, durante il fedecom-
messo, dei cadetti e delle donne. Con quella miseria,
donna Ferdinanda aveva giurato d' arrivare alla ric-
chezza. Tutti i suoi pensieri d'ogni giorno e d'ogni notte
furono diretti a tradurre in atto il suo sogno. Appena
in possesso di quelle miserabili sessant'onze annuali,
ella cominciò a negoziarle, a darle in prestito contro
pegno od ipoteca, secondo la solvibilità del debitore,
scontando effetti cambiarli, facendo anticipazioni sopra
valori o sopra merci : ogni sorta d'operazioni bancarie
da ghetto, poiché l'esiguità deUa sua rendita l'obbligava
a contrattare con poveri diavoli, minuti industriali, mer-
cantini, capi-mastri, rigattieri, vinai e perfino coi servi
di casa. Ella non toccava un baiocco del capitale, arri-
schiava solo i frutti, cioè li raddoppiava, li triplicava,
tanto genio degli affari aveva naturalmente, tanto era
accorta, e dura, inesorabile quando si trattava di riavere
i suoi quattrini e gli interessi, che pretendeva fin all'ul-
timo grano, sorda a preghiere ed a pianti di donne e
di fanciulli ; e piia esperta, piij cavillosa d' un patroci-
natore, se le toccava ricorrere alla giustizia. Tanto era
avara, anche ; giacché non spendeva per sé più dei due
tari al giorno che passava alla principessa in cambio
del vitto e del servizio che questa le assicurava : quanto
all'alloggio, le avevano lasciato la cameruccia al terzo
piano, sotto i tetti, che aveva occupata da bambina, e
per vestirsi ricomprava le robe smesse dalla cognata.
Cosi, a poco a poco, aveva esteso la cerchia dei suoi
affari e formato un gruzzoletto che circolava tra persone
di maggior levatura, 'negozianti in grosso, speculatori
ragguardevoli, proprietarii in imbarazzo. Allora, secondo
che la sua sostanza venne crescendo, nacque una sorda
- 96 -
gelosia nell 'animo della principessa e di don Blasco
contro la cognata e la sorella. Con metodi diversi, donna
Ferdinanda lavorava al conseguimento d' uno scopo si-
mile a quello di donna Teresa. Costei voleva salvare
ed accrescere la fortuna degli Uzeda, quella aveva l'am-
bizione di crearne una di sana pianta. Ora, partendo
donna Ferdinanda dal nulla, la sua gloria sarebbe stata
maggiore, avrebbe offuscato quella di donna Teresa :
di qui la sorda antipatia della principessa, i sarcasmi
coi quali punzecchiava l'avarizia della cognata; giacché
la propria era naturalmente legittima ed ammirabile.
Quanto a don Blasco, il dolore da lui provato nel do-
ver rinunziare al mondo s' inacerbiva tutte le volte che
qualcuno dei parenti acquistava fama, potenza e quat-
trini : vedendo dunque la sorella far quello che egli
stesso avrebbe fatto, se fosse rimasto al secolo, e riu-
scire oltre ogni previsione, rapidamente, il sangue gli
ribolliva, l'umore gli s'inaspriva, l'invidia lo avvele-
nava. Donna Ferditianida parve insensibile ai sarcasmi
ed alle asprezze della cognata e del fratello. Le conve-
niva, pel momento, tacere, giacché era e voleva conti-
nuare ad esser ospite della principessa, finché i proprii
quattrini sarebbero stati tanti da permetterle di avere
una casa propria. Parenti e amici la consigliavano ogni
giorno di togliere quel suo peculio dalla circolazione
troppo pericolosa, di acquistarne piuttosto solidi immo-
bili ; ella scrollava il capo, affermava che i suoi denari
non correvano rischio di sorta, perchè solo « chi presta
senza pegno perde i denari, l'amico e l'ingegno; » in
realtà ella aspettava d'aver tanto da poter fare una
compra ragguardevole. Nel '42, dieci anni dopo d'es-
sere entrata in possesso del suo magro piatto, stupì
tutta la parentela acquistando all'asta pubblica per cin-
quemila onze il fondo del Carrubo, bel pezzo di terra
che me valeva dieci ; fortunata, cioè accorta anche in
questo : nell'aver saputo cogliere la magnifica occa-
sione. Era noto a tutti che possedeva un capitaletto,
nessuno immaginava che in dieci anni avesse messo in-
— c)7 —
sieme una piccola sostanza. Cognata e fratello furono più
mordenti di prima, specialmente vedendo che ella non
spendeva per sé un carlino di -più : ella lasciò dire, con-
tinuando a speculare con le quattrocent'onze di rendita
che adesso possedeva. Le faceva fruttare quanto più
poteva, non ne perdeva un grano, e quando le cambiali
scadevano, il notaio, il sensale o il patrocinatore veni-
vano a portarle il suo avere in tanti bei pezzi di colon-
nati lucenti e sonanti. Patrocinatore, notaio e sensale
erano i suoi amici. Fra la gente che frequentava il pa-
lazzo Francalanza ella sceglieva, per tirarseli a fianco,
i più destri, i più prudenti, quelli che avevano come
lei r intelligenza e la passione degli affari, dai quali
poteva sperare informazioni e suggerimenti. E il prin-
cipe di Roccasciano, gran signore da quanto gli Uzeda,
ma con pochi quattrini che s'era proposto di moltipli-
care e che imoltiplicava infatti, pazientemente, pruden-
temente, senza la spilorceria e le durezze di lei, era il
suo consigliere preferito. Nel '49, quando meno l'aspet-
tava, le si presentò l'occasione di comprar la caisa. Ella
aveva dato certe mille onze al cavaliere Calasaro, il cui
figliuolo, complicato nella rivoluzione, era stato costretto
a prendere le vie dell'esilio. Il padre, spogliatosi ed
esaurito tutto il suo credito per non fargli mancare nulla,
non potè, alla scadenza, isoddisfare donna Ferdinanda.
Costei, fiutando il vento, volle esser pagata subito su-
bito, e 'minacciò la espropriazione e lanciò la prima ci-
tazione. Il debitore venne a gettarlesi ai piedi, con le
mani in testa, perchè gli evitasse l'ultima rovina, e le
offrì, tra le sue proprietà, quella che più le piaceva.
Donna Ferdinanda le buttò per terra, piene com'erano
d'iscrizioni, capaci di attirarle addosso un diluvio di
carta bollata, e poiché l'altro insisteva, e le offriva la
casa netta d' ipoteche, la zitellona torse il grifo, di-
cendo : « Se ne può parlare. » Ma ella pretendeva di
averla per le sue mille e cent'onze, capitale, interesse
e spese, senza metter fuori un carlino di più, mentre
il proprietario la stimava duemila onze, per lo meno, e
De Robsrto. I Viceré - I 7
pretendeva il resto. La cosa andò a monte; donna Fer-
dinanda spinse avanti la procedura. L'altro, con l'acqua
alla gola, spremuto dal figliuolo che da Torino chiedeva
sempre quattrini, vessato dal governo per motivo del
giovane esiliato, chinò finalmente il capo. « Almeno
faccia lei le spese dell'atto, » le mandò a dire; ma donna
Ferdinanda : « Mille e cent'onze : ho una parola sola! »
Cosi ella ebbe la casa. Era piccola, -naturalmente, per
quel prezzo : due botteghe fiancheggianti il portone, e
un piano isolo, sopra, con un balcone grande e due
piccoli, nella facciata; ma aveva un valore inestimabile,
agli occhi di donna Ferdinanda : era posta ai Crociferi,
che era il vecchio quartiere della nobiltà cittadina, ed
essa stessa era una casa nobile, appartenendo da tempo
ai Calasaro, signori della « mastra antica. »
Oltre quella dei quattrini, la zitellona aveva infatti
la passione della vanità nobiliare. Tutti gli Uzeda erano
gloriosi della magnifica origine della loro schiatta ; donna
Ferdinanda ne era ammalata. Quando ella parlava di
« don Ramon de Uzeda y de Zuellos, que fue senor de
Esterel, » e venne di Spagna col re Pietro d'Aragona a
« fondarsi » in Sicilia ; quando enumerava tutti i isuoi
antenati e discendenti « promossi ai sommi carichi del
Regno : » don Jaime I « che servì al re don Ferdinando,
figlio dell' imperator don Alfonso, contra ai mori di
Cordova nel campo di Calatrava ; » Gagliardetto, « ca-
ballero de mucha qualitad ; » Attardo, « cavaliero spi-
ritoso, ed armigero ; » il grande Consalvo « vicario della
Reina Bianca ; » il grandissimo Lopez Ximenes « viceré
dell'invitto Carlo V;» allora i suoi occhietti lucevano
più dei carlini di nuovo conio, le sue guance magre e
scialbe s'accendevano. Indifferente a tutto fuorché ai
suoi quattrini, incapace di commoversi per qualunque
aA^enimento o lieto o triste, ella s'appassionava unica-
mente alle memorie dei fasti degli antenati. V'era in
casa, ai tempi di suo nonno, una bella libreria ; ma,
quando il princitp>e Giacomo XIII cominciò a navigare
in cattive acque, fu venduta prima di tutto; ella salvò
— 99 —
una copia del famoso Mugnòs, « Teatro genolog-ico di
Sicilia, » dove il capitolo « della famiglia de Vzeda »
era il più lungo, occupando non meno di trenta grandi
pagine. E quelle pagine secche e ingiallite, esalanti 11
tanfo delle vecchie carte, stampate con caratteri sgra-
ziati ed oscuri, con ortografia fantastica; quella enfatica
e bolsa prosa sioulo-spagnuola secentesca era la sua let-
tura prediletta, 1' unico pascolo della sua imaginazione ;
il suo romanzo, il vangelo che le serviva a riconoscere
gli eletti tra la turba, i veri nobili tra la plebe degli
ignobili e la « gramigna » dei nobili falsi. « Chiaramente
per tvtti gli Hifpani genologifti fi fcorge, coi svoi
felici fvccefli e con le occalioni debbite, qvale vna delle
piij antiche e fvblimi famiglie delli regni di Valenza e
d'Aragona la famiglia Vzeda, e per tvtto è uolgato effer
ella fiffattamente cognominata dal nome, di vna (va
terra detta la baronia di Vzeda, qvale alcanzò da qvei
Re in ricompenfo dei fvoi feruigi et indi coi Trionfi
della militia nel Svpremo Cielo delle glorie militari per-
uenne. » Questo stile era d' una suprema eleganza,
d'una straordinaria magnificenza per donna Ferdi-
nanda, la quale leggeva letteralmente uolgato, peruenne
e faceva già troppo ; poiché essendo una « porcheria »
per le donne della sua casta, al principio del secolo,
sapere di lettere, ella aveva appreso a legger da sé,
pei bisogni delle sue speculazioni.
Ora, con questo infatuamento della zitellona per la
propria eccelsa origine e per l'istituzione della nobiltà
In generale, la principessa pensò di dar per moglie a
Raimondo, chi? Una Palmi di Milazzo, la figliuola d'un
barone « da dieci scudi » del quale il Mugnòs non fa-
ceva e non poteva fare la più lontana menzione ! Glo-
riavasi, questo « barone » Palmi, di certi privilegi di
centocinquant'anni addietro ; ma che erano centocin-
quant'anni paragonati ai secoli di nobiltà degli Uzeda ?
Senza contare che di questi privilegi non parlava nep-
pure il marchese di Villabianca, autore fiorito niente-
meno che un secolo dopo il Mugnòs!... La principessa,
a cui la nobiltà stava a cuore, se non quanto a donna
Ferdinanda, certo moltissimo, aveva giudicato invece
sufficienti e fors'anche soverchi quei centocinquant'anni
dei Palmi, giusto perchè, volendo che la moglie del suo
Raimondo fosse sottomessa dinanzi al beniamino come
una schiava dinanzi al padrone, e che egli potesse trat-
tarla d'alto in basso e farne quel che gli piaceva, aveva
perfino pensato un momento di sceglier per lui 1' umile
figliuola di qualche ricco fattore.... Il dissidio fu quindi
violento. Già donna Ferdinanda, acquistato lo stabile
dei Calasaro, era andata via dal palazzo Francalanza e
aveva messo casa, continuando a squartar lo zero ma
pagandosi il lusso della carrozza. I legni erano due
vecchi trespoli comprati per pochi ducati ma decorati
dello stemma di casa Uzeda ; i cavalli, due magre bestie
a cui ella dava in pasto un po' di paglia del Carrubo,
un pugno di cnasca e la verdura marcita. Il cocchiere,
oltre al servizio della stalla e della scuderia, faceva da
cuoco e da staffiere. I sarcasmi della principessa eran
divenuti, per tutto questo, naturalmente piìi aspri ; e
adesso la zìitellona teneva fronte alla cognata. Ricca
com'era di quattrini e come si credeva di senno, donna
Ferdinanda pretendeva che le facessero la corte e la
tenessero da conto ; mentre prima, stando insieme coi
parenti, era rimasta indifferente ai loro affari, voleva
ora, lontana, ficcare anche lei il naso in tutte le qui-
stioni di famiglia. Invece, la principessa non tollerava
né protezione né imposizioni ; quindi liti ogni giorno.
Da un'altra parte don Blasco, esasperato per la for-
tuna della sorella, perdette il lume degli occhi vedendo
costei fargli la concorrenza nella sua parte di critico
minuto e di giudice infallibile ; la zitellona, viceversa,
gli disse il fatto suo per la vita scandalosa che con-
duceva; e un giorno, a proposito d'una certa balia da
prendere per il principino, siccome a donna Ferdinanda
il latte di costei pareva sospetto, mentre don Blasco
lo dichiarava di prima qualità — le male lingue dice-
vano che aveva ragione di conoscerlo — fratello e
sorella vennero quasi alle mani : chetati a fatica dal
nipote Giacomo, non si parlarono mai più. Il più
strano era che, non parlandosi mai, evitandosi come
la peste, essi soli, in quella casa, vedevano le cose a
un modo e in tutto esprimevano eguali opinioni. Come
don Blasco aveva gettato fuoco e fiamme contro il
niatrimonio di Raimondo, così donna Ferdinanda era
diventata una vipera. Non solamente quella bestia della
cognata proteggeva il terzogenito in odio all'erede del
titolo, non solamente si metteva sotto i piedi la « legge »
che voleva la continuazione del solo ramo diretto ; ma
gli dava in moglie, chi? chi. Signore Iddio? Una Palmi
di Milazzo !... Palmi? Donna Ferdinanda non la chiamò
mai con questo nome; ma ora Palma, ora Palmo, e le
diede come arma parlante ora la mezza -canna, che
conta appunto quattro palmi, con la quale i rivendu-
glioli misurano la cotonina; ora due palme di piedi,
che tra quella gente dovevano esser villosi, da quei
contadini che erano. Le due cognate, a furia di sarca-
smi e di liti, per poco non si strapparono i capelli;
come don Blasco, la zitellona non mise più piede in
casa Francalanza ; ma, come il fratello, non soffrendo
di starne a lungo lontana, ci tornò alla prima occasione.
E solamente gli altri due cognati, il duca Gaspare e
il cavaliere don Eugenio, non avevano dato tanti fastidii
a donna Teresa.
Il cavaliere don Eugenio, al tempo di quelle lotte, non
era in Sicilia. Destinato sulle prime ad entrare anche
lui ai Benedettini come il fratello don Blasco, s'era
salvato adducendo la propria inclinazione al nìestiere
delle armi. Fu la prima menzogna che disse, per evi-
tare il convento : non poteva sentirsi chiamato ad un
mestiere quasi sconosciuto in Sicilia, dove, come non
c'era coscrizione e tra i popolani correva il motto :
« meglio porco che soldato, » cosi neppure la nobiltà
si dava alla milizia. Ma don Eugenio voleva anch'egli
esser libero e guadagnarsi un posto nel mondo. Ri-
masto al Noviziato di San Nicola per educazione fin
quasi a diciott'anni, se ne andò a Napoli all' uscir dal
monastero, e fu ascritto alla nobile compagnia delle
Reali Guardie del Corpo, certo di salir subito ai primi
gradi. Dopo dieci anni era appena sotto-brigadiere. In-
fatuato come tutti gli Uzeda della sua nobiltà, aveva
guardato d'alto in basso i compagni ed anche un poco
i superiori, vantando, oltre i sublimi natali, sterminate
ricchezze ; invece, al momento di mostrarle coi fatti, i
giovani signori napolitani mettevano fuori i quattrini,
mentre il vanaglorioso cadetto siciliano si ritraeva o,
peggio, faceva debiti che poi non pagava. Trattato da
millantatore, fu posto quasi al bando dai compagni; e
del resto egli stesso, riconoscendo di non aver raggiunto
lo scopo, quantunque ai parenti scrivesse che il magro
successo era da attribuire all' invidia ed all' ingiustizia,
risolse un bel giorno di dar le dimissioni. Restò tut-
tavia a Napoli, donde annunziava che le case piij ricche
e nobili gli erano aperte come la sua propria, e che il
duca Tale ed il principe Talaltro gli volevano dare in
moglie le figliuole; nessuno di quei matrimonii, conti-
nuamente spacciati come certissimi, si combinava mai.
Frattanto, abbruciato di quattrini, egli aveva chiesto un
impiego a Corte ; e nonostante i precedenti poco pro-
mettenti, pure, per ragioni politiche, premendo ai Bor-
boni di tenersi amiche le grandi famiglie siciliane, egli
fu nominato Gentiluomo di Camera, con esercizio. Nel
1852, inaspettato ospite, tornò a casa. Diceva d'esser
passato dal servizio attivo all'onorario perchè il clima
di Napoli non gli conferiva ; una certa voce sorda sorda
parlò invece di cose poco pulite combinate con un for-
nitore di Casa reale.... Da Napoli, l'ex-Guardia del
Corpo e Gentiluomo di Camera tornò con una nuova
vocazione : l'archeologia, la numismatica e l'arti belle.
Portò con sé una quantità di rottami provenienti, di-
ceva, da Pompei, da Ercolano, da Pesto, e rappresen-
tanti un valore grandissimo; tante tele da farne la ve-
latura d'un vascello, « tutte dei più famosi autori : Raf-
— I03 —
faello, Tiziano, Tintoretto ; » ricolmò di quella roba il
cjuartierino che aveva preso in affitto — perchè la prin-
cipessa non volle saperne di riammetterlo in casa — e
cominciò a far commercio d'antichità. Giacomo era am-
mogliato da due anni, ed aveva già l'aspettato primo-
genito; Raimondo stava a Firenze con la moglie, dove
era loro nata una bambina.
Neppure il duca Gaspare s'era trovato in casa, al
tempo dei matrimonii; ma benché da lontano, fu l'unico
che approvasse l'opera della cognata, attirandosi na-
turalmente per quell'approvazione, e più per il motivo
che gliela dettava, i fulmini di donna Ferdinanda e
di don Blasco. Questa ragione era d'indole tutta poli-
tica. Il barone Palmi, padre di Matilde, liberale d'an-
tica data, aveva preso alla rivoluzione del Quarantotto
una parte cosi attiva che, dopo la restaurazione, colpito
da una condanna capitale, s'era rifugiato a Malta, e
senza specialissime protezioni e solenni impegni di non
cominciar da capo, quell'esilio, invece di pochi mesi,
sarebbe durato quanto la sua vita. Nondimeno, graziato
ed ammonito, egli ricominciò a dirigere nel suo paese e
in quasi tutta la Sicilia il movimento contro il regime
borbonico. Ora, queste sue opinioni politiche è questa
sua autorità nell'ancor vivo partito liberale, furono le
ragioni per cui il duca vide bene il matrimonio della
figliuola di lui con Raimondo.
Fino al Quarantotto, il duca, come tutti gli Uzeda,
era stato borbonico per la pelle. Ma quantunque, come
secondogenito e duca d'Oragua, avesse avuto qualcosa
di pila del magro piatto ed alcuni zii materni avessero
contribuito ad imipinguare il suo appannaggio, pure
egli aveva un' invidia del primogenito e una smania
d'arricchire e di farsi valere nel mondo più grande di
quella dei fratelli, giacché la sua dotazione svegliava
ma non appagava i suoi appetiti. Mentre era durato il
fedecommesso, i cadetti avevano sopportato con di-
screta rassegnazione il loro stato miserabile, non po-
tendo dar di cozzo contro la legge ; ora che i primo-
— I04 —
geniti erano preferiti per un' idea che al soffio dei nuovi
tempi pareva pregiudizio, l' invidia li rodeva. Per questo
sentimento che aveva fatto di don Blasco un energu-
meno, e alimentato 1^, cupidigia di don Eugenio, il
duca aveva dato ascolto alle lusinghe dei rivoluzionarli,
ai quali premeva di trarre dalla loro un personaggio
importante come il duca d'Oragua, secondogenito del
principe di Firan'calanza. Egli non cessò per altro dal
far la consueta corte all'Intendente, a fine di prepa-
rarsi un paracadute nel caso di possibili rovesci ; asso-
ciossi al Gabinetto di lettura, covo dei liberali, senza
lasciare il Casino dei Nobili, quartier generale dei
puri, e insomma si destreggiò in modo da navigar
tra due acque. Al primo scoppio della rivoluzione, la
paura fu più forte : dichiarando ai suoi nuovi amaci
che il m.oto era impreparato, inopportuno, destinato im-
mancabilm.ente a fallire, mentre la gente s'armava e si
batteva egli se la battè in campagna, e fece sapere
ai capi del partito regio che aspettava la fine di quella
« carnevalata. » Però la « carnevalata » promise di du-
rare ; i soldati napolitani sgombrarono la Sicilia, e quan-
tunque s'annunziasse ogni giorno il loro ritorno, non
se n'ebbe più né nuova né vecchia, e il Governo prov-
visorio si venne ordinando. Il duca, visto che non ne
andava la pelle, tornò in città, porse orecchio alle lu-
singhe del partito trionfante che, per averlo dalla sua,
gli prometteva tutto quel che desiderava. Egli stette an-
cora a vedere, tirò in lungo, consigliò prudenza, allegò
il bene del paese, le insidie, i possibili pericoli, dando
cosi un colpo al cerchio e un altro alla botte. Corto di
vista e presuntuoso per giunta, proprio mentre le cose
volgevano fatalmente al peggio, giudicò di potersi or-
mai gettare in braccio ai liberali. Stava già per ab-
bruciare i suoi vascelli e già assaporava i primi frutti
del favor popolare, quando un bel giorno il principe
di Satriano sbarcò a Messina con dodicimila uomini
per rimettere le cose al posto di prima. Il duca si stimò
perduto, e la nuova, più grande tremarella gli fece com-
— I05 —
mettere uno sproposito di cui più tardi ebbe a pentirsi :
mentre la città s'apparecchiava alla resistenza, egli
firmò con altri borbonici fedeli e liberali traditori una
carta in cui s' invocava la pronta restaurazione del
potere legittimo. Ai primi d'aprile, le compagnie della
miilizia siciliana che presidiavano Taormina sgombra-
rono all'apparire dei Regii e ritornarono a Catania; il 7
Satriano entrò in città dopo un sanguinoso combatti-
mento. Tutti gli Uzeda erano scappati alla Piana, il
duca s'era barricato alla Pietra dell'Ovo perchè era
opinione generale che i Napolitani si sarebbero presen-
tati dalla parte opposta, cioè dalla via di Messina.
Invece, essi spuntarono dalla strada del Bosco etneo,
prendendo, dopo brevi zuffe, i posti della Ravanusa e
della Barriera. Ora, giunto all'altezza della Pietra del-
l'Ovo, il generale borbonico entrò col suo stato mag-
giore nel podere degli Uzeda, dove il duca lo accolse
come un padrone, come un salvatore, come un Dio,
mentre i cannoni spazzavano la via Etnea, e le truppe
regie, ass'alite alla Porta d'Aci dal disperato battaglione
dei Corsi, decimate a colpi di coltello, nell'ora triste
del crepuscolo, da quel manipolo che si sentiva perduto,
inferocivano e distruggevano fin all' ultimo quei mille
uomini e sfogavano l' ira sulla inerme città Amico di
Satriano, protetto dalla firma posta a quell'atto di som-
missione che tra i liberali andò infamato col nome di
Libro nero, protetto ancora più dal 'SUO proprio nome,
perchè era impossibile che un Uzeda avesse potuto dire
sul serio mettendosi coi rivoluzionarii, il duca non solo
non soffrì molestie di sorta nella reazione, ma fu anzi
accarezzato. Invece, un sordo fermento si destò contro
di lui nel partito dei vinti. Gli apponevano quella firma
odiosa, ma più le accoglienze fatte a Satriano alia
Pietra dell'Ovo. L'affare della firma era conosciuto da
pochi, dai capi; la storia della Pietra dell'Ovo si dif-
fuse tra i gregarii e corse in mezzo al popolo ; ciascuno
v'aggiunse un po' di frangia, arrivarono a narrare che
mentre la città agonizzava, il duca guardava lo spet-
— io6 — ■
taccio col cannocchiale di Satriano; che all'entrata
del conquistatore in città g-li aveva cavalcato al fianco.
Don Lorenzo Giulente, rimastogli amico, ebbe un bel
difenderlo, smentire le esagerazioni, asserire che il duca,
solo ed inerme, non poteva mandare indietro il generale
seguito da un intero esercito : gli animi amareggiati dal
disinganno chiedevano un capro espiatorio; e come Mie-
roslawski, il polacco comandante della piazza, era stato
accusato di tradimento, cosi il rancore popolare si ro-
vesciò sul duca, quantunque mille più di lui lo meri-
tassero perchè di lui piia colpevoli. In fin dei conti, egli
non aveva preso né gradi, né stipendii, né appalti dalla
rivoluzione : era stato a vedere, aspettandone la riu-
scita ; m.entre tanti altri, dopo aver fatto gazzarra e il
mangia-mangia, si buttavano ai piedi dell' Intendente e
salutavano col cappello fino a terra nominando Sua
Maestà Ferdinando II « che Dio sempre feliciti ! » Que-
sto voleva dire il duca, in propria difesa ; questo diceva
Giulente ; ma cantavano ai sordi, e il duca si vedeva
segnato a dito, bollato col nome di traditore, insultato e
fin minacciato da lettere anonime. Un giorno l'amico
don Lorenzo gli consigliò di partire : solo la lontananza
e il tempo potevano avere virtù di far sbollire quell'odio.
Il duca non se lo fece dire due volte, e andò a Palermo.
Lì, il partito d'aziione, vinto egualmente, era tuttavia
meno depresso : le speranze non erano morte o comin-
ciavano a risorgere. Passata la paura che le ultime
vicende gli avevano messa in corpo, rinatagli in cuore
l'ambizione inappagata e mortificata, il duca prestò di
nuovo orecchio alle sollecitazioni dei liberali, anche per
dimostrare ai suoi cari concittadini che non meritava
il loro disprezzo. E quantunque non s'allontanasse dalla
consueta prudenza, e andasse ai conciliaboli rivoluzio-
narii come ai ricevimenti del Luogotenente generale del
Re, e tornasse insomma, con più prudenza, al giuoco di
prima, arrivò tuttavia a Catania la voce che egli era
nei comitati d'azione e in corrispondenza cogli emi-
grati, e che dava quattrini per la buona causa, e che
■IO/ —
soccorreva I patriotti perseguitati. Oltre la voce, arri-
varono anche i quattrini che egli mandava ai comitati
locali, comprendendo finalmente che quella era la buona
via ; che uno come lui, senza fede e senza coraggio,
non poteva far valere altri titoli se non i denari sonanti.
E frattanto gli animi placati vedevano meglio, rico-
noscevano i maggiori colpevoli, rivolgevano contro co-
storo l'odio col quale avevano prima perseguitato il
duca. Infine venne il matrimonio di Raimondo con la
Palmi ad assicurargli nuove grazie. Egli aveva cono-
sciuto il barone a Palermo, per mezzo degli agitatori
che questi veniva a trovare da Milazzo, in barba alle
autorità e col pretesto degli affari. Quando il duca seppe
del matrimonio divisato dalla principessa, s'affrettò
quindi non solamente ad approvarlo, ma anche ad of-
frirsi come mediatore, facendo valere l'amicizia che lo
legava al barone. Egli sentiva che quell'alleanza del
proprio nipote con la figlia dell'antico liberale non po-
teva se non favorirlo, aiutarlo a riacquistar credito
presso la parte che aveva tradita. Quanto alla princi-
pessa, borbonica come tutti gli Uzeda, il liberalismo dei
Palmi piuttosto che un ostacolo fu una ragione di più
che le fece combinare quel matrimonio. Prima di tutto
ella era borbonica d' istinto, ma non s'occupava di po-
litica, avendo altro da fare ; poi, come le era piaciuto
che la sposa non potesisc vantare una eccelsa nobiltà,
cosi vedeva bene che la famiglia di lei fosse persegui-
tata dal governo, affinchè Raimondo potesse meglio
imporsi, in tutti i modi, alla famiglia ed alla moglie.
Per le nozze del nipote, il duca tornò in patria. Erano
passati appena due anni dai fatti che gli avevanp valso
l'odio dei suoi concittadini e già egli potè vedere gli
effetti della lontananza e della sua nuova politica e del-
l'amicizia col barone Palmi e dell'adesione al matrimo-
nio di Raimondo. Mentre don Blasco e donna Ferdi-
nanda, in guerra a morte con la principessa, se la pren-
devano anche con lui per l'appoggio prestato alla co-
gnata e per la politica che gli dettava quel contegno,
— io8 —
e al colmo della rabbia lo vituperavano e per poco non
10 denunziavano alle autorità pel suo liberalismo, e poi
ne ridevano e quasi gli gettavano in faccia il tradimento
del 1849, '^ firma del Libro nero, l'amicizia di Satriano;
mentre suo fratello- e sua sorella facevano ciò, molti
di coloro che gli avevano tolto il saluto lo avvicinarono
e gli strinsero la mano ; altre paci furono facilmente
suggellate per m.ezzo di Giulente ; nessuno parve più
rammentare le storie passate. Nondimeno, il duca ri-
parti, se ne tornò a Palermo, un poco perchè aveva
preso gusto a starci, ma anche per confermare quelle
buone disposizioni.
Tornato in patria, adesso, per la morte della cognata,
egli era accolto quasi in trionfo, la gente traeva a luì
in processione. Non solo nessuno parlava più dei fatti
del 1849, vecchi di sei anni; non solo egli era consi-
derato come una delle speranze del partito ; ma il lungo
soggiorno alla capitale, la frequentazione dei maggiori
uomini palermitani gli conferivano improvvisamente
fama di grande dottrina. Egli citava le opinioni di Tizio
e di Filano, celebri patriotti « amici miei » — com.e,
don Eugenio aveva per amici i più gran signori napo-
litani ; — infarciva i suoi discorsi di citazioni erudite
di seconda e di terza mano, riesponeva a modo suo,
quasi pensate da lui, le teorie economiche e politiche
di cui aveva avuto qualche sentore nelle conversazioni
di Palermo : e la gente gli stava dinanzi a bocca aperta.
11 patriotta, è vero, riceveva visite dall' Intendente e le
restituiva, e non aveva scrupolo di mostrarsi in compa-
gnia dei più ferv^enti borbonici ; ma ciò non gli era
posto più a debito : bisognava fingere con l'autorità
per non destarne i sospetti, per comprenderne il giuoco.
Egli dava quattrini, non lasciava andare a mani vuote
chi gli chiedeva soccorsi. Don Blasco e donna Ferdi-
nanda lo vituperavano per tanto, ciascuno da canto
suo, con più grande violenza di prima; egli li lasciava
cantare, seguitava a giocare sulla carta della libertà
come il monaco sopra i numeri del lotto e la zitellona
— ■ iOCj
sul credito della gente. Come in politica si teneva bene
con tutti, così in casa non parteg-g-iava più per uno che
per un altro. \^edeva l'armeggio di don Blasco per sol-
levare i nipoti defraudati, sapeva le ragioni che milita-
vano per essi; ma vedeva ancora la ciera accigliata del
principe, udiva le sue amare lagnanze pel « tradi-
mento )) che gli aveva fatto la madre : perciò stava al
bivio, dava ragione un po' a tutti : al principe che gli
offriva ospitalità e lo trattava con deferenza, a Lucrezia
che amando e sposando il nipote del cospiratore Giu-
lente, lo avrebbe aiutato ad entrar meglio nelle grazie
dei liberali.
IV.
— ' ^§"8"^ '^o^ s' mangia ?
Il principino moriva di fame. Da un pezzo l'era del
desinare non arrivava miai : un po' mancava il duca, un
po' Raimondo, un po' lo stesso principe; quel giorno
eran fuori tutti e tre, più Lucrezia e Matilde. E il
ragazzo era la disperazione di tutta la casa : correva
su e giù dalla cucina alla scuderia, dalle stalle al giar-
dino, inquietava la servitù vecchia e nuova intenta al
lavoro. Come don Blasco aveva annunziato al Babbeo,
tutti i servi protetti dalla principessa erano stati man-
dati via da Giacomo; invece i diseredati, quelli che per
aver favorito il figliuolo avevano meritato l'avversione
della madre, erano stati da costui riconfermati nel loro
posto. Due sole eccezioni aveva fatto il principe : una a
favore di Baldassarre e l'altra del signor Marco. Bal-
dassarre, figliuolo d'un'antica cameriera, allevato al pa-
lazzo e assunto giovanissim.o all' ufficio di maestro di
casa, sapeva fin da bambino il debole della famiglia, le
rivalità, le avversioni e le manìe; aveva perciò badato
esclusivamente al proprio servizio, lodando tutti i pa^
droni checché facessero o dicessero, tenendo in riga i
suoi dipendenti che osavano mormorare dell'uno o del-
l'altro. Per tanto madre e figlio l'avevano ben visto en-
trambi, e il legato della principessa non gli procurava
il congedo del principe. Quanto al signor Marco, lancia
spezzata della morta, molti si meravigliavano che il
figlio, da due mesi capo della casa, non se ne fosse an-
cora sbarazzato. Veramente, fin da quando la principessa
era caduta inferma, l'amministratore aveva mutato tat-
tica, prendendo con le buone il padrone nella previsione
di doverlo presto servire ; morta la madre, se non gli
aveva proprio lasciato rubare il numerario, come diceva
don Blasco, gli si umiliava certamente in tutti i modi.
Del resto, un procuratore come lui, che conosceva la
casia da quindici anni, che sapeva le condizioni delle
proprietà e lo stato delie liti, non si poteva surrogare
da un mo'mento all'altro.
— Non si mangia più ?... Che fate?... Voglio ve-
dere!... Perchè non allestite?... A me!
In cucina, tolto di mano a Luciano, il credenziere,
un coltello che questi stava nettando, il principino con-
tinuò egli stesso l'operazione.
— Vostra Eccellenza che fa mai !... — Il nuovo
cuoco, monsù Martino, non sapeva come prenderlo. —
Se ne vada di sopra, ci lasci lavorare.
— Levati di torno ! Voglio far io !
Bisognava lasciarlo fare. Se lo contrariavano, diven-
tava una furia : digrignava i denti, gridava come un
ossesso, rovesciava quanto gli capitava fra le mani. In
verità il principe educava severamente il figliuolo, non
gliene passava nessuna liscia; ma, da un'altra parte,
non scherzava neppure con le persone di servizio se
queste, messe con le spalle al muro e perduta la pa-
zienza, rispondevano male al padroncino. E giusto adesso,
dopo ja morte della principessa, il posto di cuoco, in
casa Francalanza, era divenuto più importante di prima.
Giacomo dava punti alla madre quanto a diffidenza e a
vigilanza : teneva tutte le provviste sotto chiave, voleva
conto delle cose più miserabili, degli avanzi, delle croste
— m — ■
d! pane; ma insomma la spesa gnornalicra, non con-
taado l'aumento per gli ospiti, era considerevole e il
trattamento piij lauto : mangiavano adesso quattro piatti;
mentre ai tempi della madre se ne facevano tre per lei
e per don Raimondo : gli altri dovevano contentarsi, nei
giorni ordinarli, d'una minestra e d'un po' dì carne
o di pesce. Anche quando Giacomo era diventato ricco
della dote della mogilie, la principessa, facendosi dare
dal figlio la sua parte di spesa, aveva continuato a or-
dinare a modo suo, e il principe, fedele al proposito di
mostrarsele obbediente, era rimasto zitto. Cosi pure
egli non aveva potuto eseguire nel palazzo le modifica-
zioni da lungo tempo disegnate ; morta donna Teresa,
prese finalmente le redini della casa, metteva ora ogni
cosa sossopra. S'udivano fino in cucina i colpi di pic-
cone dei muratori, il cigolio delle carrucole con le
quali issavano i materiali dalla corte al piano dì sopra ;
e i guatteri, occupati ad affettar patate e a sbatter uova,
scambiavano fra loro osservazioni su quei lavori :
— Levano la scala dell'amministrazione per guada-
gnare spazio
— Io non avrei chiuso un pezzo della terrazza.
— Il padrone però deve dar conto a suo fratello,
essendo eredi tutt' e due.
— Ma il palazzo è del principe ! Il contino ha un
solo quartiere
Il principino adesso non perdeva una parola del di-
scorso.
— Il contino scapperà subito fuori via.... Non è
fatto per star qui
Il lavoro delle salse li faceva tacere tratto tratto.
Luciano, con una strizzatila d'occhio, disse dopo un
pezzo al compagno :
— Ricomincia,-" eh ?
— Lascialo fare ! Quello è un vero signore !
E Luciano chinò il capo, in segno d'approvazione
ammirativa. Erano tutti pel conte, in cucina, come
nelle anticamere, come nelle scuderie; perchè il padrone
— 112 —
giovane non rassomigliava al maggiore, tanto era dolce
di comando e largo di mano.
— Signore davvero, di modi e di pensieri Non
come Vaìnico
— 'L'amico è volpe vecchia com'era Vamica....
— Che dite ? — domandò il principino.
— Niente, Eccellenza ! — rispose il cuoco ; e vòlto
ai dipendenti : — Lavorate ! — ingiunse — senza tante
ciarle —
— Ah, non vuoi dirmelo ?
— Ma che cosa, Eccellenza, se parlano cosi, a van-
vera ?
— Ah, non \'uol dirmelo ?
A un tratto, udendo una carrozza che entrava nel
cortile, Consalvo scappò a vedere.
Tornavano finalmente le zie Lucrezia e Matilde an-
date alla badia di San Placido. Il ragazzo, dimenticati
la cucina e il cuoco, corse a raggiungerle di sopra,
nelle camere della madre, per vedere se gli portavano
nulla.
La contessa Matilde gli diede infatti un cartoccio di
dolci ; ma la zia Lucrezia neppure gli badò, con tanta
animazione teneva un discorso alla principessa :
— Piangeva, capisci!... Abbiamo voluto parlare con
la badessa, che ci ha confermato ogni cosa ; è vero,
Matilde?... Che modo è questo!... Le messe per nostra
madre
— Sst....
La principessa fece segno alla cognata di tacere, per
riguardo del ragazzo.
— Mamma, oggi non si mangia più?... — domandò
costui.
— Se tuo padre non è ancora venuto!... Va', va' a
vedere se arriva.
Il principino comprese che lo mandavano via. A sei
anni, era curioso più di don Blasco. I maneggi dello
zio monaco, il continuo complottare che si faceva in
quella casa, avevano destato di buon'ora la sua atten-
— 113 —
zlone; dopo la morte della nonna s'accorgeva, dal con-
tegno dei parenti, dai discorsi dei servi, che l'avevano
con suo padre, chi per una ragione e chi per un'altra,
ma che nessuno ardiva prendersela direttamente con lui.
Egli com.prendeva tante altre cose : che la zia Ferdi-
nanda non poteva soffrire la zia Matilde ; che tra questa
e suo marito c'erano dissapori : comprendeva e taceva,
fingendo di non accorgersi di nulla, per non incorrere
nella collera di nessuno. Infatti, lo zio don Blasco dava
solenni scappellotti, la zia Lucrezia giocava anche lei
a pizzicargli il braccio, specialmente quando egli andava
a rovistarle la camera ; ma specialmente suo padre, sem-
pre burbero, gliene dava, alle volte, di quelle che rade-
vano il pelo. Per tanto egli non se la diceva molto con
lui, mentre invece non poteva stare lontano dalla
mamma. Donna Ferdinanda, veramente, gli usava molte
preferenze ; ma nessuno come la principessa scusava i di-
fetti del monello. Rabbrividendo, cadendo in convulsione
se qualcuno le si metteva troppo dappresso, ella vinceva
la manìa dell' isolamento soltanto per amore dei figli,
si stringeva al petto e baciava furiosamente il suo
Consalvo anche quando non era troppo netto, e con
tanto maggior impeto quanto più si difendeva da ogni
altro contatto. Da un pezzo, nata la sorellina Teresa,
le carezze non erano tutte per lui ; nondimeno, solo la
principessa riusciva ad ottenere qualche cosa da Con-
salvo con le buone, per amore.
— Va', va' a vedere se il babbo è tornato....
Il principe Giacomo rientrava in quel momento. Aveva
una ciera più aggrottata del solito, e neppure salutò,
entrando; Lucrezia ammutolì, alla sua vista. Egli do-
mandò se il duca era rincasato, e udendo che no, diede
ordine che servissero in tavola appena giunto lo zio. Poi
se ne andò a chiudersi nel suo scrittoio col signor Marco.
Consalvo restò un poco senza saper che fare, esitando
tra il ritorno in cucina e una visita ai manovali. Invece,
visto che la zia Lucrezia riprendeva a parlare con la
mamma, sali nella camera di lei. Gli aveva proibito di
De Roberto. I Viccri - I n
^ 114 —
entrarci perchè adesso studiava il disegno d'acqua-
rello e non voleva toccate le sue cose, specialmente pel
pericolo che scoprissero le lettere di Benedetto Giulente ;
invece, i pezzi di colore, i piattelli da stemperare, i pen-
nelli, la gomma, facevano gola al ragazzo. E nessuna
raccomandazione o minaccia serviva a Lucrezia ; se re-
clamava, le toccavano soprammercato i rimproveri del
fratello diventato intrattabile dopo la lettura del testa-
mento; talché il monello, quando carpiva l'occasione,
faceva man bassa in camera della zia. Salito dunque
lassìi, a quell'ora che era sicuro di non essere sorpreso,
il principino cominciò a rovistare sul tavolino, in mezzo
ai disegni, nella cartiera, nel comodino. Dov'erano na-
scoste le cose del disegno ? Forse nelle cassette più
alte di quell'armadio, dov'egli non arrivava. Intanto,
dal cortile, s' udì la campana che annunziava l'arrivo
del duca. Egli continuò a guardarsi intorno, a cercare
febbrilmente sotto il letto, sotto l'armadio, nella spec-
chiera. Questa era ima piccola tavola ricoperta di tela
ricamata : sollevatone un lembo, apparve la cassetta.
LI dentro, in mezzo a vecchi pettini, a scatolette vuote
di pasta di mandorle, c'era un fascio di carte annodate
con un mastro rosso. Consalvo disfece il nodo e sciorinò
le lettere. Improvvisamente Lucrezia apparve sull'uscio.
— Ah!... — gridò, e slanciarsi sul nipote ed allun-
gargli un ceffone fu tutt' uno.
Il ragazzo cacciò uno strillo così acuto, come se lo
stessero scannando.
— T'ho detto mille volte di non toccare le cose mie !
Non è possibile serbare piij nulla ! Sono ridotta come
se fossi in piazza
Accorse Vanna, la cameriera, agli urli disperati, ma
aveva appena cominciato j « Signorina lo lasci an-
dare )) che apparve iil principe.
— E per questo alzi le mani sul bambino?
— Se non posso essere ubbidita!... Se non sono
padrona di serbare uno spillo !...
Egli sollevò Consalvo da terra, lo prese per mano e
disse, lentamente, guardandola bene in viso :
— • ii5 —
— Un'altra volta, se t'arrischi di toccare mio figlio,
ti piglio a schiaffi ; hai capito ?
Ella rimase un imoniento come stordita. Visto uscire
il fratello, corse a un tratto alla porta, la chiuse sbat-
tendola violentemente e non rispose piia a nessuno dei
servi che venivano a chiamarla pel desinare. Dovè sa-
lire il duca a scongiurarla di aprirgli ; alle raccomanda-
zioni, alile ammonizioni dello zio, finalmente proruppe :
— E che pazienza ! Sono due mesi che mi tratta
così !... Perchè l'ha con me? Pel testamento di nostra
madre? Fa' cosi per giocar di prima? Ha dunque ra-
gione lo zio don Blasco ?... Ha sentito, ha sentito Vostra
Eccellenza, che ha fatto adesso ?
— Che ha fatto?
— Non vuol riconoscere il legato alia badia di San
Placido!... Abbiamo trovato Angioilina che piangeva e
la badessa che gettava fuòco e fianiime !... Vuol far lui
tutte le carte, e ci tratta poi cosi, d'alto in basso, per
avvilirci tutti quanti...
— Piano!... Basta, per ora — il duca tornava
a raccomandarsi, per amor deflla pace. — Basta!...
Vieni a desinare, per ora Ti prometto che poi gli
parlerò io....
Raimondo non era ancora rientrato quando tutta la
famiglia, con l'assistenza di don Mariano, prese posto
a tavola. Lucrezia aveva gli occhi ancora rossi, teneva
il capo chino, non diceva una parola ; ma il principe,
fattosi improvvisamente sereno in vista, rivolgeva cor-
tesie allo zio duca. Tutti i giorni cosi : dopo lunghe ore
di mutria, di silenzio, di voltate di spalle al sopravve-
nire dei fratelli e delle sorelle e più della cognata Ma-
tjjtìe, egli smetteva a tavola la ciera accigliata, per
corteggiar lo zio. Non era la prima volta che il desinare
cominciava senza Raimondo, e al malumore di Lucrezia
faceva riscontro, quel giorno, un pensiero molesto sulla
fronte di Matilde.
Non le facevano festa, in quella casa. Il principe,
— ii6 —
donna Ferdinanda, don Blasco, un po' anche la cugina
Graziella, dovevano trovare in lei colpe imperdonabili,
se la punzecchiavano assiduamente, se la trattavano
senza riguardi ; ma ella perdonava le mancanze di ri-
guardo e gli sgarbi fatti a lei; non soffriva quelli che
toccavano a suo marito. Forse era questa la sua grande
colpa: l'amore che portava a Raimondo!... Lo amava
fin da quando lo aveva visto, da prima ancora ; fin da
quando, fidanzata per lettera a quel conte di Lumera
del quale suo padre, superbo d' imparentarsi coi Viceré,
le faceva lodi senza fine, ella aveva lavorato con la
fantasia a rappresentarselo bello, nobile, generoso, ca-
valleresco come un eroe dei Tasso o dell'Ariosto. E la
realtà aveva superato le sue stesse immaginazioni ; tanto
era fine, lo sposo suo, e leggiadro, ed elegante, e splen-
dido; ed ella che non aveva conosciuto da vicino altri
uomini, che s'era nutrita unicamente di sogni, di poesia,
di fantasia alta e pura, gli aveva dato tutta l'anima, per
sempre ; lo aveva amato ancora nei suoi cari e idola-
trato nella figlia nàtale da lui. Ella non aveva altra
idea della vita che quella espressa dalla vita sua propria,
semplice e piana, tutta trascorsa in mezzo alla sorel-
lina Carlotta, alla mamma loro, soave ed amara ricor-
danza, ed al padre, uomo di passioni estreme, amico o
nemico fino lalla morte degli altri uomini, ma cieco e
folle d'amore per le sue figlie Mentre ella adesso si
voltava ogni tratto a guardar l'uscio della sala con
l'ansiosa aspettativa dell'arrivo di Raimondo, la scena
che aveva dinanzi le rammentava, con un effetto di vivo
contrasto, un'altra indelebilmente fitta nella sua me-
moria. La sua memoria le rappresentava il desco fami-
liare, nella grande stanza da pranzo della casa paterna,
a Milazzo : la mamma, la sorella, ella stessa intenta ai
racconti del padre, sorridenti con lui, con lui tristi o
dolenti ; il padre tutto loro, coi pensieri e con le opere ;
e un costante e quasi superstizioso rispetto per le an-
tiche abitudini, e una pace patriarcale, un amore reci-
proco, una confidenza assoluta. Se ella si guardava ora
— 117 —
intorno, che vedeva ? La principessa timida e paurosa
dinanzi al marito; il ragazzo tremante a un'occhiata
del padre, ma superbo dell'umiliazioine inflitta alla zia;
Lucrezia e il fratello ancora freddi e sospettosi l'uno
verso l'altra; il principe ostentante il buon umore col
duca dopo una giornata d'accigliato silenzio Ella
neppure so^spettava le passioni che dividevano quella
famiglia, il giorno che vi era entrata come in un'altra
famiglia sua propria : tanto più grande era stato il
suo stupore, il suo dolore, nel vedere di che sordo astio
la ripagavano. Giudicavano, certo, che fosse indegna
di Raimondo perchè a lui inferiore : e nessuno quanto
lei stessa lo poneva tanto alto ; ma non le aveva giovato
sentirsi e farsi umile dinanzi a lui e ad essi : l'astio
non s'era placato. Allora ella aveva cominciato a com-
prendere le particolari passioni che, oltre all'orgoglio,
animavano ciascuno di quegli Uzeda duri e violenti
La madre di Raimondo, per idolatria del figlio, era
gelosa di lei : riuscita ad ammogliarlo, ad assicurargli
la dote, aveva umiliato la nuora, facendole sentire fin
dal primo giorno la sua mano di ferro perchè, più d'ogni
altro, ella stesse sommessa dinanzi al beniamino; ma
la sommessione idolatra, il cieco affetto della sposa,
togliendole ogni pretesto d' incrudelire su lei, mettendo
nuova esca al fuoco della sorda gelosia materna, l'aveva
resa implacabile. Il fratello maggiore, non perdonando
a Raimondo i suoi privilegi, non potendo rassegnarsi
alla concorrenza che la famiglia dì lui faceva alla propria,
rovesciava il suo rancore sulla cognata. Tutti gli altri
erano stati senza pietà per l' intrusa, o in odio alla
principessa che l'aveva voluta in quella casa o in odio
a Raimondo che la madre proteggeva. Cosi ella s'era
vista bersaglio di quei parenti ai quali era venuta con
animo confidente e cuore affezionato ; e lo scoprire che
il loro astio era tanto acre contro di lei quanto contro
Raimondo, invece di attenuare aveva inacerbito la sua
pena; poiché perduta d'amore pel marito, ella soffriva
e gioiva in lui e per lui.... In quello stesso momento
— ii8 —
che il principe pareva 'non veder la cognata o, se vol-
gevasi dalla sua parte, smessa a un tratto la ciera gio-
conda, le mostrava un viso contegnosamente chiuso,
peggio che ;se fosse una estranea, ella non soffriva
tanto di quell'ostentata freddezza, quanto della trascu-
ranza da tutti dimostrata verso suo marito. Il desinare
progrediva come se egli non dovesse venire più, nes-
suno chiedeva di lui, Lucrezia teneva ancora il capo
chino sul desco, la principessa badava a suo figlio, il
principe parlava dello stato delle campagne, dei prezzi
delle derrate, dei pericoli del colera ; il duca discuteva
della guerra d'Oriente; e solamente un estraneo, don
Mariano, diceva tratto tratto :
— E Raimondo?... Non si vede più!... Che gli è
successo ?
Allora, come per virtù dell'eco, quella domanda si
rlpercoteva nel pensiero di lei : « Non si vede più !....
Che gli è successo?...» Perchè mai tardava tanto?
Perchè la lasciava sola tra quegli estranei indifferenti
od ostili ?
— I Russi resistono ancora un osso duro da ro-
dere.... Napoleone ne seppe qualcosa —
Di nuovo assorta in pensieri più gravi e molesti, ella
udiva brani di frasi, parole di cui non afferrava il senso.
Da quanto tempo la lasciava sola, Raimondo ! Da
quanto, da quanto!... Ella rammentava assiduamente
la prima pena che le aveva inflitta, tanto tempo addie-
tro. Buono con lei nei primi tempi del matrimonio, du-
rante il viaggio di nozze ed il soggiorno di Catania,
appena giunto a Milazzo dove erano andati per affari,
per vedere il padre e la sorella di lei, egli aveva dichia-
rato di non aver preso moglie per vivere in quella bi-
cocca, per incappare nella tutela del suocero dopo essere
uscito da quella della madre Certo, ella non credeva
che la vita nella sua cittadetta natale potesse allettarlo
molto ; certo, lo avrebbe seguito dovunque gli sarebbe
piaciuto condurla; nondimeno quel brusco giudizio in-
torno a cose e persone care al cuor suo le aveva prò-
— iig —
curato un senso d'angustia indimenticabile. Egfli voleva
lasciare per sempre la Sicilia, andarsene a vivere a
Firenze; né la contraria volontà della madre gli era
d'ostacolo; alla moglie, che per non discostarsi troppo
dai suoi gliela rammentava esortandolo ad obbedirla,
rispondeva bruscamente : « Lasciami fare a modo mio ».
Ed ella, si, aveva riconosciuto le sue ragioni. La Si-
cilia, la Toscana, qualunque parte del mondo dove sa-
rebbero stati insieme felici, non doveva esser tutt'uno
per lei ? Il dispotico divieto della suocera poteva avere
maggior peso per lei del desiderio del marito? E quel
desiderio non era forse legittimo ; il suo Raimondo non
era chiamato a figurare in mezzo alla società più eletta
di una grande città? Giovani e ricchi, non sarebbero
stati dovunque segno all'invidia di tutti?... Ed ella
non aveva perseverato nei tentativi di resistenza anche
per un'altra ragione, più grave. Raimondo, del quale
perdonava, anzi voleva ignorare i modi un po' bruschi,
r insofferenza della contraddizione, tutti i piccoli difetti
di un figliuolo troppo vezzeggiato, si mostrava qual
era anche col suocero. Il carattere di costui essendo
pure molto forte, un dissenso poteva sorgere da un
momento all'altro. Sulle prime, il barone aveva fatto
una vera festa al genero, trattandolo quasi come la
principessa, sedotto anche lui dalla grazia fine Idei
giovane, inorgoglito dalla fortuna di essersi imparentato
coi Francalanza; ma Raimondo aveva risposto a tante
prevenzioni zelanti, a tante cure affettuose mostrandosi
malcontento di tutto, in quella casa ; ripetendo ogni
quarto d'ora : « Come isi fa a vivere qui?... » Il barone
aveva da lui la procura per amministrare le proprietà
date alla figlia, e in questa amministrazione intendeva
seguire i criterii e i sistemi antichi, dei quali sapeva
la bontà ; Raimondo invece, per occupar gli ozii di Mi-
lazzo, quando non passava le intere giornate giocando
al casino con gli scapati presto conosciuti, si faceva
render conto dal suocero dei suoi provvedimenti, per
biasimarli, per sug-gerir quelli che, a suo giudizio, bi-
sognava adottare. In questa materia, egli dimostrava
un'assoluta ignoranza degli affari, una stravaganza di
concetti molto simile a quella del fratello Ferdinando :
il barone ne rideva, egli se l'aveva a male. Le parti
s'invertivano quando il barone gli chiedeva conto del-
l' impiego dei capitali dotali : allora egli biasimava certe
operazioni bislacche del genero, e questi dichiarava al
suocero che non ci capiva nulla. Spesso, in quei dibat-
titi, alle uscite vivaci di Raimondo il barone faceva un
visibile sforzo per contenersi, per non dargli sulla voce;
allora Matilde interveniva, mutava soggetto al discorso,
componendo il lieve screzio coi sorrisi prodigati egual-
mente alle due persone che più amava al 'mondo. Il
suo grande dolore fu perciò nell 'accorgersi che, se
voleva vederle in pace, le conveniva evitare che stes-
sero a lungo insieme. Decisa cosi a secondare il de-
siderio del marito, ella lo aveva seguito a Firenze, ma
quest'ultima risoluzione di Raimondo era stata causa
della più viva opposizione del barone che voleva vicina
la figlia e, giudicando troppo costosa la stabile dimora
in una grande città, consigliava piuttosto brevi viaggi.
Raimondo gli aveva risposto seccamente che quel con-
siglio era stupido, perchè i viaggi appunto costano
un occhio del capo ; e lasciando in asso il suocero aveva
dichiarato alla moglie, con brutte parole, troppo dure,
ingiuste anche, di non voler più soffrire l' ingerenza
di lui negli affari proprii. Allora, per vincere l'opposi-
zione del padre, ella aveva dovuto ricorrere all'espe-
diente di cui s'era avvalsa tante volte, bambina : dirgli
che il disegno di vivere un pezzo in Toscana era caro
a lei stessa e pregarlo di farla contenta —
— Quattrini e vite sprecate!... La guerra a tanta
distanza !...
Mentre il duca continuava a sviscerare la questione
d'Oriente ed a proporre combinazioni diplomatiche, tutti
si volsero verso 1' uscio d'entrata. La contessa sussultò,
sperando che fosse suo marito; s'avanzava invece ceri-
moniosamente don Cono Canalà : « Sia prò a eia-
scoino!... Ma non veg"gio il contino?... » Cosi, cosi a
Firenze, in una città dove, non che un parente, non
aveva da principio neppure una conoscenza, ella era
rimasta lunghissime ore, tanti e tanti g-iorni, ad aspet-
tarlo invano. Lì aveva pianto le sue prime lacrime,
quando s'era vista trascurata; li s'era (nascosta per
piangere, giacché egli o la derideva per quella « stu-
pida » affezione, o dichiarava di non voler essere « sec-
cato... » Avevano un modo radicalmente diverso d'in-
tender la vita : mentre ella metteva innanzi tutto l'affetto
di suo marito e le gioie della famiglia, e non desiderava
se non prolungare al fianco di Raimondo, sia pure in
altri luoghi, l' ineffabile felicità domestica provata da
fanciulla ; il giovane viziato dalle preferenze della madre
e finalmente uscito dalla sua 'ferrea tutela, aspirava
unicamente ai liberi piaceri mondani. E per questo, di-
cendo a sé stessa che egli aveva il diritto di divertirsi,
che non faceva poi nulla di male, che i gusti delle per-
sone sono naturalm.ente diversi, ella aveva represso il
proprio dolore, si era persuasa del proprio torto. Quasi
premio di questa sua rassegnazione, aveva finalmente
provato le ineffabili gioie della maternità, e allora, come
per incanto i tempi felici della luna di miele parve tor-
nassero, tra perchè Raimondo divenne veramente mi-
gliore, tra perchè ella stessa, assorta in soavi pensieri,
in cure minute, pose meno mente alla vita di lui. Al
padre che la raggiunse in quell'occasione, ella potè mo-
strare un viso raggiante di gioia ; felice con lei, il ba-
rone dimenticò interamente le piccole liti avute col
genero, tornò a volergli bene come ai primi tempi
Tutti aspettavano un maschio, tranne lei stessa che,
se avesse osato contrastare i desiderii altrui e far diffe-
renze tra i figli, avrebbe preferita una bambina. Una
bambina nacque infatti, e quando si trattò di battez-
zarla, quantunque ella e il padre avesisero desiderato
chiamarla come la loro cara perduta, riconobbero tut-
tavia la convenienza di darle il nome della principessa.
Rammentava forse più la madre felice i trattamenti
— • 122
Sgraziati della suocera e deHa parentela ? Quell'angio-
letto venuto a ristringere il nodo che la univa a Rai-
mondo, a dissipare le nubi che minacciavano il suo
bel cielo, non parlava unicamente di pace e d'amore?...
Ahimè ! Più presto che non credesse, ella s'era accorta
del proprio inganno. Già da quando erano venuti a Fi-
renze, la suocera non le aveva più scritto, né risposto
alle sue lettere, né accennato a lei nelle lettere che man-
dava al figliuolo. Il silenzio continuò durante la gravi-
danza, e dopo il parto comprese anche ,la bambina.
Quando Teresina fu svezzata, Raimondo deliberò di
fare una corsa in ^Sicilia ; e da quel viaggio ella ripro-
metteva-si la fine dell' incomprensibile rancore della
principessa; invece, ella ricominciò a piangere allora
Donna Teresa Uzeda, * non potendo prendersela con
Raimondo per il trasferimento nella remota Toscana,
ne aveva rovesciato la colpa sulla nuora ; la sua gelosia
e il suo odio si erano raddoppiati, le facevano una colpa
perfino della nascita della bambina !... Come dimostrare
a quella s-pietata il suo torto ? Come persuaderla che
suo figlio, contro il piacere di tutti, aveva voluto a
forza fare quel che si era proposto ? Ingenuamente,
il barone non aveva detto che Raimondo era andato a
Firenze per far piacere a Matilde?... Ella aveva cosi
apprestato, senza saperlo, una nuova arma alla suo-
cera; per ottenere l'accordo fra il marito ed il padre,
aveva scatenato quella furia contro sé stessa....
— • La zia di Vostra Eccellenza !
Annunziata dal maestro di casa, mentre il desinare
stava iper finire, entrava adesso donna Ferdinanda.
Tranne il duca, tutti si levarono; la contessa con gli
laltri ; ma la zitellona salutò tutti fuorché quest'ultima.
Pochi minuti dopo .sopravvenne don Blasco che per
tutto saluto disse : « Ancora a tavola ?» e non parve
neppure accorgersi di Matilde... Che era mai, pensava
ella, la ostentata trascuranza di costoro, a paragone
della guerra mossale, anni addietro, dalla principessa ?
Non era bastato farsi da parte, non esprimer mai vo-
— 123 —
lontà, né desidera, né opinioni : l'odio aveva trovato
sempre ragioni di sfogarsi. Esso riversavasi ancora
contro r innocente bambina che aveva il doppio torto
d'appartenere al sesso disiprezzato e d'esser nata da
quella madre; e poiché, rassegnata personalmente a
quei trattamenti, la madre sanguinava agli sgarbi fatti
alla sua creatura, la principessa s'era messa a perse-
guitare con speciale accanimento la nipotina. Rai-
mondo pareva non accorgersi di nulla, l'abbandonava
pili a lungo che a Firenze, non credendo di lasciarla
sola poiché ella restava « in famiglia ; » e il tormento
di quella vita era divenuto in breve cosi acuto, che
ella aveva sospirato il momento di tornarsene alla so-
litudine almeno tranquilla della sua casa di Firenze
— Dov'è quell'altro?... — domandò di botto don
Blasco, sbuffante alle elucubrazioni politiche del fra-
tello duca.
« Quell'altro » doverva essere Raimondo; tutti lo
compresero, rispondendo che non s'era ancor visto,
che forse era rimasto a desinare da qualche amico. '
— Avrebbe potuto avvertire — osservò il prin-
cipe.
E quantunque quell'osservazione fatta con tono se-
vero, senza riguardo per lei che era sua moglie, ferisse
Matilde, un'altra voce ora le diceva: «È vero! Fla
ragione !... » Ella stessa, tornata a Firenze, in quel-
l'asilo che le era parso di pace e di felicità, non aveva
forse pensato cosi, quando, aspettando lungamente, di
giorno e di notte, il ritorno di Raimondo che la la-
sciava ormai quasi sempre sola, s'era sentita strug-
gere d'ambascia e di paura, non sapendo che cosa
gli fosse accaduto, temendo sempre, con l'inferma
imaginazione, pericoli e disgrazie ? Suo marito, invece,
non voleva renderle conto della propria vita, quasi
fosse ancora scapolo, quasi ella non avesse nessun
diritto su lui, quasi la loro bambina non esistesse !
Quella figlia che doveva ancora più stringerli insieme,
che per lo meno doveva essere, nel dolore, il gran
— 124 —
rifugio della madre, non solo pareva non dir nulla
al cuore di Raimondo, ma mon bastava neppure a
confoi'tare lei stessa, poiché ella non poteva più scu-
sare come nei primi tempi la condotta sempre più
sfrenata del marito, poiché non ignorava più che egli
la trascurava per altre donne, e poiché questa 'scoperta
le faceva a un tratto sentire il coltello della gelosia
Ancora una volta, le passate sofferenze le erano parse
nulla, paragonate a queste altre. Ella lo amava più
che mai d'amore, per gli stessi difetti che gli aveva
perdonati, per tutto quel che le costava; e le nuove,
più brusche, più aperte dichiarazioni con le quali egli
respingeva le preghiere di lei e derideva le sue lacrime
e le faceva quasi uma colpa dell'amiOr suo, la strin-
gevano a lui sempre più. No, sua figlia non le ba-
stava, la creaturina non poteva consolarla, nessuno
al mondo poteva consolarla, òlla doveva perfino na-
scondere le proprie torture al padre, scrivergli che
era contenta e felice, perché egli non venisse a chie-
der conto a Raimondo di quella condotta, perché tra
quei due uomini non scoppiasse la guerra!... E an-
cora una volta ella s'era messa a sperare nel ritorno
in Sicilia ; la terribile casa degli Uzeda le parve ancora
una volta un'oasi, non avendovi almeno conosciuto il
sospetto roditore come un verme. Quando da Catania
scrissero a Raimondo di venir presto a casa, quando
la stessa madre moribonda lo chiamò, ella fece di
tutto per indurlo a partire ; ma vedendolo, sordo alla
voce, della morente, sordo alle stesse ragioni dell'inte-
resse, restare a Firenze, l'angoscia di lei s'era esa-
cerbata, tanto aveva dovuto credere potenti le ragioni,
i legami che lo trattenevano.... Giusto in quei giorni
le sue viscere avevano avuto un nuovo fremito ; ella
era madre un'altra volta — fredda, cattiva madre, se
non tripudiava a quella scoperta ; ma come avrebbe
potuto gioirne, quando il padre della sua creatura
le cagionava tanta tristezza; quando, all'annunzio della
nuova paternitc<, egli restav^a indifferente e quasi fasti-
— 125 —
dito come per una nuova molestia?... Repentinamente,
giunto il dispaccio che annunziava la morte della prin-
cipessa, erano partiti, ed ella aveva tratto liberamente
il respiro, chiedendo perdono al Signore della gioia
che provava per causa d'una morte; ma l'implacata
avversione dei parenti l'affliggeva ancora una volta
come prova della insospettata malvagità umana ; e
adesso che Raimondo, senza rispetto per la memoria
della madre, faceva ciarlare tutta la città con la sua
vita sbrigliata, ella domandava tra sé, con lungo scon.
forto : «Quando, dove avrò pace?... »
Il desinare era già finito e Lucrezia, la principessa
e Consalvo s'erano già levati di tavola, quando Rai-
mondo rientrò. Mostrava di esser molto allegro e d'aver
buon appetito. Alla domanda del duca, rispose che gli
amici lo avevano trattenuto, che non s'era accorto
dell'ora tarda. •
— Del resto, qui desinate spaventevolmente presto!
Nei paesi civili non si va a tavola prima dell'ave !
Il principe non rispose. Alzandosi da tavola m.entre
il fratello divorava la minestra serbata in caldo,
disse al duca :
— Zio, vuol venire un momento con me ? — e lo
condusse nel suo scrittoio.
Stava di nuovo suU' intonato, come se dovesse sti-
pulare un trattato. Chiuso a chiave l'uscio della stanza
precedente, offerta una poltrona allo zio, rimasto egli
stesso in piedi, cominciò :
— Vostra Eccellenza mi scusi se la disturbo dopo
tavola, ma dovendo parlare di affari importanti e non
volendo portarle via il suo tempo —
— . Ma che!... — fece il duca, interrompendo il
preambolo. — Tu non mi disturbi affatto Parla,
parla pure — e accese un sigaro.
— Vostra Eccellenza può vedere ogni giorno — ri-
prese il principe — che vita fa Raimondo, e come,
invece di darmi una mano a sistemar gli affari della
successione, pensi a divertirsi lasciando tutto sulle mie
120
spalle. Parlargli d' interessi è inutile : o non mi dà
retta, o non capisce.... o finge di >non capire.
Il duca approvava con un cenno del capo. Tra sé,
giudicava veramente un po' strane quelle lagnanze del
nipote, che non avrebbe dovuto esser poi tanto scon-
tento se il fratello non s' impacciava nelle questioni
dell'eredità e lo lasciava libero di fare a sua posta.
E se Raimondo mostrava poca premura di partecipare
agli affari, il fratello maggiore non ne aveva mostrata
pochissima di renderne conto al coerede ed ai legatarii ?
Non era forse quella la prima volta che egli teneva a
qualcuno della famiglia un discorso di quel genere?
— . Ora — continuava frattanto Giacomo — io credo
prima di tutto conveniente, nell'interesse comune, che
la divisione si faccia ail più presto ; in secondo luogo
bisogna che tutti sappiano ciò che ho saputo in questi
giórni io stesso
— ■ Che cosa ?
— Una bella cosa ! — esclamò, con un sorriso ama-
rissimo. E dopo una breve pausa, quasi a preparar
l'animo dello zio alla dolorosa notizia : — L'eredità
di nostra madre è piena di debiti....
Il duca si cavò il sigaro di bocca, dallo stupore.
— Vostra Eccellenza non crede ? E chi avrebbe po-
tuto credere una cosa simile ? Dopo che abbiamo sen-
tito tanto lodare, da tutti, il modo ammirabile tenuto
dalla felice memoria nel mettere in piano la nostra
casa? Invece, c'è un baratro!... Fino all'altr'ieri, non
sospettavo ancora nulla. È vero che nei primi giorni
dopo la disgrazia, ebbi avviso di alcuni piccoli effetti
sottoscritti da nostra madre, i possessori dei quali,
durante la malattia, avevano pazientato oltre la sca-
denza; ma credevo naturalmente che fossero infime
somme, di quei debitucci che tutti, in certi momenti,
anche i più facoltosi, hanno bisogno di contrarre. Po-
tevo sospettare che invece sono migliaia e migliaia
d'onze, e che ogni giorno spunta un nuovo creditore,
e che se con4;inua di questo passo, il meglio dell'ere-
dità se n'andrà in fumo?...
-.127—
— Ma il slgfnor Marco
— Il signor Marco — riprese il principe senza dar
tempo allo zio di compiere l'obbiezione — ne sapeva
meno di me ed è più sbalordito di Vostra Eccellenza.
Vostra Eccellenza sa bene che carattere avesse la fe-
lice memoria, e come facesse in tutto di suo capo, e
si nascondesse non solamente da coloro che dovevano
essere i suoi naturali confidenti, ma da quegli stessi
nei quali aveva riposto fiducia — Il signor Marco non
ha notato nel suo scadenziere neppure la decima parte
delle somme di cui adesso siamo debitori. Io non so
che pasticci ci sieno sotto. S'imagini che esistono
effetti scaduti da tre, da quattro anni, e anche da
cinque!... Le confesserò che, sul principio, ho temuto
d'esser vittima, con tutti gli altri, d' una truffa spa-
ventevole, d'aver a fare con un'associazione di falsarli.
Ho do^'^lto ricredermi : le firme sono li, autentiche.
Debbo dunque supporre che il sistema di ricorrere al
credito, di cui la felice memoria faceva una colpa tanto
grave a nostro nonno, non Je dispiacesse poi troppo
E il peggio è di non poter sapere fin dove si estende
il marcio! E questa è la famosa amministrazione di cui
abbiamo sentito tante lodi.... Ma dice che dei morti
non si deve parlare — e basta !... Ora ,io ho voluto in-
formare Vostra Eccellenza, prima di tutto perchè era
questo lil mio dovere ; secondariamente perchè Vostra
Eccellenza ne tenga parola a Raimondo. Se questi de-
biti hanno da pagarsi, e pur troppo c'è poca speranza
del contrario, a ciascuno bisogna imputarne la sua
parte. Io vorrei anche pregare Vostra Eccellenza di
avvisare gli altri, perchè sappiano che i loro . legati
saranno anch'essi gravati in proporzione
Il duca ricominciò a scrollare il caipo, ma con espres-
sione diversa. I legatari! lagnavansi d'aver avuto troppo
poco; adesso bisognava dir loro che avevano anche
meno !
— Perchè non parli loro tu stesso? — suggerì al
nipote.
— 128 —
— Perchè ? — rispose il principe, col leggiero fa-
stidio di chi ode rivolgersi una domanda oziosa. — E
non sa Vostra Eccellenza come sono, qui in casa ?
Chiusi, sospettosi, diffidenti ? Crede Vostra Eccellenza
che io non mi sia accorto di certi maneggi, che non
abbia udito certe accuse sorde sorde?... Pare che l'ab-
biano tutti con me, specialmente quella testa pazza
di Lucrezia!... Anche oggi non ha fatto una scena?...
— No, no.... — interruppe il duca; — al contrario,
t'assicuro. Si lagnava anzi del contrario, che tu l'abbia
con lei, che non le parli imai
— Io ? E perchè dovrei averla con lei?... Non ho
parlato molto in questi giorni, è vero : ma come vuole
Vostra Eccellenza che avessi voglia di parlare, con
queste belle notizie? Perchè dovrei averla con lei, o
con altri ? Io ho pensato sempre ed ho detto che la
cosa principale, nelle famiglie, è la pace, l' unione,
l'accordo !... È colpa mia se questo non fu possibile
finché visse nostra madre ? Vostra Eccellenza sa come
fui trattato meglio, molto meglio non parlarne!...
Adesso, quantunque io sia stato spogliato, mi hanno
udito esprimere una sola lagnanza ? Ho detto primo di
tutti : la volontà dì nostra madre sarà legge ! Invece,
che cosa s'è visto? Mutrie a destra e a sinistra, Rai-
mondo che non vuole occuparsi d'affari quasi per pu-
nirmi d'avergli preso mezza eredità...
— No, per spassarsi — corresse il duca.
— Lo zio don Blasco — prosegui il principe, quasi
non udendo l'osservazione, — che ho sempre trattato
con rispetto e deferenza, come tutti gli altri, istigare
contro di me i legatario...
— Quello è un pazzo!.,.
■ — ■ O gli altri, dica Vostra Eccellenza, sono forse
savii ? Che vogliono, che pretendono? Di che m'accu-
sano ? Perchè non vengono a dire che le loro ragioni ?
Lucrezia ha parlato oggi con Vostra Eccellenza ; sen-
tiamo : che ha detto?...
Quantunque deciso a non mantenere la promessa
— i2g —
fatta qualche ora prima alla nipote, il dura, costretto
dalla domanda, rispose, con un sorrisetlo, per tempe-
rare quel che vi poteva essere di poco gradito nelle
sue parole :
— Tu ti lagni d'esser stato spogliato; e invece
spogliati si credono essi
Il principe rispose, con un sorriso più amaro del
primo :
— Proprio, eh?... E come, perchè?
— Perchè avrebbero avuto meno di quel che gli
spetta — perchè c'è la parte di vostro padre
Giacomo s'accigliò un momento, poi proruppe, con
mal contenuta violenza :
— . Allora, perchè accettano il testamento? Perchè
non chiedono i conti ? Mi faranno un piacere ! Mi ren-
deranno un servizio !
— Tanto meglio, allora —
— Che cosa credono che sia l'eredità di nostra ma-
dre ? Facciamo i conti, sissignore; facciamoli domani,
facciamoli oggi ! Anzi, perchè non si rivolgono ai ma-
gistrati?...
— Che c'entra questo ?
— M'intentino una lite ! Facciamo ciarlare il paese,
diamo questo bell'esempio d'amor fraterno ! Raimondo
s'unisca a loro; mi accusino di aver carpito il testa-
mento, ah! ah! ah!... Sono capaci di pensarlo! Co-
nosco i miei polli, non dubiti ! Questo è il frutto del-
l'educazione impartita qui dentro, degli esempii che
hanno dati, della diffidenza e del gesuitismo eretti a
sistema....
Era veramente concitato, parlava violentemente,
aveva perduto la solenne compostezza dell'esordio. Il
duca, buttato via il sigaro spento, riprendeva a scrol-
lare il capo, quasi riconoscendo che alla fin fine non
poteva dargli torto per quelle ultime argomentazioni.
Però, levatosi dalla poltrona, messa una mano sulla
spalla del nipote :
— Calmati, andiamo ! — esclamò. — Non esage-
riamo né da una parte né dall'altra. La roba è lì....
De Roberto. 7 Viceri- ■ 1 9
— 130 —
— ■ Nessuno la tocca !
— Essi vogliono fare i conti, tu sei pronto a darli....
— Ora, all'istante!...
— E dunque l'accordo è immancabile. Farete questi
conti, vedrete se la divisione di vostra madre è giusta
o no; accomoderete tutto con le buone,
— Ora, all' istante ! — ripeteva il principe seguendo
lo zio che s'avviava. — Perchè non hanno parlato
prima? Non sono già lo Spìrito Santo per potere in-
dovinare ciò che mulinano nelle teste bislacche !
— C'è tempo! c'è tempo!... — ripeteva il duca,
conciliante, senza far notare al nipote la contraddi-
zione in cui cadeva, avendo prima asserito di saper
dei complotti. — Non la pigliare cosi calda ! Parlerò
con Raimondo, poi con gli altri ; la roba è li ; vedrete
che non ci saranno quistioni — A proposito — - esclamò,
giunto sull'uscio e voltandosi indietro. — Che cosa è
l'affare della badia?
— Qual aifare?... — rispose il principe, stupito.
— Il legato delle messe Le mille onze che non
vuoi dare ad Angiolina
— Le mille onze? Io non voglio darle?... — esclamò
allora Giacomo. — Ma non vede Vostra Eccellenza
come sono tutti d'una razza, falsi e bugiardi? Io non
le voglio dare ? mentre invece il legato di nostra madre
è nullo, perchè importa l' istituzione d'un benefizio, e
le istituzioni di benefizio non reggono quando manca
l'approvazione sovrana?...
Nella Sala Gialla don Blasco rodevasi le unghie, sa-
pendo quella bestia del fratello in confabulazione col
nipote e non potendo udire i loro discorsi. Dalla con-
trarietà, stronfiava, spasseggiava in lungo e in largo,
non udiva neppure quel che dicevano intorno a lui.
Era arrivata la cugina Graziella, la quale cicalava
con la principessa, con Lucrezia e con donna Ferdi-
nanda ; meno con Matilde, per mostrar di partecipare
ai sentimenti degli Uzeda verso l' intrusa. Aveva ere-
— 131 —
duto di poter entrare anche lei in casa Francalanza,
la cugina ; di prendersi anzi il primo posto, come m.oglie
del principe Giacomo, ma l'opposizione della zia Te-
resa aveva trionfato di lei e del giovane. Invece che
« Principessa », s'era chiamata semplicemente « signora
Carvano », ma quantunque il cugino, presa la moglie
che la madre gli destinava, si fosse posto il cuore in
pace e paresse perfino aver dimenticato che fra loro
due c'erano state un tempo parole tènere, ella aveva
continuato a fare all'amore, se non con lui, con la sua
casa. C'era venuta assiduamente, aveva stretto ami-
cizia con la principessa Margherita e indotto il marito
a fare anche lui la corte a^li Uzeda, e tenuto a bat-
tesimo Teresina e dimostrato in ógni modo e in tutte
le occasioni che le antiche fallite speranze non potevano
intepidire in lei l'affezione verso tutti i cugini. Du-
rante la malattia e dopo la morte di donna Teresa,
specialmente, donna Graziella era quasi diventata una
persona della famiglia ; tutti i giorni e tutte le sere a
prender notizie, a prodigar conforti, a suggerir con-
sigli, a rendersi utile con le parole e con le opere. La
principessa non solo non aveva ragione di esserne
gelosa, poiché Giacomo dimostrava tanta indifferenza
verso la cugina che certe volte neppure le rivolgeva
la parola e, smesso il tu, le dava del freddo voi ; ma
era {>erfìno incapace di provare gelosia o qualunque
altro sentimento per lei come per ogni persona, tanto
la naturale indolenza e il bisogno d' isolamento e la
soggezione in cui la teneva il marito la rendevano in-
differente a tutto ed a tutti fuorché ai proprii figli.
Quel pomeriggio appunto, dopo tavola, la balia era
venuta a dirle che la bambina tossicchiava un poco ;
cosa da nulla, certo; ma ella se n'era inquietata, e la
cugina, trovata quella dispiacevole . novità, faceva
sfoggio della sua scienza medica, consigliando la som-
ministrazione di polveri e di decotti alla figlioccia, as-
sicurando però che il male non era grave, sgridando
nondimeno la balia che aveva dovuto lasciare il bal-
cone aperto.
— 132 —
Raimondo che, d'ordinario, scappava via appena fi-
nito di prendere un boccone, pareva volesse restare
in casa, per suo piacere ; e Matilde, tutta riconfortata,
dimenticata a un tratto la tristezza d'un'ora innanzi,
Io seguiva con lo sg-uardo ridente. Era cosi fatta che
una parola, un nulla la turbavano e la rassicuravano :
e chiedeva tanto poco per esser felice! Se egli fosse
stato sempre cosi, se avesse dedicato una parte del
suo tempo alla famiglia, se avesse prodigato alla sua
bambina le carezze che quella sera faceva al princi-
pino!... Questi, nel gruppo degli uomini, ripeteva le
declinazioni al cavaliere don Eugenio, il quale s'era
costituito suo maestro, tra gli applausi dei lavapiatti
ad ogni risposta azzeccata ; ma cominciando a con-
fondersi, ad imbrogliarsi :
— E non lo tormentare più, povero bambino!... —
esclamò donna Ferdinanda. — Qui, con la zia!... Ti
rompono la testa con tutte queste storie, eh?... Ri-
spondi loro : « Debbo forse fare il mastro di penna? »
Don Eugenio, udendo disprezzare le belle lettere,
rispose :
— Bisogna studiare, invece!... L'uomo tanto più
vale quanto più sa ! E poi bisogna che tu faccia onore
al nome che jxirti ; tra i tuoi antenati c'è don Ferrante
Uzeda, gloria siciliana !
— Don Ferrante ? — esclamò la zitellona. — Che
fece don Ferrante ?
— Come, che fece ? Tradusse Ovidio dal latino,
commentò Plutarco, illustrò le antichità patrie : templi,
monete, medaglie —
— Aaah !... Aaah !... — Donna Fernanda era scop-
piata in una risata che non finiva più, che si risolveva
in spruzzi di saliva tutt'in giro. Il cavaliere rimase a
bocca aperta, don Cono non sapeva che viso fare.
— Aaah !... Aaah !... — continuava a ridere donna
Ferdinanda. — Don Ferrante! Aaah!... Don Ferrante
sai che fece ?... — spiegò finalmente, rivolta al nipotino.
— Teneva quattro mastri di penna, pagati a ragione
— ^33 —
di due tari il giorno, i quali lavoravano per lui; poi,
quando essi avevano scritto i libri, don Ferrante ci
faceva stampare su il proprio nome!... Aaah !... Che
sapesse leggere, ci ho i miei bravi dubbii !...
Allora s'impegnò una gran discussione. Don Cono
e il cavaliere sostenevano, a vicenda, che se l'antenato
non aveva scritto materialmente le sue opere, ne aveva
però dettato il contenuto ; tant'è vero che le accademie
di Palermo, Napoli e Roma lo avevano annoverato tra
i loro socii ; ma la zitellona interrompeva : « Fatemi
il piacere!... » intanto che la cugina, scrollando il
capo, affermava che, veramente, gli studii non erano
stati il forte dell'antica nobiltà.
— Il forte ? — esclamava la zitellona. — Ma fino
ai miei tempii era vergogna imparare a leggere e scri-
vere ! Studiava chi doveva farsi prete ! Nostra madre
non sapeva fare la propria firma
— . Era forse una bella cosa ? — obbiettò don
Eugenio.
— Non mi parlare anche tu del progresso ! — saltò
su donna Ferdinanda. — Il progresso importa che un
ragazzo debba rompersi la testa sui libri come un ma-
stro notaio ! xA^i miei tempi, i giovanotti imparavano la
scherma, andavano a cavallo e a caccia, come avevano
fatto i loro padri e i loro nonni!...
E mentre don Mariano approvava, con un cenno
del capo, la zitellona si mise a tesser l'elogio di suo
nonno, il principe Consalvo VI, il più compito cava-
liere dei suoi tempi. Aveva avuto una cosi grande pas-
sione pei cavalli, che, d' inverno, ogni anno, si faceva
costruire un passaggio coperto in mezzo alla pubblica
via, aftinché i suoi nobili animali restassero sempre al-
l'asciutto.
— E le altre persone potevano passarci ? — do-
mandò il principino.
— Potevano passarci quando non era l'ora della
passeggiata del principe, — rispose donna Ferdinanda.
— Se usciva lui, tutti si tiravano da parte !... Una volta
— ' 134 —
che il capitano di giustizia con la carrozza propria ardi
passar innanzi alla sua, sai che fece mio nonno? Lo
aspettò al ritorno, ordinò al cocchiere di buttargli ad-
dosso i cavadli, gli fracassò il legno e gli pestò le co-
stole !... Si facevano rispettare i signori, a quei tempi....
non come ora, che danno ragione agli scalzacani !...
La botta era tirata al duca che rientrava in quel
niiomento nella Sala Gialla insieme col principe. Don
B'iasco, interrotta finalmente la sua corsa, piantò gli
occhi addosso al fratello e al nipote.
— Che diavolo hai fatto? — disse al principe.
— Nulla... avevo certe notizie da domandare allo
zio
Sopravvennero in quel momento Chiara e il mar-
chese. Lucrezia, ancora imbronciata, salutò fredda-
mente la sorella; ma costei jion s'accorgeva di nulla,
nei'vosa com'era, tutta piena d'una secreta idea.
— Margherita, • — sussurrò alla cognata, in confi-
denza — questa volta credo sia per davvero !... —
Erano quelli i sintomi ? Poteva ingannarsi ? Tante
volte aveva sperato d'apporsi e festeggiato invano
J 'avvenimento, che adesso non ardiva piij annunziare
apertamente la gravidanza se non prirna la vedeva
confermata. Poi, lasciata la principessa, prese a parte
Matilde e ricominciò a dirle : — La levatrice n'è certa !
Tu che cosa provi?...' Come ti sei accorta?...
Matilde non l'udiva. Adesso che don Blasco non
misurava piiJ la sala da un'estremità all'altra, Rai-
mondo aveva ricominciato l'armeggio dello zio monaco,
non stava fermo un momento, chiedeva continuamente
che ora fosse. Voleva andar fuori ? Aspettava qual-
cuno ? Ella era inquieta della sua inquietudine... Frat-
tanto arrivavano nuove visite : la duchessa Radali e il
principe di Roccasciano, donna Isabella Persa col ma-
rito. L'entrata di quest'ultima mise sottosopra la so-
cietà ; il principe che ordinariamente non era molto
galante con le signore, le andò incontro fino nell'an-
ticamera; Raimondo anche lui l'ossequiò tra i primi.
Ella portava, come sempre, un abito nuovo fiammante
che Lucrezia esaminava ora con la coda dell'occhio, e
la principessa. Chiara, tutte le altre, giudicavano a
una voce elegantissimo.
— Manifattura di Firenze, è vero, donn'Isabella ?
— domandò Raimondo.
— Si vede che vostro marito se ne intende, contessa!
— rispose ella, indirettamente, volgendosi a Matilde.
Don Mariano parlava della parata della Regina, di
cui quel giorno era il natalizio; Fersa del colera, della
quarantena di dieci giorni decretata allora allora contro
le provenienze da Malta, della fiera di Noto rimandata,
del pericolo che correva un'altra volta la Sicilia; e il
vocione di don Blasco rispondeva :
— Questa è l'impresa di Crimea ! Il regalo dei fra-
telli piemontesi, capite?
Il duca, quasi non comprendesse che l'allusione era
diretta a lui, ripigliava il discorso della guerra inter-
rotto a tavola, diceva che Cavour l'aveva sbagliata.
La via era un'altra : raccogliersi, restarsene tranquilli,
curare le piaghe del '48. Con lo Stato indebitato fin
agli occhi, come poteva pensare a fare nuovi debiti?
« È un principio d'economia politica — » e qui, col
tono d'autorità portato da Palermo, un discorsone che
faceva inghiottire botti di veleno a don Blasco, lardel-
lato com'era di citazioni giornalistiche e parlamentari,
infettato da teorie liberalesche. Il principe, udendo
Fersa esprimere ancora una grande paura del colera,
scrollava il capo :
— • Se a Napoli hanno ordinato di spargerlo un'altra
volta....
Come credeva alla iettatura, era incrollabile nell'opi-
nione che il colera fosse un malefizio, un espediente
di governo inteso a sfollare le popolazioni, a incutere
un salutare timore nei superstiti. Dinanzi allo zio duca,
sapendolo dell'opinione contraria, piìi « progressista »,
cioè che la peste venisse per correnti atmosferiche,
taceva prudentemente ; ma con Fersa si sbottonava,
- 136 —
derideva le quarantene e tutti gli altri amminnicoli
fatti per darla a bere ai gonzi.
— Non date retta a queste malinconie ! — diceva
frattanto Raimondo a donn' Isabella, a fianco della
quale s'era seduto. — Andrete alla serata di gala?
— Si, conte; abbiamo il palco.
— • Che rappresentano ? — domandò la principessa.
— L'Elvira di Holbein e Un'eredità in Corsica di
Dumanoir. Peccato clie voi non possiate sentire Dome-
niconi, principessa. Che artista ! E che compagnia !
Anche don Eugenio rammaricavasì di non poter re-
carsi al Comunale, per far sapere che, in qualità di
Gentiluomo di Camera, era stato invitato nei palchi
deli' Intendente. Ma egli aveva da concludere un af-
fare, quella sera : la vendita di certe terrecotte «im-
portantissime », suUe quali avrebbe fatto un bel gua-
dagno : aspettava anzi per questo il principe di Rocca-
sciano, anche egli intenditore ed amatore di roba antica.
— vS'ha un bel dire, quindici mila uomini, — pero-
rava il duca da canto suo. — ^ E se la guerra dura un
altro anno ? altri due, altri tre anni ? Bisognerà mandar
nuove truppe, far nuove spese, accrescere il deficit
— A Messina aspettano l'arciduca Massimiliano.
~ — Verrà anche da noi ?
Raimondo, a quella domanda di Don Mariano, saltò
su come morso da una vespa :
— E che volete che venga a fare ? Per vedere l'ele-
fante di piazza del Duomo? \^oialtri vi siete fitto in
capo che questa sia una città, e non volete capire che
invece è un miserabile paesuccio ignorato nel resto
del mondo. Donn' Lsabella, dite voi : quando mai
l'avete udito nominare, fuori?...
— È vero, è vero !...
Ella agitava con moto graziosamente indolente il
ventaglio di madreperla e merletti, dando ragione a
Raimondo contro il paese nativo; e la contessa Matilde
non sapefa perchè la vista di quella donna, le sue pa-
role, i suoi gesti, le ispirassero una secreta antipatia.
— 137 —
Forse perchè l'udiva approvare il sentimento di Rai-
mondo che ella perdonava al marito ma biasimava
neg;li altri ? Forse perchè scorgeva in tutta la persona
di lei, nella ricchezza immodesta degli abiti, nell'ele-
ganza affettata degli atteggiamenti, qualcosa di stu-
diato e d'infinto? Forse perchè tutti gli uomini le si
mettevano intorno, perchè ella li guardava in un certo
modo, troppo ardito, quasi provocante ? O perchè, una
volta al suo fianco, Raimondo non si moveva più, pa--
reva non volesse più andar fuori, non aspettar più
nessuno ?...
Ingolfato nel suo tema prediletto, egli parlava adesso
a vapore, enumerando tutti i vantaggi della vita nelle
grandi città, interrompendosi tratto tratto per doman-
dare a donn'Isabella : « È vero o no? » oppure : « Par-
late voi che ci siete stata!...» ripigliando a descri-
vere la grande società, gli spettacoli sontuosi, i pia-
ceri ricchi e sig^norili. E donna Isabella a chinare il
capo, ad aggiungere argomenti :
— Quando vedremo, per esempio, le corse fra noi ?
Giusto in quel momento, don Giacinto entrò nella sa-
la. Era cosi turbato in viso e si capiva così chiaramente
che portava una cattiva notizia, che ognuno tacque.
— • Non sapete ?
— Che cosa?... Parlate!...
— . Il colera è scoppiato a Siracusa!...
Tutti lo circondarono :
— Come? Chi ve l'ha detto?
— Mezz'ora fa, alla farmacia Dimenza.... Notizia
sicura, viene dall'Intendenza !... Colera di quello buono : *'
fulminante !...
Subito, come se l'annunziatore lo portasse addosso, la
conversazione si sciolse in mezzo ai commenti spaven-
tati, alle esclamazioni dolenti : Raimondo accompagnò
giù alla carrozza donna Isabella dandole il braccio;
don Blasco vociava, in mezzo alla scala, sotto il naso
del duca che andava a verificar la cosa :
— Il regalo dei fratelli!... Ah, Radesky, dove sei !... y
Ah, un altro Quarantanove !...
~ 138 -
V.
Og-ni altro interesse cede come per incanto dinanzi
all'universale inquietudine per la salute pubblica, giac-
ché della notizia iportata da don Giacinto, sulle prime
smentita, poi confermata, non fu possibile piij dubitare
quando, di li a qualche giorno, non si parlò più di casi
sospetti a Siracusa, ma del divampare del morbo a Noto.
Il duca, deliberato di tornarsene a Palermo prima che
le cose incalzassero e la via fosse chiusa, resistè osti-
natamente agli inviti del principe, il quale s'apparec-
chiava a partire pel Belvedere all'annunzio del primo
caso in città. L'anno innanzi, come nel '37, gli Uzeda
erano scappati alla loro villa sulle pendici della mon-
tagna, e poiché il colera non arrivava mai lassù, erano
certi di liberarsene. Il principe, smessa a un tratto
l'acredine, riparlava d'accordo e d'unione, voleva tutti
con lui al sicuro," tutti gli zìi, tutti i fratelli. Quan-
tunque non fosse tempo di trattar d'affari, nondimeno,
per dimostrare al nipote d'aver preso a cuore i suoi
interessi, il duca, prima di partire, riferì a Raimondo
il discorso delle cambiali e lo esortò a mettersi d'accordo
col fratello. Raimondo lo ascoltò distrattamente, e gli
ristpose quasi infastidito : « Va bene, va bene ; poi se
ne parlerà »
Anch'egli s'era mutato, ma al contrario di Giacomo,
in peggio ; era diventato nervoso, irascibile, verboso e
di buon umore solo quando donna Isabella veniva al
palazzo. I Persa non sapevano ancora dove fuggire il
colera : il principe consigliava loro di prendere in affitto
una casa al Belvedere, per esser vicini; e a donna Isa-
— 139 —
bella sorrideva molto quel partito, benché sua suocera
preferisse rifugiarsi a Leonforte, come l'altr'anno.
— Voi dove andrete ? — domandava a Raimondo ;
e il giovane che le si trovava sempre a fianco :
— Dove andrete voi stessa !
Ella chinava gli occhi, con una severa espressione di
biasimo, quasi offesa.
— E vostra moglie? Vostra figlia ?
— Parliamo d'altro !
Nonostante l'allarme cagionato dalla pestilenza, l' in-
trinsichezza delle due famiglie si strinse ancora più in
quei giorni. Persa, che era stato sempre lieto e superbo
di venire al palazzo Francalanza, adesso godeva nel-
l'esservi ricevuto con segni di particolare gradimento ;
non solo Raimondo, ma anche e forse piti Giacomo di-
mostrava molto piacere in compagnia di lui e di donna
Isabella : quando sua moglie andò fuori la prima volta,
dopo il lutto, e,gli volle che facesse loro una visita ;
la contessa, per desiderio del marito, accompagnò la
cognata.
Da sola, Matilde forse non sarebbe andata in casa
di quella donna. Non voleva chiamare gelosia il senti-
mento che le ispirava : se Raimondo, galante con tutte,
stava attorno a costei che tutti gli uomini accerchia-
vano, non era già meraviglia; ella stessa non ne rice-
veva continue proteste di calda amicizia?... Pure, tutte
le volte che donna Isabella la abbracciava e la baciava,
ella doveva farsi forza per non sottrarsi a quella dimo-
strazione d'affetto. Non sapeva bene rendersi conto della
repulsione quasi istintiva che provava ogni giorno più
forte; quando tentava di spiegarla a se stessa, l'attri-
buiva più che ad altro alla radicale diversità del loro
carattere; alla leggerezza, all'affettazioi^, alla man-
canza di schiettezza che le pareva scorgere in lei. Non
l'aveva anch'ella udita la,gnarsi, a mezze parole, con
allusioni velate, dei parenti del marito e dello stesso
marito ; mentre ella vedeva bene, quasi invidiandola,
la devozione portatale da Persa, e udiva ripetere che
— 140 —
la suocera la trattava meg-lio d'una figliuola? Andata
a farle visita in compagnia della principessa, non potè
accertarsene coi propri occhi ?
Donna Mara Persa era una donna un po' all'antica,
senza ombra d'istruzione, poco fine d'educazione anche;
ma molto accorta, e semplice, alla mano come una
buona massaia. Aveva sperato d'ammogliare il fi-
gliuolo a modo suo; ma questi, andato una volta a
Palermo e vista 1' Isabella Finto, orfana di padre e di
madre, l'aveva chiesta su due piedi, innamoratissimo,
allo zio materno dal quale era stata educata. Nobilis-
sima, la Finto ; ma senza dote ; aveva però ricevuto
un'educazione oltremodo signorile in casa dello zio fa-
coltoso. I Persa, invece, benché ammessi tra i si-
gnori, nascevano mediocremente; donna Perdinanda,
estimatrice ed amica di donna Isabella, li chiamava
Parsa, — farsa tutta da ridere; — ma possedevano
gran quantità di quattrini. Donna Mara, sulle prime,
aveva tentato di opporsi a quel matrimonio; ma poiché
suo figlio era cotto dell' Isabella, e questa pareva più
cotta di lui, aveva finalmente consentito. Così la nuora
palermitana, elegante, istruita e nobile, venne a met-
tere nella sua casa una rivoluzione, che ella sopportò
con molta buona grazia, per amore del figlio, com-
prendendo di non potersi opporre ai gusti ed anche
alle fantasie dei g"iovani. Donna Isabella, chiamandola
« mamma, » dimostrandole il rispetto che le doveva,
pareva scontenta di lei, vergognosa della sua igno-
ranza e della sua semplicità. Era una cosa tanto sot-
tile, che Matilde quasi incolpavasi di cattiveria, notan-
dola : una specie di condiscendente compatimento
verso le opinioni della suocera come per quelle d' un
bambino o d'un inferiore; una impercettibile esagera-
zione d'obbedienza, una cert'aria di sacrifizio che pa-
reva volesse ispirare l'altrui compianto, ma che riu-
sciva molto antipatica alla contessa.
Fer altro, questa era sicura di non dover sopportare
troppo a lungo la compagnia di lei. La necessità di
-, 141 —
sistemar g-l' interessi poteva solo trattenere Raimondo
in Sicilia, ma forse egli avrebbe affrettata la partenza
per fugg^ire il colera. Già alle prime voci di pestilenza,
inquieta per la lontananza del padre e della bambina,
ella gli aveva domandato che volesse fare ; ma suo
marito non s'era ancora deciso. L'anno innanzi, in
Toscana, udendo le notizie delle stragi di Sicilia, del
pazzo terrore che regnava nell'isola, dello sciogli-
mento d'ogni civile consorzio, aveva espresso la propria
soddisfazione per essere lontano dalla « selvaggia »
terra natale, dove, diceva, non lo avrebbero sicura-
mente capitato in tempo d'epidemia; per tanto ella
era quasi sicura che sarebbero presto passati nel con-
tinente, prendendo con loro la bambina per via. Rai-
mondo invece pareva esitante; se la pigliava, si, con la
cattiva stella che l'aveva fatto cogliere dalla pesti-
lenza nella trappola isolana, ma diceva di non potersi
mettere in viaggio adesso che il male era scoppiato,
anche per riguardo della gravidanza di lei. Frattanto
il barone le scriveva da Milazzo di raggiungerlo lassù,
poiché il colera veniva dal mezzogiorno, e di far presto
a lasciar Catania, di non dar tempo alla gente S(pa-
ventata di sbarrar tutte le strade. Cosi, secondo che
le notizie incalzavano, che le lettere del padre le fa-
cevano maggior premiura, che il pericolo di restar di-
visa dalla sua bambina diveniva più grave, il cuore di
lei si chiudeva, dal terrore, dall'ambascia, quasi ella
fosse sul punto di perdere per sempre i suoi cari ; al-
lora esortava più caldamente Raimondo a prendere una
decisione qualunque, ad andar subito via :
— • Andiamo via !... Andiamo per adesso a casa mia !
Non voglio lasciar sola Teresina — .Saremo anche più
lontani dal focolaio della peste....
— Ho da chiudermi in un paesuccio di mare, in
tempo di colera ? Per crepare come un cane ? Biso-
gnerebbe che fossi impazzito ! Scrivi piuttosto a tuo
padre e a tua sorella di portar qui la bambina.
Il barone invece tempestò, di risposta, che per
— 142 —
niente avrebbe commesso quella sciocchezza, giacché
il colera era alle porte di Catania, e ingiunse alla figlia
di non perder tempo e anche di lasciar solo Raimondo
se costui rifiutavasi di accompagnarla.... Allora ella
non seppe piìi che fare né chi ascoltare, smaniando
all' idea di restar divisa dalla figlia e dal padre, non
tollerando neppure d'abbandonare Raimondo, poiché
non poteva vivere lontana né dall'uno né dagli altri,
in quella triste stagione. Il giorno che il duca, fatte le
valige, partì per Palermo, ella si vide perduta....
Fino all' ultimo momento il principe aveva insistito
presso lo zio affinchè venisse con lui al Belvedere ; il
duca aveva continuato a rifiutare, adducendo gli affari
che lo chiamavano alla capitale, la maggior sicurezza
che c'era li.
— Non pensate a me, — disse ai nipoti ; — io non
correrò pericolo; mettetevi piuttosto in sicuro voialtri
— Vostra Eccellenza stia tranquillo anche per me ;
ho tutto pronto per andar via al primo allarme, — ri-
spose Giacomo. Rivolto al fratello, al quale aveva già
fatto un primo invito, ripetè, in presenza dì Matilde :
— Se volete venire anche voi, mi farete piacere.
Raimondo non rispose. \'oleva dunque davvero re-
star diviso da sua figlia ? Poteva così tranquillamente
viverne lontano, nei terribili giorni che si preparavano ?
Matilde piangeva, scongiurandolo di non far questa
cosa ; egli le rispose, seccante :
— Non so ancora ciò che farò. A Milazzo non vado
di sicuro.
— Lasceremo dunque sola quella creatura ? Se im-
pediranno il transito, se non potremo piìi vederla ?
— Prima di tutto tua figlia non è abbandonata in
mezzo a una via, ma sta col nonno e la zia. Poi, se
quella testa dura di tuo padre m'avesse ascoltato, a
quest'ora l'avrebbe portata qui, e saremmo pronti ad
andarcene tutti insieme al Belvedere, dove non c'è nep-
pure l'ombra del pericolo.... Insomma a Milazzo non
vengo; già si parla di casi sospetti a Messina. Vat-
tene sola, se vuoi.
— H3 —
E tutti gli Uzeda, quasi godendo dell'ambascia di
lei, quasi per non lasciarla scappare dalle loro unghie,
ajpprovavano, dicevano che oramai ciascuno doveva re-
star dov'era. E suo padre la rimproverava acremente
di ostinazione e d'egoismo, mentre ella credeva d'im-
pazzire, sognando tutte le notti sogni spaventosi di
lente agonie, di separazioni senza ritorno, di spietate
torture; piangendo come morta la sua bambina, l'altra
creatura che s'agitava nelle sue viscere; vedendo suo
padre e Raimondo avventarsi l'uno contro l'altro
E un giorno terribile come una notte d'incubo il prin-
cipe venne a dire che il primo caso s'era manifestato in
città, che le strade si chiudevano, che bisognava su-
bito partire pel Belvedere . — dove anche i Persa sa-
rebbero venuti
La villa Francalanza, al Belvedere, era tuttavia nello
stato in cui trovavasi tre mesi addietro, al momento
della morte della principessa. Là si riunirono, con la
rispettiva servitù, la famiglia del principe ed i suoi
ospiti, cioè Chiara e il marchese, donna Ferdinanda, il
cavaliere don Eugenio, Raimondo e sua moglie. Ferdi-
nando non aveva voluto sentirne di lasciar le Ghiande :
c'era rimasto pel colera dell'altr'anno, voleva restarci
anche per quest'altro, dichiarando che nessun luogo of-
friva maggiori garanzie d'immunità. Don Blasco e il
Priore don Lodovico erano già scappati, con tutti i mo-
naci di San Nicola, a Nicolosi.
La villa degli Uzeda era tanto grande da capire un
reggimento di soldati, non che gì' invitati del principe;
ma, come il palazzo in città, a furia di modificazioni e
di successivi riadattamenti, pareva composta di parec-
chie fette di fabbriche accozzate a casaccio : non c'e-
rano due finestre dello stesso disegno né due facciate
dello stesso colore ; la distribuzione interna pareva l'o-
pera d'un pazzo, tante volte era stata mutata. Altret-
tanto avevano fatto dell'annesso podere. Un tempo,
sotto il principe Giacomo XIII, questo era quasi tutto
-^ 144 -,
un g-lnrdino veramente signorile; amante dei fiori, il
principe aveva sostenuto per essi una delle tante spese
folli che erano state causa della sua rovina : aveva
fatto scavare un pozzo per trovare l'acqua, a traverso
le secolari lave del Mongibello, fino alla profondità di
cento canne; lavoro tutto di braccia, di colpi di pic-
cone, durato qualcosa come tre armi. Trovata final-
mente l'acqua, che un bindolo tirava su, egli giudicò
che la cultura della vigna poteva vantaggiosamente
esser sostituita da quella degli agrumi : quindi sradicò,
in quel tratto del podere non ancora trasformato in
giardino, tutte quante le viti per piantare aranci e li-
moni. Così le spese sostenute da suo nonno per co-
struire il palmento e la cantina andarono perdute. Ma,
venuta donna Teresa, ogni cosa fu messa nuovamente
sossopra. I fiori essendo « roba che non si mangia »
rose e gelsomini furono divelti, i pilastri ridotti a mat-
toni, la serra trasformata in istalla pei muli ; e il vino
avendo maggior prezzo degli agrumi, i bei piedi d'a-
ranci e di limoni, tirati su con tanta fatica, furono sa-
crificati alle viti. Restò appena quattro palmi di giar-
dino, tra il cancello e la casa, e tanti piedi d'agrumi
quanti bastavano a far la limonata in tempo d'estate.
Cosi tutte le somme buttate nel pozzo furon buttate
nel pozzo davvero.
Ora, appena giunto, il principe ricominciava anche
qui l'opera innovatrice iniziata al palazzo. Per verità,
egli non toccava il podere, giudicando, come la madre,
che le rose tisicuzze arrampicate sull'inferriata e sui
muri della villa bastassero pel godimento della vista
e dell'olfatto, e che i cavoli, le lattughe e le cipolle
stessero molto meglio nelle antiche aiuole fiorite : ma,
chiamati i manovali, ordinò che buttassero giù muri
e dividessero stanze e condannassero porte e forassero
nuove finestre. Era d'eccellente umore e trattava be-
nissimo i suoi ospiti ; faceva una corte devota alla zia
Ferdinanda, usava molte cortesie al fratello ed alle
sorelle, al cognato marchese ed alla stessa cognata
— 145 —
Matilde; naturalmente, considerata la stagione, nes-
suno parlava d'affari. Molto più contenta di lui era
Lucrezia, poiché i Giulente, che in città non avevano
casa propria, posisedevano una delle più graziose ville
del Belvedere, e venuto lassù con la famiglia alle prime
voci di colera. Benedetto passava e spassava ad ogni
ora del giorno dinanzi al cancello dei Francalanza.
Contentone era anche il marchese, e Chiara non ca-
piva nella pelle, poiché i sintomi della gravidanza si
confermavano; marito e moglie s'angustiavano soltanto
per non poter preparare il corredo del nascituro. La
stessa donna Ferdinanda si mostrava più accostabile,
addomesticata dall'ospitalità che il principe le accor-
dava, contenta di poter risparmiare la spesa dell'af-
fìtto d'un villino — non quella del vitto, perchè cia-
scuno degli ospiti ci stava a suo costo. Ma il più con-
tento di tutti era il principino ; mattina e sera nella vi-
gna, nel giardinetto, a zappare, a trasportar terra,
a costruire case di creta; poi, quand'era stanco di
queste occupazioni, su a cavallo d'un asino o d'una
mula a scorrazzare di qua e di là, e se il cameriere,
o il fattore o le altre sue guide non lo lasciavano an-
dare dove gli talentava, dava all'uomo le frustate che
sarebbero toccate alla bestia. Solamente la vista del
padre l' infrenava, perchè il principe lo aveva educato
a tremare a un'occhiata; ma tutti gli altri parenti lo
lasciavano fare. La principessa lo contentava ad un
cenno; la zia Ferdinanda contribuiva anche a viziarlo,
come erede del principato; ma don Eugenio lo con-
tristava adesso peggio che in città con le sue lezioni.
Il ragazzo, quando stava attento, comprendeva tutto,
però il difficile era appunto che stesse tranquillo.
« Studia adesso, se no tuo padre ti metterà in colle-
gio ! )) ammoniva lo zio ; e infatti il principe aveva più
d'una volta espresso l'intenzione di mandar via di casa
il figliuolo, di metterlo o al collegio Cutelli fondato per
educare la nobiltà « all'uso di Spagna » oppure al Novi-
ziato dei Benedettini, dove i giovani che non volevano
De Roberto. / Viceré - I 10
— 146 —
pronunziare i voti ricevevano una educazione non meno
nobile. Consalvo non voleva andare né all' uno né al-
l'altro posto, e la minaccia era tale che egli si decideva
a fare asteggiature e a recitare le declinazioni; in pre-
mio, don Eugenio lo conduceva con sé per le cam-
pagne di Mompileri, dove, pochi giorni dopo il suo
arrivo al Belvedere, aveva cominciato a fare certe gite
misteriose.
Circa due secoli prima, nel 1669, '^ 1^"^^ dell'Etna
avevano coperto, da quelle parti, un villaggetto chia-
mato Massa Annunziata del quale, piij tardi, s'eran
per caso trovate alcune vestigia. Ora don Eugenio,
che dal commercio dei cocci non ricavava molti gua-
dagni, aveva concepito, pensando sempre a un gran
colpo capace d'arricchirlo, il disegno d'iniziare una
serie di scavi come quelli visti ad Ercolano e a Pompei,
per discoprire al sepolto paesuccio ed arricchirsi con le
monete e gli oggetti che avrebbe sicuramente rinve-
nuti. Il secreto era necessario, affinchè altri non gli
portasse via l'idea; perciò, solo o accompagnato dal
ragazzo, che andava per conto suo a caccia di lucer-
tole e di farfalle, il cavaliere gironzava nei campi di
ginestre e dì fichi d' India sotto Mompileri, con antichi
libri in mano, orientandosi per mezzo dei campanili di
Nicolosi e di Torre del Grifo, studiando la posizione,
pigliando misure, a rischio di farsi accoppare come
untore dai mulattieri e dai pecorai che lo scorgevano
in quelle attitudini sospette. Ma non bastava mante-
nere il secreto sull'idea; bisognava anche spender molti
quattrini per tradurla in atto. Un giorno perciò don
Eugenio chiamò il principe in disparte e gli comunicò
con gran mistero il suo disegno, chiedendogli di anti-
cipargli le spese degli scavi.
— Vostra Eccellenza scherza, o dice davvero? Sca-
var la montagna, per trovar che cosa ? Scodelle del-
l'altr'ieri e qualche pezzo di rame ? Bisognerebbe esser
matti !...
Indirettamenie, il principe dava del matto a lui stesso
— . 147 —
con quella risposta che non si sarebbe mai sognato di
rivolgere al duca o a donna Ferdinanda. Ma don Eu-
genio, in famiglia, godeva poca considerazione per le
stramberie commesse a Napoli e soprattutto per l'as-
soluta mancanza di quattrini Il cavaliere non ri-
parlò più della sua idea. Mutata via, deliberò di scri-
vere al Governo perchè facesse gli scavi a spese del-
l'erario e con la speranza che affidassero a lui la dire-
zione. Il principino respirò liberamente, perchè le le-
zioni furono interrotte : appena finito di desinare, don
Eugenio si chiudeva in camera sua, a lavorare alla
memoria, e non si vedeva più per tutta la sera, mentre
gli altri chiacchieravano o giocavano. A poco a poco
una società numerosa s'era venuta raccogliendo in
casa del principe : tutti i signori rifugiati al Belvedere,
tutti i personaggi ragguardevoli del luogo venivano
alla villa Francalanza, dove, con un trattamento d'ac-
qua e anice, il principe si faceva fare la corte. C'era
mezza Catania, al Belvedere, e gli Uzeda che in città
erano molto severi, facevano adesso larghe conces-
sioni, atteso il luogo e la stagione, ricevendo gente di
minuscola od anche di nessuna nobiltà, tutti coloro che
donna Ferdinanda derideva o disprezzava, dei quali
storpiava i nomi o ai quali assegnava bislacche armi
parlanti : i Scilocca, che chiamava « Si loca » ; i Mau-
rigno che si facevano dare del « cavaliere » e che la
zitellona chiamava : « cavalieri a piedi », i Mongiolino
che, discendendo da fornaciai arricchiti, dovevano por-
tare nello scudo tegoli e mattoni. Solo i Giulente, di
quella casta dubbia, non venivano alla villa, per via
del figliuolo; ma il principe, quando incontrava Bene-
detto, o suo padre, o suo zio, al casino pubblico, rivol-
geva loro la parola molto affabilmente ; e il giovane
che non aveva interrotto la corrispondenza con Lu-
crezia, le riferiva tutto contento quelle amabili dimo-
strazioni. Ma la gioia, invece di scemare accresceva
l'abituale distrazione della ragazza : ella chiedeva no-
tizie ai vedovi della salute delle mogli defunte, scam-
— 148 —
biava le persone, non rammentava nulla; una sera
fece ridere tutta la società domandando allo speziale
del Belvedere che aveva una sorella in convento : « E
vostra sorella monaca con chi è maritata?... »
Il tema obbligato di tutti i discorsi erano natural-
mente le notizie della città dove il colera si diffondeva,
lentamente però, senza divampare con la forza spaven-
tosa dell'anno innanzi. Poi ciascuno dava notizie dei
parenti e degli amici rifugiati qua e là pel Bosco etneo :
la cugina Graziella, che era alla Zafferana, mandava
biglietti o ambasciate coi carrettieri quasi tutti i giorni,
per sapere come stavano i cugini, e dir loro come stava
ella stessa e il marito, e salutarli caramente, e mandar
regali di frutta e di vino; la duchessa Radall-Uzeda,
dalla Tardarla, non scriveva, perchè il duca, nel tram-
busto dell'improvvisa scappata, era diventato furioso.
La pazzia, nel ramo dei Radali, era una malattia di
famiglia; il duca aveva dato nelle prime smanie tre
anni innanzi, alla nascita del suo secondo figlio, Gio-
vannino. E la duchessa, fin da quel tempo, A'istosi ca-
dere sulle spalle il peso della casa, aveva rinunziato
al mondo per tener luogo di padre ai figliuoli. Li voleva
bene entrambi, ma le sue preferenze erano pel duchino
Michele : non contenta dell'istituzione del maiorasco,
lavorava a migliorare le proprietà, faceva una vita di
economie e di sacrifizii per lasciarlo ancora più ricco.
Ella non dava ombra a nessuno degli Uzeda; la stessa
donna Ferdinanda, che si credeva la sola testa forte,
l'approvava. Aì Belvedere, nonostante il colera, la zi-
tellona s'occupava d'affari, appartandosi con gli uo-
mini che se ne intendevano, parlando di mutui, d'ipo-
teche, di crediti da poter accordare, di fallimenti da te-
mere; e mentre il principe di Roccasciano esponeva
alla speculatrice i piani laboriosi coi quali costruiva pa-
zientemente e lentamente l'edifizio della propria for-
tuna, la principessa sua moglie, di nascosto da lui, si
giocava con Raimondo e con altri appassionati delle
carte tutto quel che aveva in tasca. Il principe Giacomo
— 149 —
vedeva qualche volta g-iocare senza metter fuori un
baiocco, ma il più del tempo discorreva con quelli del
paese. Venivano a fargli la corte il medico, lo spe-
ziale, i possidenti più grossi, la gente la cui ciera gli
andava a verso, perchè quanti tra i famigliari della
madre gli parevano iettatori erano stati da lui messi
fuori. Non ■ mancavano il vicario, il canonico, tutte
le sottane nere del villaggio. Come in città, la casa
Uzeda era qui frequentata da tutto il clero regolare e
secolare, per la sua fama di devozione, pel bene sempre
fatto alla Chiesa. Il rifiuto del principe di riconoscere
il legato alla badia di S. Placido non lo pregiudicava
presso i Padri spirituali : in vita era umano che egli
cercasse di tenere per sé la più parte della roba ; cosi
pure aveva fatto sua madre ; morendo, avrebbe poi lar-
gheggiato con la Chiesa per assicurarsi la salute del-
l'anima. Come capo della casa, egli aveva del resto la
facoltà di nominare i sacerdoti celebranti in tutte le
cappeHanie e benefìzii fondati dai suoi antenati ; li al
Belvedere, specialmente, ce n'era uno molto pingue,
quello del Sacro Lume. Un Silvio Uzeda dolce di sale,
vissuto un secolo e mezzo addietro, era stato sempre
attorniato da preti e frati : i monaci del convento di
Santa Maria del Sacro Lume l'avevano persuaso che
la Madonna voleva sposarsi con lui. Ed egli non era
entrato nei panni, dal contento. La tradizione narrava
che avevano compito la cerimonia con tutte le forma-
lità : lo sposo, dopo essersi confessato e comunicato,
era stato condotto, in abito di gala, dinanzi alla statua
di Maria Santissima, e il sacerdote gli aveva regolar-
mente domandato se era contento di sposarla. « Si!...»
aveva risposto l' Uzeda; poi la stessa domanda era
stata fatta alla Regina del cielo; e per bocca del g-uar-
diano del convento, anche Ella aveva risposto si. Poi
s'erano scambiati gli anelli : la statua portava ancora
al dito quello dello sposo, il quale aveva naturalmente
lasciato alla consorte tutti i suoi beni. Una lunga lite
ne era seguita, non avendo voluto gli eredi naturali
riconoscere il testamento del matto ; finalmente, per
via di transazione, s'era istituita nel convento, con
metà dei beni, una cappellania laicale, sulla quale gli
Uzeda avevano esercitato il giuspatronato. Cosi tutti
i monaci venivano la sera a fare la corte al principe,
discutevano con lui gli affari del miOnastero. Tra Inatta
quella gente egli papeggiava, sputava tondo, ascoltato
come un Dio; dimenticava il resto della società, le si-
gnore e le signorine che giocavano a tombola, o a spie-
gar sciarade, o combinavano escursioni per la mon-
tagna, e passavano il tempo cosi allegramente, che,
senza le notizie del colera e i paesani armati per tener
lontani i tardi fuggiaschi, nessuno avrebbe pensato
che quelli fossero temipi di pestilenza.
Solo la contessa Matilde, fra le comuni distrazioni,
non riusciva a nascondere il proprio dolore. Ella era
venuta via dalla città quasi fuori di sentimento, tanto
forte era stata la prova a cui l'avevano messa. Con
l'animo pieno di spavento e di rimorso, sul punto di
partire per la campagna, aveva riconosciuto che la pena
meno sopportabile non le veniva più dalla lontananza
deilla sua bambina, ma dal tradimento di Raimondo.
Come poteva .piìi metterlo in dubbio ? La verità non
le si era improvvisamente svelata, all'annunzio che egli
andava al Belvedere, dove andava la Persa ? Perchè
mai, tanto insoft'erente di vivere in Sicilia, s'era ri-
fiutato a partire pel continente, se non perchè voleva
restare vicino a colei? E aveva finto di non sapersi de-
cidere, per aspettare che si decidesse quell'altra; ed
aveva mendicato pretesti, e accusato il suocero, e cosi
bene temporeggiato che allo scoppio della pestilenza
aveva fatto a modo suo!... Né in quelle finzioni, in
quelle menzogne, ella vedeva più la conferma dei brutti
lati del suo carattere; esse non l'accoravano perchè
egli ne era stato capace : solo il pensiero che le aveva
adoperate per amor di quell'altra era il suo cruccio.
Che non amasse la figlia, che fosse ingiusto verso il
suocero e prepotente, capriccioso, sgraziato, non le
faceva nulla : ella non voleva che fosse d'altri! A Fi-
renze, la gelosia di lei non aveva avuto og-getto de-
terminato, o aveva continuamente mutato d'oggetto,
poiché egli faceva la corte a quante donne vedeva ; ella
stessa poi s'era fino ad un certo punto assicurata, giac-
ché, galante a parole con le signore, la mutabilità e
l'impazienza dei suoi desiderii gli facevano preferire
quell'altre, le donne che si pagano... Che vergognoso
dolore era stato il suo, nel vedersi ridotta al punto di
doversene rallegrare ! Eppure, ella invidiava ora le
sofferenze passate, giudicando intollerabile l'idea di sa-
perlo così pieno d 'un'altra da abbandonar la figlia in
quei terribili giorni per starle vicino ! Poi il suo cruccio
cresceva, misurando la rapidità con la quale egli pro-
grediva nella via del tradimento. A Firenze aveva messo
un certo pudore nelle sue tresche; s'era quasi stu-
diato, a momenti, di farsele perdonare, tornando ad ora
ad ora buono con lei ; adesso sfrenavasi fino a costrin-
gerla d'essere spettatrice dell'infamia ! Questo, sopra
tutto, la feriva : che potessero essere cosi tristi da
darsi un simile convegno, sotto gli occhi di lei, mentre
i cuori umani trem.avano al pensiero della morte!... Che
giorno, quello della fuga al Belvedere, per le vie arro-
ventate dal sole, in mezzo a nugoli di polvere calda e
soffocante ! Ella era nella stessa carrozza con Chiara,
Lucrezia e il marchese, e la vista delle cure che questi
prodigava alla moglie faceva pii^i acuto il suo dolore.
Raimondo non s'era voluto metter con lei, l'aveva la-
sciata sola in quella corsa pei villaggi dove gente ar-
mata fermava ogni persona ed ogni veicolo, contra-
stando il passo ; mia comprendeva ella nulla di tutto
questo ? vedeva nulla sul suo cammino ? Ella vedeva,
con gli occhi della mente, Raimondo sorridente e fe-
lice a fianco di quella donna, come l'aveva visto in
realtà tante volte senza che la sua nativa fiducia la in-
sospettisse ! Ora però itutte le cose che non aveva sa-
puto spiegare acquistavano un senso evidente : le lunghe
uscite di Raimondo, le sue attese impazienti, il piacere
clic g-li si leggeva negli occhi appena entrava colei, lo
stesso misterioso istinto di repulsione che quella donna
le aveva ispirato fin dal primo momento.... Come do-
veva esser falsa e malvagia, se le dava il tenero nome
d'amica e l'abbracciava e la baciava mentre le por-
tava via il marito ? Egli stesso non era falso altret-
tanto ? Quante menzogne ! Aveva anche addotto la gra-
vidanza di lei per non lasciar la Sicilia, e non s'accor-
geva d'attentare in quel modo alla vita della creatura
che ella portava in grembo!... Che giorno terribile I
Nella carrozza scottante come un forno, al cui spor-
tello s'affacciavano visi sospettosi di contadini bru-
tali, piena del nauseante odore della canfora che Chiara
e Lucrezia tenevano alle narici contro la mefite, ella
sentiva mancarsi il respiro. Non sapeva dov'era, dove
andava ; voleA^a gridare al cocchiere, alle compagne
di viaggio : « Tornate indietro ! Non voglio venire !» ;
affrontar suo marito, buttargli in faccia il tradimento,
scongiurarlo di non condurla vicino a quella donna,
di non farla morire, di salvare la creatura che s'agitava
nelle sue viscere, di ridar la pace al suo cuore, l'aria
al suo petto.... Aveva perduto i sensi, infatti, prima
d'arrivare al Belvedere; non rammentava più come e
quando fosse entrata alla villa —
LI, era cominciata per lei una vita di trepidazione
continua. Ad ogni istante aveva creduto di vedersi com-
parire dinanzi la Persa : tutte le volte che Raimondo
era andato fuori, aveva pensato : « Adesso è con lei — »
e il non vederla, il non udirne parlare, accresceva il
suo spavento, lo rendeva piìi oscuro, le procurava non
sapeva ella stessa quali orribili sospetti di cospirazioni
ordite da tutti a suo danno. Aveva trovato, si, la forza
incredibile di nascondere i suoi sentimenti per non
insospettire il marito, per non dare buon giuoco ai ne-
mici ; ma il silenzio imposto a sé stessa, rendendo piij
acuto il suo tormento, le aveva tolto il mezzo di saper
nulla. Perchè nessuno nominava quella donna ? Perchè
non veniva alla villa, con tutti gli altri visitatori del
— 153 —
principe? Dov'era andata a star di casa?... E intenta
a vagliare le mille supposizioni paurose che l'inquieta
fantasia le suggeriva, ella 'dimenticava il colera, quasi
non pensava alla figlia lontana, quasi non s'accorgeva
del silenzio di suo padre. Questi doveva volergliene,
credere che avesse abbandonato la bambina per smania
di divertirsi al Belvedere ! Non le era accaduto sempre
cosi, che tutto quanto aveva fatto contro voglia, per
obbedire agli altri, le era poi stato addebitato, da tutti,
come capriccio e come colpa ? Non era ella una di
quelle creature disgraziate che non riuscivano a nulla di
bene, destinate a spiacere ad ognuno ?
Però non piangeva : non pianse neppure quando,
invece del padre, le scrisse ila sorella Carlotta, per
dirle che Teresina stava bene e che erano tutti al si-
curo. Non pianse, ma si senti vinta da una cupa tri-
stezza che non riusci a nascondere. Raimondo stesso
se ne accorse ; le domandò :
, — Che scrive tua sorella ?
— Nulla che stanno tutti bene, che non corrono
pericolo....
— • Hai visto?... Quando io ti dicevo?... — e le voltò
le spalle.
Erano passate due settimane dal loro arrivo e an-
cora non aveva udito parlare della Fersa. La sera di
quel giorno, appena cominciò a venir gente, ella andò
a chiudersi nella sua camera. Stava male, non solo di
spirito, ma anche .fisicamente ; la lunga agitazione tra-
vagliava alla fine anche il suo corpo. Era da un pezzo
buttata sul letto, con gli occhi e la mente fissi nelle
tristi visioni del passato, nelle paurose previsioni del-
l'avvenire, quando fu picchiato all'uscio.
— Cognata?... — era la voce del principe. — Che
fate ? Perchè non venite giù ? C'è molta gente, sta-
sera si giuoca —
Ella levossi, s'acconciò con mano tremante i capelli
scomposti, e discese. Certo, quell'altra era finalmente
venuta ! Certissimamente Raimondo le stava al fianco !
— 154 —
La chiamavano per farla assistere a quello spettacolo
e per goderne !... Guardò rapidamente nel salone zeppo :
non c'era. Però, aveva appena preso posto accanto
alle cognate, che la udi nominare : qualcuno diceva :
— la villetta affittata a donna Isabella
— Un guscio di noce! — rispose un altro. — I Mon-
giolino ci stanno come le acciughe in un barile.
Ella non comprendeva.
— Ma i Persa dove se ne sono andati ?
Era proprio Raimondo che faceva questa domanda?
Non sapeva dunque dov'era colei?
— Nella cam,pagna di Leonforte ; donna Mara ha
preferito....
Ella comprese a un tratto ; la gola le si strinse con-
vulsamente. Andata via senza dir nulla, traversò la
casa co.n gli occhi gonfi e il cuore tumultuante ; giunta
nella sua camera, cadde ai piedi dell'imagine della Ver-
gine, scoppiando in pianto dirotto; pianto di gioia, di
gratitudine, di rimorso anche : poiché ella aveva so-
spettato degli innocenti —
Le parve di tornare da morte a vita; coi sospetti,
cessarono i dolori dell'anima e quelli del corpo; parte-
cipò alla vita della famiglila, assaporò finalmente la
dolcezza del riposo. Anche le notizie del colera non le
davano timore pei cari lontani ; dopo le stragi del-
l'anno innanzi la pestilenza pareva non trovasse più
dove apprendersi, serpeggiava qua e là senza forza.
Alla villa Francalanza continuava la vita allegra ;
tutte le sere conversazione e giuoco. Raimondo era
adesso il più assiduo alla tavola verde; quand'egli
prendeva le carte, le poste aumentavano, il rischio cre-
sceva. Molti s'alzavano, intendendo svagarsi e non la-
sciarvi la borsa ; la principessa di Roccasciano, invece,
non chiedeva di meglio, molte volte restava sola col
conte a far la bazzica da dodici tari. Si nascondeva
dal marito, M quale, come tutti i parsimoniosi, biasi-
mava ogni specie di giuoco : amici compiacenti sta-
vano alle vedette per farle un segno appena ^egli s'av-
vicinava; allora ella e il suo complice facevano spa-
rire i gettoni, interrompevano la partita e si lasciavano
sorprendere intenti a una scopa innocente. Raimondo ci
si Sfpassava, incitava la principessa al gioco forte, la
tirava in una stanza fuori mano dove restavano più a
lungo a contendersi i quattrini, mettendo poi in mezzo,
con l'aiuto di tutta la società, il principe sospettoso.
Matilde, sorridendo anche lei di quelle scene da com-
media, giudicava tuttavia che suo marito facesse male a
fomentare cosi il vizio della principessa ; ma non le ba-
stava il cuore di rimproverarlo, tanto la rinata fiducia la
faceva indulgente. Purché egli non la tradisse, che le
importava del resto? Tra le signore che venivano alla
villa, Raimondo pareva non apprezzarne alcuna ; stava
poco in loro compagnia, si dava tutto al giuoco : il giorno
al casino, la sera in casa. Non che biasimarlo, per tanto,
ella avrebbe quasi voluto spingerlo in quella via che lo
distoglieva da un'altra infinitamente più dolorosa. Il
cuor suo lo avrebbe voluto senza nessun vizio, solo
amante di lei, della famiglia, della casa; ma lo pren-
deva com'era, anzi come lo avevano fatto, giacché ella
addebitava quel che trovava in lui di men bello alla so-
verchia indulgenza, al cieco amore della madre.
Lontano dalle carte, Raimondo s'annoiava. Se non
poteva combinare una buona partita, smaniava contro
la noia di quel villaggio, contro la conversazione dei
villani, contro gli stupidi divertimenti della tombola e
delle gite sugli asini. Ella poteva dirgli : « Con chi te ne
lagni ? Non volesti venirci tu stesso ? » Però taceva,
affinché egli non prendesse quelle parole come un rim-
provero. Invece, vedendolo di cattivo umore, gli doman.
dava dolcemente che avesse :
— Ho che mi secco, non lo sai ? — le rispondeva.
— . Che vuoi farci !... Quando ii colera cesserà, torne-
remo a Firenze — Perchè non vai al casino?
Egli non se lo faceva ripetere. A poco a poco, il
giuoco diveniva indiavolato; nel giro di poche ore
, - 156 -
facevano ^lifferenze di centinaia d'onze. Nessuno, in
casa, diceva nulla a Raimondo ; il principe, già più alla
mano con tutti, pareva studiarsi di non pesare per nulla
sul fratello. Un giorno questi, poiché da Milazzo, per via
del colera, tardavano a mandargli denari, gli chiese, in
conto delle rendite ereditate, qualche centinaio d'onze : il
principe mise la propria cassa a sua disposizione ; egli
tornò ad attingervi a più riprese. Naturalmente, se il
colera non finiva, non isi poteva far nulla per la siste-
mazione dell'eredità; nondimeno, il principe ne parlava
adesso direttamente al coerede, gli comunicava i proprii
disegni. « Avevano dato a intendere ai legatarii che
erano stati trattati male dalla madre, ma la dimostra-
zione del contrario sarebbe stata facile e pronta. Già,
né Ferdinando né Chiara davano ascolto ai sobillatori ;
la stessa Lucrezia si sarebbe subito convinta del proprio
torto. Quindi, per amore della pace, per mettere in
chiaro ogni cosa, quantunque avessero ancora tanto
teinpo a pagar le sorelle, non era meglio togliersi al
più presto quel peso di su le spalle ? » Avrebbero fatto
un poco d'economia per raccogliere le sedicimila onze
occorrenti, giacché se Lucrezia doveva averne dieci
mila, a Chiara ne toccavano soltanto sei, dovendosi
sottrarre le quattro da lei « avute » nel maritarsi. Prima,
però, bisognava pagare i creditori, metter tutto in pu-
lito. Frattanto, per guadagnar tempo, potevano inten-
dersi loro due, circa la divisione. E a nessuno di quei
ragionamenti del fratello, Raimondo trovava nulla da
obbiettare : « Va bene, va bene, » era la sua risposta.
In mezzo a quésta pace, piombò un bel giorno don
Blasco da Nicolosi, a cavallo a un gigantesco asino della
Pantelleria. Scappato con tutto il convento, il monaco
non aveva messo fuori neppure il naso, nelle prime set-
timane, per paura di prendere il colera con l'aria che
respirava ; ma visto che per la campagna prosperavano
uomini e bestie, rassicuratosi sul pericolo del contagio,
udito finalmente che al Belvedere facevano baldoria, non
stette più alle mosse. Arrivò li, fra colezione e desinare,
annunziandosi con grandi vociate perchè nessuno gli
apriva il cancello ; visto poi il principino che gli veniva
incontro con una bacchetta in mano la quale spaven-
tava la cavalcatura, gridò al ragazzo, come se volesse
mangiarselo : « Vuoi star fermo, che il diavolo ti porti ? »
e entrò finalmente nella villa esclamando : « Non c'è
nessuno, qui dentro?... Che stillate?...» Al principe
che voleva baciargli la mano, spiattellò : « Lascia stare
queste smorfie — » e senza salutar nessuno, lo prese pel
bottone dell'abito, lo trasse in disparte e gli domandò
a bruciapelo :
— È vero che tuo fratello si giuoca la camicia che
ha indosso? Com'è che puoi permettere una cosa si-
mile ?
— • Vostra Eccellenza non conosce Raimondo ? — ri-
spose il principe, stringendosi nelle spalle. — Chi può
dirgli nulla? Provi Vostra Eccellenza a dissuaderlo —
— Io? Ah, io ? A me importa un mazzo di cavoli
di lui e degli altri ! Questo è il frutto dell'educazione
che gli hanno data ! E quell'altra buona a nulla di sua
moglie ? Tutto il giorno a grattarsi la pancia piena ? E
tua sorella? E quei pazzi? E tuo figlio?...
Non risparmiò nessuno : i discorsi di Chiara e del
marchese relativi al corredo del nascituro gli fecero
marchese relativi al corredo del nascituro gli fecero mon-
tare la mosca al naso, le notizie dei Giulente lo imbe-
stialirono; ima quel che gli fece perdere il lume degli
occhi fu la lettura del Giornale di Catania portato dal
principe di Roccasciano nel pomeriggio, quando comin-
ciarono a venire le prime visite. Subito dopo il bollettino
del colera si leggeva in quel foglio : « La generosità
dei nostri cospicui patrizii non poteva mancare, in tempi
tanto calamitosi, di venire in soccorso della sventura.
L'Illustrissimo don Gaspare Uzeda duca d'Oragua, ben-
ché lontano dai suoi concittadini, pure ha fatto tenere
al nostro Senato la somma di ducati cento da distri-
buirsi in soccorso dei più bisognosi — » Cento ducati
buttati via, per soccorrere i bisognosi ? Dite piuttosto
per fregola di popolarità ! Cento ducati buttati a mare,
quasi che quella bestia avesse molto da scialare? A
furia di larg-izioni un bel giorno avrebbe battuto il...
capo sul lastrone, come meritava la sua sciocchezza :
bestia, bestione, tre volte bestionaccio !... Il monaco
era talmente fuori della grazia di Dio, che quando Roc-
casciano gli chiese notizie di suo nipote don Lodovico,
si voltò come una furia :
— Di che nipote m'andate nipotando ?... Non li co-
nosco!... Li rinnego tutti quanti!... — E preso anche
quest'altro pel bottone della giacca, gli gridò all'orec-
chio : — Vedete un po' quel che fanno?... Non sono tre
mesi che han perduta la madre, e intanto se la spas-
sano, senza un riguardo al mondo!...
Qualche giorno dopo ci fu la visita del Priore. Ar-
rivò in carrozza, riposato e sereno : salutò ed abbracciò
tutti, volle entrare nella camera dov'era spirata la prin-
cipessa, parlò della pestilenza attribuendola al corruccio
del Signore per le nequizie dei tempi. Tutti lagnavansi
dell'ostinata siccità, perchè in tre mesi di torrida estate
non era caduta una goccia d'acqua : egli riferì d'aver
disposto un triduo, a Nicolosi, e una processione per
impetrare la pioggia ; altrettanto consigliò che facessero
al Belvedere.
— Non bisogna stancarsi di pregare l'Altissimo. Solo
la preghiera e la penitenza potranno indurre la Divina
Clemenza a perdonare i peccatori.
Poi annunziò che la cugina Radali gli aveva scritto
per avvertirlo che, appena cessato il colera, voleva met-
tere il secondogenito Giovannino al Noviziato : provve-
dimento lodevole, poiché, col marito in quello stato, la
povera duchessa non poteva badare all'educazione di
entrambi i figliuoli. Il principe disse che anch'egli forse
avrebbe fatto altrettanto per Consalvo. La principessa
chinò gli sguardi a terra, non osando replicare, ma non
potendo soffrire d'esser divisa dal suo bambino.
Cosi zio e nipote tornarono a venire, soli, in giorni
diversi, incapaci di stare insieme, come cani e gatti.
— 159 —
Però tutti riconoscevano che la colpa era di don Blasco :
don Lodovico, con la sua natura veramente angelica,
non avrebbe chiesto di meglio che far la pace; quel-
l'altro invece non gli perdonava ancora l'assunzione al
priorato. Comunque, la scissura era di&piacevole : gli
amici di casa, i frequentatori del convento ne parla-
vano con dolore. Non ne parlava affatto Fra Carmelo,
il quale venne anch'egli a far visita alla principessa ed
a portarle le prime nocciuole e le prime castagne. Non
voleva parlare della nimistà tra zio e nipote per amore
della buona fama del convento, per rispetto ai Padri
che, a suo giudizio, erano tutti buoni e bravi egual-
mente ; ma in modo particolare per la venerazione che
portava ai due Uzeda. Quei suoi sentimenti compren-
devano tutta la parentela. Quando la principessa, in
cambio della frutta che egli recava, gli faceva appre-
stare uno spuntino, il frate, sparecchiando rapidamente,
esaltava la nobile casata, casata di signoroni come ce
n'eran pochi. E \a principessa gli voleva bene pel bene
che egli dimostrava al piccolo Consalvo, per le carezze
che gli faceva, pei speciali regalucci che gli portava,
singolarmente perchè, narrandogli il noviziato degli
zii don Lodovico e don Blasco, gli diceva :
— Ce n'è stati tanti degli Uzeda, a San Nicolai Ma
Vostra Eccellenza non l'avrem.o ! Vostra Eccellenza è
figliuolo unico, e non lo metteranno certamente al mo-
nastero !...
Tutti i parenti, invece, tranne Chiara, che se avesse
avuto un figliuolo se lo sarebbe cucito alla gonna, erano
dell'opinione del principe, che per l'educazione e l'istru-
zione del ragazzo convenisse mandarlo fuori di casa.
Don Blasco, specialmente, alle mondiate del pronipote,
all'indulgenza della principessa, vociava : « Ma come
cresce, cotesto squassaforche !... Che educazione è
questa qui !... » Donna Ferdinanda, quantunque giudi-
casse soverchia ogni istruzione, pure riconosceva anche
lei che mettere il ragazzo in un nobile istituto sarebbe
stato isecondo le tradizioni della casa : tamto il collegio
— i6o —
Cutdli, quanto il Noviziato benedettino avevano visto
molti di quegli antenati di cui ella leggeva e spiegava al
nipotino la storia. Quando Consalvo era stanco di mole-
stare le persone e le bestie, se ne veniva infatti dalla
zitellona e le diceva :
— Zia, vediamo gli stemmi ?
Gli stemmi eran l'opera del Alugnòs, illustrata con
le armi delle famiglie di cui il testo ragionava ; e donna
Ferdinanda passava intere giornate leggendola e com-
mentandola al nipotino.
Gli aveva già fatto un piccolo corso di grammatica
araldica, spiegandogli che cosa volesse dire scudo par-
tito e diviso, inquartato e soprattutto ; mettendo il dito
adunco sul rame che rappresentava quello di casa Uzeda
gliene faceva ogni volta la descrizione, perchè la man-
dasse a memoria :
— Inquartato, al primo e al quarto partito, d'oro
all'aquila nera, linguata e armata di rosso, e f usato
d'azzurro e d'argento; al secondo e al terzo diviso,
d'azzurro alla cometa d'argento e di nero al capriolo
d'oro; sopra il tutto d'oro con quattro pali rossi che è
d'Aragona; lo scudo contornato da sei bandiere d'al-
leanza.
Poi gliene spiegava la formazione : la cometa voleva
dire chiarezza di fama e di gloria ; il capriolo rappre-
sentava gli sproni del cavaliere. Lo stemma piccolo in
mezzo al grande era quello dei Re aragonesi ; gli Uzeda
lo avevano ottenuto a poco a poco, non tutto in una
volta: il primo palo al tempo di don Blasco II.
— « Seruendo egli », la zitellona leggeva nel suo
testo, « all'inuitto Re don Giaime nella gverra ch'hebbe
col conte Vguetto di Narbona e coi Mori nell'acqvifto
di Maiorica, non n'hebbe remvneratione uervna, pe-
rilche ritiratoli dal Real leruiggio fenne andò coi fvoi
al fuo Stato, et iui uedendo che il Re mandaua vna'
grolla fomma di denari alla Reina, con dvcento caua-
lieri fvoi uaffalli in vn celato palfo fi pvofe, et agva-
— i6i —
tando i real carriaggi gli tolfe i denari e quanto di
fopra portauano, mandando a dire al Re ch'era Ivi
obbligato di pagar prima i feruiggi perionali, e doppo
iodiifar gli appetiti della Reina : ma Idegnatofi di
qvefte attioni il Re moffe contra di Bla f co graue
gverra, che per l' interpofitione di molti baroni pia-
ceuolmente fi diftaccò, et ottenne la baronia di Almeira
nonché poteftà di «poter imporre alle fve Arme, vn palo
rodo d'Aragona. » — . La zitellona gongolava, leg-
gendo quella storia, e dopo averla letta la ripeteva al
nipotino con linguaggio meno fiorito perchè egli ne
intendesse meglio il senso : — Bel Re, quello, eh ? che
si faceva servire dai suol baroni e poi non voleva dar
loro niente ! Ma ila pensata di don Blasco Uzeda non
fu più bella? « Ah, non date niente a me che ho com-
battuto per voi, e pensate invece a mandar regali alla
Re;gina ? Aspettate che v'accomodo io!... » — La sua
voce tremava di comimozione nel ripetere la storia della
rapina, e i suoi occhi furaci come quelli dell'antenato
s' infiammavano della secolare cupidigia della vecchia
razza spagnuola, dei Viceré che avevano spogliato la
Sicilia.
— ■ E gli altri pali ? — ■ domandava il principino, che
pendcA^a dalle labbra della zia meglio che se gli rac-
contasse le fiabe di Betta Pelosa e della Mamma Draga.
La zitellona sfogliava rapidamente il libro e piombava
sul passaggio cercato.
• — ■ « La cagion di ciò auuenne eh' il predetto Gon-
zalo de Vzeda, elfendo eccellente cacciatore fv inuitato
dal Re Carlo di andare a caccia nei bolchi ivoi il qvale
inulto, fv dal Gonzalo accettato, e mentre ognvno li
procacciaua e' 1 Re medefmo di i'egvire i Daini, Cin-
ghiali, e Lepri, andò folo il Re appreflo vn grofio Cin-
ghiale, il qvale a'tvtaimente fi trattenne nel corlo, ma
perché il cauallo del Re fvriofamente di fopra gli cor-
reua, nel pai far impedito da qvello, calcò con tvtto il
Re in vn falcio per terra, il qvale reftò con vna gamba
di lotto il cauallo, uedendo ciò il Cinghiale, f'auuentò
De Roberto. I Viceré - I 11
fopra il Re per vcciderlo, il qvale per non hauerfi po-
tvto dilbrig-are, li difendeua (olamente con vn pu-
gnale, e né reitaua fenz'altro morto, ii non che auue-
dvtofi da Ivng-e Gonzalo del pericolo del Ivo Re, corie
per foccorrerlo, et al primo incontro vccife il Cignale,
e scendendo poi da cauallo, 1' aivtò poi a forgere e' 1 fé
montar fopra il fvo cauallo, e tvtta uia il Re ringra-
tiandolo e lodandolo il chiamò : « Bon figlio ! » perilche
fvrono poi lempre i signori di Vzeda chiamati dai Regi
Siciliani col titolo di conlangvinei, e portarono sovra
l'arme, J'Arme Regia di Aragona con tvtti i fvoi poteri,
come in effetto al prefente [piegano, dicendo anche il
Croni fta INIadrileno : « Los feruicios de los \'zedas fve-
ron tantos, y tan buenos que por merced de los
Reyes de Aragona hazian la mefmas armas que
ellos »
Chi poteva piia arrestare donna Ferdinanda, una
volta cominciato? Ella non aveva un uditore piij at-
tento del ragazzo, gli voleva bene appunto per questo,
giacché gli altri parenti le prestavano un orecchio di-
stratto, badavano alle loro « sciocchezze », o lavoravano
ad offuscar lo splendore della casa, come quel volpone
del duca amoreggiante coi repubblicani, come quella
pazza da legare di Lucrezia che non voleva smetterla
d'aspettare al balcone il passao^gio del Giulente!...
Solo fra tutti don Eugenio, quando non lavorava
alla memoria per disseppellire la nuova Pompei, assi-
steva alla lettura del Mugnòs, citava altri storici della
famiglia. Allora fratello e sorella passavano a rassegna
il lungo ordine di avi, recitavano la cronaca delle loro
gesta, il secolare sforzo per afferrare e mantener la
fortuna; i tradimenti, le ribellioni, le prepotenze, le
liti continue che gli scrittori narravano velatamente,
senza giudicarle, e che essi magnificavano. Artale di
Uzeda, « giornalmente del suo castello con i suoi armi-
geri uscendo, signoreggiava tutto il paese ; » Giacomo,
vissuto al tempo del re Lodovico, « dominò Nicosia e
ne fu alla perfine rimosso per i molti dazii che impose ; »
~ 163 -
don Ferrante, « cog-nominato Sconza, che nel sicolo
idioma suona il medesimo che Guasta, » perde tutti i
suoi feudi, «mercè l'inobedienza che usò col suo Re;
ne ottenne quindi il perdono, ma non per questo di-
morò nella fedeltà, poicchè per sue cagioni si discostò
di bel nuovo della Regia obbedienza, e preso e con-
dennato a morte ebbe per Grazia sovrana salva ^a
testa ; » don Filippo fu celebrato « pel valore che mostrò
in favor del suo Re don Ferdinando contro al Re di
Portogallo, di maniera, ch'essendo bandito della corte
per cagion d'omicidio, fu liberato e venne in Grazia
del suo Re ; » Giacomo V, « perchè aveva venduto suoi
feudi a Errico di Chiaramonte, pretese poi ricuperargli
da poter di quello, e gli tentò lite ; » Don Livio « si
dilettò di vendicarsi acerbamente degli oltraggi, che gli
furono fatti ; » etc. etc. Questi erano, per donna Ferdi-
nanda, atti di valore e prove d'accortezza. Né gli
Uzeda avevano litigato coi sovrani e coi rivali soltanto,
ma anche tra loro stessi : don Giuseppe, nel 1684, « si
caso con donna Aldonza Alcarosso, colla quale procreò
a don Giovanni e a don Errico, che per la morte dei
loro padri innanzi l'avo, pretesero succedergli negli
Stati di quello e litigarono lungo numero d'anni in-
nanzi la Regia Corte; » don Paolo ebbe «lunghe e cri-
minose contese con suo padregno : » Consalvo, conte
della Venerata « per la morte del padre fu spogliato
dal suo zio, e per aver repudiato l' infertile moglie
combattè alcuni anni con suo cognato ; » Giacomo VI
« cognominato Sciarra, che Rissa nel tosco idioma di-
remmo, non puoche differenze ebbe col padre. » Con-
salvo III, « cognominato Testa di San Giovanni Bat-
tista, dolorò la fellonia dei figli che seguirono Fede-
rico conte di Luna, bastardo del Re Martino ; » ma il
più terribile di tutti fu il primo Viceré, il grande Lo-
pez Ximenes, « che perdette l' animo dei suoi sog-
getti, per i vizii d'un figliuol naturale molto prepo-
tente e di sciolti costumi : onde il padre avenclolo tro-
vato reo et incorreggibile, con somma severità lo con-
. — 164 — ■
dennò a morte, sentenzia che si sarebbe eseguita, se
il Re don Ferdinando, che ritrovavasi in SiciHa, non
avesse ordinato che non si effettuisse.... » Don Euge-
nio, di tanto in tanto, per edificazione del ragazzo,
giudicava conveniente fare qualche dissertazione mo-
rale; donna Ferdinanda invece lodava tutto, ammi-
rava tutto. Col tempo, con l'esercizio del potere, la
razza battagliera erasi infiacchita : il secondo Viceré,
sfidato a duello da un barone ribelle, « non puose pru-
dentemente orecchio all' invito che questo sconsigliato
giovane avevagli fatto;» la condotta dell'imbelle an-
tenato, per la zitellona, era altrettanto lodevole quanto
quella degli altri che avevano attaccato lite con tutti
per niente. Ed a proposito di duelli, dove lasciare il
famoso decreto di Lopez Ximenes ?
— Aveva mandato bandi sopra bandi — narrava la
zitellona al nipotino, — per proibire le sfide ; ma a chi
diceva, al muro? Non gli davano retta ! Ah, no? Allora
fece una pensata ; aspettò il primo duello, che fu tra
Arrigo Ventimiglia conte di Ceraci e Pietro Cardona
conte di Gollsano, e confiscò tutti i loro beni : glieli
tolse, hai capito ?
— • E chi se li prese ?
— Tornavano ai Re, - — spiegò . don Eugenio ; —
ma poi la faccenda s'accomodò : Ventimiglia se ne
andò fuori regno, e Cardona regalò al Viceré il suo
castello della Roccella, per ottener perdono —
A furia di simili pensate j il Viceré venne però in
uggia a tutto ir mondo, tanto che il Parlamento mandò
deputazioni in Ispagna perchè il sovrano lo rimovesse
dal posto : opera dei baroni invidiosi e birbanti — ■ a
giudizio della zitellona — ma lui, più fino di loro,
che fece? Offri al Re un dono di 30 mila scudi, e cosi /
restò al suo posto; per poco, però,. Era naturale che
non lo. potessero soffrire, giacché nessun altro aveva sj
tanta potenza, tanta ricchezza e tanta nobiltà. C'erano jM
stati prima molti altri governatori della Sicilia che "
tenevano il luogo del Re, ma si chiamavano Presidenti
- i65 -
del regno, o Viceré non proprietarii, e dovevano con-
sultare Sua Maestà prima di eleggere qualcuno alle
cariche di Mastro Giustiziere, d'Ammiraglio, di Gran
Siniscalco, etc. ; e non potevano dare feudi o Inirgen-
satìci che oltrepassassero Ja rendita di onze 200 casti-
gliane, né somme di denaro superiori a 2 mila fiorini
di Firenze ; era loro egualmente proibito di nominare
i castellani di Palermo, Catania, Mozia, Malta, etc,
etc. ; mentre 1' Uzeda esercitava lo stesso preciso po-
tere dd Re, potendo, come diceva il rescritto : « ema-
nar leggi durature a suo piacere, condonare la pena
di morte, conferire dignità, far tutto ciò che avrebbe
fatto lo stesso Re, esercitare tutti gli atti riserbati
alla suprema regalia ed alla regia dignità, ancorché
avessero ricercato un mandato speciale o specialis-
simo— » Chi poteva dunque star loro a fronte? Che
avevano da invidiare alle famiglie più nobili di Na-
poli e di Spagna? Si gloriavano perfino d'una santa
in cielo : la Beata Ximena. Era vissuta tre secoli e
mezzo addietro ; maritata dal padre, per forza, al conte
Guagliardetto, terribile nemico di Dio e degli uomini,
aveva ottenuto la conversione del colpevole e compiuto
grandi miracoli in vita e dopo morte : il suo corpo,
portentosamente salvato dalla corruzione, conservavasi
in una cappella della chiesa dei Cappuccini !... E come,
sfogliando il volume per vedere gli altri stemmi, quelli
dei Radali, dei Torriani, il ragazzo domandava alla
zia perché .non c'era quello della zia Palmi, la zitel-
lona rispondeva, secco secco :
— Lo stampatore dimenticò di mettercelo ; ma è
così : suo padre che, con una zappa in mano, pianta
un piede di palma
Verso la fine di settembre il colera crebbe d' inten-
sità; il 25 il bollettino segnò trenta morti, ma si di-
ceva che fossero piia e che gì' infetti superassero il
centinaio e che qualche caso sparso inquietasse le cam-
pagne. Ci fu una nuova scappata di gente; la vigi-
— i6G —
lanza al Belvedere era continua perchè non entras-
sero i fug-,giti da luoghi sospetti : contadini e cittadini,
armati di schioppi, carabine e pistole, facevano la
guardia in tutte le vie che mettevano capo al paesello,
esercitando una specie di polizia arbitraria e inap-
pellabile; e poiché, ad ogni passaggio, di fuggiaschi,
avvenivano scene tra comiche e tragiche, Raimondo,
per vincer la noia — essendo il giuoco interrotto per
quel nuovo spavento — gironzava spesso per i posti
di guardia. Un giorno, saputosi che a Màscali c'era
gente ammalata di colera, i carri e le carrozze prove-
nienti di lì non furon lasciati passare. Mentre quelli
del Belvedere intimavano il dietro-fronte con gli schioppi
spianati, e gli emigranti facevano valere le loro ra-
gioni, mostrando certificati, pregando, miinacciando,
gridando, Raimondo che se la godeva s' udì a un
tratto chiamare: «Don Raimondo!... Contino! Con-
tino!...» e guardatosi intorno vide due donne che
dallo sportello d'una polverosa carrozza gli facevano
cenni disperati.
— Donna Clorinda!... Voi qui?...
Donna Clorinda era la vedova del notaio Limarra,
famosa per l'allegria dimostrata in gioventù ed ora,
nella maturità prossima al disfacimento, per la bel-
lezza della figliuola Agatina, la quale, seguendo le orme
della madre, aveva civettato, ragazza, con tutti i gio-
vanotti che le si erano stropicciati alle gonne ; maritata
pili tardi col patrociniatore Galano, gli procurava clienti
d'ogni genere. Donna Clorinda, con un debole pei gio-
vanotti nobili, era «tata, più di dieci anni addietro,
la prima conquista di Raimondo ; lasciata la madre,
egli aveva poi ruzzato con la figliuola, ma senza molto
profitto, in verità, perchè costei uccellava al marito; am-
mogliato egli stesso e andato via di Sicilia, le aveva
perdute di vista. Adesso le due donne, ed anche il
marito che se ne stava rannicchiato più morto che
vivo in fondo alla carrozza, si mettevano sotto la sua
protezione per ottenere un rifugio al Belvedere. Grazie
- i67 -
a lui le lasciarono entrare ; ma le difficoltà ricomincia-
rono subito dopo, giacché, avendo i fug,gia5chi invaso
ogni buco, non c'erano in paese altro che le stalle dove
poter mettere nuova gente. Nondimeno, per donna Clo-
rinda e l'Agatina, che incontravano un nuovo amico ad
ogni pie sospinto, tutto il Belvedere si mise in moto,
finché trovarono loro due camerette terrene, un poco
fuori mano, ma con un piccolo giardinetto. Appena sta-
bilite, ridussero una di quelle scatole a salottino da
ricevere, e cominciò subito l'andirivieni di tutta la co-
lonia cittadina messa in rivoluzione da quell'arrivo.
Donna Clorinda, che non s' arrendeva ancora, dava
udienza a tutti ; ma il posto accanto alla figliuola fu
serbato a Raimondo. Per la libertà che regnava in
quella casa, pel buon umore delle due donne, anche
i rimasti a bocca asciutti ci venivano a passare la sera
meglio che al casino, giocando, ciarlando, cantando.
E Raimondo, smessa la noia, smessa la mutria, non
rincasava più, isi faceva ancora una volta aspettare lun-
ghe e lunghe ore dalla moglie triste ed inquieta pel
rinnovato pericolo della pestilenza, pei sospetti che quel
repentino cambiamento rievocava, accorata più tardi
dalle allusioni con le quali donna Ferdinanda, il prin-
cipe, le stesse persone di servizio le rivelavano gli
antichi amori del marito. Poteva ella credere alla
nuova tresca con la figlia dell'antica amante? Non era
questo un peccato mortale, una mostruosità che la
mente di lei rifiutavasi di concepire ? Non doveva ella
credere, piuttosto, che l'astio dei parenti contro Rai-
mondo e lei stessa ordisse l'accusa maligna?... Bru-
scamente ritolta alla pace, ella tornava a struggersi, a
lottare contro sé stessa, contro i sospetti che la riassa-
livano non ap<pena scacciati, a passar le lunghe notti
autunnali tremando nell'attesa del ritorno di lui, a pian-
gere per gli sgarbi coi quali egli rispondeva alle sue
inquietudini.
— Perché resti fuori cosi tardi ? Ho paura per la
tua salute
— i68 —
— Non sono più libero di restar fuori quanto mi
piace ?
— Sei libero, si.... Ma non andare in quella casa,
tra quella gente che tuo fratello si vergogna di rice-
vere
— Dove vado ? Tra quale gente ? To vado al casino ;
vuoi anche spiarmi ?
No, ella gli credeva, voleva e doveva credergli. Ma
perchè pesavano su lei gli sguardi tra ironici e com-
passionevoli di tutta la famiglia e della servitù ? Perchè
il discorso moriva in bocca alle persone alle quali ella
s'avvicinava? — Una notte, dopo quattro mesi di sic-
cità, scoppiò un terribile temporale ; il cielo scuro fu
solcato da saette lucenti come spade, le strade si mu-
tarono improvvisamente in fiumane limacciose, la
grandine strosciò sulle vetrate e sui tetti. Ella che aveva
sperato di veder tornare Raimondo ai primi accenni
dell' uragano, aspettava ancora tremante di paura. Non
una voce, non un rumor di passi. Il temporale cessò
dopo un'ora, Raimondo non tornava ancora.... Non gli
altri maligni, ma egli stesso era bugiardo e incestuoso :
poteva più dubitarne? Quella spudorata non l'aveva
anche lei guardata arditamente in viso, in atto di sfida,
quasi dicendole : « Sono più bella di te, perciò egli mi
preferisce?... » Ed era vero: la sua gelosia era tanto
più umiliata, quanto più ella riconosceva di non pia-
cere a suo m.arito, ora specialmente che la gravidanza
inoltrata la disformava. Ma aveva egli veramente giu-
rato di attentare alla vita dell'essere che ella portava
in grembo, infliggendole torture sopra torture, lascian-
dola cosi, nella notte oscura e tempestosa, com quello
spasimo del peccato orribile, del nuovo tradimento, con
l'anima piena di dolore e di vergogna e di spavento?...
Egli rincasò a mezzanotte, fracido intinto, con gli abiti
talmente fangosi come se si fosse rotolato nella mota.
— Maria Santissima!... — esclamò ella, giungendo
le mani. — Come ti sei conciato cosi ?
— Pioveva; sei sorda? non hai sentito l'acqua?
— • Ma la pioggia è finita da un pezzo....
— i6g —
— ■ Mi son inzuppato prima!... — gridò quasi egli.
— Ho da sentire anche te, adesso?
Improvvisamente, ella ebbe la conferma dei proprii
sospetti : rispondeva cosi quand'era colto in fallo, re-
plicava con le violenze alla ragione ; troncava la di-
scussione coi gridi Appoggiata la fronte a un vetro
sul quale la nuova pioggia fine fine tirava umide righe,
ella si mise a piangere silenziosamente. Il bene che gli
voleva, l'obbedienza che gli prestava, la devozione
sommessa di cui gli dava prova ogni giorno non ba-
stavano, dunque : tutto era inutile ! egli la sfuggiva,
la tradiva, per chi?... E l'aveva costretta ad abban-
donare la sua bambina, e l'aveva espoista ai rimpro-
veri di suo padre, per questo! per questo!... Un do-
lore sopra l'altro, sempre, sempre, anche adesso che
ella avrebbe dovuto esser salerà per lui, perchè i dolori
potevano uccidere la creatura che stava per nascere !...
La voce di Raimondo, rauca, che chiamava il came-
riere, la strappò all'alba di lì. S'era messo a letto, il
ribrezzo della febbre gli faceva battere i denti. Allora
ella asciugò le lacrime, corse ad assisterlo. Per tre
giorni non lasciò un momento il suo capezzale, gli
fece da infermiera e da cameriera, dimenticando la
propria ambascia pel terrore che quel male degenerasse
nella pestilenza influente, restando sola presso di lui
quando, insospettiti, nessuno della famiglia volle più
entrarci. Tremavano all' idea del contagio, avevano
tutti paura di prenderlo, Raimondo piij di tutti, nono-
stante le risate confortative del dottore, nonostante
le assicurazioni di lei.
Guarito dell' 'infreddatura, egli non ebbe più nulla;
però non era ancora del tutto ristabilito che pretese
andar fuori.
— Fallo per noi ! — scongiurò Matilde, a mani
giunte; — per nostra figlia! Non t'esporre a un altro
malanno !...
Non gli aveva detto nulla dei suoi sospetti, per non
irritarlo mentr'era infermo; ma ora gli buttava le
braccia al collo, gli diceva, guardandolo negli occhi,
passandogli una mano sui capelli :
— Dove vuoi andare ? Perchè mi lasci ? Resta
con me !
— Voglio far due passi; mi sento bene.... — ri-
spose, solleticato da quelle carezze, da quella som-
messione di cane fedele.
— • Li faremo insieme nella vigna Non c'è bisogno
di andar fuori — se è vero che mi vuoi bene... me
sola!... e che non pensi ad altri
— A chi dovrei pensare?... — esclamò Raimondo,
con un sorriso fatuo di compiacimento.
— A nessuna?... A nessuna?... A colei?
— Ma a chi?
— Alla Galano?... — quel nome le bruciava le
labbra.
— Io? — rispose con tono di protesta. — Ma nean-
che per sogno!... Vorrei un po' sapere chi ti mette in
capo queste cose !
— Nessuno ! Le temo io, perchè ti voglio bene, per-
chè sono gelosa —
Egli rideva di tutto cuore, rassicurandola.
— Ma no! Che ti salta in capo!... E poi, l'Aga-
tina !... Una che è di tutti, di chi la vuole!...
— È vero? È vero?... Allora, perchè ci vai?
— Ci vado perchè mi diverto, perchè è come andare
al caffè, al circolo —
— Allora, la sera che prendesti l'infreddatura?...
— M' inzuppai perchè l'acqua mi colse alla Rava-
nusa ; puoi domandarne, se non mi credi !
SI, ella gli avrebbe creduto, se la dolcezza con cui
la trattava non fosse stata nuova, innegabile prova che
aveva qualcosa da farsi perdonare — Ebbene, che le
importava, se era per questo? Qualunque fosse il sen-
timento che gli dettava quelle parole, esse erano buone,
la toglievano, almeno per poco, al suo cordoglio. E
con l'anima che riaprivasi alla speranza, ella lo udiva
proporle :
— Del resto, ora che il colera sta per finire, andremo
via tutti. Quando avrò sistemato gli affari della divi-
sione con Giacomo, ce ne torneremo a Firenze. Ma per
ora, se vuoi faremo una corsa a Milazzo. Partorirai a
casa tua ; ti piace ?
VI.
— . Ahhas .'... Ahhas !... — disse il Fratello portinaio,
inchinandosi.
— Che significa ? — domandò allo zio Priore Con-
salvo, che il padre conduceva per mano.
— Vuol dire che l'iVbate è in convento — spiegò
Sua Paternità.
Su per lo scalone reale, tutto di marmo, il ragazzo
guardava le pareti decorate di grandi quadri a mezzo
rilievo di stucco bianco sopra fondo azzurrognolo : San
Nicola da Bari, il martirio di San Placido, il battesimo
del Redentore, con sciami d'angeli in giro, corone, fe-
stoni e rami di palme sulla vòlta. Lo scalone sbucava
nel corridoio di levante, dinanzi alla grande finestra
che metteva nella terrazza del primo chiostro.
— È là, — disse il Priore, inchinandosi verso
un'ombra nera che passava dietro i vetri.
L'Abate, dall'esterno, attaccò il viso al finestrone e
riconosciuti i visitatori esclamò, gestendo :
— Apri, apri, Ludovl —
Il Priore fece girare la spagnoletta, e presa la mano
del superiore la .baciò rispettosamente ; il principe e il
principino seguirono l'esempio.
— Benedetti, figliuoli, benedetti!... Questo è dunque
il nostro monachino? Oh, che bel monachino ne vo-
gliamo fare!... Consalvo, eh? — domandò rivolto al
principe ; poi, al ragazzo : — Consalvo, tu sei contento
di stare con noi, che?...
— • 172 — ■
— Rispondi!... Rispondi a Sua Paternità...
Il ragazzo disse, guardandolo in viso :
-- SI.
— Bravo!... Che bel ragazzo!... Che occhi!... Tu
starai qui con lo zio, crescerai buono e santo come lui,
che?... — e mise affabilmente una mano sulla spalla
del Priore, il quale mormorò, arrossendo :
— Padre Abate !...
Questi s'avviò, appoggiandosi al bastone. Il Priore
gli stava alla destra, il principe alla sinistra : Consalvo
era andato ad affacciarsi all' inferriata, guardava giù
nel chiostro contornato da un portico che reggeva la
terrazza superiore, pieno di statue, di vasche dove
l'acqua cantava, di sedili distribuiti fra le aiuole sim-
metriche, con un padiglione in centro, di stile gotico,
a quattro archi, la cui vòlta di lastre lucide faceva
Sipecchietto al sole. Il ragazzo curiosava ancora quando
suo padre lo chiamò : la comitiva (^lirigevasi al quar-
tiere dell'Abate, posto accanto a quello del Re, nel cor-
ridoio di mezzogiorno, dove ogni uscio era sormontato
da grandi quadri rappresentanti le vite dei santi. Giunto
dinanzi alla sua porta, l'Abate diede qualche ordine al
cameriere, poi tutti si diressero al Noviziato, pel cor-
ridoio dell'Orologio, lungo piij di cento canne, il cui
finestrone di fondo pareva piccolo, dall'opposta estre-
mità, come un occhio di bue. Passarono dapprima ac-
canto al secondo chiostro, il quale aveva il portico al
primo piano e la terrazza al piano s.uperiore come
l'altro; anch'esso era coltivato: tutt' un boschetto di
aranci e di cedri dal fogliame scuro che i frutti d'oro
punteggiavano. Poi si lasciarono dietro il Coro di notte
dove sbucava un'altra scala, poi l'orologio; né il cor-
ridoio finiva ancora. L'Abate, tra il principe e il Priore,
chiacchierava con una volubilità straordinaria, semi-
nando il discorso di che?... aspirati ai quali non la-
sciava dare risposta. I Fratelli che incontravano lungo
il loro cammino si fermavano tre passi innanzi alla co-
mitiva, chinavano il capo giungendo le mani sul petto
al passagg-io dei superiori. E sulla porta del Noviziato
stava Fra Carmelo, che scorto il ragazzo gli apri le
braccia con aria festosa, esclamando :
— C'è venuto!.,. C'è venuto!...
Padre Raffaele Cùrcuma, il Maestro dei novizii,
venne incontro all'Abate, e gli fece strada fino alla sala
delle lezioni dov'erano riuniti tutti i fanciulli, Giovan-
nino Radali fra gli altri, da sei mesi a San Nicola.
— Questo è il nostro nuovo monachino, — spiegava
Sua Paternità. — . Abbraccia il cug-i netto !... La tua
camera è pronta, or ora ci andremo. Adesso tu la-
scerai il tuo nome ; ti chiamerai Serafino. Il tuo cugi-
netto si chiama Angelico, che?... Questo qui è Pla-
cido, questo Luigi —
Erano frattando arrivati due camerieri con vassoi
pieni di dolci, ai quali i novizii facevano festa.
— Vedrai che è bello, qui, — diceva il Maestro al
nuovo arrivato, accarezzandolo. — Ti divertirai, con
tanti compagni....
Consalvo chinava il capo, lasciava che dicessero.
La curiosità del primo momento gli era passata, sen-
tiva adesso una gran voglia di piangere ; nondimeno
guardava tutti in viso, quasi in atto di sfida, per non
darla vinta a suo padre che aveva per forza voluto
ficcarlo li dentro. E Fra Carmelo era stupito della
sua franchezza : tutti gli altri ragazzi, il primo giorno,
avevano gli occhi rossi, dicevano che non volevano
starci, piangevano immancabilmente quando il barbiere
recideva le loro chiome, quando lasciavano gli abiti
secolari per vestire la nera tonacella. Invece il princi-
pino, andato via suo padre dopo 1' ultimo predicozzo,
si lasciava fare, vedeva cadere i capelli sotto le cesoie
senza dir nulla, indossava il saio come se l'avesse por-
tato fin dalla nascita.
— , Bravo!... Sempre così contento ha da starci!...
Vedrà poi quanti giuochi, quanti spassi —
Il ragazzo rispose, duramente :
— Io sono il principe di Francalanza; non sempre
ci starò.
— T74 —
— Sempre?... Chi l'ha detto?... Ci starà qualche
anno, finché imparerà — Semipre ci stanno i suoi zii —
Adesso, adesso andremo da Padre don Blasco
E presolo per mano, gli fece rifare la via tenuta
al venire, fino alla camera del Decano, che «ra nel
corridoio di mezzogiorno, col quadro di San Giovanni
Boccadoro suU' uscio.
— ■ Deo gratias ?....
— Chi è ? — rispose il vocione del monaco.
L'uscio s'aperse un poco, ed egli comparve, in pan-
taloni e maniche di camicia, con la pipa in bocca, in
mezzo alla camera sottosopra come un campo lavorato.
— Qui c'è il nipotino di Vostra Paternità, che viene
a baciar la mano alla Paternità Vostra.
— Ah, isei qui? — esclamò il monaco, nettandosi
le labbra col rovescio d' una mano. — Va bene, tanto
piacere ! — aggiunse, senza fargli neppure una carezza ;
poi, rivolgendosi al Fratello : — Conducetelo a spasso
nella Flora.
Dopo tante grida contro l'ignoranza e la mala edu-
cazione del iproniipote, il monaco era montato in bestia
quando il principe aveva deciso di metterlo a San Ni-
cola. Ce lo mettevano per educazione ? Voleva dire che
non erano buoni di educarlo in casa ! Allora aveva ra-
gione lui quando diceva che davano al ragazzo di begli
esempii ? Ma Giacomo voleva mettere il figlio a San
Nicola anche per gli studii : come se gli Uzeda aves-
sero mai saputo fare di più della loro firma! E poi ci
voleva molto a dargli qualche maestro, se avevano la
fregola di farne un letterato? I maestri, però, poco
o molto, bisognava pagarli, e questo era il solo e vero
motivo della deliberazione : risparmiare 4 baiocchi;
perchè ai Benedettini non solamente non si pagava
nulla, ma le stesse famiglie degli scolari ci guadagna-
vano qualcosa !...
Le camere del Noviziato aprivano tutte in un giar-
dino destinato unicamente al diporto dei ragazzi ; non
c'erano soltanto fiori, ma alberi fruttiferi, aranci, li-
-- ^75 —
nìoni, mandarmi, albicocchi, nespoli del Giappone, e
la mattina un pigolio assordante di passeri svegliava
i novizii prima ancora che Fra Carmelo venisse a chia-
marli per le divozioni che andavano a dire nella cap-
pella. Finito di pregare tornavano tutti nelle loro ca-
mere, facevano una colazione frugale perchè il pranzo
era a mezzogiorno, e ripassavano le lezioni per tro-
varsi pronti all'arrivo dei lettori che insegnavan loro
r italiano, il latino e l'aritmetica, più la calligrafìa e
il canto corale, le domeniche. A terza, dopo le lezioni,
c'era la messa, che scendevano ad ascoltare in chiesa;
la più grande di Sicilia, tutta marmo e stucco, bianca
e luminosa, con la cupola che sfondava il cielo e l'or-
gano di Donato del Piano costato tredici anni di lavoro
e diecimila onze di denari. Subito dopo da messa, i
novizii andavano al refettorio, certe volte in quello
grande insieme coi Padri, certe altre da soli, nel pic-
coilo, secondo prescriveva la Regola; ma lo spasso co-
minciava più tardi, dopo il desinare, quando si spar-
pagliavano per il giardino, dove isi mettevano a gio-
care a rimpiattino, alle bocce, ai castelletti, oppure
zappavano o coltivavano ciascuno i propria alberi, op-
pure mandavano per aria aquilotti e palloni. Oltre il
muro di cinta, distendevasi' un terreno incolto, tutto
lava e sterpi, fino alla Flora — il giardino grande de-
stinato al diporto dei monaci, dove i ragazzi andavano
di tanto in tanto, a rincorrersi pei grandi viali — e il
principino, che aveva subito preso le abitudini del con-
vento ed era il più diavolo di tutti, spesso arrampica-
vasi su quel muro, tentava di scavalcarlo e andarsene
nella sciava; ma allora il Padre Maestro e Fra Car-
melo ammonivano :
— Di là non si passa!... Non t'arrischiare da quella
parte, che ci bazzicano gli Spiriti : se t'afferrano ti
portano via con loro —
— Li hai visti tu, cotesti Spiriti ? — domandò una
volta Consalvo a Giovannino Radali.
— Io, no; ci vanno la notte, dicono.
- 176-
E la notte non potevano g^uardarci perchè, dopo la
passeggiata vespertina che facevano giù in città, e
dopo la cena, rientravano per lo studio e per le pre-
ghiere della sera.
Fra Carmelo teneva loro compagnia, badava che
non mancassero di nulla, e quando non c'era da fare,
li svagava parlando dei novizii d'un tempo, che adesso
erano monaci o alle case loro, narrando le storie anti-
che, il famoso furto della cera nella notte del Santo
Chiodo ; la rivoluzione del Quarantotto, quando San
Nicola era servito di quartier generale a Mieroslawski ;
la venuta di Re Ferdinando e della Regina nel 1834;
ma diffondendosi più che altro intorno alle vicende
del monastero.
Nel primo principio non si sapeva bene chi lo avesse
fondato, ma il 1136 certi santi Padri Benedettini s'e-
ran ritirati, per meditare e far penitenza, nei boschi del-
l'Etna e lì, coll'aiuto del conte Errico, avevano eretto
il primo convento di San Leo. San Leo era uno dei
tanti crateri spenti del Mongibello, tutto coperto di bo-
schi e sei mesi dell'anno ammantato dalla neve; una
vera solitudine adatta al santo scopo. In inverno la
tramontana turbinava intorno al povero e rustico fab-
bricato, tagliava la faccia, scottava le mani, gelava
ogni cosa : tanto che molti dei monaci s'eran buscate
gravi malattie, non resistendo all'' intemperie. Per tanto
avevano ottenuto di poter mandare gl'infermi più giù,
in un ospizio fabbricato nel bosco di San Nicola; e 11,
come ci si stava meno a disagio, cominciarono ad an-
dare anche parte dei monaci sani. A San Leo, intanto,
oltre il freddo c'era un altro spavento, quando la mon-
tagna s'apriva, vomitando fuoco e cenere ardente : i
terremoti sconquassav^amo la fabbrica, la lava distrug-
geva gli alberi e disseccava le cisterne, la cenere info-
cata bruciava ogni verdura. « Potevano sopportare tanti
guai, i poveri Padri ? » La meditazione stava bene, ma
se il suolo mettevasi a ballar la tarantella, chi poteva
più riconcentrarsi e pregare ? La penitenza stava an-
— ^11 —
Cora meglio ; ma bisognava pure e\itare che, a furia di
mortificazioni, i penitenti non se ne andassero difilato
all'altro mondo prima d'aver purgato ì loro falli. Per
conseguenza, impetrarono ed ottennero di stabilirsi defi-
nitivamente a San Nicola, intorno al quale venne cre-
scendo un paesetto che, dal Santo, si chiamò Nicolosi
per l'appunto. Li, il convento fu costruito con qualche
comodo, più grande dell'antico, e i monaci vi resta-
rono molti anni ; però Nicolosi non scherzava neppur
esso : la neve, se non sper sei mesi, vi cadeva copiosa
in inverno, e il freddo era ancora troppo pizzicante ;
tanto che gli ammalati bisognò mandarli in un altro
os>pizio fabbricato apposta più giù, alle porte di Ca-
tania; senza dire che i ladri infestavano quelle cam-
pagne. Veramente i monaci, che avevano fatto voto di
povertà, non avrebbero dovuto temerli ; perchè « cento
ladri » come dice il proverbio « non possono spogliare
un nudo ; » ma Re, Regine, Viceré e Baroni avevano co-
minciato a donar roba al convento ; e a furia di rac-
coglier legati i Padri si trovavano possessori di un
gran patrimonio. Ora, chi doveva godersi quelle ric-
chezze? i topi? Perciò nel 1550, i Benedettini pensa-
rono di venirsene definitivamente in città, mettendo la
prima pietra d' un magnifico edifizio alla presenza del
Viceré Medinaceli. Certuni volevan dire che San Be-
nedetto fosse crucciato perché i suoi figli avevano la-
sciato i boschi e s'erano accasati da signori in città :
menzogna patente, poiché, finito che fu il convento, il
glorioso fondatore dell'Ordine Io preservò dal fuoco
del vulcano : la lava dei Monti Rossi, discesa fino a
Catania, preciso in direzione del convento, g-iunta di-
nanzi ad esso girò dalla parte di ponente e andò a
gettarsi in mare senza fargli alcun danno. È vero che
nel 1693 il terremoto rovinò l'edificio dalle fondamenta;
però il castigo, se mai, non fu inflitto ai soli Padri, ma
a mezza Sicilia che se ne cascò come un castello di
carte. E allora finalmente cominciarono la costruzione
che adesso ammiravasi, sopra un piano tanto gran-
D^ Roberto. 7 Ficcrè - I 13
— 178 —
dieso che non si potè eseguir tutto : per portarne a
compimento una metà, i lavori durarono fino al 1735.
La ricchezza dei Padri era pervenuta al sommo : set-
tantamila onze l'anno, e certi feudi erano cosi vasti,
che nessuno ne aveva fatto il giro !
Quando parlava di queste cose. Fra Carmelo non
ismetteva piij, ./perchè egli aveva passato piij di cin-
quant'anni fra quelle mura, e voleva bene ai Padri, ai
novizii, alle imagini della chiesa ed agli alberi della
Flora, come se tutti fossero parte della sua famiglia.
Conosceva i feudi, le tenute e i poderi meglio di tutti i
Cellerarii di campagna, ciascuno dei quali era preposto
al governo d'una sola proprietà; e quando bisognava
rammentar qualcosa, la data d'un avvenimento molto
lontano, la misura d'un antico raccolto, tutti ricorre-
vano a lui.
Il principino era adesso la sua più grande affezione :
egli se lo teneva vicino più che poteva, gli regalava
dolci e balocchi, lo vantava all'abate, al Maestro dei
novizii, agli zii ed a tutti. Il ragazzo, veramente, era
troppo vivace, faceva il prepotente, attaccava lite coi
compagni ; Fra Carmelo, paziente ed indulgente, sa-
peva scusarlo presso il Maestro, se commetteva qual-
che monellata, e raccomandava prudenza agli altri Fra-
telli se di queste monellate essi scontavan la pena.
— Bisogna lasciarli fare, i ragazzi ; e poi sono si-
gnori, e a noi tocca obbedirli.
I Fratelli, infatti, erano addetti alle grosse bisogne,
servivano i Padri al refettorio, mangiavano alla se-
conda tavola; e quando i monaci dicevano l'tififizio in
Coro, essi recitavano in un cantone il solo rosario. Per
entrar novizii e diventar .monaci bisognava esser no-
bili, e Fra Carmelo, fanatico di quelle cose quanto
donna Ferdinanda, celebrava la nobiltà riunita a San
Nicola. Vi si trovavano infatti i rappresentanti delle
prime famiglie, non solo della Val di Noto, ma di tutta
la Sicilia, perchè in tutta la Sicilia c'era solo un altro
convento di Cassinesi, a Palermo, e cosi inferiore in
— i79 —
grandezza, ricchezza ed importanza, che mandavano lì
da Catania i monaci stravaganti, per punizione. L'A-
bate era un gran signore napolitano, il secondogenito
del duca di Cosenzano ; da Monte Cassino era venuto
anche il Padre Borgia, romano, di quella famiglia che
aveva dato un Papa alla cristianità; e poi c'erano gli
isolani, i Gerbini, che discendevano da re Manfredi per
via di donne ; i Salvo, venuti in Sicilia con gli Svevi ;
i Toledo, i Requense, i Melina, i Currera spagnuoli
come gli Uzeda; i Cùrcuma e i Sagomi, di nobiltà lon-
gobarda; d Grazzeri, discesi di Germania; i Corvitini,
fiamminghi ; i Carvano, i Costante, francesi ; gli Ema-
nuele, appartenenti ad un ramo dei Paleologhi, impe-
ratori d'Oriente.
— Basta essere ai Benedettini, o monaco o novizio,
per significare che uno è signore — spiegava Fra Car-
melo al .principino. — Qui entrano soltanto quelli delle
prime case, come Vostra Paternità.
Ai ragazzi toccava il Vostra Paternità e il don,
come ai monaci, e tutte le volte che un Padre o un
Novizio passava dinanzi ai Fratelli, questi dovevano
inchinarsi, piegandosi in due, incrociando le braccia
sul petto; e se erano seduti, alzarsi in piedi per salu-
tare. C'era uno di questi Fratelli, Fra Liberato, vec-
chissimo, quasà centenario, non più buono a nulla, il
quale usciva dalla sua camera per tremare al sole sopra
una sedia a bracciuoli ; un giorno il principino gli passò
dinanzi e il vecchio non s'alzò. Allora il ragazzo riferi
la cosa al Maestro, il quale fece al Fratello una lavata
di capo coi fiocchi.
— È istolidito, poveretto ! — disse Fra Carmelo,
scusandolo. — Quando ci facciamo vecchi, torniamo
peggio di quand'eravamo bambini !
Consalvo riceveva cosi le stesse lezioni che gli aveva
fatte donna Ferdinanda, le digeriva meglio che non
l'altre del latino e dell'aritmetica. Esse gli davano
un'idea straordinaria di quel che valeva, ma gli pro-
curavano anche di solenni scapaccioni dai compagni,
— tSo —
specialmente ()ai maggiori d' cth, pel disprezzo col
quale li trattava. INIichcle Rocca si gloriava d'avere
anche lui un Viceré tra gli antenati ; ma Consalvo cor-
reggeva : «Viceré? Presidente del regno!...» E l'al-
tro : (( No, viceré » e Consalvo : « No, presidente »
finché Michelino, infuriato, gli si slanciava addosso.
Allora, piuttosto che venire alle mani, egli gridava al
soccorso e a Fra Carmelo toccava comporre la lite.
Ma ricominciava con gli altri, attaccava brighe sopra
brighe. Quasi tutte quelle famiglie baronali avevano
un nomignolo spesso ingiurioso o avvilitivo, col quale
erano conosciute in città più che col vero nome. I
Fiammona si chiamavano i Caratelli, perché corpac-
ciuti come mezze botti ; i San Bernardo Piange le fave,
allusione alla miseria in cui erano ridotti; i Currera
Tignosi perchè tutti con le teste calve come palle da
bigliardo ; i Salvo Mangia Saliva, altri peggio ancora.
Il principino, a corto di argoimenti, gridava ai compa-
gni : «Oh, dei Pancia-di-crusca!... Oh, dei Cute-di-
porco !... » e quelli, non potendogli rendere pane per
focaccia, giacché il nomignolo degli Uzeda, I Viceré,
diceva la loro antica potenza, se lo mettevano sotto,
quando riuscivano ad agguantarlo, e lo pestavano
bene. Fra Carmelo accorreva, con le mani in testa,
per liberare il suo protetto e predicar la pace, l'amore
reciproco, l'attenzione allo studio.
Durante le lezioni, quando si dava la pena di stare
attento, Consalvo capiva tutto e raccoglieva lodi e pre-
mii ; ma del resto non c'erano castighi, che i maestri
lettori, tutti preti di bassa estrazione, non osavano nep-
pure dar dell'asino agli scolari. Il Priore, in segno di
soddisfazione pei buoni rapporti del Maestro, veniva
a trovare qualche volta il nipote al Noviziato, portan-
dogli regali di dolci e di libri sacri ; don Blasco, al
refettorio, gli dava qualche scappellotto, a modo di
carezza; ma la prima volta che Fra Carmelo lo con-
dusse al palazzo, in permesso, per mezza giornata, tutta
la famiglia, riunita per la circostanza, gli fece gran
festa.
— Che bel monachino !... Che bel monachino !...
La principessa, dolente di non averlo più con sé,
ma rasseg-nata come sempre ai voleri del marito, se lo
mangiava dai baci, l'abbracciava stretto stretto con
tanto maggior forza, quanto maggiore repulsione le
ispiravano gli altri; donna Ferdinanda anche lei, venuta
apposta al palazzo, gli prodigò molte carezze ; Lucre-
zia, placatasi ormai che non correva più pericolo di
vederselo in camera, gli diede confetti e biscotti ; il
principe, senza smettere l'abituale severità, lodò i figli
obbedienti. Don Eugenio fece una predica intorno ai
benefizi! dell'istruzione; perfino lo zio Ferdinando scese
dalle Ghiande per assistere a quella visita. Manca-
vano però la zia Chiara e il -marchese : sicuri d'avere
il tanto aspettato e desiderato figliuolo, un triste giorno
la gravidanza era andata in fumo; essi portavano da
quel momento il lutto della speranza perduta. C'era
invece una bambina di sei anni che" guardava il mona-
chino con grandi occhi curiosi e una balia che teneva
in braccio un lattante.
— Le tue cugine, le figlie dello zio Raimondo, —
spiegò la principessa.
— E la zia Matilde ?
— ■ Sta poco bene....
Ma donna Ferdinanda troncò quegli stupidi discorsi,
e prese a interrogare il nipotino intorno ai compagni,
alla vita del monastero, all'impiego della giornata, in-
tanto che Fra Carmelo tesseva l'elogio del ragazzo alla
madre.
— Ti faresti monaco? — ■ gli domandò il principe,
per chiasso. — Ci staresti sempre, al convento ?
— . Si, — rispose e^li, per non dargliela vinta. — È
bello stare a San Nicola!...
I monaci infatti facevano l'arte di Michelasso : man-
giare, bere e andare a spasso. Levatisi, la mattina,
scendevano a dire ciascuno la sua messa, giù nella
chiesa, spesso a porte chiuse, per non esser disturbati
— l82 _
dai fedeli ; poi se ne andavano in camera, a prendere
qualcosa, in attesa del pranzo, a cui lavoravano, nelle
cucine spaziose come una caserma, non meno di otto
cuochi, oltre gli sgoiatteri. Ogni giorno i cuochi rice-
vevano da Nicolosi quattro carichi di carbone di quer-
cia, per tenere i fornelli sempre accesi, e solo per la
frittura il Cellerario di cucina consegnava loro, ogni
giorno, quattro vesciche di strutto, di due rotoli cia-
scuna, e due cafissi d'olio: roba che in casa del prin-
cipe bastava per sei mesi. I calderoni e le graticole
erano tanto grandi che ci si poteva bollire tutta una
coscia di vitella e arrostire un pesce spada sano sano ;
sulla grattugia, due sguatteri, agguantata ciascuno
mezza ruota di formaggio, stavano un'ora a spiallar-
vda ; il ceppo era un tronco di quercia che due uomini
non arrivavano a'd abbracciare, ed ogni settimana un
falegname che riceveva quattro tari e mezzo barile di
vino per questo servizio, doveva segarne due dita, per-
chè si riduceva inservibile, dal tanto trituzzare. In città,
la cucina dei Benedettini era passata in proverbio; il
timhallo di maccheroni con la crosta di pasta frolla, le
arancine di riso grosse ciascuna come un mellone, le
olive imbottite, i crespelli melati erano piatti che nessun
altro cuoco sapeva lavorare; e pei gelati, per lo spu-
mone, per la cassata gelata, i Padri avevano chiamato
apposta da Napoli don Tino, il giovane del caffè di
Benvenuto. Di tutta quella roba se ne faceva poi tanta,
che ne mandavano in regalo alile famiglie dei Padri e
dei novizi!, e i camerieri, rivendendo gli avanzi, ci ri-
pigliavano giornalmente quando quattro e quando sei
tari ciascuno.
Essi rifacevano le camere ai monaci, portavano le
loro ambasciate in città, li accompagnavano al Coro
reggendo loro le cocolle, e li servivano in camera se le
LL. PP. si sentivano male, o si seccavano di scendere
al refettorio. LI il servizio toccava ai Fratelli : a mez-
zogiorno, quando tutti erano raccolti nell'immenso sa-
lone dalla volta dipinta a fresco, rischiarato da venti-
- i83 -
quattro finestre grandi come portoni, il Lettore set-
timanario saliva sul pulpito e alla prima forchettata
di maccheroni, dopO' il Benedicite, si metteva a biasci-
care. Il giro della lettura cominciava dai più piccoli
novizii fino ai monaci più vecchi, per ordine d'età; ma
una volta arrivato ai Padri di fresca nomina, rico-
minciava per evitare quel fastidio ai grandi, i quali se
ne stavano comodamente seduti dinanzi alle tavole di-
sposte lungo i muri, sopra una specie di largo mar-
ciapiedi; l'Abate, nel centro del gran ferro di cavallo,
aveva una tavola per sé. I Fratelli portavano intanto
attorno i piatti, a otto per volta, sopra un'asse chia-
mata portiera che reggevano a spalla. Distinguevansi
i pranzi e i pranzetti, questi composti di cinque por-
tate, quelli di sette, nelle solennità ; e mentre dalle
mense leva vasi un confuso rumore fatto dell'acciottolio
delle stoviglie e del gorgoglio delle bevande mesciute
e del tintinnio delle argenterie, il Lettore biascicava,
dall'alto del pulpito, la Regola di San Benedetto:
« 34° comandamento: non esser superbo; 35°: non
dedito al vino; 36°: non gran mangiatore; 37°: non
dormiglione; 38°: non pigro — »
La Regola, veramente, andava letta in latino ; ma al
principino e agli altri novizii, aspettando che la potes-
sero comprendere in quella lingua, la spiegavano nella
traduzione italiana, una volta il mese. San Benedetto,
al capitolo della Misura dei cibi, aveva ordinato che
per la refezione d'ogni giorno dovessero bastare due
vivande cotte e una libbra di pane ; « se hanno poi da
cenare, il Cellerario serbi la terza parte di detta libbra
per darla loro a cena ; » ma questa era una delle tante
auiichità — come le chiamava Fra Carmelo — della
Regola. Potevano forse le Loro Paternità mangiare
pane duro ? E la sera il pane era della seconda infor-
nata, caldo fumante come quello della mattina. La Re-
gola diceva pure : « Ognuno poi s'astenga dal mangiar
carne d'animali quadrupedi, eccetto gli deboli et in-
fermi ; » ma tutti i giorni compravano mezza vitella,
oltre il pollame, le salsicce, i salami e il resto; e in
quelli di magro il capo cuoco incettava, appena sbar-
cato, e prima ancora che arrivasse alla pescheria, il
miglior pesce. Molte altre «antichità» c'erano veramente
nella Regola : San Benedetto non distingueva Padri no-
bili e Fratelli plebei, voleva che tutti facessero qualche
lavoro manuale, comminava penitenze, scomuniche ed
anche battiture ai -monaci ed ai novizii che non adem-
pissero il dover loro, diceva insomma un'altra quantità
di coglionerie, come le chiamava più precisamente don
Blasco. Articolo vino, il fondatore dell'Ordine prescri-
veva che un'emina al giorno dovesse bastare; «ma
quelli ai quali Iddio dà la grazia di astenersene, sap-
piano d'averne a ricevere propria e particolare mer-
cede. » Le cantine di San Nicola erano però ben prov-
vedute e meglio reputate, e se i monaci trincavano
largamente, avevano ragione, perchè il vino delle vigne
del Cavaliere, di Bordonaro, della tenuta di San Basile,
era capace di risuscitare i morti. Padre Currera, se-
gnatamente, una delle più valenti forchette, si levava
di tavola ogni giorno mezzo cotto, e quando tornava
in camera, dimenando il pancione gravido, con gli oc-
chietti lucenti dietro gli occhiali d'oro posati sul naso
fiorito, dava altri baci al fiasco che teneva giorno e
notte sotto il letto, al posto del pitale. Gli altri monaci,
subito dopo tavola, se ne uscivano dal convento, si spar-
pagliavano pel quartiere popolato di famiglie ciascuna
delle quali aveva il suo Padre protettore. Padre Ger-
bini, la cui camera era piena di ventagli e d'ombrel-
lini che le signore gli davano ad accomodare, comin-
ciava il giro delle sue visite; Padre Galvagno se ne
andava dalla baronessa Lisi, Padre Broggi dalla Cal-
dara, altri da altre signore ed amiche. Tornavano al-
l'ave, per entrare in chiesa, ma quelli che venivano un
poco più tardi, oa cui doleva il capo, se ne salivano
direttamente in camera ; e non già per dormire, che la
sera, fino a tre ore di notte, quando si serravano i por-
toni, c'erano visite di parenti e d'amici, si teneva con-
versazione, molti Padri facevano la loro partita. Un
tempo, anzi, per colpa di Padre Agatino Renda, gioca-
tore indiavolato, c'era stato un giuoco d'inferno : in
una sola sera Raimondo Ùzeda aveva perduto cinque-
cent'onze, e più d'un padre di famiglia s'era rovinato;
tanto che i superiori dell'Ordine, dopo aver chiuso un
occhio su molte marachelle, avevano do\Tjto finalmente
prendere qualche provvedimento. I Era appunto allora
venuto da Monte Cassino, in qììmità di Abate, Padre
Francesco Cosenzano, e per un po' di tempo, con
l'autorità della fresca nomina, aiutato dai buoni mo-
naci, che non ne mancavano, quel bravo vecchietto
era riuscito a infrenare i peggiori; ma, poi, coll'andar
del tempo, zitti zitti, a poco a poco, cjuesti erano tor-
nati alle abitudini di prima : gioco, gozzoviglie, il quar-
tiere popolato di ganze, i bastardi ficcati nel convento
in qualità di Fratelli — dei Padri — nuovo genere
di parentela ! E i timidi tentativi di resistenza dell'A-
bate gli avevano scatenato contro un'opposizione vio-
lenta. Don Blasco fu dei più terribili. Egli aveva tre
ganze, nel quartiere di San Nicola : donna Concetta,
donna Rosa e donna Lucia la Sigaraia, con una mezza
dozzina di figliuoli : e l'Abate lasciava correre, sebbene
fosse uno scandalo che tutte quelle mogli e quei fi-
gliuoli della mano manca, anzi di nessuna mano, ve-
nissero a udir la santa messa recitata dallo stesso mo-
naco. Poi, tutte le mattine, egli scendeva in cucina,
ordinando che m.andassero i migliori bocconi alle sue
amiche, e i giorni di magro si metteva sul portone per
aspettar l'arrivo dei cuochi col pesce, in mezzo al
quale faceva la sua scelta, ordinando : « Taglia un ro-
tolo di questa cernia e portalo a donna Lucia!» E l'A-
bate lasciava correre. Ma un giorno finalmente i nodi
vennero al pettine, per causa di costei. Il convento
possedeva una buona metà del quartiere in mezzo al
quale sorgeva : i tre palazzotti della piazza semicirco-
lare dinanzi alla chiesa e una quantità di case terrene
tutt'intorno alle mura. Da queste fabbriche ricavava
— i86 —
una magra rendita, perchè parte erano affittate a prezzi
di favore a vecchi fornitori o sagrestani ritirati, parte
erano addirittura concesse come elemosina a povera
gente, a famighe nobili cadute in bassa fortuna. Ora
don Blasco, con una particolare affezione per donna
Lucia Carino, la Sigaraia, le aveva fatto concedere
un bel quartierino di abitazione nel palazzotto di mez-
zogiorno e una bottega sottoposta dove suo marito
teneva il negozio dei tabacchi. L'Abate, visto che que-
sta donna Lucia non era né indigente né nobile deca-
duta e che non vantava altro titolo, per godersi la casa,
fuorché l'amicizia .scandalosa di don Blasco, mentre
poi tanti e tanti poveri diavoli non sapevano dove dar
del capo, pensò di ordinarle che o pagasse regolar-
mente l'affitto del quartiere e della bottega, oppure che
sgomberasse. Don Blasco, a cui già il fare da mora-
lista del nuovo Abate aveva dato ai nervi, tanto che
non aspettava se non l'occasione per aprire il fuoco, a
questa intimazione riferitagli dall'amica piangente, di-
ventò una bestia, salvo il santo battesimo, e fece cose
dedl'altro mondo, gridando pei corridoi del convento,
sotto il muso dei Decani e dietro l'uscio dell'Abate,
che se qualcuno avesse osato dar lo sfratto o preten-
dere un baiocco dalla Sigaraia, l'avrebbe avuto a far
con lui. E disciplinata l'opposizione ancora incerta e
tentennante, raccolto intorno a sé la schiuma del con-
vento, i monaci che non potevamo digerire le austere
ammonizioni del superiore e 'la fine del giuoco e di
tutti gli scandali, se prima era stato lo spavento del
Capitolo, da quel giorno divenne un diavolo scatenato.
Per amor della pace, il povero Abate dovè rimangiarsi
il !Suo provvedimento, ma l'Uzeda senior non si placò
per questo, che dove potè trovare argomento da susci-
tare mormorazioni e liti, non diede tregua al suo « ne-
mico. » Ciusto, l'Abate, ammirato dei severi costumi e
della scienza di don Lodovico, s'era messo a proteg-
gerlo, fino a sostenerne poi l'elezione al Priorato; per
ciò don Blasco, il quale voleva aver egli quel posto,
accomunò il nipote e il superiore nell'odio feroce e ine-
sting^uibiIe.
C'erano stati sempre numerosi partiti, a San Ni- "^
cola; perchè, trattandosi d'amministrare un patrimo-
nio grandissimo, e di maneggiare grossi sacchi di de-
naro, e di distribuire larghe elemosine, e di dar lavoro
a tanta gente, e d'accordar case gratuite e posti non
meno gratuiti al Noviziato, e d'esercitare insomma una
notevole influenza in città e nei feudi, ciascuno inge-
gnavasi di tirar l'acqua al suo mulino; ma, al tempo
dell'arrmiisisione del principino, i contrasti erano quo-
tidiani e violenti. L'Abate aveva, prima di tutto, i suoi
partigiani; ma non tutti i buoni monaci erano per lui,
non garbando a qualcuno che il supremo potere fosse
in mano d'un forestiere. Don Blasco col suo codazzo
cercava d'attirar costoro, gridando che bisognava man-
dare a casa sua quel « napolitano mangiamaccheroni » ;
ma, benché d'accordo su ciò, l'opposizione si divi-
deva poi novamente, quando aveva da scegliere il suc-
cessore. Non mancava il partito di quelli che dichia-
ravano non aver partito ; e don Lodovico, modello del
genere, tenendosi da parte, navigando sott'acqua, era
riuscito ad agguantare il Priorato. Parecchi sostene-
vano anzi che, in fin dei conti, egli era il solo merite-
vole d'aspirare alla dignità abaziale ; ma allora suo
zio, per evitare che quel « gianfottere » si ponesse in
capo la mitra, quasi sosteneva l'Abate Cosenzano. Né
lo stesso don Lodovico ammetteva che gli parlassero
della promozione : se qualcuno gliela prediceva, pro-
testava :
— L'Abate per ora è Sua Paternità ed a me tocca
obbedirlo prima d'ogni altro.
L'Abate in persona, ;stanco di quella galera, gli con-
fidava di volersi ritirare per cedergli il posto : quando
pure non avesse pensato a mettersi da canto^ presto o
tardi la morte non ci avrebbe pensato per lui ? E il
Priore :
— \"ostra Paternità non parli di queste cose!...
— i88 —
Sono cose che contristano il cuore ti 'un figlio devoto,
Padre Reverendissimo.
Il vecchio lo prendeva allora a suo confidente, si
lagnava del poco rispetto dei monaci, dello scandalo
che molti continuavano a dare con la loro vita liber-
tina. Il Priore scrollava il capo, in atto dolente :
— Il g-Iorioso nostro fondatore. Padre dei monaci, ci
insegna qual è il rimedio contro gli errori dei traviati :
l'orazione dei buoni, acciocché il Signore, che tutto
può, dia salute agli infermi fratelli —
Per tanto egli non riprendeva nessuno, non dava
corso ai richiami che spesso venivano a fargli, lasciava
che ognuno cocesse nel proprio brodo. Fra quella tren-
tina di cristiani non c'era mai un momento di pace e
d'accordo. Se la quistione delle persone divideva il con-
vento in un certo modo, i partiti erano poi scompi-
gliati dalla politica che raggruppava i Padri in ordine
tutto diverso. V'erano i liberali, quelli che al Quaran-
totto avevano parteggiato pel Governo provvisorio e
ospitato la rivoluzione in persona dei suoi soldati; e
v'erano i borbonici, che i liberali chiamavano sorci.
Don Blasco capitanava questi ultimi, in mezzo ai quali
stavano molti amici del Priore; i liberali, che nelle
quistioni d'ordine interno erano quasi tutti con l'Abate
effettivo, borbonicissimo, obbedivano politicamente al-
l'Abate onorario Ramira, quello del Quarantotto.
Quindi, se spesso s'udivano le voci dei Padri che dice-
vano male parole ai Fratelli e mandavano a quel paese
i camerieri, gli strepiti salivano al cielo appena comin-
ciavano le discussioni sugli avvenimenti pubblici, al-
l'ombra dei portici o dinanzi al portone: liberali e bor-
bonici quasi venivano alle mani, a proposito della fine
della guerra di Crimea, del Congresso di Parigi, della
parte che vi sosteneva il Piemonte. Don Blasco era
violento contro quel « piemontese mangiapolenta » di
Cavour e lo colmava d'improperii, rammentando la
storia della rana e del bue, profetando che sarebbe
scoppiato a furia di gonfiarsi come una vescica. Era
— iScj —
più terribile ancora contro il sistema costituzionale di
cui i liberali avevano l'uzzolo : esclamava che il miglior
atto compiuto da Ferdinando II era stato il 15 maggio,
quando aveva fatto prendere a baionettate « i buffoni
e i ruffiani « di palazzo Gravina. E se i liberali dice-
vano che avrebbero dato il ben servito al Re un'altra
volta, gridava :
— Lo manderete via voi altri, se mai ; che ve ne
basta l'animo, con quei pancioni !
E quando sentiva esaltare la bontà del giovane Re di
Sardegna, alzava le braccia sul capo, scotendo le mani
come alacce di pipistrello, con un gesto d'orrore di-
sperato : « Passa Savoia !... Passa Savoia !... » Nel 171 3
quando Vittorio Amedeo, assunto al trono di Sicilia,
era venuto nell' isola, in pompa, traA-ersandola da un
capo all'altro, il passaggio del nuovo sovrano era stato
seguito da una ma] 'annata co-me da un pezzo non si
rammentava l'eguale; e nelle popolazioni spaventate
ed ammiserite era rimasto in proverbio quel detto :
((.Passa Savoia! Passa Savoia!...» come il sintomo
d'una sciagura, d'un castigo di Dio.
— E volevano un altro dei loro, al Quarantotto,
come se non fosse bastato il primo! Ci volevano ri-
durre peggio di quel Piemonte morto di fame che
spoglia i conventi!...
Anche tra i novizii v'erano partiti politici : i liberali,
rivoluzionarli, piemontesi ; e i borbonici, napolitani,
sorci; ma se fra i monaci i due campi disponevano di
forze quasi eguali, qui i liberali erano in maggio-
ranza.
— ■ Sono tutti i morti di fame, — ■ spiegava don Bla-
sco al iprincipino ; — quelli che a casa loro non hanno
di che mangiare, e qui disprezzano il ben di Dio e le
lasagne che gli piovono in bocca bell'e condite !
Questo non era vero del tutto, perchè capitanava 1
novizii liberali Giovannino Radall-Uzeda, il quale ap-
parteneva ad una famiglia che per nobiltà e ricchezza
veniva subito dopo gli Uzeda del ramo diritto : quan-
iQO
tunque secondogenito, se fosse rimasto al secolo gli sa-
rebbe toccato il titolo vitalizio di barone. Ma il princi-
pino seguiva egualmente le opinioni degli zii don Blasco
e donna Ferdinanda : amico e compagno di giuoco del
cugino, era suo avversario in politica; e quando i rivo-
luzionarli parlavano fra di loro, quando complottavano
per sollevare il convento e scendere in piazza con una
bandiera di carta tricolore, egli stava alle vedette e
interrogava i più ingenui, e poi andava a ripetere le
notizie allo zio, perchè li denunziasse all'Abate; tanto
che don Blasco ebbe presto in tutt'altra considera-
zione il pronipote.
— Questo gianfottere non è poi tanto minchione
quanto pare.... Si, si, — approvava, lodando lo spio-
naggio di Consalvo ; — ascolta quel che dicono e poi
vieni a riferirmelo.
Anche tra i Fratelli la politica metteva dissidii e ni-
mistà; i più furbi, veramente, non s' impacciavano né
di Cavour né di Del Carretto, e badavano a ingrassare
le loro famiglie con le racimolature del monastero, ma
parecchi parteggiavano o pel governo o per la rivolu-
zione. Uno specialmente. Fra Cola, capo rivoluzionario,
parlava sempre di ricominciar la giocata del Quaran-
totto ; i novizii liberali gli facevano raccontare la storia
di quel tempo; e quando egli li serviva, a tavola,
quando versava in giro l'acqua od il vino dal gran
boccale di cristallo che reggeva con la destra, faceva
di nascosto, con l' indice e il 'medio della sinistra, '1
segno d'una forbice che taglia. Il principino domandò
un giorno a Giovannino Ridali che volesse dire ; il
cugino rispose :
— ■ Vuol dire che ai sorci bisogna tagliargli le code.
Consalvo riferì la cosa allo zio, e Fra Cola, in pu-
nizione, fu mandato alla casa di Licodìa, in mezzo alla
malaria. Fra Carmelo, per tanto, non s'occupava mai
di politica, e quando gli domandavano se era liberale o
borbonico, faceva il segno della santa croce :
— Vi scongiuro per parte di Dio ! So molto di que-
ste cose ! Queste sono opere del Nemico !
— I9X -^
Per lui non c'era altro mondo fuori di San Nicola,
né altra potestà fuor di quella dell'Abate, del Priore e
dei Decani. Bisognava sentirlo, quando enumerava tutti
i diciotto titoli dell'Abate, quando nominava i Re, le
Reg-ine, i Principi reali, i Viceré, i Baroni che avevano
dotato il convento. Ogni domenica, in Capitolo, l'A-
bate leggeva la litania di quei reali o principeschi do-
natori, in suffragio delle cui anime andavano dette al-
trettante messe quotidiane ; ma spesso ne recitavano
una sola all'intenzione di tutti, quanti : il ristoro dei
morti era lo stesso, e i vivi non stavano a. perdere
tanto tempo.
In generale, i Padri avevano fretta di sbrigarsi, e
intendevano fare il comodo loro. Per non scendere giiJ
in chiesa, a mattutino, quando faceva freschetto, essi
avevano ordinato, molti anni addietro, la costruzione
di un altro Coro, chiamato Coro di notte, in mezzo al
convento; ed anzi era costato parecchie migliaia d'onze,
tutto di noce scolpito ; ma adesso i Padri non si leva-
vano neppure per andar li, a due passi ; restavano a
covar le lenzuola fin a giorno chiaro, e il mattutino lo
facevano recitare per loro conto ai Cappuccini, dietro
pagamento. Viceversa poi, nelle grandi solennità re-
ligiose, a Natale, a Pasqua, per la festa del Santo
Chiodo, tutti prendevano parte alle cerimonie la cui
magnificenza sbalordiva la città.
Le prime a cui assistette il principino furono quelle
della Settimana Santa. Durante un mese la chiesa fu
sossopra, per la costruzione ^del Sepolcro, in fondo alla
navata di sinistra : chiusa da un grande impalcato, con
le finestre sbarrate, tutta adorna di candelabri di cri-
stallo splendenti come blocchi di diamanti, e di vasi col
grano lasciato crescere al buio perché non prendesse
colore, e popolata di statue rappresentanti la Sacra
Famiglia e gli Apostoli, era veramente irriconoscibile.
Il giovedì, a terza, tutto il monastero scese in chiesa,
pel Pontificale, con l'Abate alla testa, a cui i novizii
portavano il bacolo, la initra e l'anello e i caudatarìi
reg-gevano lo strascico. L'apparato era quello della
Regina Bianca, tutto di drappo rosso ricamato d'oro, e
sull'organo maestoso di Donato del Piano, tenori, -bassi
e baritoni scritturati a posta, cantavano il Passio che
la folla pigiata stava a sentire come al teatro. Dirim-
petto al soglio dell'Abate, nei posti migliori, c'erano
tutti gli Uzeda : il principe e il conte con le mogli,
donna Ferdinanda, Lucrezia, Chiara col marito; i
quali, scorto Consalvo, gli facevano segni col capo,
sua madre e la zitellona specialmente, ammirando la
sua cotta candida e insaldata a mille piegoline, lavoro
speciale delle Suore di San Giuliano. S'udiva per tutta
la chiesa, quando la voce potente dell'organo taceva,
un ronzio come d'alveare, un urtarsi di seggiole, lo
stropiccìo dei passi ; luccicavano i fucili e le sciabole
dei soldati disposti dinanzi alle tre porte e lungo le
navate per aprire il varco alla processione, più tardi.
Intanto dodici poveri rappresentanti i dodici Apostoli,
erano entrati nel Coro; l'Abate, inginocchiato, lavava
loro i piedi — seconda lavatura ; essendo la prima
già fatta in sagrestia affinchè Sua Paternità per lavar
quei piedi non s'induciasse le mani.
Un mormorio venne in quel momento dal fondo
della chiesa; Consalvo, dall'altare maggiore, si voltò e
vide che lo zio Raimondo, lasciato il suo posto, si fa-
ceva largo tra la folla dirigendosi verso una signora.
Era donna Isabella Persa. Come tutte le altre dame,
per la tristezza della Passione, vestiva di nero; ma il
suo abito era cosi ricco, tanto guarnito di gale e di
merletti, da- parere un abito da ballo. Arrivata tardi,
non trovava un buon posto; Raimondo, raggiuntala,
le diede il braccio e la condusse, in mezzo a una doppia
ala di curiosi, alla propria seggiola, accanto a quella di
sua moglie. La contessa Matilde, che usciva quel giorno
la prima volta dopo l'infermità, era tutta bianca in viso,
e l'abito di lana nera contribuiva a farla parere ancora
più pallida. Poi, giusto in quel punto Gesù moriva : la
chiesa oscuravasi repentinamente, i Fratelli rovescia-
vano i candelieri sugli altari, toglievan via le tovaglie
bianche e le sostituivano con quelle violacee, avvolge-
vano d'un velo la croce; e i monaci anch'essi, lasciati
i paramenti di festa, indossavano quelli del corrotto.
Nella penomibra, i ceri risplendevano con fiamma più
viva, e il santo Sepolcro era una raggiera, dalle tante
torce, dalle tante lampade, dai tanti riflessi dei cri-
stalli e degli ori. Donna Isabella guardava con l'oc-
chialetto lo spettacolo, mentre il conte, chino su lei,
le nominava ad uno ad uno i monaci e i novizii.
— Qiiello 11 non è il vostro nipotino?... Che bel
chierichetto, contessa!...
Matilde fece col capo un gesto ambig-uo. L'organo
intonava il Miserere, e il canto doloroso era pieno di
sospiri profondi, di lunghi lamenti che facevano echeg-
giare ogni angolo della chiesa scura, di schianti ter-
ribili iper cui l'aria tremava, di gemiti lunghi come
quelli del vento invernale. Pareva che il mondo dovesse
fifìire, che non vi fosse speranza più per nessuno ; Gesù
era morto, era morto il Salvatore del mondo; e i mo-
naci, a due a due, con l'Abate a capo, scendevano dal-
l'abside, giravano per l'immensa chiesa tra due file di
soldati che contenevano la folla e presentavano le armi
capovolte; poi l'Abate deponeva l'Ostia al sepolcro. In-
ginocchiata, col capo sulla seg'giola e il viso nascosto
dal fazzoletto, la contessa singhiozzava pianamente ;
donna Isabella esclamava :
— Che effetto produce questa funzione!...
Aveva anch'ella gli occhi un po' arrossati, ma quando
il conte le ridiede il braccio per condurla in sagrestia
s'appoggiò a lui languidamente.
— Per legge, non potrei venire — protestava. —
Sono ammesse le sole famiglie —
— Ma che!... Siete con noi ! Diremo che siamo cu-
gini....
Nella sagrestia ai parenti dei monaci e dei novizii
era offerto un lauto rinfresco : giravano i vassoi con le
Be Roberto. I Viceré - l ' 13
— 194 —
tazze di cioccolata fuimante, con le gramolate e i dolci
e il pan di Spagna. Consalvo, in mezzo alla mamma e
a donna Isabella, riceveva carezze e complimenti pel
modo esemplare col quale aveva preso parte alle fun-
zioni ; Padre Gerbini, senza avere ancor lasciato i pa-
ramenti mortuari i, salutava le signore, le invitava per
la cerimonia del domani.
E il venerdì g-li Uzeda arrivarono coi Persa ; il conte
dava il braccio a donna Isabella, che portava un altro
abito nero, più galante del primo. I sagrestani ave-
vano serbato loro gli stessi posti, facendovi la guardia
in mezzo alla folla burrascosa. Ma i soldati la frena-
vano, e quando l'organo accompagnava il canto lugu-
bre delle Tre Ore d'agonia, il silenzio era profondo;
solo Raimondo, seduto accanto a donna Isabella, le
diceva all'orecchio cose che la facevano sorridere. In-
tanto l'Abate eseguiva la cerimonia della Deposizione
dalla Croce : preso il Crocifisso velato, lo deponeva
per terra, sopra uno dei gradini dell'altare, dove un
cuscino di velluto, tutto trapunto d'oro, era preparato
apposta. I monaci se ne andavano via, il Sepolcro re-
stava un momento vuoto; a un tratto, mentre l'or-
gano riprendeva più triste le sue lamentazioni, tutti
riuscivano dalla sacrestia, in processione, a due a due,
col Superiore alla testa ; erano senza scarpe, coi piedi
nelle calze di seta nera, per l'Adorazione della Croce.
Inginocchiandosi a ogni passo, in mezzo alla siepe dei
soldati, scendevano fino alla porta maggiore, risali-
vano fi'no all'altare, li ad uno ad uno si buttavano
per terra dinanzi al cuscino del Cristo morto e lo ba-
ciavano. La folla saliva sulle seggiole, per godersi
meglio tutta la vista, donna Isabella e Raimondo si
passavano il cannocchiale, intanto che la contessa,
genuflessa, pregava piangendo. Alla fine della ceri-
monia, altro rinfresco in sacrestia ; il principino, vez-
zeggiato da tutti, fece servire prima i suoi parenti :
don Eugenio beveva cioccolata come fosse acqua, si
ficcava in tasca i dolci che non poteva mangiare ; ma
la zia Matilde non prese nulla.
— 105 -
Il Sabato Santo, per la funzione della Resurrezione,
Consalvo non la vide ; lo zio Raimondo dava sempre
il braccio alla signora Fersa.
VII.
Ogini sera, al capezzale della bambina, tenendola
per la manuccia fredda e bianca come di cera, senza
fare alcun moto col braccio irrigidito per non destare
la piccola dormiente, la contessa vegliava fino a tardi.
A notte alta serravano i portoni e nella casa addor-
mentata non s'udiva piij alcun rumore; solo dallo
stanzino attiguo veniva il lieve russare della balia
accanto al letticciuolo di Teresina. Raimondo non rien-
trava. Sul comodino stavano schierate le bottiglie dei
inedicamenti, i vasetti di pomata, tutta la farmacia
prescritta dal dottore per la povera malatuccia. Era
erpete quell'infermità, dicevano; cattivo umore che
si sfogava con eruzioni cutanee, con ingorghi di glan-
dole : tutti sintomi rassicuranti, poiché volevan dire
che l'organismo espelleva il principio morboso.
Ella s'era votata alla Madonna delle Grazie, le
aveva promesso di vestire il suo abito fino alla guari-
gione di Lauretta; in cuor suo aveva chiesto un'altra
grazia alla Madonna : di illuminare Raimondo, di ri-
destare il suo affetto di marito e di padre.
Fin da quando erano andati a Milazzo, secondo la
promessa fattale al Belvedere dopo il colera, egli aveva
ricominciato a smaniare, a mostrarsi infastidito e
crucciato, a dichiarare che non poteva restare a lungo
lontano da casa sua per gli affari della divisione. Ed
ella s'era appena sgravata, stava ancora tra vita e
morte dopo un parto difficilissimo, quando, addotta
una chiamata del fratello, egli se ne parti. Rimase
lontano pochi giorni, ma era la prima volta che l'ab-
— [gfi —
bandonava, giusto nel momento che la compagnia e
l'assistenza di lui le erano più necessarie. La nuova
tristezza non giovò certamente a darle forza per vincer
presto il male; ma un dolore più grande l'aspettava e
i suoi presagi dovevano tutti avverarsi, poiché la crea-
tura che ella aveva portata in grembo mentre il suo
cuore agonizzava, era venuta al mondo cosi debole
e stremata e cagionevole che pareva da un momento
all'altro dovesse mancare. Lunghi e lunghi mesi erano
cosi passati, quasi un anno intero, senza che ella po-
tesse lasciar la casa paterna e il capezzale della bam-
bina : durante quell'anno Raimondo era andato e ve-
nuto, partito e ritornato parecchie volte, ed ella aveva
a poco a poco fatta l'abitudine a quelle assenze, non
potendo seguirlo né opporsi alle ragioni d'affari che
le adduceva. Quan'do i medici ordinarono il muta-
mento d'aria alla creaturina convalescente, egli volle
condurre tutti a Catania. Anche il barone lasciava
Milazzo, andava a Palermo con l'altra figlia Carlotta;
perciò Teresina, non potendo restar sola, venne col
babbo. Non era parso vero a Matilde di vedere Rai-
mondo premuroso per le figlie, ed ella aveva quasi
benedetto le sue sofferenze, se per esse godeva di
quella tregua ; ma appena arrivata in casa degli Uzeda,
aveva visto ricadere la sua fìgliuolina e Raimondo tra-
scurarla, lasciarla sola in mezzo a quei « parenti »
che la guardavano come prima di traverso e, cosa più
dura al suo cuore di madre, la ferivano nelle sue
bambine. Della più piccola deridevano le sofferenze
e predicevano la morte ; ma le maggiori ostilità erano
contro Teresina. La bambina, vivace, curiosa, inquieta,
commetteva spesso qualche monelleria, guastava qual-
che cosa nei suoi giuochi, gridava allegramente cor-
rendo per le stanze; allora la rimproveravano, la man-
davano via; il principe diceva d'aver messo Consalvo
ai Benedettini giusto per star tranquillo in casa, e
invece gli disordinavano tutto, gli toccava udire strilli
peggio di prima Egli era più indulgente per la^
— 197 —
propria 'figlia, l'altra Teresina, e tutta la famiglia e
g'ii stessi servi trattavano diversamente le due cug-i-
nette, dando il primo posto alla principessina. La
stessa principessa Margherita, sola buona e dólce, non
poteva inascondere la preferenza per la figliuola ; e
Matilde, benché riconoscesse che avevano ragione,
soffriva di questa disparità di trattamento.
Teresina sua, a sei anni, era vana come una don-
nina : si g^uardava a lung"o allo specchio, assisteva al-
l'acconciarsi della mamma sgranando tanto d'occhi,
andava matta pei nastri, per gli spilloni, per le pezze
vecchie ; e la zitellona se la prendeva con la civetteria
di sua madre, scoteva la testa predicendo male del-
l'avvenire, faceva ipiangere la contessa a quella specie
di malia operata contro l'innocente. Incrudelivano su
lei per un'altra ragione, adesso; perchè il viaggio del
barone a Palermo aveva lo scopo di combinare il ma-
trimonio dell'altra figlia Carlotta. Pretendevano che
questa non si maritasse, che ella s'opponesse ai disegni
del padre, alla felicità della sorella, afifinchè tutta la
sostanza paterna restasse un giorno a lei ! E poiché
simili calcoli non capivano nella sua mente, la guar-
davano in cagnesco, la martoriavano nelle sue bam-
bine, quasi ella avesse loro portato via qualcosa
Raimondo, in verità, non mostravasi per nulla cruc-
ciato dei disegni di matrimonio; ma ricominciava a
trascurarla, scappava via subito dopo colazione, tor-
nava al finire del desinare per andar fuori un'altra
volta fino a notte tarda. A veder maltrattate le sue
figlie, Matilde sentiva le lacrime salirle agli occhi ;
si chiudeva in camera con Teresina, la scongiurava
di star buona, si studiava di trattenerla quanto più
a lungo era possibile perchè non tornasse di là ; né
quando Raimondo rincasava ella accusava i parenti di
lui, per evitargli un dispiacere, perchè non dicessero
che veniva a sem.inar zizzania in famiglia : lo pregava
soltanto di non lasciarla sempre sola L'ostilità degli
Uzeda verso di lei, i rimproveri e gli scherni rivolti
— 198 —
alle sue creaturine, tutto le sarebbe parso nulla, se la
gelosia non fosse tornata a roderla. Egli aveva ripreso
a corteggiare la Persa, andava a trov^arla in casa,
tutte le domeniche in chiesa s' incontravano alla
stessa messa : ed ella non poteva piij pregare, veden-
dosi dinanzi costei, comprendendo che egli non l'aveva
dimenticata, che era di nuovo sedotto dalla sua ele-
ganza, dalla languidezza dei suoi atteggiamenti, dai
gesti studiatamente graziosi coi quali portavasi il faz-
zoletto profumato alle labbra, o agitava il ventaglio
di piume, guardandosi attorno, o chinava il capo sul
libro delle preghiere senza voltarne mai una pagina!...
In chiesa! nella casa di Dio!... Ella non poteva com-
prendere quella commedia, le pareva un continuo,
enorme sacrilegio. E a San Nicola, per le cerimonie'
della Passione, era venuta con abiti di gala, come ad
un allegro spettacolo, facendo voltar la gente con la
sconvenienza del suo contegno!... Perchè dunque Rai-
mondo doveva metterle vicino costei, far notare anche
lui alla gente un'assiduità che già dava argomento a
mormorazioni?... Il giorno di Pasqua, piangendo di
dolore e di tenerezza, ella s'era confessata con suo
marito, al capezzale di queir innocente : « Per questo
giorno solenne, per amore di questa innocente, giu-
rami che non mi farai più soffrire » Ed egli le aveva
domandato: «Che ti faccio? Di che m'accusi?...» —
« Mi lasci, trascuri le tue figlie, non pensi a noi, non
ci vuoi piij bene — » Scrollando il capo, Raimondo
aveva esclamato : « Le tue solite fissazioni, le tue so-
lite fantasie!... Ti trascuro? Come ti trascuro?
Quando, perchè, per chi ti dovrei trascurare?... » Pc
chi?... Per chi?... E con più calore egli aveva ripreso:
« Sicuro, per chi ? Ricominci, colla tua sciocca gelosia ?
Ti sei messa qualche altra fisima in testa?... Per don-
n' Isabella, eh?... » l'aveva nominata lui! « Ho capito!
Perchè le ho ceduto la mia sedia, perchè l'ho invitata
con noi !... Ma queste, cara mia, sono regole di buona
creanza. Bisognava venire in questa bicocca miserabile
per sentirsi rimproverare una cosa simile I... »
— 199 —
E in quell'estate del '57 fu visto più assiduo coi
Farsa; al teatro, dove andava tutte le sere, nella bar-
caccia, saliva spesso nel loro palco quand'era la loro
volta d'abbonamento; li incontrava anche dalla zia
Ferdinanda, dalla quale donna Isabella andava spes-
sissimo : al Casino dei Nobili g"iocava quasi sempre
col marito, dal quale si lasciava vincere ogni giorno.
Quantunque potesse servirsi della carrozza del fra-
tello, aveva comperato una magnifica pariglia di puro-
sangue e un phaeton nuovo fiammante col quale an-
dava dietro alla carrozza dei Fersa : alla Marina,
quando c'era musica, scendeva, lasciando le redini
al cocchiere, per mettersi al loro sportello e chiac-
chierare con donna Isabella, con la suocera e col ma-
rito. Vestiva con maggiore ricercatezza del solito, non
stava mai in casa se non, come per una coincidenza
tutta fortuita, quando essi venivano a far visita alla
principessa. Il tema del suo discorso era continua-
mente Firenze, la vita delle grandi città, l'eleganza
e la ricchezza degli altri paesi ; egli si metteva vicino
a donna Isabella, esclamando : « Voi sola mi capite ! »
quando se la prendeva con la sorte che l'aveva fatto
nascere in quella bicocca e ve l' inchiodava, mentre
non avrebbe voluto metterci i piedi, mai più. « Ma
che proprio ho da lasciar qui l'ossa? Non credo! Non
è possibile !... » E udendolo parlare a quel modo, Ma-
tilde chiedeva a sé stessa perchè, dimque, egli non
andava via e non manteneva l'altra parte della pro-
messa fattale un anno e mezzo addietro, quella di tor-
nare alla loro casa fiorentina ? Per gli affari, forse ?
Ma quantunque Raimondo non le tenesse discorso di
queste cose, ella sapeva che della divisione non si
parlava ancora e ilon si sarebbe parlato per un pezzo.
• Prima il colera, poi lo strascico d' inquietudini che
la pestilenza avevu lasciato, poi la partenza del fra-
tello, erano state lagioni per la quali il principe non
aveva parlato della divisione. Adesso quel nuovo lusso
costava a Raimondo; egli chiedeva continuamente a
Giacomo somminii»lrazioni in denaro, e questi non gli
faceva ripetere le richieste, dimostrando tuttavia che
era ormai tempo di procedere alla sistemazione defi-
nitiva dell'eredità; ma a Raimondo tornava comodo
prendere i quattrini senza stare a far conti, a citare i
pagatori morosi, o ad impacciarsi in tutte le noie grosse
e piccole dell'amministrazione. Quando il fratello gli
esponeva un dubbio, o chiedeva il suo parere intorno
alla proroga d'un affitto, alla conclusione d'una ven-
dita, egli rispondeva: «Fa' tu, fa' come credi...»
L'importante, per lui, ei-a aver denari; alle volte, ri-
chiedendone con troppa frequenza, il principe gli di-
ceva : a Veramente, i fattori non hanno ancora pa-
gato; abbiamo avuto molte spese : però, se vuoi, posso
anticiparti quel che ti bisogna » ed egli prendeva
1 quattrini a titolo d'anticipo o di prestito. Non s'oc-
cupava insomma di nulla fuorché di spendere, con una
cieca fiducia nel fratello, la quale faceva andare in
bestia don Blasco. Già il monaco, saputo l'affare delle
cambiali, aveva gettato fuoco e fiamme contro il prin-
cipe, dichiarandolo capace d'aver falsificato la firma
della madre, perchè « quella bestia di mia cognata
era una testa di cavolo, sì, ma non al punto di piantar
debiti da una parte e di serbar quattrini dall'altra. »
E aveva ricominciato ad aizzare gli altri nipoti contro
« queir imbrog'lione », spingendoli ad impugnare la
validità di quegli effetti che chiamava « cavalli di ri-
torno )) perchè, se non erano falsi del tutto, dovevano
essere vecchie cambiali ritirate dalla principessa, tro-
vate da Giacomo tra le carte e rimesse a nuovo per
la circostanza ! Ma poiché quell'altre bestie di Chiara,
del marchese, di Ferdinando, di Lucrezia facevano
orecchio da mercante — come non si trattasse dei loro
proprii interessi ! — il monaco quasi quasi era stato
sul punto di dimenticare l'antica avversione per Rai-
mondo e di andare a svelargli le magagne del coerede
e fratello, a gridargli : « Apri gli occhi, se no ti met-
terà nel sacco e ti mangerà!...» \'edendo ora che
erano tutt'una cosa, si rodeva il fegato notte e giorno,
e un ultimo fatto l'aveva inviperito e indotto a strepi-
tare contro quei « pazzi e birbanti » al convento, nelle
farmacie, anche per le pubbliche strade con la prima
persona capitata. Alla zolfara àelVOleastro gli Uzeda,
scavando scavando, avevano oltrepassato, sotterra, il
confine della proprietà superficiale : i proprietarii limi-
trofi iniziavano quindi una lite. Raimondo, a cui l'ap-
posizione d'una semiplice firma in coda alle ricevute
ed ai contratti già pesava, mostrò in quell'occasione
al signor Marco, che veniva per fargli leggere gli atti
della lite, il proprio fastidio per tutte quelle continue
« seccature » ; allora il signor Marco gli propose :
« Vostra Eccellenza perchè non fa una procura al signor
principe ? Cosi risparmierà tante noie e le cose an-
deranno anche più spedite, fin a quando, pagate le so-
relle di Vostra Eccellenza, si procederà alla divi-
sione » Raimondo non se lo fece dire due volte e
firmò subito l'atto col quale il principe ebbe mandato
d'amministrare l'eredità m nome anche del coerede.
Ora Matilde, conosciuto l'accordo, aveva doman-
dato a sé stessa perchè mai Raimondo restava ancora
in Sicilia? Se non s'occupava più degli affari, qual
altro interesse ve lo tratteneva ? Ed ella ricominciava
a struggersi di gelosia, vedendolo ancora una volta
accanto a quella donna, non potendo soffrire di do-
verla trattare da amica mentre una voce interiore l'av-
vertiva di non fidarsene. Ammalata di cuore e d' ima-
ginazione, con la sensibilità eccitata dai dolori con-
tinui, ella adesso credeva ai funesti presentimenti, te-
meva e sospettava di tutto. Nella felice ingenuità di
altri tempi, avrebbe mai accolto il sospetto che il prin-
cipe lasciasse libero Raimondo di fare quel che più gli
piaceva e quasi secondasse i suoi vizii, e lo incitasse
a giocare e gli procurasse- le occasioni di veder quella
domna, per distorg'lierlo dagli affari ed averne solo il
maneggio? Un sospetto cosi tristo non le sarebbe nep-
pure passato pel capo quando ella credeva tutti buoni
e sinceri ; adesso, spaventata deg-li altri e di sé stessa,
non riusciva a combatterlo... Come respingerlo, se il
principe pareva mettere ogni impegno perchè donna
Isabella venisse al palazzo Francalanza, mentre la
suocera di lei, donna Mara Persa, cominciava a mo-
strare una specie di diffidenza per qiielle relazioni di-
venute troppo intime?...
Donna Mara Persa aveva tollerato molte cose alla
nuora palermitana; la rifoluzione méssale in casa, il
mal nascosto compatim.ento col quale la trattava, i
gusti costosi e le opinioni ardite ; ma chiusi tutt'e due
gli occhi quando ne soffriva lei stessa, non intendeva
chiuderne neppure uno se era in giuoco suo figlio.
L'amicizia degli Uzeda, sissignore, stava benissimo e
le faceva anche tanto piacere : ma che Raimondo stesse
sempre alle costole dell' Isabella, in casa propria o in
quella di lei, in chiesa, al teatro ed al passeggio, forse
usava a Pirenze ed era una cosa elegante, di quefie
che lei, educata al vecchio modo, non comprendeva;
ma non le piaceva nient 'affatto e non intendeva che
continuasse. Senza addurne la ragione per non mettere
il carro avanti ai buoi, aveva fatto capire al figlio ed
alla nuora che, trattando, da buoni amici gli Uzeda,
non c'era poi bisogno che si spartissero il sonno. Ella
predicava ai Turchi : Mario Persa era più che mai
infatuato del principe e del conte, donna Isabella
sempre insieme con la principessa, con Lucrezia e con
donna Ferdinanda. Allora, vedendo inutili le proprie
esortazioni, poco sofferente di sapersi disobbedita e
inascoltata in una cosa che la nuora doveva intendere
alla prima, donna Mara s'era mostrata, incapace di
nascondere quel che aveva in corpo, inusitatamente
acre ed ironica verso di lei, e nello stesso tempo aveva
dichiarato al figliuolo il motivo delle proprie inquie-
tudini. Tuttavia, per non precisar troppo, s'era man-
teiuiLa sulle generali, dicendo che quella vita in comune
era pericolosa, che in casa Uzeda, oltre ai tanti uomini
che vi bazzicavano, si trovavano due giovani come il
-- 203 —
principe e il conte accanto ai ciuali non istava bene
che r Isabella si lasciasse vedere continuamente —
Suo fig'lio, però, non l'aveva lasciata finire : « Il prin-
cipe ? Raimondo? I miei mig-liori amici?...» e dal-
l'indignazione passando al riso: «Sospettar di loro?
Di due buoni padri di fan^i.g-lia ?... » Ne le ragionate
insistenze della madre ebbero altra risposta. Frattanto
donna Isabella, al piglio severo, ai modi bruschi su-
bitamente adottati dalla suocera, se prima aveva mo-
strato di stare in quella casa con una specie dì pru-
dente ma dolorosa rassegnazione, prendeva adesso
decisamente l'attitudine d'una vera vittima. Con Rai-
mondo, quando costui le diceva la noia, 1' infelicità
della vita di provincia, ella scrollava il capo, appro-
vava, ma soggiungendo che si poteva star bene anche
in una campagna o in un deserto, a patto di sentirsi
circondati di premure e d'affetto di vedersi intorno
persone care capaci di comprendervi e d'apprez-
zarvi— E donna Mara gonfiava, gonfiava, vedendo che
niente riusciva, cercando un mezzo più energico per
metter fine a quella « commedia ». Fersa, per conto
suo, continuava a non accorgersi di nulla, perchè
avrebbe negato la luce del giorno prima di sospettar
della moglie e di Raimondo, col quale faceva vita in-
sieme e stava tutto il giorno e tutte le sere a chiac-
chierare o a giocare al Casino o nella barcaccia del
Comunale. Egli era , più che mai orgoglioso dell'ami-
ciziia che gli dimostrava il principe, dei lunghi discorsi
che questi gli teneva, mentre Raimondo e donna Isa-
bella discorrevano in un angolo; e cascava poi dalle
nuvole quando la madre gli veniva a dire, bruscamente :
« Andiamo via, che è tardi !... »
Ora un bel giorno Raimondo, andato a far visita
in casa Fersa, e dopo aver visto donna Isabella dietro
le vetrate, s' udì rispondere dalla cameriera che non
c'era nessuno. Li per lì, egli rimase; a un tratto fu
per dare tmo spintone alla porta ed entrare a viva
forza; ma riuscito a stento a contenersi, scese le scale
204
ed uscì nella via rosso in viso come per un colpo di
sole. Subito aveva capito donde veniva la botta, es-
sendosi già accorto della freddezza di donna Mara ;
e all' idea della contrarietà e dell'ostacolo, il sang"ue
g-li ribolliva nelle vene, g-li saliva alla testa, gli fa-
ceva veder fosco Fin a quel momento, egli aveva
cercato la compagnia di donna Isabella perchè gli
pareva una delle poche signore con le quali poter di-
scorrere, perchè gli rammentava la società di fuori
via, perchè gli piaceva di persona, anche, ma non
molto, non tanto da voltar l'animo alla sua conquista.
Non r idea di cagionare la rovina di lei, non l'ami-
cizia del marito lo avevano distolto da questo propo-
{limento ; Persa anzi, con la sua adorazione per la mo-
glie e la cieca fiducia che dimostrava a lei, ed a lui, gli
pareva destinato alla solita disgrazia; e donna Isabella,
con quel suo contegno da vittima, con 1' istinto della
civetteria che la dominava, con i suoi eterni discorsi
sulle anime fatte per comprendersi, doveva provare
troppa voglia d'esser compresa. Egli aveva sempre
riso dell'amore, della passione, ed appunto perciò sua
moglie lo seccava, perciò non aveva perseguito mai
altro che il piacere comodo, pronto e sicuro ; per-
ciò la previsione delle noie che l'avventura con la
Fersa avrebbe potuto cagionargli l'aveva indotto a
non spingere troppo avanti le cose. Al Belvedere, pel
colera, dove donna Isabella doveva venire e non era
poi venuta, egli s'era quasi rallegrato del mancato
ritrovo, divertendosi con l'Agatina Galano, quasi in-
teramente dimenticando la lontana. Rivedutala, la
tentazione era risorta, e allora i piagnistei di sua
moglie l'avevano resa più forte; poi l'opposizione di
donna Mara aveva messo nuova esca al fuoco. Era
cosi fatto, che gli ostacoli lo eccitavano, lo rendevano
smanioso e restìo come un puledro che senta il morso.
Tuttavia s'era contenuto ancora, pensando all'avve-
nire, ai fastidii sicuri, ai pericoli possibili; ora, di re-
pente, la consegna che gli vietava il passo in casa
di lei ,g-li metteva addosso una gran \ogiia di sfondare
quell'uscio e di portar via quella donna. L' istinto
sanguinario dei vecchi Uzeda predoni l'arrovellava;
se avesse potuto, avrebbe fatto un eccesso come quel-
l'avo che s'era buttato coi cavalli addosso al capitan
di g^iustizia. Adesso, non tanto i tempi quanto le cir-
costanze erano diverse; egli non poteva fare uno scan-
dalo, gli conveniva piuttosto dissimulare, ricorrere alla
politica ed all'astuzia Appena arrivato a casa, scrisse
all'amica per dirle che aveva compreso « gì' ingiusti
sospetti » dei suoi parenti, per lagnarsi che « in quel-
l'odioso paese » non fosse possibile stringere e man-
tenere « le relazioni d'amicizia ». La lettera fu reca-
pitata per mezzo di Pasqualino Riso, cocchiere del
principe, il quale la diede al cocchiere di donna Isa-
bella, che g-li era compare. Donna Isabella rispose
immediatamente, per la stessa via, querelandosi della
« schiavitù » in cui era tenuta, della sospettosa « cat-
tiveria » esercitata su lei, ringraziandolo frattanto dei
suoi « delicati » sentimenti, dell'» amicizia » di cui le
dava prova e che ella ricambiava « di tutto cuore » ;
scongiurandolo però di « rinunziare a rivederla » per
non urtare la suscettibilità di « certe persone ». Era
lo stesso che dirgli : « Fate di tutto per trionfare della
loro opposizione.... » I due cocchieri compari tornarono
a vedersi tutti i g-iorni, a riferire ambasciate verbali :
Pasqualino, di piantone all'angolo di casa Persa, cor-
reva al Casino dei Nobili ad avvertire il padrone, che
aveva messo 11 il suo quartier generale, delle uscite
di donna Isabella : cosi egli la seguiva eg-ualmente da
per tutto. Del resto, l'avvicinava ancora alla carrozza
e le faceva visita al teatro, le rare volte che non c'era
la suocera; perchè, sordo ag'li ammonimenti materni,
dolente degli ingiusti sospetti, il marito era con lui
come prima, anzi gli faceva maggiori dimostrazioni di
amicizia, quasi a scusarsi della condotta della madre,
■e veniva .assiduamente al palazzo. Tutti gli Uzeda pa-
reva si fossero data la voce per proteggere e secondare
— 2o6 —
quei due. Mentre essi parlavano fra loro, in un angolo,
il (principe o donna Ferdinanda stavano a chiacchiera
con Persa, lo conducevano in un'altra stanza; la zi-
tellona andava spesso attorno con donna Isabella e
quando incontrava il nipote si ferjmava per dargjli
l'ag-io di stare con l'amica; meglio, la invitava più
spesso a casa e Raimondo non tardava a sopravve-
nire. Si vedevano anche dagli altri parenti dei Fran-
calanza, dalla duchessa Radali, dai Grazzeri, piij
spesso dalla cugina Graziella che era divenuta grande
amica di donna Isabella. Tutti poi cospiravano per
non lasciare accorgere di nulla la contessa ; però, av-
vertita da una specie di senso divinatore, Matilde
comprendeva che suo marito le sfuggiva ; e dal dolore
si struggeva in pianto. Ora che la sua bambina stava
meglio, che ella avrebbe potuto respirare tranquilla,
quel pensiero non le dava più pace. Ella sapeva che,
a contrariarlo, Raimondo s' incaponiva peggio nei suoi
capricci ; che, se v'era un mezzo di ridurlo, questo
consisteva nel lasciarlo fare di suo capo; ma come
rassegnarsi a saperlo pieno di un'altra, a sentirsi
un'altra volta guardata con occhio tra curioso e com-
passionevole da Lucrezia, dalla marchesa, dagli estra-
nei, dai servi ? E gli si stringeva al fianco timida e
supplice, gli diceva la sua gelosia, lo scongiurava di
jnon farla soffrire se era vero che inom pensava a
quella donna. . . .
— Maledetto paese ! — esclamava con voce con-
citata suo marito. — Chi è che inventa simili infamie?
Sei stata tu stessa ? Hai messo in piazza i tuoi scioc-
chi sospetti, di' la verità?
— Io?... Io?...
— Vuoi rovinarla, vuoi farmi ammazzare da suo
marito ?
E allora un altro terrore l'aveva agghiacciata : se
anche Fersa isi fosse accorto di qualche cosa ? se
avesse voluto vendicarsi?... A un tratto, ella vedeva
suo marito freddato, in mezzo a ima strada, con una
palla in fronte, con un colpo di pugnale al fianco : tutte
le volte che egli tardava a rincasare, giungeva le mani,
si premeva il cuore, quasi udendo le grida delle per-
sone di servizio atterrite all' improvviso arrivo del
corpo esanime; e accarezzando le sue bambine pian-
geva come se già fossero orfanelle. Le coceva sopra
ogni cosa di non potersi sfogare con nessuno, di non
aver qualcuno che la confortasse almeno di una buona
parola. Al padre non poteva dir jiuUa, e gli Uzeda te-
nevano il sacco a quell'altra; chi non spingeva fino
a tanto il rancore contro l' intrusa, restava neutrale,
non s'accorgeva neppure di lei.
Don Eugenio aveva già finito e spedito a Napoli
la memoria su Massa Annunziata. Portava per titolo :
« Intorno la convenienza — di essere intrapreso il di-
scavo — della Sicola Pompei, ossivero Massa An-
nunziata, — vetusta terra niongihellese ■ — • sepolta
nell'anno di grazia 1669 — dalle ignivome lave di
quell'incendio vulcanico — ■ con tutte le sue ricchezze
che conteneva — memoria sommessa al Real Governo
delle Due Sicilie — • da don Eugenio Uzeda di Fran-
calanza e Mirabella, — Gentiluomo di Camera di Sua
Maestà {con esercizio). La sera, egli leggeva alla società
la sua prosa, sulla brutta copia. C'erano espressioni
di questo g^enere : « Quandocchesia nel 1669 tra le più
terribili eruzioni la nostra vi cadendo annoverata —
Dopoché appiacevolirono alquanto i tremuoti A
quale opera tuttosi in Pompei intentando si viene...
Non mi s' impunti in superbia alle conghietture azzar-
darmi » Erano il frutto di riforme gramanaticali da
lui studiate. Perchè apostrofare soltanto gli articoli,
i pronomi e le particelle ? Egli scriveva : « Il flagell' ac-
cuorav' i naturali La lav' avanzavas' inconjtr' a
quel borgo » Per dar più scioltezza al discorso di-
ceva : « Ne continuando » invece di « continuandone »
ed anche «gli proporre» invece di « propbrgli »
Don Cono soltanto gli dava retta, discutendo se so-
- 2o8
ìeuììc dovesse scriversi con una o con due clic ; tutti
gli altri voltavano le spalle a quella bestia che dopo
aver perduto per la sua bestialità due impieg-hi, aspet-
tava d'esser nominato direttore degli scavi ! Don
Blasco e donna Ferdinanda, fra g-li altri, ma ciascuno
per suo conto, glielo spiattellavano sul muso, senza
riguardi ; cantavano ai sordi però, che il cavaliere era
sicuro 'questa volta d'aver afferrato la fortuna pel
ciuffo. Il marchese e Chiara, venendo tutti i giorni
al palazzo, .era preciso come se non ci fossero; perchè,
mentre la gente parlava d'una cosa e .d' un'altra, essi
ad altro non pensavano che alla prole. Ogni mese,
in un certo periodo, Chiara pareva proprio nelle nu-
vole : non rispondeva alle domande che le facevano,
o rispondeva a vanvera ; poi traeva in disparte tutte
le signore, una dopo l'altra, e sottoponeva loro al-
l'orecchio certi suoi quesiti. Pertanto, quando don
Blasco andava a casa di lei, aizzandola nuovamente
contro il principe e Raimondo, non gli dava retta, con
la testa scombussolata dalla continua ed intensa aspet-
tazione. Ferdinando, da canto suo, lasciava più che
mai cantare lo zio monaco. Felice d'essere assoluto
padrone delle Ghiande, vi s'era sbizzarrito a modo
suo; a poco a poco però il podere era caduto in rovina,
ed eg-li se n'era accorto. Tutte le cose lette nei libri
d'ag-ricoltura aveva voluto provare : appurato, per
esempio, che in ogni albero i rami possono fare da
radici e le radici da rami, aveva preso a sperimentar
la verità, schiantando gli aranci alti e rigo,gliosi per
ripiantarli capovolti : ad ^ uno ad uno tutti gli alberi
erano morti. Nondimeno egli non si sarebbe deciso a
smettere quelle sue speculazioni, se non ne avesse pen-
sate altre di diverso genere. Fra i molti libri che com-
prava glien'erano capitati alle mani alcuni di mec-
canica ; allora, rammentati g^li antichi amori con
l'orologiaio, aveva preso un fattore per lasciargli in
balia il podere, e s'era messo a fabbricare ruote ed
ingranaggi. Perchè mai l'acqua nelle pompe aspiranti
— ■ 2og — •
non andava mai più su di cinque canne ? Per la pres-
sione atmosferica. Non c'era mezzo di controbilan-
ciarla? Ed aveva costrutto un suo trabiccolo dove, per
lavorar di manubrio, l'acqua, non che a cinque canne,
non saliva neppure ad un pollice. La colpa fu tutta
degli operai che non avevano capito i suoi ordini :
egli si mise intorno ad un problema molto più vasto :
il moto perpetuo — Di quel che avveniva in casa, di
quel che operavano gli altri non s'impacciava, dira-
dava sempre più le sue visite al palazzo ; se non fosse
stato per Lucrezia, non ci sarebbe andato mai. Sua
sorella, però, se era occupata a far segnali a Bene-
detto Giulente, non scendeva giù in sala. L'amoreg-
giamento continuava più forte di prima ; in ogni sua
lettera il giovane le diceva che il tempo della domanda
si veniva sempre approssimando, che fra un anno il
loro voto si sarebbe conipiuto. Lucrezia, quantunque
non ci fosse più quel diavolo di Consalvo, pure, perchè
non le frugassero in mezzo alle sue cose, chiudeva a
chiave la sua camera quando scendeva al piano di
sotto, né il principe diceva nulla pel disordine che ne
derivava.
Cosi, nessuno dei legatarii s'occupava della divi-
sione ; e quanto a Raimondo, egli era più che mai in-
tento alla bella vita e ad inseguire donna Isabella in
terra, m cielo e in ogni luogo. Pasqualino Riso non
faceva quasi più servizio, occupato com'era a spiar
le mosse della signora, a portar lettere ed ambasciate.
Gli altri servi ne erano perfino gelosi : il sotto-cocchiere,
specialmente, a cui toccava tutta la fatica e Matteo
il cameriere. Essi parlavano a denti stretti della for-
tuna capitata al compagno, non capivano come il prin-
cipe continuasse a pagarlo precisamente come prima,
lasciandolo a disposizione del fratello; e dal dispiacere
quasi voltavano casacca, perchè, mentre prima erano
contrarli alla contessa, adesso la compiangevano, di-
cevano che non meritava quel tradimento e quel trat-
tamento
De Roberto. 1 Viceré - I H
— • :ìio —
L'acredine deg-li Uzeda contro la Palmi diveniva
veramente troppo viva, esercitavasi specialmente sulle
iìglie, perchè i mali traiti usati ad esse addoloravano
la contessa più che quelli diretti personalmente a lei.
V'erano giorni terribili, quando donna Ferdinanda al-
zava la mano su Teresina, che ella passava a piangere
come una bambina, a bere le sue lacrime perchè non
cadessero sulle lettere che scriveva al padre, per na-
sconderg-'li il proprio dolore, per dargli a intendere che
era felice —
Ai primi di settembre, avvicinandosi la villeggia-
tura, il barone giunse da Milazzo per vedere le nipo-
tine e condurre tutti con sé nelle sue campagne, dov'era
venuto anche il promesso di Carlotta : il matrimonio
si sarebbe celebrato fra un anno. Il principe lo volle
ospite al palazzo, anche ,gli altri che erano tanto duri
per la figlia lo accolsero con un certo garbo, quasi
per non lasciargli sospettare la mala grazia usata con
lei Né egli le lesse in viso i lunghi patimenti; su-
perbo di quel'la parentela, della nobiltà di quella casa,
s'affermava nell' idea d'aver assicurato la felicità di
Matilde. Questa, all'a^rrivo del padre, all'annunzio che
egli veniva per condurli via tutti, ricominciò a tremare
per un'altra ragione, per l'antica paura che tra il
padre e il marito scoppiasse la guerra. Raimondo non
si sarebbe rifiutato di seguire il suocero?... Invece,
improvvisamente, un raggio di sole brillò nella sua
lunga tristezza : all' invito del barone Raimondo ri-
spose ordinando i preparativi del viaggio. Era niente,
quel consenso; non poteva rassicurarla, giacché in
città nessuno sarebbe rimasto, in quella stagione, e la
Persa andava come gli altri anni a Leonforte ;' pure,
nell'angustia a cui era ridotta, 1' idea di andar via
dalla casa degli Uzeda, di tornar da suo padre, per
consenso e in compagnia di Raimondo, le faceva
trarre liberamente il reapiro.
Il principe invitò tutti al Belvedere. Li però le cose
non andarono molto lisce, e i primi a provocare i
— 21 I —
dissidi! furono Chiara e il marchese Federico. Comin-
ciando a perdere la speranza di quel figlio tanto aspet-
tato, quasi vergognosi di aver annunziato ogni mo-
mento una gravidanza che non si confermava mai,
marito e mo,glie erano ormai pieni d' una malinconia
che a poco a poco diventava una specie d' irritabilità,
d' izza ilatente e senza oggetto determinato. La mar-
chesa, per suo conto particolare, non poteva rasse-
gnarsi alla mancata maternità, se n'accusava come
d'una colpa, e per farsi perdonare dal marito, se prima
aspettava ogiii sua parola come quella d' un oracolo,
adesso preveniva i suoi g"iudizii, intuiva le sue vo-
lontà. Egli non aveva il tempo di voltarsi, per esempio,
al soffio molesto spirante da una finestra aperta, che
Chiara già gridava alle persone di servizio di chiu-
dere ogni cosa, minacciando di cacciar via tutti al
rinnovarsi della trasouraggine ; in conversazione,
quando qualcuno raccontava un fatto o manifestava
un' idea, ella leggeva ne,gli occhi al marito se la cosa
non gli andava a verso, e allora ribatteva vivacemente
prima che egli avesse ancora aperto bocca. Federico,
per non esser da meno, si mostrava dello stesso umore
di lei, e cosi tutte le liti che evitavano tra loro le at-
taccavano invece con gli altri. Ora 1' inizio della guerra
col principe, del quale erano ospiti, fu l'affare del le-
gato alla badìa di San Placido. Ostinandosi Giacomo
a considerarlo nullo per la mancanza dell'approvazione
regia, la Madre Badessa aveva chiamato gli avvocati
del monastero, i quali ad una voce dichiararono che
le ragioni del principe non valevano un fico secco ;
che la principessa, buon'anima, non aveva niente af-
fatto istituito un benefizio, ma lasciata un'eredità
cìim onere missannn ; quindi che mancava assoluta-
mente la necessità dell'approvazione regia, quindi che
lai principe doveva metter fuori le duemila onze ; questi
invece si incaponiva nefll 'altra interpretazione, e da
^povera Suor Crocifissa piang'eva sera e mattina. In
; un momento di malumore, viste inutili le trattative
amichevoli, la Badessa aveva confidato al marchese
ed a Chiara un'altra birbonata del principe : donna
Teresa, felice memoria, prima di partire pel Belve-
dere, donde non doveva più tornare, le aveva artidato,
perchè la custodisse nel tesoro della badia e la conse-
gnasse al signor Marco, il quale doveva poi darla a
Raimondo, una cassetta piena di monete d'oro e d'og-
getti preziosi : appena spirata la madre, Giacomo s'era
presentato per ritirare il deposito ; e poiché ella aveva
opposto qualche dhicoltà, era tornato col signor Marco,
al quale non aveva potuto rifiutarlo
Marito e moglie restarono un poco scandalizzati,
ma non si sarebbero smossi, se la Badessa, per tirarli
dalla sua, non avesse loro detto che il glorioso
San Francesco di Paola non aveva più reso fecondo il
loro matrimonio e che la prima gravidanza era andata
in fumo, perchè essi lasciavano consumare il sacrilegio
in danno della badia. Con questa pulce nell'orecchio,
si rivoltarono tutt'e due contro il principe, ma spe-
cialmente Chiara persuadeva il marito delle birbonate
del fratello. Il marchese chinava il capo alle ragioni
della moglie, e a poco a poco dalla fondazione delle
messe e dal carpito deposito venivano alle altre qui-
stioni dell'eredità : alla divisione arbitraria, al nume-
rario sottratto, ai conti rifiutati, alla pretesa che la
finta epoca dell'assegno facesse fede dell'avvenuto pa-
gamento, a tutte le ragioni di don Blasco, il quale
scendeva apposta da Nicolosi per soffiar nel bossolo.
Fra sette mesi si sarebbero compiti i tre anni dalla
morte della madre, dopo i quali le donne dovevano,
riscuotere la loro parte, che il principe, quantunque!
avesse promesso di pagare anticipatamente, teneva
ancora per sé; bisognava dunque mettere presto inj
chiaro tutte quelle cose, stabilire ciò che veramente)
toccava loro. Ma reciprocamente persuasi che, se noni
reclamavano, Giacomo li avrebbe messi in mezzo, né
la moglie né il marito osavano lagnarsi direttamente
col fratello e cognato, tanto era forte l' istinto del
— • 213 — '
rispetto verso il capo della casa. Chiara però, volendo
dimostrare il proprio zelo, si mise ad istigare Lucrezia,
Derchè poi questa cercasse di trarre dalla sua anche
Ferdinando : ella si chiudeva in camera con la sorella,
o la tirava in un ano-olo, per dirle tutte le rasfioni dello
zio monaco, ao-o-iung-endo che lei. Lucrezia, era la più
sacrificata di tutti, poiché, continuando la politica della
madre, Giacomo non l'avrebbe maritata, o l'avrebbe
maritata il più tardi possibile, per restar padrone
d'amministrar la dote. Lucrezia, non comprendendo
nulla desrli affari, la lasciava dire, rispondeva : « La
vedremo!... Ho da'dire anch'io la mia!... » Non con-
fidava alla sorella di voler bene a Benedetto Giulente,
né avrebbe dato retta alle Istisfazioni di lei, come non
ne aveva dato a quelle dello zio monaco, se il principe,
accortosi di quei secreti conciliaboli, di quei tentativi
di con.o-iura fatti nella sua propria casa, mentre ^-
devano della sua ospitalità, non avesse trattato più
freddamente le sorelle e tolto il saluto a Giulente. Lu-
crezia, risaputolo e consultatasi con la cameriera, la
ciuale 'disse che era tempo di farsi sentire se il prin-
cipe si portava male anche col « si.ofnorino », apri
l'orecchio alle raq"ioni di Chiara. La sorda ostilità tra
fratello e sorelle si inasorì al riforno dal Belvedere,
quando Lucrezia cominciò a lao-narsi con Ferdinando,
per farlo entrare nella legfa. Allora entrò in iscena
padre Camillo, il confessore.
Tornato da Roma dopo la morte della princioessa,
il Domenicano era rimasto, con stupore di tutti, con-
fessore del principe come ai tempi della madre. Gia-
como non solamente s'accostava al sacramento della
penitenza oo-ni mese, ma chiamava in casa il Padre
spirituale, prendeva consi.oflio da lui come aveva fatto
donna Teresa, e don Blasco fiottava contro « questo
collotorto g-esuita » che dopo aver fatto da spia alla
madre, faceva ora da spia al figfliuolo, ras^ione per cui
« ouel ladro » di Giacomo non lo aveva preso « a calci
nel preterito ». Ma Padre CartiIUo, tutto Gesù e Ma-
— 214 —
donna, neppure udiva le diatribe del Cassinese; e presa
un giorno a parte Lucrezia, le cominciò un lungo di-
scorso per dirle che dichiararsi malcontenta del testa-
mento materno era un peccato eguale a quello di
disobbedire alla madre in vita. La principessa, da
madre saggia e giusta, aveva ripartita la sua sostanza
« con la bilancia », perchè al cuore di una madre tutti
i figli dovevano essere « egualmente cari ». Certo il
principe e il conte avevano ottenuto una parte privi-
legiata ; ma erano appunto il principe, cioè il capo
della casa, l'erede del titolo, e il conte, cioè quell'altro
dei figli maschi che aveva una famiglia da mantenere
con lustro. Per gli altri, la sant'anima aveva fatto le
parti eguali «fino all'ultimo baiocco». Le davano a
intendere che avrebbe potuto aver terre, invece di
moneta? Egli citò l'antichità, i testamenti dei defunti
principi di Francalanza, l' istituzione fedecommissaria
e la legge salica, portando ad esempio quel che era
avvenuto nella generazione precedente. Donna Ferdi-
nanda aveva forse avuto beni stabili ? Adesso, si, ne
possedeva ; ma perchè, dotata di quello spirito di ac-
corta prudenza che era tradizionale nella famiglia,
aveva moltiplicato il capitale lasciatole dal padre, in-
vertendolo successivamente in case e poderi. C'era
anzi di più : chi aveva preso moglie, fra tutti quei
figli ? Nessuno ! Don Blasco, con vocazione « esem-
plare », aveva rinunziato agli adescamenti del mondo
per professarsi. La primogenita s'era chiusa a San Pla-
cido, né il duca e don Eugenio avevano preso moglie,
né donna Ferdinanda marito. Perchè ? Perchè essi si
consideravano come semplici depositarii della loro
parte di sostanza! Nella presente generazione, la regola
aveva avuto due eccezioni : il conte che aveva sposato
donna Matilde, Chiara che era diventata marchesa di
Villardita. Ma qui rifulgeva il zelante amor materno
della principessa. Non tutte le persone son fatte ad un
modo ; ciò che ad uno pare soverchio od inutile è ad
altri conveniente; chi si contenta di uno stato e chi ne
i
-. 215 —
soffre. La buon'anima aveva compreso che per la fe-
licità di Raim.ondo il matrimonio era necessario, quindi
gfli aveva dato mog^lie, senza badare a sacrifìzii. Per
Chiara, una propizia occasione erasi presentata, ed a
fìxie di assicurare la felicità di quella figlia la princi-
pessa le aveva perfino forzato la mano : adesso il tempo
dimostrava da qual parte fosse stata la ragionevo-
lezza ! Quanto a lei, Lucrezia, Dio aveva permesso
che sua madre morisse prima del tempo in cui avrebbe
dovuto pensare all'avvenire di lei ; ma, se questa era
stata una gran disgrazia, non voleva poi dire che l'av-
venire di lei non stesse a cuore al fratello maggiore.
Era strano parlare a una ragazza di certe cose, ma la
necessità lo stringeva. Certo il desiderio della santa
memoria, desiderio ragionatissimo, fondato sopra ar-
gomenti positivi e non sopra capricci, era che ella
restasse in casa; ma se, tutt'al contrario, ella avesse
creduto pel proprio meglio di fare altrimenti, le da-
vano forse a intendere che, volendo ella maritarsi,
il principe le si sarebbe opposto? Quando si fosse
presentata l'occasione di accasarla bene, col decoro
conveniejite al suo nome, il principe non l'avrebbe
lasciata sfuggire. Ma bisognava aver fiducia in lui,
esser sicura che egli non poteva desiderare altro che
il bene della sorella, considerandosi investito d'una
specie di tutela morale. E non dare l'esempio d'un
dissidio funesto, che sarebbe stato di scandalo in questo
mondo, e d' infinita amarezza alla sant'anima nel
mondo di là
Mentre il confessore teneva questo discorso a Lucre-
zia, il principe ne teneva un altro un poco diverso a
donna Ferdinanda. La zitellona, pure vituperando i
Giulente, s'era col tempo rassicurata sulle loro pretese;
quella bestia del duca non essendo più li a secon-
darle, ella credeva che l'amoreggiamento fosse finito
del tutto. Invece un giorno che si parlava della respon-
sabilità dei capi di famiglia quando in casa vi sono ra-
gazze da marito, Giacomo disse alla zia che anche Lu-
— 2l6
crezia avrebbe dovuto uri g'iorno o l'altro accasarsi, che
da parte sua l'avrebbe lasciata libera di prendersi chi
meg-lio le piaceva, tanto più che una scelta ella doveva
averla gìh fatta —
La zitellona si rivoltò come un aspide :
— Ha scelto ? Ha scelto ? E chi è che ha scelto ?
— Chi? il solito Giulente
Ella diventò rossa in viso quasi fosse sul punto di
soffocare.
— Ah si?... Ancora?... E tu l'hai lasciata fare?
— Vostra Eccellenza sa bene come siano tutti di
casa — rispose il principe, sorridendo. — Quando ci
mettiamo qualcosa in capo, è difficile indurci a mutar
sentimento....
— Ah, è diffìcile? Le farò veder io se è difficile o
è facile !...
Da quel momento la zitellona diventò una vipera
con la nipote : le sgridate, per una rag'ione o per un
pretesto qualunque, s'udivano fin giù nelle scuderie;
le allusioni ironiche ai romanzetti fioccavano acri e
pungenti, gl'insulti contro i Giulente si seguivano e
non si rassomigliavano. Diceva cose enormi dei vicini,
li accusava d'ogni porcheria e perfino di crimini. Non
si contentava più di dire che erano ignobili, affermava
che il nonno del vecchio Giulente aveva accumulato i
primi quattrini facendo il bottinaio a Siracusa, suo
figlio aveva rubato il municipio, suo nipote il governo,
tutte le donne erano state altrettante baldracche
Lucrezia la lasciava dire. Non capivano che più s'ac-
canivano contro Giulente più ella pensava a lui, che
ogni discorso diretto a distoglierla dal suo proposito
glielo ribadiva in capo più saldo. « Sposerò Benedetto,
o nessuno », diceva alla cameriera, dopo quelle sfu-
riate. «Hanno voglia di gridare; quando sarà l'ora,
Io sposerò. » Il principe intanto, dopo averle sciolto
contro quel cane, la trattava meno duramente. Un
giorno che la donna iportava una lettera di Giulente
alla padroncina, egli le tolse la carta di mano, ne lesse
217 — ■
l'indirizzo e gliela restituì. Donna Vanna corse dalla
signorina per dirle, ansante : « Vostra Eccellenza stia
di buon animo ! \''uol dire che ci ha piacere, che final-
mente s'è persuaso » Egli aveva anche raggiunto
lo scopo di rompere la lega tramata contro di lui, per-
chè il marchese Federico, fanatico della nobiltà quanto
gli Uzeda, udendo che la cognatina incaponivasi nel
voler sposare Giulente, aveva dimostrato il proprio
dispiacere per quel partito ; allora sua moglie s' era
schierata con la zia contro la sorella, dandole della
stravagante, accusandola dì pazzia. Lucrezia invece,
sfogandosi con Vanna, rammentava le smanie, ì pianti,
gli svenimenti di Chiara quando l'avevano costretta a
sposare il marchese : « E adesso si mette con quelli
che vogliono costringere me ! Non m' importa della
sua opposizione ! Una pazza di quella fatta ! Una ban-
diera al vento ! Ora è tutt' una cosa col marito che
prima non poteva sentir nominare ; domani cambierà
un'altra volta: vedrai!...»
In mezzo a quella guerra, tornò Raimondo da Mi-
lazzo, senza la famiglia. Non s'occupò neppure un
quarto d'ora della casa e dei parenti; appena arrivato
si chiuse con Pasqualino, il domani fu visto seguire in
chiesa la Persa ; le mormorazioni dei servi, dei curiosi,
degli scioperati del Casino dei Nobili ricominciarono.
Aveva detto a sua moglie che sarebbe rimasto lontano
una settimana, per affari, ma dopo due mesi non le
annunziava ancora il ritorno. Alle lettere di lei rispon-
deva chiedendo tempo, o non rispondeva affatto; in
carnevale, Matilde lo raggiunse, accompagnata dal pa-
dre. Egli l'accolse con tre parole, pronunziate fred-
dissimamente :
— Perchè sei venuta ?
Aveva combinato una serie di divertimenti con gli
amici che gli davano mano; il giovedì grasso, in un
carro rappresentante un vascello dove tutti erano ma-
scherati da marinai, passò e ripassò sotto la casa di
— 2l8 —
donna Isabella, scag-liando fiori e confetti per un quarto
d'ora ogni volta contro i suoi balconi; il sabato, a una
festa a contribuzione nelle sale del Palazzo comunale
ballò tutta la sera con lei ; il lunedi ricominciò, al ve-
glione del Comunale. E Matilde, lasciata sola dal padre
che era andato a raggiungere le bambine, ripeteva tra
sé quella domanda, le sole parole che egli aveva tro-
vato per rispondere alla premura di lei : « Perchè sono
venuta?» Per assistere a questo!... Egli dunque con-
tinuava a fingere, a mentire, ad ingannarla; anzi, nep-
pure se n'era data la pena ! Appena arrivato a Mi-
lazzo, aveva smaniato come un pazzo contro la vita
di quella spelonca, l'aveva torturata con lagnanze, con
rimproveri, con un malcontento quotidiano, con un
malumore di tutti i momenti, finché non era riuscito a
scappare. Ma ingiustizie, sgarbi, violenze, gli avrebbe
perdonato ogni cosa, tanto gli voleva ancora bene;
gli perdonava perfino 1' indifferenza con la quale trat-
tava le sue figlie, le innocenti creature che erano san-
gue suo ! ma vederselo sfuggire, ma saperlo tutto
d'un'altra, ma ritrovare sulla persona di lui il profumo
degli abiti, delle mani, dei capelli di quell'altra; questo
no, ella non poteva soffrirlo !
— Ah, ricominci ? Sei dunque venuta per rompermi
di nuovo la testa ? — ■ rispondeva egli ai suoi tentativi
di rimostranze, ai suoi timidi rimproveri. — Perchè
non te ne sei rimasta con tuo padre, dunque ?
— Perché io debbo stare con te, perchè il mio posto
è al tuo fianco, e perchè nemmeno tu devi lasciarmi !
— ■ E chi ti lascia? Se volessi lasciarti, ti pare che
sarebbe troppo dififìcile ? A quest'ora avrei già fatto fa-
gotto, e me ne sarei andato a Firenze, a Parigi, o a
casa del —
— Andiamo via insieme ! Perchè non torniamo a
Firenze? Abbiamo li la nostra casa....
— Perchè in questo momento ho qui da fare !
— Se hai dato la procura a tuo fratello....
— Ho dato la procura per gli affari ordinarli del-
— • 2jg — •
l'amministrazione; ora bisogna ve?.. re alla divisione e
pagare le mie sorelle, perchè compiscono tre anni dal-
l'aperta successione : hai capito ? O vuoi fatto il conto ?
Mia madre è morta nel maggio del '55 e siamo nel
marzo del '58.... Sono tre anni, si o no? \'uoi saper
altro ?
— Perchè mi parli cosi? Che t'ho detto di male?
— Nulla ! Nulla ! Nulla ! Soltanto, ti pare che sia
un bel gusto sentirsi rotto il capo ad ogni poco con
questi sospetti continui ?
— No, no; non lo farò più.... non ti dirò più
niente....
Sarebbe stato capace di porre in atto la sua minac-
cia, di abbandonarla, di abbandonar le sue figlie!...
Gli nascondeva quindi il proprio dolore, vedendo che egli
continuava peggio di prima, come se ogni rimostranza
fosse stata invece un incitamento. Adesso dicevasi che
anche Persa aveva finalmente dato ascolto alla madre,
aprendo gli occhi, facemdo capire al conte che quelle
assiduità non gli piacevano ; e infatti non conduceva
più sua moglie dagli Uzeda, né si vedeva più Raimondo
avvicinare donna Isabella in pubblico ; viceversa egli
segTjiva la carrozza dei Persa con la propria da per
tutto, quasi inseguendoli ; e in chiesa, al teatro, le si
piantava dirimpetto, senza più lasciarla con gli occhi.
Un giorno la cugina Graziella, venuta al palazzo
a chieder del principe, si chiuse con lui per dirgli :
— Cugino, debbo tenervi un discorso molto grave —
— Da molti anni, da quando Giacomo aveva preso
moglie, si davano del voi. — Donna Mara Persa mi
ha fatto parlare da un'amica... per questa storia di
Raimondo !
— ■ Quale storia ? — domandò il principe, quasi non
comprendendo.
— Non sapete quel che si dice?... Raimondo s'è
messo in testa d'inquietare donna Isabella e se ne
accorge ognuno, per dire il fatto della verità
— Io non mi sono accorto di niente.
— Non importa, cugino; ve lo dico io!... Ed è una
cosa che non sta bene e che mi dispiace — Un tempo,
s' incontravano spesso in casa mia, ed io li ricevevo
a braccia aperte. Potevo sospettar niente di male ? Al-
trimenti non mi sarei prestata ad una cosa simile !
Raimondo è padre di famiglia, donna Isabella ha ma-
rito anche lei: che vogliono fare?... In casa Persa c'è
guerra scatenata tra siiocera e nuora : bisognerebbe
persuadere il cugino a farla finita, una buona volta.
— E perchè lo dite a me ? — rispose Giacomo,
stringendosi nelle spalle.
— Perchè ? Perchè io non ho molta confidenza con
Raimondo — e poi, sarebbe meglio che gli parlaste
voi, che siete il capo della casa, e potete
— Sbagliate. Io non posso nulla : qui ciascuno fa
a m.odo suo. Altro che capo ! Persuadetevi che per poco
non sono la coda!...
La cugina tornava a invocare l'autorità del cugino,
il principe a lagnarsi della mancanza d'accordo che ci
era in quella famiglia, mentr'egli invece avrebbe vo-
luto che tutti fossero uniti, affezionati l'uno con l'al-
tro, disposti ad aiutarsi, a consigliarsi vicendevolmente.
— Volete che io parli a mio fratello ? È capace di
rispondermi : « Di che cosa ti mescoli ?» E non sa-
rebbe la prima risposta di questo genere — Cara cu-
gina, voi sapete che teste quadre sono le nostre!... No,
no, credete a me : sarebbe inutile, se non peggio.
La cugina, a cui non pareva vero di poter mettere
le mani in pasta, ricominciò quel discorso con la prin-
cipessa.
— Dici davvero?... — esclamò donna Margherita,
la quale non si era avvista mai di niente. - — Povera
Matilde !... Non meritava questo trattamento !
— È quel che dico io ! Con una moglie tanto gra-
zi®sa, non si capisce perchè Raimondo cerchi distra-
zioni fuori casa — Ma la testa degli uomini: chi sa
leggere in questo libro?... Mi dispiace quanto l'anima!
Due famiglie disturbate, mentre avrebbero potuto vi-
— 22 1 ^ —
vere in pace ed armonia!... Basta, il cugino dovrebbe
adesso persuadersi di lasciar quieta donna Isabella. Per
me, non avrei difficoltà di dirglielo a viso aperto : non
ho già paura che mi mangi ! Ma sai bene : è vero che
siamo cugini ; ma che si potrebbe dire, che io cerco
di mettere il naso negli affari altrui ? che cerco di
seminar zizzania? mentre sa Dio se mi dispiace, quan-
to l'anima !...
La principessa scrollava il capo, sinceramente addo-
lorata, tanto più che non poteva far nulla. Suo marito
non le aveva ingiunto di badare ai casi proprii, sotto
pena di averla a far con lui?... E la cugina Graziella
cominciò ad armeggiare intorno a Matilde, deliberata
di dire ogni cosa a lei stessa. Non era la moglie ?
Chi più di lei poteva aver diritto di parlare a Raimondo
e interesse a distoglierlo da quella tresca?... Riuscita
una sera a capitarla sola nella Sala Rossa, cominciò
a chiederle notizie del barone, e del matrimonio della
sorella, e della salute delle bambine.
— Verranno qui, o andrete voi a raggiungerle ?
— Non so, — rispose Matilde, imbarazzata. — Non
so che deciderà Raimondo.
— Capisco ! — rispose la cugina, sospirando. — Gli
uomini vogliono far di loro capo oggi una cosa, do-
mani un'altra Voi, naturalmente, vorreste andare
al paese vostro, insieme con vostro padre. S' ha un
bel dire, la famiglia del marito, si, sì, si, ma la pro-
pria non si dimentica mai ! Anche il cugino dovrebbe
persuadersi ad andar via di qui — sarebbe molto me-
glio anche per lui —
Matilde chinava il capo, evitando di guardarla, strin-
gendo una mano con l'altra. La cugina continuò :
— Anche per lui si leverebbe dalle tentazioni —
penserebbe soltanto alla sua famiglia!... Avete ragione
d'essere inquieta, capisco, poveretta — Non meritavate
un simile trattamento Ma voi dovreste dirglielo!...
Siete sua moglie, insomma, la madre dei suoi figli —
Potete parlar alto.... obbligarlo a finirla, una buona
volta !...
— 222 — ■
Con tutto il sang-ue alla fronte, la contessa aveva
chiuso gli occhi ; poi s'era sentita agghiacciare e im-
pallidire; a un tratto portò le mani al viso e ruppe
in singhiozzi.
— Oh, Signore!... Cu.g-ina !... Che avete?... Santo
pio !... Cugina, non fate cosi !...
— Io!... Io!... — balbettava Matilde, con le labbra
amaramente contorte dall'ambascia. — Io che piango
da due anni Io che non ho piij figlie Io che
r ho pregato come si prega Gesù !...
— Bontà divina !... Avete ragione !... Ma zitta, non
piangete cosi Cugina mia, fatevi animo Solo alla
morte non c'è rimedio!... Del resto io non credo che
ci sia stato nulla di male !... Chiacchiere della mala
gente!... Raimondo è un po' scapato; ma, questo?
Non posso credere ! La colpa, com'è vero Dio, è di
quell'altra Le piace farsi corteggiare un poco, ma
dal conte di Lumera, figuriamoci !... Pura vanità, sta-
tene certa e sicura! Ma non piangete!.,. Queste cose,
santo Dio, mi fanno male Una famiglia cosi bella,
dove avrebbe potuto esserci la pace degli angeli, con
due veri angioletti che sembrano scesi dal Paradiso!...
Ma vostro marito deve saperlo; vedrete che capirà —
Perchè non chiamate vostro padre ? Tocca a lui aiu-
tarvi
Il barone, invece, le scriveva rimproverandole l'ab-
bandono delle figlie, accusandola di voler più bene al
marito che a quelle creature, chiamandola a casa per
assistere al matrimonio della sorella. Ella tentò ancora
nascondergli la tempesta scatenatasi su lei, la tortura
a cui la poneva con quelle accuse; ma nell'autunno
egli venne a trovarla, imiprovvisamente, solo.
— Che cosa succede? Sei ammalata? Che cos'ha
tuo marito? Perchè non m'hai scritto? Perchè non
sei venuta ?
Ella protestò che non accadeva nulla, che s'era sen-
tita poco bene, che appunto per questo non aveva po-
tuto andar da lui. L'imminenza d'una spiegazione tra
suo padre e Raimondo l'atterriva; conoscendo 11 ca-
rattere prepotente, i modi sprezzanti di suo marito, e
gli scatti d'ira di cui suo padre era capace, ella viveva
con l'animo sospeso, dimenticava i suoi dolori per evi-
tare uno scoppio, tanto più che il barone pareva non
aver creduto alle sue proteste, mostrava un viso ac-
cigliato in quella casa che prima era stato superbo
d'abitare. Adesso stava molto fuori, tornava con ciera
più rannuvolata, non rivolgeva la parola a Raimondo.
Una sera si chiuse in camera con lei e le disse :
— ■ Mi vuoi dire finalmente quando la smetterai ?
Non negare, è inutile; so tutto
Ella tremava in tutta la persona, balbettando :
— Che sai? Io non capisco non so nulla
— So che tuo marito fa una bella vita, ti dimostra
un grande amore — esclamò il barone con voce gra-
vida di sorde minaccie. — Ho ricevuto una lettera
anonima; sono venuto per questo La buona gente
non manca!... Ma poiché tu non parli — poiché non
ti confidi a tuo padre!... Adesso bisogna mettere le
carte in tavola, hai capito ? — e picchiò forte con una
mano contro l'altra.
— Sì, si, non t'inquietare —
Non sapeva adesso donde le venisse quella calma
sovrumana, quella forza di negare la cagione del suo
lungo cordoglio :
— Xon t'inquietare, babbo mio caro non vedi
come sono tranquilla?... Te lo giuro, non so nulla
Saranno calunnie c'è tanta cattiva gente!... Un ano-
nimo !... Prendi sul serio quel che scrive un anonimo?...
Il barone passeggiava per la camera facendo scop-
piettare r indice contro il pollice, volgendo intorno
accigliato gli sguardi.
— Tanto meglio !... Tanto meglio !... Ma qui bi-
sogna finirla con questo andirivieni continuo ! Bisogna
decidersi a stare in un posto qualunque, ma stabil-
mente, a casa propria, coi figli, come tutti gli altri
cristiana....
— • 224 ~
— È quello che diciamo anche noi.... Credi forse
che non ne siamo persuasi?... Raimondo vuol tornare
a Firenze ; ci saremmo già. se non fossero gli affari
della divisione, il pa^gamento delle mie cognate —
E sorridendo soggiunse : — Ti pesano forse, le bam-
bine ?
— Non far la stupida. Con me, sai, non ci riesci.
Ella sentiva in ogni parola del padre, in quell' im-
peto a stento frenato, che egli aveva acquistato la cer-
tezza del tradimento di Raimondo, di qualche cosa di
più grave ancora; e il cuore le si chiudeva, le si chiu-
deva, come in una morsa, e le forze l'abbandonavano,
e un brivido ricominciava a correrle per tutta la per-
sona. Trasali a un tratto udendo Raimondo che pic-
chiava air lascio, chiamandoli.
— Che fate ? — domandò loro entrando, guardan-
doli curiosamente.
— Nulla....
■ — ■ Nulla, — ripetè il barone. — Si parlava della
decisione che dovete prendere — Vuoi continuare a
star senza casa, a pagar quella di Firenze per tenerla
chiusa ?
— -Io ? — rispose Raimondo, con tono stupito, co-
me cascando dalle nuvole. — Io, se potessi — pro-
ruppe, — a quest'ora sarei scappato anche a piedi da
questo fetido paese. Ah, vi pare forse che ci stia per
mio gusto, in mezzo a questi sciocchi, presuntuosi,
ignoranti, pezzenti, invidiosi, maleducati?... - — Nes-
suno lo teneva, mai s'era scagliato con tanta violenza
contro i proprii concittadini ; gestendo vivacemente,
quasi gli contraddicessero, sfilava la litania delle recri-
minazioni, comprendeva nel proprio disgusto tutta la
Sicilia, tutto il Napolitano, l'intera razza meridionale.
— Allora, quando hai deciso di partire ? — inter-
ruppe secco secco il barone.
— Quando?... — ripetè Raimondo, guardandolo un
momento. — Non sapete che sono incatenato dagli
affari ?
gpgsssSE-
— 22S —
— Gli affari, volendo, si sbrigano in otto giorni.
Raimondo tacque un poco; poi esclamò, stringen-
dosi nelle spalle :
— Sbrigateli voi, se potete.
Il barone fece per replicare, ma la parola vivace gli
rimase in gola. Raimondo, magro, grazioso, elegante,
dominava con gli sgoiardi sprezzanti, con l'espressione
sottilmente ironica del viso bianco e delicato, la per-
sona forte e vigorosa del suocero, dalle spalle qua-
drate, dai polsi nodosi, dalla faccia abbronzata. Si
guardarono un istante, mentre Matilde, impallidita,
batteva i denti, come per febbre; poi il barone guardò
sua figlia, vide lo sguardo smarrito che gli volgeva,
e allora, chinato il capo, mormorò :
— Va bene — va bene Procura soltanto di far
presto Fra giorni si marita mia figlia; vi aspetto
Riparti il domani. Sul punto di andar via, disse a
Matilde di tenersi pronta, risoluto com'era a condurla
con sé, anche sola, per costringere poi il genero a
raggiungerla. Ella chinò il capo, consentendo, gettan-
dogli le braccia al collo dalla gratitudine, poiché com-
prendeva che s'era padroneggiato per amore di lei, per
risparmiarle il dolore d' una triste scena. Ma il ba-
rone era appena partito, che Raimondo le disse ;
— Sai che é curioso, tuo padre ? Crede forse che
tutti debbano fare a modo suo ? O che io abbia spo-
sato lui?... Agli affari di casa mia voglio pensare da
me, capisci; e andare dove mi pare e piace, quando
mi pare e piace !...
Ella gli diede ragione, soggiogata come sempre
dalla volontà di lui, allegando appena come scusa del-
l'assente il bene che voleva ad entrambi.
Andarono a Milazzo pel matrimonio di Carlotta;
poi, partiti gli sposi e il barone per Palermo, torna-
rono a Catania, anzi al Belvedere, dov'erano tutti gli
Uzeda. LI ella ebbe qualche mese di tregua : i Persa
non c'erano, gli Uzeda parevano di nuovo rabboniti.
Suo padre scriveva un po' da Palermo, un po' da Mi-
De Roberto. 2 Viceré - I . 15
— ■ 220
lazzo, un po' da Messina; andò poi anche a Napoli;
finalmente tornò nell'aprile, insieme col duca d'Ora-
goaa. Questi diceva d' esser venuto per affari, d' aver
affrettata la partenza per viaggiare insieme col barone,
ma parlava molto degli avvenimenti pubblici, della
guerra di Lombardia, della malattia di Ferdinando II.
Il barone pareva un altro, in compagnia del duca; l' in-
timità che s'era stretta fra loro due durante il viaggio
l'aveva placato. Nondimeno ripetè alla figlia l'offerta
di condurla via con sé; ma poiché Raimondo le aveva
dichiarato che non poteva muoversi ancora, ella
rispose :
— No, babbo — verremo tutti.... presto, fra giorni.
Vili.
In piedi, con le «braccia levate, rosso come un pomo-
doro, don Blasco pareva volesse mangiarsi vivi i suoi
contraddittori :
— E questo si chiama vincere, ah? con l'aiuto dei
più grossi, ah ? Perché hanno chiamato aiuto, allora ?
Perché non si sono battuti da soli, se gli bastava l'ani-
mo? E questa la chiamate vittoria? in due contro uno?
— Nossignore ! — protestò Padre Rocca. — Erano
ventimila di meno
— Centosessantamila austriaci contro centoquaran-
tamila alleati — soggiunse Padre Dilenna.
— E i Piemontesi si sono battuti da soli !... — af-
fermò Padre Grazzeri.
— Come ? Dove ? Quando ? — urlò don Blasco. —
,Che cosa m'andate battendo?...
— Leggete i giornali, se non sapete ! — fecero gli
altri, a coro.
Allora egli impallidì come per un' ingiuria mortale.
— Leggere i giornali?... Leggere i vostri giornali?
— Balbettava, pareva cercasse le parole. — .Ma del
vostri g;iornali io mi netto il fondajnento !... Ah, no?
non volete capire?... Me ne netto il fondamento, cosi....
— e fece il gesto.
Il Fratello portinaio mise il capo dietro il muro delJa
scala ; dalla terrazza aff acciossi Padre Pedantoni per
g-uardare giù nel portico dove s'accendeva la lite.
— Questo non si chiama rispondere!... A voi, dun-
que, chi dà le notizie?... Avete un servizio d'informa-
zioni particolare, se non leggete i giornali ?
— ■Così!... — continuava a ^gestire »don BJasco,
fuori della grazia di Dio. — A me parlate della vostra
carta sporca ? A me che vi farei legare tutti quanti,
voi e chi l'introduce qui dentro?
— Andate a denunziarci!... Ne sareste capace!...
— . Farei il mio dovere !
— ■ Fareste la spia !
— A me?...
Padre Massei, che se la godeva seduto sopra un se-
dile, esclamò a un tratto, vedendo il gesto con cui dcwi
Blasco sfibbiava la sua cintola di cuoio :
— Sst !... Sst !... Viene l'Abate.... — ma don Blasco
tonò :
— Me n' infondo dell'Abate, del Priore e del Capi-
tolo ! Avanti, chi si sente da più ! A me spia, manetta
di carognuoli ?...
Vedendo che diceva sul serio. Padre Dilenna gli si
fece incontro, rabbuiato in viso. Allora Pedantoni fu
costretto a mettersi in mezzo, per dividerli :
— Andiamo, smettetela. È questo il modo?...
Da un pezzo le discussioni finivano cosi, con le grida,
gì' insulti e le minaccie. Don Blasco era diventato un
energumeno dopo che i liberali rizzavano la cresta per
via degli avvenimenti di Lombardia, della cacciata del
Granduca da Firenze, dell'agitazione che propagavasi
per tutta l'Italia. « Questa volta è per davvero ! Son
sonate le ventiquattro !... » dicevano, ed egli prima
si scagliava contro Napoleone III, contro quel « figlio
— 228
di non so chi » al quale non bastava la propria tigna
e veniva a grattare quella degli altri : poi tonava che
Francesco li li avrebbe costretti ad arar dritto : « Per-
chè è ragazzo? Perchè non c'è più suo padre?... Vi
farà legare dal primo all'ultimo! La vedremo'!...»
Ma il suo più grande furore scoppiava quando i libe-
rali, dopo aver profetato imminenti novità in Sicilia,
dopo aver parlato di moti rivoluzionarli già belli e
pronti, gli adducevano in prova il ritorno di suo fra-
tello, del duca di Oragua, da Palermo. « Quello li in
galera, legato emani e piedi; quell'imbecille, pazzo,
brigante e traditore!... » Poi, ridendo di sé stesso, lo
vituperava altrimenti : « Lui, pericoloso? Quel pezzo
di coniglio ? Lui congiurare ? È tornato per la squac-
quereUa che ha addosso!... Palermo è buona per ba-
gordarvi, ma in tempo di trambusti è meglio il proprio
paese, tapparsi in casa propria, ficcarsi dentro un,
forno!... Se tutti i sanculotti sono come in lui, Fran-
cesco regnerà altri cent' anni.
Egli ripeteva quéi discorsi fuori del convento, di-
nanzi agli estranei ; dalla Sigaraia specialmente, dove
andava tutti i giorni, uscendo dal refettorio. Donna
Lucia, all'ora canonica, serrava la bottega e si met-
teva alla finestra per vederlo uscire dal portone del con-
vento e infilare quello del palazzotto; allora gli andava
incontro, fino a mezza scala, con le figlie e il marito.
Le ragazze che adesso avevano da dieci a dodici anni,
erano tal e quale don Blasco : grasse e grosse come
mezze botti ; e gli baciavano la mano e gli davano
del Vostra Eccellenza al pari di Carino, che si sbrac-
ciava per servirlo, per avanzargli la poltrona più co-
moda ed offrirgli i biscotti e il rosolio regalati dal mo-
naco a spese di San Nicola. Quella era la visita pub-
blica che don Blasco faceva all'amica, perchè poi ce
n'era una seconda, quando Garino portava a spasso le
ragazze, e i due restavano soli. Certe volte ce n'era
una terza, nella tabaccheria. Oltre che il tabaccaio,
Carino faceva il caffettiere e teneva due tavolini con sei
— ■ 229
chicchere per ciascuno, ad uso degli avventori, i quali
erano la più parte spie e sbirri e sorci di polizia, giac-
ché egli esercitava una terza professione, quella del-
l'orecchiante. Cosi, in mezzo a quel pubblico di fedeli,
don Blasco si nettava la bocca contro i sanculotti in ge-
nerale e il fratello in particolare, e apprendeva notizie
di prima mano intorno ai movimenti dei traditori. Ve-
ramente, Carino protestava un gran rispetto pel duca
d'Oragua, zio del principe di Francalanza, apparte-
nente ad una delle prime famiglie del regno ; e a sen-
tire i vituperii di don Blasco scrollava un poco il capo ;
ma, voltando pagina. Sua Paternità aveva poi tutti i
torti ? Il duca faceva male a frequentar troppo don Lo-
renzo Ciulente, il quale era un liberale arrabbiato —
naturalmente, non essendo signore ! — e per mezzo del
console inglese — la polizia sapeva ogni cosa ! — fa-
ceva venire giornali, proclami e altra roba proibita;
a don Lorenzo, anzi, avean fatto una visita domici-
liare ; ma dal duca non andavano, pel rispetto dovuto
alla famiglia Uzeda Questo appunto don Blasco non
poteva soffrire : che egli godesse dell' immunità, che si
parlasse di lui come d'un capo rivoluzionario senza
che corresse rischi di sorta ; voleva che lo trattassero
come gli altri, che lo legassero più stretto degli altri.
« Sono tutti cani arrabbiati ! Ci vuole il bastone ! Ci
vuole la museruola ! » Carino scrollava il capo : l'In-
tendente Fitalia non avrebbe potuto permettere che
si molestasse il duca d'Oragua, finché, beninteso, egli
non si arrischiava troppo ; ma questo era certo e si-
curo : che un gran signore come lui aveva tutto da
perdere e niente da guadagnare m.ettendosi coi « mal-
pensanti n e gli arruffapopolo : il signor Intendente
gliel 'aveva detto a faccia a faccia !... Allora, udendo
che suo fratello andava dal rappresentante del Go-
verno, don Blasco sfogava a un altro modo :
— Volpone! Camaleonte! Giubba rivolta!... Come
possono fidarsene ? È del partito di chi vince ! Li
giuoca tutti ! Tradirebbe suo padre che lo creò I...
E andando via dalla Sigaraia ripeteva quei discoisi
in pubblico, nella farmacia di Timpa, che era il quar-
tier generale dei fedeli, mentre in quella di Cardarella
sì davan convegno i rivoluzionarli. Se qualcuno, scan-
dalizzato dalla violenza del monaco, gli faceva osser-
vare che non stava bene parlare in tal modo, agli
estranei, del proprio fratello :
— Fratello? — protestava egli. — Io non ho fra-
telli ! Non ho parenti ! Non ho nessuno : com' ho da
cantarvelo ?...
Si dava al diavolo, perchè niente andava a modo
suo, al palazzo. L'anno innanzi, al momento della sca-
denza del termine stabilito dalla principessa pel pa-
gamento alle figlie. Chiara e Lucrezia non erano an-
date d'accordo; il marchese, biasimando l'amore della
ragazza per Giulente, s'era riavvicinato al principe, il
quale gli aveva fatto la corte, trattandolo con le molle
d'oro, per propiziarselo. Ferdinando, intento a met-
tere insieme un museo di storia naturale alle Ghiande,
non s'era neppure informato di quel che avveniva;
così, non solamente i legatarii non avevano chiesto i
conti, ma il principe, adducendo la mancanza di quat-
trini, aveva ottenuto dal marchese di poter ritardare il
pagamento fino all'altr'anno. La seconda scadenza era
arrivata, e Giacomo non pagava ancora, scusandosi
con le inquietudini- pubbliche, col ristagno degli affari,
con la scarsità del raccolto e l'impossibilità di ven-
derlo. E don Blasco non si dava pace udendo che i
nipoti, dimenticate le loro ragioni, accettavano perfino
i continui ritardi, i pretesti furbeschi del princLp>e.
Quelle bestie di Federico e di sUa moglie, specialmente,
non davano più retta a nessuno, al settimo cielo per la
speranza d'un figliuolo — come se dalla pancia di
Chiara dovesse venir fuori il Messia ! — e quel babbeo
di Ferdinando rìduceva il giardino un pestilente car-
naio, preso a un tratto dalla smania d'imbalsamare ani-
mali — senza accorgersi che il piij animale di tutti
era lui stesso ! Quell'altra sciagurata di Lucrezia, poi,
à
— 231 —
viveva nelle nuvole, più stravagante di prima, e im-
pallidiva quando nominavasi Giulente, lo sbarbatello
petulante che anche lui discorreva di costituzione e di
libertà ! Finalmente c'era la questione impegnata tra
Raimondo che non voleva muoversi, e sua moglie che
voleva andar via : in odio all'intrusa don Blasco si
schierava a favore del nipote aborrito.
— Partire? Per andar dove? A Firenze c'è il ter-
remoto ! Questi non son tempi da lasciare il proprio
paese !
Raimondo adduceva la stessa ragione, e gli altri la v
ripetevano : Matilde sentiva ordirsi intorno un' altra
con,giura sempre più stretta ; doveva adesso conten-
tarsi di andare e venire da Milazzo • ogni mese per
veder le bambine, non potendo più reggere ai mali
tratti che usavano loro quei parenti. Suo padre non
l'aveva più con Raimondo, girava per la Sicilia col
pretesto degli affari, m,a per lavorare invece contro il
governo : e don Blasco e donna Ferdinanda si diver-
tivano a predire che un giorno o l'altro l'avrebbero
buttato in galera, poiché quella predizione faceva pian-
gere l'mtrusa. Il duca, invece, parlava molto bene del
barone, s'intratteneva a lungo con lui quando passava ^
da Catania : adesso esaltava il genio di Cavour, i
trionfi della sua politica; se gli rimproveravano le an-
tiche critiche alla spedizione di Crimea, negava d'a-
verne mai fatte; e giudicava che la via per la quale
s'era posto Francesco II fosse sbagliata : l'alleanza
bisognava farla col Piemonte, non con l'Austria, e con-
cedere la costituzione, non inquietare i patriotti, perchè
Napoleone aveva parlato chiaro : l'Italia doveva esser
libera dall'Alpi all'Adriatico....
A don Blasco veniva di vomitare, udendo queste
cose, e s'arrovellava, non potendo prendersela diretta-
mente col fratello maggiore; ma il giorno che arrivò
la notizia della pace di Villafranca, per poco non gli
prese un accidente, dall'esultanza. Lungo i corridoi
di San Nicola, dinanzi ai monaci dell'altro partito che
— 232 —
tenevano, mogi mogi, la coda fra le gambe, vociava,
trionfante :
— Ah, il gran Cavour ? Ah, il gran Piemonte ?
Dove sono adesso ? Perchè non continuano la guerra
da soli? Dov'è andato l'Adriatico? Dov'è andato il
mar Tirreno ? E quella bestia che sputava sentenza,
empiendosi la bocca di Nabboleoxe ! Napoleone aveva
confidato proprio a lui quel che voleva fare ! Crede-
vano d'esserselo posto in tasca. Napoleone!...
— O non l'avevate con lui perchè non si grattava
la sua tigna ?
— Come? Quando? So molto io!... La baldoria è
finita !... Ma che Re, Francesco II ? Ma che Re? Degno
figlio di suo padre !...
Se avessero fatto lui Re, non avrebbe messo più
boria, non avrebbe guardato la gente da tant'alto. E si
sgolava anche al palazzo, vedendo che il fratello scrol-
lava il capo, udendogli sentenziare che l'ultima parola
non era detta.
— Che ultima e che prima ! il gran Cavurre ha
fatto fagotto ! I principi legittimi tornano tutti quanti !
L'avete schiacciata male, non volete capirlo ?
Ogni giorno s' informava se il duca aveva ordinato
i preparativi della partenza : quel fratello gli pesava
come un sasso sullo stomaco, non vedeva l'ora che
se ne tornasse a Palermo, quasi in città non potesse
regnar pace se colui non se n'andava. Al convento,
insultava quelli che osavano ancora contraddirgli, le
discussioni minacciavano di finir male ; lo stesso Abate
aveva dovuto pregare i Padri Dilenna e Rocca di la-
sciarlo dire per evitare lun guaio. Il Priore, invece,
non s'occupava di tutte queste cose : nessuno sapeva
in qual modo egli la pensasse. Se gli parlavano di po-
litica, stava a udire, scrollava il capo, rispondeva :
« Non sono affari che mi riguardano Date a Ce-
sare quel che è di Cesare » Al Noviziato la lotta
fra i due partiti s'era attizzata; il principino, a cui
don Blasco dava l' imbeccata, prendeva anche lui l'aria
— 233 —
di un trionfatore, dilegg'iava Giovannino Radali, capo
dei rivoluzionarii, dandog^li del « barone senza baronia »
e del « fìg-lio del pazzo. » Il duca Radali, infatti, era
morto in un accesso di delirio furioso; la duchessa
vedova aveva quindi stabilito che Giovannino, come
secondogenito, pronunziasse i voti. E questo era un
altro arg-omento col quale Consalvo schiacciava il cu-
gino : «Io andrò via, e tu resterai sempre qui!...»
Giovannino, che nonostante le diverse idee politiche
gli voleva bene, sopportava un poco i suoi dileggi;
ma, a volte, infuriava in malo modo : il sangue gli
montava alla testa, gli occhi gli s'accendevano; sca-
gliatosi sul cugino, se lo metteva sotto, malmenandolo,
finché Fra Carmelo accorreva, con le mani in testa :
— . Per l'amor di Dio!... Che modo è questo?...
Non potete star cheti ? Pensate a divertirvi !
Composte le liti, i radazzi si divertivano, infatti. I
due cugini morivano dalla voglia di fumare ; Giovan-
nino aveva ottenuto da Fra Cola, in gran segreto,
poca semente di tabacco, e l'aveva piantata in un an-
golo del giardino; cresceva rigogliosa, e presto ne
avrebbero fatto sigari. Frattanto giocavano da mat-
tina a sera, con pochi momenti di studio svogliato,
con qualche ora di funzioni religiose.
Per la festa di Sant' Agata, in agosto, andarono a
spasso tutti i giorni, assistettero alla processione del
carro, all'oratorio cantato in piazza degli Studii, e con
più piacere alle corse dei barberi, che Raimondo chia-
mava harharie. Le facevano lungo la via del Corso,
tra due siepi vive di curiosi, sui quali spesso i cavalli
si gettavano, sparando calci ed ammaccando costole.
I cavalli vincitori ripercorrevano poi la via al passo
guidati dai palafrenieri che lanciavano tratto tratto
un grido ai balconi :
— Affacciatevi, principi e baroni,
Che sta passando il re degli animali !
— 234 —
E la folla: «Ole!... » Consalvo stava attento al ce-
rimoniale spagnolesco di quelle feste : il Senato della
città, nella berlina di gala grande quanto una casa,
■preceduta da mazzieri e gonfalonieri e caiapani che so-
navano i tamburi, andava a prendere 1' Intendente, il
quale doveva farsi trovare sul portone : al senatore più
giovane toccava mettere il piede sulla predella, in atto
di scendere ; ma allora il rappresentante del Governo
doveva avanzarsi con le braccia distese, per impedirgli
di toccar terra. Erano le prerogative della città. Il Se-
nato aveva avuto lunghe contese con le altre autorità
circa il posto da occupare nella cattedrale, durante le
grandi funzioni : per evitare liti ulteriori, s'era trac-
ciata per terra una riga di marmo che nessuno poteva
varcare.
Finita la festa di Sant'Agata, a San Nicola novizi!
e Fratelli prepararono quella del Santo Chiodo, per
cui ogni anno c'era grande aspettativa.
Il Ré Martino, che la portava sempre al collo, aveva
regalato quella reliquia ai monaci, nel 1393 : era uno
dei chiodi con un pezzetto del legno della croce sulla
quale avevano suppliziato Gesù. Il 14 settembre la
spera d'oro tutta gemmata dove serbavasi la sacra spo-
glia fu esposta all'adorazione dei fedeli, mentre l'Abate,
circondato da tutti i Padri con la cocolla, celebrava,
accompagnato dal grand'organo, il pontificale. Ma la
vera festa fu quella della sera, quando la vasta piazza
di San Nicola parve trasformata in un salone, dalle
tante faci accese per ogni dove, dalle tante seggiole
disposte per le signore che arrivavano in carrozza dalla
Trinità e dai Crociferi, e venivano ad assistere alla
processione. Questa usciva, a suon di banda e di cam-
pane, tra due fila di soldati, dalla porta maestra della
chiesa che pareva tutta una fiamma : l'Abate reggeva
la spera, seguito da un lungo corteo che rientrava dopo
compito il giro della piazza : allora cominciavano i
giuochi di fuoco, i razzi, le ruote, le fontane luminose,
— 235 —
la gran macchina finale che mutava quattro volte di
disegno e di colori e finiva col crepitare assordante
d'un fuoco di fila mentre centinaia di serpenti lumi-
nosi si snodavano nell'aria scura — Il principino, ac-
canto ai suoi parenti, non aveva tempo di dar retta a
tutti, facendo gli onori di casa, giacché nella piazza
e in tutto il quartiere la gente era ospite dei Bene-
dettini. Tutta la città s'era riversata lassù : le signore
con gli abiti estivi che portavano 1' ultima volta, se-
gnando quella solennità la fine della stagione. Donna
Mara Persa, con la nuora e i parenti di costei venuti
da Palermo, stavano dalla parte opposta degli Uzeda;
don Mario era in campagna. Adesso, appena si salu-
tavano, per l'occhio del mondo; a donna Isabella era
stato proibito di andare più in casa di donna Ferdi-
nanda o di altri parenti del conte; la gente, a poco
a poco, aveva finito di chiacchierare su quel soggetto.
Lo stesso Raimondo pareva essersi rassegnato; non
Jo vedevano più correre 'dietro alla signora, né costei
litigava più con la suocera, né s'atteggiava a vittima
come un tempo. Quella sera aveva un abito veramente
sfarzoso, e tante gioie addosso, che tutti gli occhi si
volgevano su lei. Quando la folla cominciò a diradarsi,
Padre Gerbini, sempre galante, l'accompagnò alla car-
rozza; e come, giusto per combinazione, il cocchiere
dei Persa e quello del principe Prancalanza avevano
messo accanto i loro legni, Raimondo e il principe,
nell'andar via, fecero una scappellata alle si,gnore, alla
quale risposero solo donna Isabella e lo zio paler-
mitano.
Ora, il domani di quella festa, una notizia straordi-
naria, sbalorditiva, incredibile, corse di bocca in bocca
per la città : donna Mara Persa aveva cacciato di casa
la nuora!... «Era vero?... Non era possibile!... Se
la sera innanzi erano state insieme a San Nicola?...
E come? perchè? Quando tutto pareva finito?... » Ma
i bene informati dicevano che non era finito niente, e
che la bomba era scoppiata giusto quella notte per
— 236 —
l'assenza di don Mario. Donna Mara, dopo avere ac-
compagnato i parenti della nuora a'I'albergo ed esser
tornata a casa ed aver preso sonno, aveva udito ru-
more nella camera di donna Isabella : entrata da lei,
l'aveva trovata mezzo nuda, con la finestra aperta e
il cappello d'un uomo rotolato per terra. Se avesse
fatto un momento più presto, li avrebbe colti sul fatto;
ma dal balcone che dava sui tetti della scuderia, egli
era scappato in un lampo. Senza bisogno di nominarlo,
tutti comprendevano che egli era il conte Bisognava
vedere, aggiungevasi, donna Isabella, pallida come
una morta, quando la suocera, con voce strozzata, le
aveva gridato : « Esci di casa mia !... » Lì per li, senza
darle neanche tempo d' infilarsi un paio di scarpe, in
pantofole come si trovava ! Ella se n'era andata; con
la cameriera che le teneva il sacco, all' albergo dove
si trovava quel suo zio provvidenzialmente piovuto da
Palermo. «E se non c'era? Dove l'avrebbe mandata?
E don Mario, il marito?...»
Don Mario arrivò all'alba, a rotta di collo, mandato
a chiamare con un espresso : il piangere che faceva !
come un bambino!... Ne avea voluto del bene alla mo-
glie ! E allo stesso conte ! Questo era stato lo sbaglio !
Sua madre, no : l'amicizia degli Uzeda non le aveva
dato alla testa; fin dal principio s'era accorta della
piega che prendevano le cose. Se non fosse stata lei,
il pasticcio sarebbe successo molto prima, Raimondo
non avrebbe dovuto prender tante precauzioni. Egli
rischiava infatti la vita, ogni volta. Quando Fersa an-
dava in campagna, il conte entrava in casa di donna
Isabella, avendo comperato tutte le persone di ser-
vizio : ma dal portone della stalla, che il cocchiere gli
apriva, doveva salir sul tetto delle scuderie, scaval-
carne la balconata e di lì entrare in camera dell'amica
Era stato un vero miracolo, se per tanto tempo non
l'avevano sorpreso!... L'ultima notte, scappato senza
cappello, gli sbirri di ronda l'avevano incontrato e sta-
vano per arrestarlo ; ma conosciuto che era il conte
Uzeda, l'avevano lasciato andare....
GÌ' increduli, i curiosi, fecero capo alla polizia, ma
li furono mandati a spasso. E quel giorno stesso tutti
videro il contino Raimondo al Casino dei Nobili dove
giocò e chiacchierò del più e del meno, come di con-
sueto. Possibile che sfidasse fino a questo punto l'opi-
nione pubblica? O non era piuttosto da dubitare
della storia che si narrava?... Già correvano le ver-
sioni favorevoli a donna Isabella. Era levata, a mez-
zanotte ? J^on aveva sonno ! La finestra aperta ? Per
il gran caldo. Il cappello per' terra ? Un vecchio cap-
pello del cocchiere, il quale s'era divertito, nel pome-
riggio, a buttarlo per aria!... Se tutte queste cose non
s'erano messe in chiaro sul momento, bisognava incol-
pare quella furia di donna Mara. Non poteva soffrire
la nuora, tutti sapevano come l'aveva maltrattata! Chi
parlava del conte? Che c'entrava il conte? Chi l'aveva
visto? Era a casa sua, si era raccolto subito dopo la
processione del Santo Chiodo : il principe, la princi-
pessa, tutta la famiglia, tutti i servi potevano atte-
starlo ! Forse perchè, aveva fatto qualche visita, tempo
addietro, alla Persa? Ma s'era allontanato subito, visto
che prendevano in mala parte un'amicizia innocente !
Aveva dunque ragione di non voler stare in quel paese,
di ribellarsi contro la malignità dei proprii concitta-
dini!... E a poco a poco quelle voci acquistavano cre-
dito : dicevasi perfino che Persa l'avesse con la madre,
per non aver dato tempo all'accusata di provarsi inno-
cente.... Tutta la città discuteva, commentava, giudi-
cava ogni notizia relativa al fatto, appassionandosi
più che per una caduta di regno. Chi parteggiava pel
conte, protestando che un padre di famiglia come lui
non si sarebbe messo a disturbare un'altra famiglia;
chi lo giudicava capace di questo e d'altro, per sod-
disfare un capriccio. Scapolo, non aveva fatto una vi-
taccia ? Ammogliato, non aveva fatto tanto soffrire la
povera moglie? In quella circostanza, per buona sorte,
ella era in casa di suo padre, a Milazzo.
Giusto, tre giorni dopo, i difensori di Raimondo
- 238 —
trionfarono : egli partiva per Milazzo, raggiungeva la
moglie e le figlie. Donna Isabella, da canto suo, era
partita per Palermo con lo zio. Chi ardiva ancora affer-
mare che ci fosse stato niente di male fra loro? Quella
sconsigliata di donna Mara Persa aveva fatta la frit-
tata!... Gl'increduli andarono al palazzo Francalanza
e all'albergo, per vedere se quelle partenze eran vere.
Erano verissime : donna Isabella e Raimondo erano
partiti, l'uno per Milazzo e l'altra per Palermo; il
principe si apparecchiava ad andarsene al Belvedere;
Persa con la madre era già a Leonforte.
Durante la villeggiatura quei fatti furono il tema
di ogni discorso.
A Nicolosi, tra i Padri Benedettini, se ne fece un
gran parlare : Padre Gerbini, fra gli altri, sostenne a
spada tratta l' innocenza di donna Isabella, forte del
fatto che Raimondo, da Milazzo, era partito definiti-
vamente per Firenze, dove tornava a domiciliarsi con
la famiglia. Don Blasco però non apri bocca su questo
soggetto. Egli pareva avesse dimenticato tutti gli affari
della parentela, occupato com'era ad eruttar bestemmie
all'annunzio delle novità pubbliche, dei voti delle Ro-
magne e dell' Emilia per l'annessione al Piemonte, della
dittatura di Farini, specialmente del trattato di Zurigo
che gli die materia da sbraitare durante tutto l'autunno
e tutto r inverno. Coi Padri del partito liberale impe-
gnava novamente discussioni tempestose che minac-
ciavano di non finir bene, a proposito del ritorno di
Cavour al ministero, dei plebisciti dell' Italia centrale,
di tutti i sintomi d' un mutamento radicale. Ma, alla
cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, gongolò
come se le avessero date a lui; dopo l'abortito tenta-
tivo di sommossa del 4 aprile a Palermo, cantò vit-
toria, gridando :
— • Ah, non vogliono capirla, ah! Fermi con le mani!
Giuoco di m.ano, giuoco villano ! Parlate, gridate, sbraU
tate finché vi pare, ma senza rompere nulla ! Chi rompe
paga, e neppure i cocci sono suoi!
— 239 —
— Siete voi che non volete capirla ! Non vedete che
adesso non è più come al Quarantotto?
— Eh? ah? oh? Non piia ? Di grazia, che c'è di
nuovo ?
— C'è di nuovo che il Piemonte è forte che la
Francia sotto mano l'aiuta che 1' Inghilterra — che
Garibaldi
— • Chi?... Quando?... La Francia? Bel servizio!
Bell'aiuto!... Garibaldi? Chi è Garibaldi? Non lo co-
nosco !...
Imparò a conoscerlo il 13 maggio, quando scoppiò
come una bomba la notizia dello sbarco di Marsala.
Ma, contro al suo solito, egli non gridò, non disse
male parole : alzò le spalle affermando che al primo
colpo di fucile dei Napolitani, i « filibustieri » si sareb-
bero dispersi : ì Murat, i Bandiera, i Pisacane infor-
mavano.
— La sonata è un'altra ! — gli disse sul muso Padre
Rocca, dopo lo scontro di Calatafimi.
Allora egli scoppiò r
— Ma razza di mangia a ufo che siete, dovete dirmi
un poco perchè vi fregate le mani ? Avete vinto un
terno al lotto ? O credete che Garibaldi venga a crearvi
papi tutti quanti ? Non capite, teste di corno, che avete
tutto da perdere e niente da buscare ?
Non sapeva darsi pace; l'avanzarsi vittorioso dei
Garibaldini lo esasperava; la formazione di squadre di
ribelli, il fermento che regnava in città e nelle cam-
pagne lo mettevano fuori di sé. Ma il suo furore ro-
vesciavasi particolarmente sul duca, che prendeva
decisamente posto coi rivoluzionarli, fiutando già il
cadavere. Il monaco diceva contro il fratello parole
tali da far arrossire un lanciere, dava del traditore a
tutte le autorità perchè, invece di reprimere il movi-
mento, aspettavano di vedere, grattandosi la pancia,
se Garibaldi sarebbe entrato o no a Palermo.
— A Palermo ? Lanza lo schiaccerà ! C'è ventimila
uomini a Palermo ! Ma bisogna dare esempii ! Rizzar
la forca in piazza del Fortino !
— 24° —
Invece, le squadre dei rivoltosi si riunivano tutt' in-
torno alla città, i liberali parlavano a voce alta, gli
sbirri fingevano di non udire, i « benpensanti » erano
costretti a nascondersi ! E quella bestia del generale
Clary, con tremila uomini sotto i suoi ordini, non
usciva dal castello Ursino, non faceva piazza pulita,
lasciava che il panico dei « benpensanti » crescesse. La
notte del 2"]^ in mezzo al mal celato tripudio dei rivo-
luzionarli, arrivò la notizia dell'entrata di Garibaldi a
Palermo; le squadre minacciavano di scendere in città
per attaccare le truppe di Clary, Il duca invece racco-
mandava la calma, assicurava che i Napolitani sareb-
bero andati via senza tirare un colpo. Quantunque egli
assumesse un'aria importante e protettrice in famiglia,
quasi potesse far la pioggia e il bel tempo, Giacomo
ad ogni buon fine prese le disposizioni per mettersi
al sicuro al Belvedere. Lucrezia, vedendo quei prepa-
rativi di partenza, smaniava all' idea di lasciare Giu-
lente, il quale le scriveva : « L'ora del cimento sta per
sonare; io correrò al posto dove il dovere mi chiama,
col nome d' Italia ed il tuo sulle labbra ! » Ma all'an-
nunzio che, rotto ogni indugio, le squadre stavano per
scendere in città, il principe andò a San Nicola per
raccomandare il bambino all'Abate, al Priore e a don
Blasco, e fatte attaccar le carrozze, parti con tutti i
suoi, da Ferdinando in fuori, il quale né per pestilenze
né per rivoluzioni lasciava le sue Ghiande. Allora il
duca, per non restar solo nel palazzo deserto, se ne
venne al convento, dove il nipote Priore gli dette una
camera della foresteria. Don Blasco, vistolo 11 dentro,
parve uno spiritato; sulle prime non potè articolar pa-
rola ; poi, corso in mezzo ai Padri della sua camarilla,
vociferò :
— L'eroe! l'eroe! l'eroe! quel grande eroe!... Quel
fulmine di guerra!... S'è ficcato qui per la paura!
Finta che a casa non c'è più nessuno ! Gli treman le
chiappe, invece !...
Il convento infatti cominciava a popolarsi di pau-
— 241 •—
rosi, di preti fuggiaschi, di spie borboniche, di gente
invisa ai liberali ; lo stesso castello non era giudicato
altrettanto sicuro. 'Pei novizii, quantunque alcuni di
essi fossero stati portati via dai parenti inquieti, era
una festa : tante facce nuove, un incessante andirivieni,
la continua aspettativa di non si sapeva che cosa. I
ragazzi liberali avean formato anch'essi la loro squa-
dra, a similitudine di quelle accampate fuori la città :
Giovannino Radali la capitanava, maturando il piano
di sollevare il convento, di scendere in piazza e di
unirsi ai rivoltosi grandi. Mancavano però di bandiere,
e col pretesto di apparare un altarino .mandarono il
cameriere a comprar carta variamente colorata. Il ca-
meriere, con la bianca e la rossa, ne portò dell'azzurra
invece della verde ; quello sbaglio fu causa che si per-
desse un giorno. Il principino, al quale naturalmente,
nella sua qualità di sorcio, i rivoluzionarli, non avevano
detto niente, subodorata nondimeno qualche cosa per
aria, aveva deliberato di scoprir paese. Una circostanza
straordinaria lo aiutò. Il tabacco piantate insieme col
cugino era maturo ; le foglie, strappate, poste da qual-
che giorno al sole, cominciavano già ad accartocciarsi ;
gli bastò arrotolarle con le mani per ottenerne tre o
quattro sigari che Giovannino giudicò pronti ad esser
fumati. Allora, nascosti insieme in un angolo del giar-
dino, perchè, tolta la politica, erano amici, dettero
fuoco ai fiammiferi e cominciarono a tirare le prime
boccate. Usciva un fumo acre, amaro, pestifero, che
bruciava gli occhi e la gola ; Giovannino, pallidissimo,
respirava a stento, ma continuava a tirare poiché Con-
salvo dichiarava :
— Sono eccellenti!... Tutti tabacco vero!... Non ti
piace ?
— Sì Un bicchier d'acqua — Mi gira il capo...,
Improvvisamente si fece bianco come la carta, gli
si rovesciarono gli occhi e cominciò a vaneggiare :
— Il Maestro — acqua le bandiere...,
'Consalvo, sul quale il veleno agiva più lentamente,
domandò :
De Roberto. Z Viceré - 1 16
— 242 —
— Quali bandiere?.. Dove sono?...
— Sotto il letto la rivoluzione Malannaggia!...
Mi viene di vomitare
Il principino buttò il suo sigaro e rientrò. Sentiva
Un principio di nausea, aveva il pie malfermo, la vista
un po' annebbiata; ma si trascinò fino dal Maestro:
— Han fatto le bandiere per la rivoluzione
sotto il letto.... ;
— Chi?
— Quelli — Giovannino il complotto
La nausea saliva, saliva, gli stringeva la gola ; le
mani gli si diacciavano, ogni cosa gli girava intorno
vorticosamente.
— Ma di che complotto parli?... Che hai?
— • Giovan la ri
Stese le mani e eadde per terra come morto. Quando
riacquistò i sensi si trovò a letto, con Fra Carmelo che
lo vegliava. La luce era fioca, non si capiva se fosse
l'alba oppur^ il tramonto; né una voce né un rumor
di passi nel convento; solo il cinguettio dei passeri
sugli aranci in fiore.
— Come si sente? — domandò il Fratello, premu-
rosamente.
— Bene Che è successo? Che ora è?
— Spunta adesso il sole!... Ci ha fatto una bella
paura!... Non si rammenta?...
Allora, confusamente, egli ripensò ai sigari, alla
nausea, alla denunzia. Era dunque passata tutta una
notte?... E Giovannino?
— Anche lui !... Adesso sta meglio.... Il Maestro ha
frugato in tutte le camere, sotto i letti ha trovato
tante bandiere.... Sua Paternità se l'è presa con me....
So molto, io, di queste diavolerie !...
I congiurati, vistisi scoperti, erano disperati, non
comprendendo donde venisse il colpo. Ma Giovannino,
ristabilito anche lui, s'alzava in quel momento e pas-
sava tra i compagni costernati :
— Com'è stato?... Sei stato tu?...
— 243 —
— Io?... Ah, quel giuda di mio cugino!... — E il
sangue gli montò al viso, con un impeto selvaggio di
collera, da vero « figlio del pazzo ». — Aspetta !
Aspetta !
Appostati in attesa che Consalvo uscisse, lo circon-
darono nel giardino; Giovannino gli si fece incontro,
domandandogli :
— • Sei stato tu, pezzo di sbirro, che hai detto al
Maestro?...
Consalvo capì. Pallido e tremante, cominciò a pro-
testare :
— Maria Santissima!... Il Maestro?... Xon sono
stato....
Ma il cerchio gli si strinse intorno :
— Negalo, anche!... Hai coraggio solo per men-
tire, sbirro schifoso ? pezzo ,di boia ?
— • Vi giuro —
— Ah, spia fetente !... — e il primo pugno gli
piovve sulle spalle. Tutti gli furono addosso, ed egli
cominciò a gridare; ma nessuno poteva udir le sue
grida, perchè, a un tratto, a quell'ora insolita, tutte
le campane di San Nicola si misero a stormeggiare
formando un concerto cosi strano, che i ragazzi smi-
sero di picchiare il delatore, guardandosi turbati. A
un tratto Giovannino esclamò :
— • La rivoluzione!... — e rientrò di corsa.
Le squadre erano finalmente scese in città, per dar
l'attacco ai Napolitani. Tutti i monaci erano tappati
dentro; l'Abate aveva fatto serrare i portoni dopo che
tutta una popolazione spaventata s'era venuta a rifu-
giare nel convento. Solo il campanile era rimasto aperto
ai rivoltosi, i quali continuavano a sonare a stormo
mentre s' udiva il rombo delle prime cannonate del ca-
stello Ursino. Don Blasco, nonostante il coltello che
portava sotto la tonaca, verde dalla bile e dalla paura,
era venuto a rifugiarsi, insieme coi borbonici più so-
spettati, al Noviziato, come in un cantone piij sicuro,
dove, per via dei bambini, nessuno sarebbe entrato;
— 244 —
nondimeno diceva ira di Dio di quel vigliacco dì suo
fratello che era rimasto dentro col pretesto dei portoni
chiusi, ma complottando ancora con quell'altro « porco »
di don Lorenzo Giulente.
— Perchè non scende in piazza ? Perchè non va :\
battersi? Gli apro io stesso, se vuole!... Carogna!
Traditore !...
Il duca, in confabulazione con l'Abate e col nipote
Priore, disapprovava invece l'attacco, riferiva il savio
e prudente uìtimatuin del generale Clary :
— Clary mi disse ieri : « Aspettiamo quel che fa
Garibaldi : se resta a Palermo, m' imbarco coi miei
soldati e me ne vado; se no, avrete pazienza voialtri:
resterò io. » Mi pare che dicesse bene ! Che bisogno
c'era d'attaccarlo?... Le sorti della Sicilia non si de-
cidono qui !... Ma non vogliono ascoltarmi ! Che posso
farci? Io me ne lavo le mani!...
— Non vogliono ascoltarlo ? — tem<pestava don
BlaSco. — Dopo che li ha scatenati?... E adesso
fa il gesuita?... Per restar bene col Clary, se la ciur-
maglia ha la peggio?...
Il cannone tonava di rado ; gente arrivata dalla
Botte dell'Acqua, cercando rifugio, diceva che la mi-
schia più forte era impegnata ai Quattro cantoni, ma
che del resto i ribelli tiravano sulle truppe alla spic-
ciolata, nascosti dietro gli angoli delle case, o dalle
terrazze. Le spie borboniche, pallide, esterrefatte, an-
davano ficcandosi nelle celle dei Fratelli ; Carino, venuto
dei primi a chiudersi a San Nicola, s' attaccava alla
tonaca di Don Blasco e pareva più di qua che di là.
Anche il principino stava al fianco dello zio, non osando
neppure lagnarsi delle busse ricevute, mentre Giovan-
nino Radali e gli altri ragazzi liberali, attorniato Fra
Carmelo, gli dicevano :
— Adesso arriva Garibaldi!... Andremo tutti via!...
Non ci torneremo più !...
Prima di sera cessò lo scampanio e il cannoneg-
giamento; don Blasco, andato a interrogare i passanti
— 245 —
dai muri della Flora, tornò agitando le braccia e sma-
scellandosi dalle risa :
— La gran rivoluzione è finita!... Sono usciti i
lancieri, hanno nettato le strade!... Evviva!... Ev-
viva !...
La notizia venne confermata da tutte le parti, ma
il duca, prudentemente, restò dentro pel momento. La
gioia di don Blasco fu però di corta durata : il domani,
avuti gli ordini da Napoli, Clary si preparò alla par-
tenza ; e consegnata la città a una Giunta provvisoria,
s' imbarcò il giorno appresso con tutti suoi soldati.
Don Lorenzo Giulente col nipote, saliti a San Ni- "^
cola, invitarono il duca al Municipio, dove i migliori
cittadini attendevano a disciplinare la rivoluzione. Già,
partita la truppa, nella prima ebbrezza della libera-
zione, nel primo Impeto della vendetta, torme di po-
polani avevano dato la caccia ad uno dei più tristi e
odiati sorci di polizia, e uccisolo ne avevano portato
in giro la testa. Tremava il cuore al duca, all' idea di
lasciare il sicuro asilo del monastero e di scendere
nella città in fermento; ma i due Giulente lo assicu-
rarono che adesso tutto era cheto e che gli amici lo
aspettavano. Così traversarono insieme le vie deserte
peggio che in tempo di peste, con tutte le botteghe e
le finestre sbarrate e un silenzio pauroso. Don Gaspare
Uzeda, a dispetto delle assicurazioni dei Giulente, nono-
stante la prova della popolarità acquistata tra i libe-
rali, temeva che qualcuno non gli rimproverasse il suo
rimpiattamento a San Nicola, nel giorno dell'azione;
che i rivoluzionarli del Quarantotto non gli rammen-
tassero le storie antiche ; le gambe, pertanto, gli va-
gellavano nell'entrare al Municipio, nel traversar la
corte piena di gente, nel salir su dove deliberavano;
ma a poco a poco il sorriso gli spuntava sulle labbra
pallide e chiuse, il sangue tornava a circolargli libe-
ramente nelle vene, poiché da tutte le parti lo saluta-
vano rispettosamente o cordialmente : i popolani s' in-
— 246 —
chinavano, g;li amici stringevangli la mano, esclamando :
«Finalmente!... Ci siamo!... Non abbiamo più pa-
droni!... Adesso finalmente i padroni siamo noi!...»
La cosa più urgente era l'ordinamento d'una qualun-
que forza pubblica, d' una milizia civica che prestasse
servizio sino alla formazione della Guardia nazionale.
Occorrevano quattrini per l'armamento della milizia
e della guardia : aperta una sottoscrizione per rac-
cogliere i /primi fondi, il duca offerse trecent'onzc.
Nessuno aveva dato tanto, la cifra produsse grande
effetto ; quando la riunione si sciolse, parecchie doz-
zine di persone riaccompagnarono don Gaspare a San
Nicola. ] ' ■■
Il domani mattina egli aggiunse altre cent'onze per
l'acquisto delle munizioni. Il favore universale gli
crebbe intorno. Mancava lavoro, poiché la città era
tuttavia un deserto : egli non lasciò andare a mani
vuote nessuno di quelli che gli si rivolsero per sus-
sidio. Preso coraggio, andò tutti i giorni al Gabinetto
di lettura, dove i liberali commentavano con tripudio
le notizie dei progressi della rivoluzione ; si mise a
capo delle dimostrazioni che andavano a prendere la
musica dell'Ospizio di Beneficenza e al suono dell' inno
garibaldino giravano per la città. A poco a poco, sem-
pre ipiù rassicurato, quasi domiciliossi al Municipio,
dove chiedevano i suoi consigli. Mentre tutti parlavano
di libertà e d'eguaglianza, nessuno pensava a prendere
un provvedimento che dimostrasse al popolo come i
tempi fossero cangiati e i privilegi distrutti e tutti :
cittadini veramente ed assolutamente uguali. Egli pro-
pose e fece decretare l'abolizione del pane sopraffino.
Allora diventò un grand' uomo.
Don Blasco, rimpiattato al convento, schiumava :
non tanto, forse, per la rovina del suo partito e pel
trionfo dell'eresia, quanto per sapere suo fratello con-
siderato a un tratto come uno degli eroi della libertà :
il Governatore non faceva nulla senza del duca, lo
j metteva in tutte le commissioni, un codazzo di animi-
— 247 —
ratori lo accompagnava al palazzo Francalanza, che
egli aveva fatto riaprire e riabitava perchè la chiusura
non s' imputasse al borbonismo della famiglia : e la ^
gente minuta, gli operai, tutti quelli che non sape-
vano che cosa sarebbe successo, convertivansi al nuovo
partito udendo che un gran signore come il duca
d'Oragua, uno dei Francalanza, ne faceva parte : le
dimostrazioni patriottiche, di giorno e di notte, con
musiche e fiaccole e bandiere si succedevano sotto il
palazzo come sotto le case dei vecchi liberali, di quelli
che erano stati in galera o tornavano dall'esilio. Adesso
tutti parlavano in piazza, dai balconi, .per eccitare il
popolo, o per discutere il da fare nei Circoli che si
venivano costituendo; ma il duca, incapace di dire
due parole di seguito in pubblico, atterrito dall' idea
di dover parlare dinanzi alla folla, scendeva giù ad
incontrarla al portone, se la cavava gridando con
essa : « Viva Garibaldi ! Viva Vittorio Emanuele ! Viva
la libertà!...» conducendo al caffè i volontarii gari-
baldini, pagando loro gelati, sigari e liquori. Formata
la Guardia nazionale, lo fecero maggiore : tutti i giorni
egli mandava ai corpi di guardia bottiglioni di vino,
focacce, pacchi di sigari, regali di ogni genere. E
Ja sua fama cresceva, cresceva ; nelle dimostrazioni il
grido di i« Viva Oracqua » — come pronunziavano i
più — era altrettanto frequente quanto « Viva Ga-
ribaldi ! » o («Vittorio Emanuele!...» Queste enor-
mità ridussero don Blasco a un cupo silenzio, più
terribile delle grida ; il monaco non era però alla
fine delle prove. I forusciti, i briganti che s'arrola-
vano per seguire l'anticristo dove furono alloggiati?
A San Nicola !...
All'annunzio che la colonna di Nino Bixio e di Me-
notti Garibaldi sarebbe giunta a Catania, il Governa-
tore aveva mandato un ufficio all'Abate comunican-
dogli di aver disposto che i soldati della libertà fossero
ospitati nel convento dei Padri Benedettini. L'Abate,
borbonico fino alle ciglia, voleva fare qualche diffì-
— 248 —
colta ; ma il Priore don Lodovico lo persuase che non
era il caso di opporsi. Il 27 luglio la Guardia nazionale
andò incontro, fuori le porte, alla colonna che entrò
in città fra un uragano d'applausi; e i volontarii
s'acquartierarono a San Nicola, nei corridoi del primo
piano e in quello dell'Orologio : la paglia sparsa per
terra, le rastrelliere, i fucili, le giberne, le baionette,
le canne di pipa ridussero il convento un assedio. Per
andare al refettorio, don Blasco doveva traversare
due volte il giorno quell'inferno; egli passava muto,
pallido, fremente, mentre i soldati gridavano evviva
al Priore don Lodovico che faceva distribuire vino e
focacce ! Tutto il giorno, giù nei cortili esterni, essi
eseguivano esercizii ; Bixio stava a invigilare con un
frustino in mano, accarezzando tratto tratto le spalle
dei più restii. « In nome della libertà ! In odio all'an-
tica tirannide!... » facevano osservare i Padri sorci
a don Blasco ; ma questi neanche rispondeva, pareva
non interessarsi più a nulla, come alla vigilia del fini-
mondo.
Bixio e Menotti erano alloggiati alla foresteria ;
l'Abate li evitava, ma il Priore, per prudenza — di-
ceva — usava agli ospiti tutti ì riguardi, s' informava
premurosamente se avevano bisogno di nulla, metteva
la Flora a disposizione del figlio dell'anticristo, che
passava i suoi momenti d'ozio coltivando rose. Un
giorno, tra i novizii, che erano scemati di numero
perchè molte famiglie avevano ritirato i loro ragazzi
in quel trambusto, vi fu grande aspettativa : Menotti
veniva da loro. Giovannino Radali, Pedantoni, tutti i
liberali lo guardarono con gli occhi spalancati, come
uno piovuto dalla luna, senza saper dire 'Una parola,
mentre egli li accarezzava. Ma, nel giardino, Giovan-
nino corse a cogliere la più bella rosa e gliel'off'erse,
chiamandolo: «Generale!...» Consalvo se ne stette
in disparte, aggrottato come lo zio don Blasco, con
la coda tra le gambe.
— Adesso non fai più il sorcio ? — gli dissero i
-^ 249 —
compagTii quando Menotti andò via. — Hai paura che
ti taglino la coda ?
Eg-li non rispose. Suo padre, rassicurato sull'anda-
mento della cosa pubblica, scese un giorno a trovarlo.
— • Non ci voglio più stare — gli disse il ragazzo;
— tanti se ne sono andati —
— Voglio?... — rispose il principe, con voce dura.
— Chi t'ha insegnato a dire voglio?... Per ora hai
da star qui,
E il duca non solo approvò quella decisione, ma
indusse il nipote a tornarsene definitivamente con la
famiglia in città, giacché non c'era pericolo di sorta,
e quell'ostinata lontananza, quelle dimostrazioni di
paura potevano esser prese in mala parte dal popolo.
Arrivarono tutti dopo qualche giorno, il marchese e
la marchesa soli e gongolanti nella loro carrozza che
andava al passo, per riguardo della gravidanza di
Chiara finalmente confermata ed arrivata al sesto
mese ; Lucrezia che metteva il capo ogni minuto allo
sportello quando i posti di guardia facevano sostare
la vettura, -parendole di riconoscere Giulente in ogni
soldato.
Ma Benedetto non era piia in Sicilia. Nei primi
giorni aveva aiutato lo zio Lorenzo e il duca a ordi-
nare la rivoluzione, arringando il popolo, parlando nei
1^ ircoli con una eloquenza che tutti ammiravano, scri-
vendo articoli neW Italia Risorta fondata dallo zio per
propugnare l'annessione al Piemonte; poi, nonostante
l'opposizione del padre e della madre, s'era ingaggiato
garibaldino, nel reggimento delle Guide, ed era partito
pel continente. Arrivando in città, Lucrezia trovò una
lettera del giovane, il quale le annunziava che andava
a raggiungere Garibaldi per compiere il proprio do-
vere verso la patria e le raccomandava di non pian-
gerlo se gli fosse toccata la grande sorte di morire per
r Italia. Ella cominciò a leggere tutti i giornali e
tutti i bollettini per sapere che cosa avveniva di lui,
ma ne capì meno di prima, incapace di farsi un' idea
— 250 —
intorno alle mosse dell'esercito meridionale. Don
Blasco, all'arrivo dei parenti, eruttò finalmente la bile
accximulata in tre mesi. Ogni g-iomo, venendo al pa-
lazzo, vomitava improperi! contro il fratello, colmava
di male parole lo stesso principe perchè permetteva
che dal balcone di centro sventolasse l'aborrito tri-
colore, che mettessero fuori i lumi per festeggiare le
vittorie dei « briganti ». Il principe si faceva tutto
umile, gli dava ragione, esclamava : « Che posso farci ?
È mio zio! Posso mandarlo via?» ma si guardava
bene di fare rimostranze al duca, troppo lieto che la
popolarità del gran patriotta garentisse anche lui, la
sua persona e la sua casa. Però dava un colpo al
cerchio e uno alla botte ; parlava contro il duca a don
Blasco, contro don Blasco al duca, sicuro di non es-
sere scoperto, poiché quei due s'evitavano come la
peste. Gli toccava poi tenere a bada anche donna Fer-
dinanda, la quale era diventata una versiera, dopo
la caduta del governo legittimo, e ne invocava il ri-
torno e andava fino a promettere una lampada a Santa
Barbara perchè questa saettasse tutti i suoi fulmini
contro i traditori. Chiedeva che il principino fosse tolto
dal convento infestato dai rivoluzionarii ; ingiungeva
al nipotino, quando costui- veniva a casa in permesso
« Non t'arrischiar di parlare con quei nemici di Dio
o non ti guarderò più in faccia ! » Consalvo le rispon
deva : « Eccellenza si ! » come al duca quando costui
tutt'al contrario, gli diceva : « Che bei soldati, i ga
ribaldini ?... » Dolevano ancora le spalle al ragazzo
dalle busse toccate per lo spionaggio ; e adesso egli
faceva come vedeva fare allo zio Priore, che godeva
la fiducia dell'Abate borbonico di tre cotte, e intanto
era portato in palma di mano dai rivoluzionarii — Che
importava al principino di borbonici e di savoiardi ?
Egli voleva andar via dal Noviziato ; perciò serbava
un segreto rancore contro il padre che non l'aveva
contentato. Del resto, con tutta la rivoluzione e la
libertà e Vittorio Emanuele e l'abolizione del pane so-
praffino, a San Nicola non si scherzava, articolo pri-
vilegi. Giusto in quei giorni i Giulente avevano rac-
comandato all'Abate un giovanetto, loro lontano pa-
rente, rimasto orfano a Siracusa e venuto a Catania
per farsi benedettino. Era tutto il contrario del cugino
Benedetto, questo Luigi : non solo avversava la rivo-
luzione ; ma aveva, col timor di Dio, una grande vo-
cazione per lo stato monastico. E l'Abate, ritenendo
provata la nobiltà della famiglia, l'aveva preso a pro-
teggere e fatto entrare al Noviziato. Lì, i nobili com-
pagni, senza distinzione di partito, se ne prendevano
giuoco, lo beffavano, gliene facevano di tutti i colori,
giudicandolo indegno di stare fra loro ; e tra i monaci
gli stessi liberali torcevano il muso : Vittorio Emanuele V
andava bene; l'annessione e la costituzione meglio
ancora; ma rinunziare ai loro privilegi, fare d'ogni
erba un fascio, questo era un po' troppo!...
. «^
La quistione dell'annessione, del miglior modo di
votarla, appassionava in quel momento la pubblica
opinione : alcuni volevano affidarne il mandato ad
un'assemblea da eleggere, altri predicavano il suf-
fragio diretto. Ogni giorno, col Governatore della
città, e con don Lorenzo Giulente e i capi liberali, il
duca sosteneva il plebiscito : « Il popolo dev'essere
lasciato libero di pronunziarsi. Si tratta delle sue sorti I
Vedete come han fatto nel resto d'Italia!... » Questo
consiglio, mentre accresceva a mille doppii la sua po-
polarità, gli scatenava addosso più violento l'odio di
don Blasco e di donna Ferdinanda, la critica dello
stesso don Eugenio. Il cavaliere, adesso, perduta la
speranza degli scavi di Massa Annunziata, aveva con-
cepito un nuovo disegno : farsi nominare professore
all'Università. Non v'erano stati parecchi signori
pubblici lettori? L'impiego era decoroso e nobile;
la cattedra di storia, specialmente, gli faceva gola.
Le sue conoscenze archeologiche, l'opuscolo sulla
Pompei Sicola, erano buoni titoli : per averne ancora
— 252 —
di mig-liori, egli scriveva una Istoria cronologica dei
Viceré Uzeda, luogotenenti dei Regi Aragonesi nella
Trinacria. Come Gentiluomo di Camera, non si la-
sciava molto vedere ; ma certo che la rivoluzione sa-
rebbe stata schiacciata da un momento all'altro, anche
lui se la prendeva col duca.
— Chi parla di popolo ! Se tornassero i Viceré dal-
l'altro mondo ! Se sentissero di queste eresie, se ve-
dessero un loro pronipote unirsi alla ciurmaglia!...
Don Cono, don Giacinto, don Mariano, tutti i la-
vapiatti scrollavano il capo, addolorati anch'essi da
quel tralignamento ; però tentavano placare il giusto
sdegno dei puri, giudicando il liberalismo del duca
un liberalismo di parata, una necessità politica del
momento; era impossibile che, in cuor suo, il figlio
del principe di Francalanza, uno di quegli Uzeda che
dovevano tutto alle legittime dinastie, potesse godere
dell'anarchia e dell'usurpazione !
— Tanto peggio ! — urlava don Blasco. — Capirei
un fedifrago risoluto, che avesse il coraggio del tra-
dimento ! Ma se tornano i Napolitani, colui andrà a
baciar loro il preterito!... Vedrete, quando torne-
ranno
Ma non tornavano. Arrivavano invece, una dopo
l'altra, le notizie della partenza di Francesco II da
Napoli, dell' ingresso trionfale di Garibaldi, dell'avan-
zarsi dei Piemontesi incontro ai volontaria Al Belve-
dere, dove il principe tornò alla fine di settembre, per
la villeggiatura, Lucrezia lesse i bollettini della bat-
taglia del Volturno che portavano Benedetto Giulente
tra i feriti. Ella non pianse, ma si chiuse in camera
rifiutando il cibo, sorda ai conforti di Vanna la quale
le prometteva che avrebbe cercato di aver notizie dalla
famiglia di lui. Il Governatore però s'era già rivolto
ai comandanti, al direttore dell'ospedale militare di
Napoli; e la risposta, prima che sui bollettini, fu resa
di pubblica ragione in un manifesto affissato al Muni-
cipio. Il volontario Giulente era ferito d'arma bianca
— 253 —
alla coscia destra e si trovava nell'ospedale di Caserta;
il suo stato era soddisfacente e la guarigione assi-
curata.
Egli arrivò quindici giorni dopo, la vigilia del ple-
biscito, con altri volontarii siciliani reduci dal Vol-
turno : lo zio Lorenzo, il duca d^Oragua, il Governa-
tore fe la Guardia nazionale andarono loro incontro.
Il giovane s'appoggiava a un bastone e sventolava il
fazzoletto con la sinistra, rispondendo agli evviva
della folla. Suo padre e sua madre piangevano, dalla
commozione ; il duca, facendo loro dolce violenza,
prese il ferito nella propria carrozza che s'avviò al
Municipio fra un'onda di popolo acclamante. Dal bal-
cone del palazzo di città, gremito di guardie nazionali,
di reduci, di patriotti, di cittadini ragguardevoli. Be-
nedetto girò uno sguardo sulla piazza dove nori sa-
rebbe cascato un grano di miglio, poi levò la sinistra.
La sua fama d'oratore era già stabilita; tacquero a
quel gesto.
— Cittadini ! — cominciò con voce chiara e ferma.
— Noi non possiamo e non dobbiamo ringraziarvi di
questa trionfale accoglienza, sapendo come i vostri ap-
plausi non siano diretti alle nostre persone, ma all' idea
generosa e sublime che guidò il Dittatore da Quarto a
Marsala. — Scoppiò un uragano d'applausi in mezzo
al quale la voce dell'oratore si perde. — .... sogno di
Dante e Machiavelli, sospiro di Petrarca e Leopardi,
palpito di venti secoli ad essa, alla gran patria co-
mune alla nazione risorta all' Italia una... gli
evviva, gli applausi, il trionfo — Ad ogni periodo,
un gran clamore veniva su dalla piazza; la gente pi-
giata nel balcone sventolava i fazzoletti, il duca escla-
mava all'orecchio dei vicini : « Come parla bene !...
Che giovane d'ingegno! .. »
— Noi abbiamo fatto il dover nostro — continuava
l'oratore — come voi il vostro. Non poche gocce di
sangue, ma la vita stessa avremmo voluto immolare
alla gran causa.... degni d'invidia, non di rimpianto.
— 254 —
sono quelli che poteron dire morendo : « Alma terra
natia, la vita che mi desti ecco ti rendo.... » Onore ai
forti che caddero!... A voi toccò ufficio non meno su-
perbo : dare all' Europa ammirata l'esempio d'un po-
j polo che spezzate le sue catene, lasciato in balia di sé
stesso, già mostrasi degno di quelle libere istituzioni
che furono suo secolare retaggio che un potere
aborrito e spergiuro osò cancellare ma che splen-
deranno di più vivido raggio!... Cittadini! Applaudite
voi stessi applaudite i vostri reggitori applau-
dite questi guerrieri fratelli che dolenti di non poter
pugnare con noi, tutelarono i vostri focolari ap-
plaudite questo insigne patrizio che alle glorie dell'avito
blasone accoppia quelle del patriottismo più puro....
— Egli additava alla folla il duca, maestoso e mar-
ziale nella divisa di maggiore. Ma questi, all' idea di
dover rispondere, si ^senti a un tratto serrar la gola,
vide a un tratto la piazza trasformata in un mare ter-
ribile, vorticoso e ululante, le cui ondate saettavano
sguardi; e lo spasimo della paura fu tale ch'egli do-
vette afferrarsi alla balaustrata. Però Giulente ripren-
deva, nella stretta finale, tra applausi assordanti :
— Cittadini ! Prodigioso è il cammino da noi fatto in
cinque mesi; ma un ultimo passo ci resta L'entu-
siasmo dal quale vi veggo animati mi dà guanto che
sarà fatto — Il sole di domani saluti la Sicilia unita
per sempre alla monarchia costituzionale di Vittorio
Emanuele ! »
■* Già i sì colossali erano tracciati sui muri, sugli usci,
per terra ; al portone del palazzo il duca ne aveva fatto
■ scrivere uno gigantesco, col gesso; e il domani, in
città, nelle campagne, frotte di persone li portavano al
cappello, stampati su cartellini di ogni grandezza e
d'ogni colore. Donna Ferdinanda, al Belvedere, scor-
gendo i contadini che, per non saper leggere, avevano
messo le schede sottosopra, esclamava :
— 75 .' Is ! — e pronunziando chts, chis, che è la
voce con la quale si mandan via i gatti, commentava :
— Ma non dicono sì, dicono is, chis, cìiis ! Fuori,
chis ì...
Lucrezia gonfiava, eccitata dalle notizie del trionfo
di Giulente, impaziente di tornare in città per rive-
derlo, irritata dagli sconvenienti motteggi della zia.
Il principe aveva fatto tracciare anche lui un gran
sì sul muro della Villa, per precauzione, e la folla dei
contadini scioperati, giù in istrada, batteva le mani,
gridava : « \'iva il principe di Francalanza !... » men-
tre, dentro, don Eugenio dimostrava, con la storia
alla mano, che la Sicilia era una nazione e 1' Italia
un'altra; e donna Ferdinanda sgolavasi :
— Ah, se torna Francesco !
— Zia, non tornerà — — esclamò alla fine Lucrezia.
Allora la zitellona parve volesse mangiarsela viva.
— Anche tu, scioccona e bestiaccia? Sentite chi
parla adesso ! E non lo sai il nome che porti, pazza
bestiona ? Credi anche tu agli eroismi di questi rifiuti
di galera? o dei bardassa sguaiati e ciarloni?
La botta era tirata a Giulente; Lucrezia s'alzò e
andò via sbattendo gli usci. Ma il furore di donna
Ferdinanda passò il segno quando, fattasi alla finestra
ad uno scoppio più nutrito di applausi, vide passare
i novi^ii Benedettini, che venivano da Nicolosi a ca-
vallo agli asini, tutti con gran sì ai tricorni. Cominciò
a gridare cosi forte contro quel vituperio, che il prin-
cipe accorse :
— Zia, per carità ! vuol farci ammazzare ?
— È stato quel gesuita di Lodovico!... — fiottava
la zitellona, coi denti stretti, quasi per mordere. —
Anche i ragazzi ! Anche Consalvo ! — E come il prin-
cipino sali un momento a salutare i suol, ella gli
strappò quel cartellino e lo fece in mille pezzi : —
Così !...
256 —
IX.
— Bello! Bello!... E questi bavagli, come sono
graziosi!,.. Le calzettine, le scarpette: avete pensato
a tutto !
La cugina Graziella esaminava, capo per capo, sotto
gli occhi di Chiara e del marchese, il corredo del na-
scituro : sei grandi ceste piene di tanta roba da bastare
a un intero ospizio di lattanti; e trovava parole d'am-
mirazione per tutte le fasce, per tutte le cuffie, per
tutti i corpettini ; ma ogni tanto si fermava, tirando
forte il respiro, passandosi la lingua sulle labbra,
gravida anche lei di qualche cosa che voleva dire, ma
che né il marchese né Chiara si decidevano a doman-
darle.
— E le vesticciuole, non l'avete viste ancora ?
Guardate, guardate !
— Oh, che bella cosa!... Dove hai trovato questi
merletti?... Belle tutte, belle!... Ma più la bianca coi
nastri celesti! Un amore!... Lucrezia ci ha lavorato?
— No, nessuno : ho voluto far tutto con le mie
mani,
— ■ Ce n'è spesi quattrini, eh?... Il Signore possa
benedirveli !,.. Avete aspettato un bel pezzo, ora la
vostra felicità è assicurata!... Vi volete tanto bene!...
Per me, mi gode l'animo quando vedo le famiglie tanto
affiatate!... Cosi vorrei che anche Lucrezia fosse con-
tenta Voialtri non sapete?
— • Che cosa ?
Ella abbassò un poco la voce per dire, con aria di
mistero :
— Giulente 1' ha chiesta allo zio duca !
Ma Chiara continuò a piegare la biancheria sulle
ginocchia, quasi non avesse udito o non avesse com-
— 257 —
preso che si parlava di sua sorella ; e solo il marchese
domandò, distrattamente, riponendo con bell'ordine la
roba nelle ceste :
— Chi ve l'ha detto?
Allora la cugina sfilò la corona :
— • Me r ha detto mio marito, iersera : certo e si-
curo com'è certo che siamo qui ! La domanda è stata
fatta da don Lorenzo, amichevolmente. Il duca vuol
esser deputato, e il giovanotto sostiene la sua elezione
scrivendo nell'Italia Risorta, e discorrendo ogni sera
di Circolo Nazionale in favore di lui, perchè ha già
preso la laurea d'avvocato. Quelli della Nazione Ita-
liana gli oppongono l'avvocato Bernardelli, perchè è
stato in galera: non par vero, a che siamo ridotti!...
Ma Giulente si batte come un leone pel futuro zio —
mi capite?... Lucrezia non entra nei panni, dalla con-
tentezza ; però gli zii don Blasco, donna Ferdinanda
e don Eugenio le daranno da fare — e il cugino Gia-
como anche — Un Giulente sposare un'Uzeda? Ci
voleva la rivoluzione, il mondo sottosopra, perchè si
vedesse una cosa simile ! Lo zio duca, mi dispiace,
ha perduta la testa, dacché s'è messo nella politica;
hanno ragione i suoi fratelli!... Voi che cosa ne dite?
Chiara continuava a maneggiare la bella roba,
bianca, fine e odorosa, del nascituro ; e il marchese,
temendo che quei movimenti, a lungo andare, potes-
sero affaticarla, le disse :
— Basta, adesso — lascia fare a me.... Che cosa
ne dico, cugina ? Non dico niente : sono cose che non
mi riguardano. Mio cognato è padrone di dare sua
sorella a chi gli piace — Io non mi mescolo negli
affari altrui.
— Se Lucrezia lo vuole — rincarò Chiara — se lo
prenda ! In fin dei conti, dobbiamo sposarlo noi ? —
domandò ridendo a Federico.
— Sicuro!... Io, cara cugina, sapete se ho sempre
rispettato la famiglia di mia moglie. Se essi dicono di
sì, e Lucrezia è contenta ! Per conto mio, ringrazio il
De Roberto, l Viceré - I 17
- 258 _
Signore clic lìnalnicntc mi sta concedendo una gran
consolazione; del resto, facciano quel che vogliono....
E la cugina restò con tanto di naso, avendo fallo
assegnamento sopra uno scoppio d'indignazione; ma
torta la bocca quasi per inghiottire un boccone amaro,
esclamò :
— Certamente ! Sono cose che riguardano la sua
coscienza!... E anche Lucrezia! Contenta lei !... È quel
che dico anch' io !...
Da quei due non c'era da cavar nient'altro, fuori
del mondo com'erano per via della nascita del figliuolo
ormai prossima : la cugina che per trascorrer di tempo
non dimenticava di mostrare il suo interesse per gli
Uzeda, corse difilato in casa del principe. Sul portone,
una comitiva di dieci o dodici individui, fra i quali
J c'erano i due Giulente, zio e nipote, cercavano del
duca. lElla si fermò, sorridendo a don Lorenzo e a Be-
nedetto, facendo loro segno con la mano per chiamarli.
— Che ordite, in tanti rivoluzionarli ? \"olele dar
fuoco al palazzo ?
— \"eniamo ad offrire la candidatura al signor duca,
— rispose don Lorenzo, — - in nome delle società pa-
triottiche.
.. — ■ Bravo! Mi rallegro della scelta!...
E la commissione stava per salire dal grande sca-
lone quando Baldassarre, spuntato dal secondo cortile,
e fatta strada a donna Graziella, avvertì : — • Nos-
signori !... Favoriscano da questa parte
Il principe, infatti, approvando il liberalismo dello
zio e godendo dei vantaggi della sua popolarità, non
aveva potuto permettere che tutti -.gH_^calzacani dai
quali era circondato entrassero nel nobile quartiere
delle Sale Rossa e Gialla : aveva quindi destinato due
stanze dell'amministrazione, a destra dell'entrata, per-
chè- il duca vi ricevesse anche i lustrastivali, se cosi
gli era a grado. Mentre i delegati giravano dunque
dalla parte delle stalle, donna Graziella saliva pompo-
samente il sontuoso scalone ed era introdotta presso
— 259 —
la principessa. II principe, in compagnia della moglie,
gridava qualche cosa, quando, all'apparir della cu-
gina, tacque subitamente.
— Non sapete che ci sono visite? — disse costei,
entrando. — La commissione delle società — per of-
frire la candidatura al duca Una bella commedia,
g-iacchè tutto fu combinato prima... E solo i Giulente,
di persone conosciute; tutto il resto, <;£rte- farre-!...
— Mio zio è padrone di ricevere chi vuole — ri-
spose il principe. — Adesso i tempi sono mutati, e
non si posson fare tante difficoltà.... È quel che dicevo
anche a mia moglie.... — E voltati i tacchi, stava per
andarsene, quando la voce di donna Ferdinanda, che
sopravveniva, lo fece fermare. La zitellona, più gialla
del solito, sudava fiele, con una ciera arcigna e dura
da mettere spavento.
— Dunque è vero ? — domandò a denti stretti,
senza neppure accorgersi di donna Graziella.
— Me r ha detto lui stesso, — rispose il principe.
— Dinanzi alla cugina possiamo parlare Gli pare
una cosa bellissima, un partito vantaggioso, un terno
al lotto....
— E tu non gli hai detto nulla, tu ?
— Io ? Gli ho detto che dovrebbe tornare nostra
madre dall'altro mondo, per sentire una cosa simile !
per vedere ciò che succede in questa casa ! in qual
modo si rispettano le sue volontà!... Questo gli ho
detto; ma è lo stesso che dirlo al muro Vostra Ec-
cellenza sa come siamo fatti, in famiglia Ma la
colpa non è dello zio — Se Lucrezia non avesse dato
retta a quel bardassa, crede Vostra Eccellenza che
le cose sarebbero arrivate a tanto ? I Giulente sono
stati sempre presuntuosi, hanno avuto sempre la sma-
nia di giocare a pari con tutti; ma un'idea simile non
sarebbe loro passata pel capo, senza la stramberia
di mia sorella....
La principessa non fiatava, donna Graziella non par-
lava noppur lei, ma guardando ora il principe ora
— 26o
donna Ferdinanda scrollava il capo, come per dire che
era cosi, proprio così. La zitellona si mordicchiava
le labbra sottili, torcendo il grifo, fiutando l'aria con
le narici dischiuse.
— Se. mia sorella non fosse stravagante - — conti-
nuava il principe, • — non penserebbe a maritarsi, con
quella salute ; non darebbe retta a quel rompicollo che
le dice di volerle bene per vanità, facendo il repubbli-
cano ; e rispetterebbe invece i consigli di nostra
madre, non darebbe motivo di dispiacere a noi, non
si preparerebbe tanti guai Perchè, speriamo pure
che si ravveda e lo zio muti opinione ; ma se questo
matrimonio dovesse farsi, la prima sacrificata sarebbe
lei!... Crede di trovare in casa di quella gente quel
che ha nella propria ? Crede che potranno andare
d'accordo, con tanta diversità" d'educazione e di —
A un tratto comparve Lucrezia. Il principe tacque
come per incanto; la principessa si fece ancora più
piccola sulla sua poltrona, la cugina spalancò meglio
gli occhi e l'orecchie.
— ■ Buon giorno, zia — cominciò la ragazza; ma
donna Ferdinanda, levatasi da sedere e presala per
mano, le disse brevemente :
— • Vieni con me.
Passò di là e chiuse l'uscio. La cugina che le aveva
accompagnate con gli occhi, quando si voltò vide che
il principe era scomparso da un'altra parte. Allora,
rimasta sola con la principessa, cominciò a dimenarsi
sulla sua seggiola. Sarebbe andata ad origliare, se
avesse potuto, se avesse osato farne proposta ; invece
le toccava contenersi e chiacchierare, mentre udivasi
tratto tratto la voce di donna Ferdinanda alzarsi tanto
che le parole arrivavano intere: «Voglio? Voglio?...
Prima creperai!... L'avvocato?... Crepa, piuttosto!... »
— Santo Dio, mi dispiace !... È una cosa, cugina....
« La vedremo, ti dico !... » gridava donna Ferdi-
nanda ; subito dopo la voce si spense; la cugina ri-
prese :
201
— Lucrezia dovrebbe pensare — dare ascolto a chi
parla pel suo....
«Non vuoi sentirla, bestiaccia ?... » Queste parole
furono gridate cosi forte, che la cugina e la princi-
pessa tesero tutt' e due le orecchie. Passò qualche
minuto di silenzio profondo; di botto, s'udì il runnore
d'una seggiola rovesciata e subito dopo quello secco
e brusco di un violento ceffone. La principessa levossi
in piedi, giungendo le mani; la cugina corse all'uscio
ad origliare. Più nulla : né voci, né pianto. Donna
Ferdinanda ricomparve sola e venne a sedersi tran-
quillamente vicino alla nipote, stirandosi la palma della
mano arrossita. Parlò del più e del meno, volle sapere
che cosa avevano a desinare e domandò notizie di Te-
resina, che giusto quel giorno era a San Placido, dalla
zia Crocifissa. Poi si alzò per andarsene; la cugina
l'accompagnò.
Intanto giù nell'amministrazione i delegati delle so-
cietà, ammessi in presenza del duca, erano stati da
costui invitati a sedersi in giro; Giulente nipote, pren-
dendo a parlare in qualità d'oratore, diceva :
— Signor duca, in nome dei sodalizii patriottici il
Circolo Nazionale, 1' Unione Civica, la Lega Operaia,
il Riscatto Italiano, i Figli della Nazione, dei quali le
presento le rappresentanze veniamo a compiere il
mandato afifiidatoci, di pregarla affinchè ella accetti la
candidatura al Parlamento Italiano. Il paese ben co-
nosce di chiederle un sacrifizio, e un sacrifizio non
lieve; ma il patriottismo di cui ella ha dato tante e
si splendide prove, ci dà guanto che anche una volta
vorrà rispondere all'appello del paese —
I tre o quattro popolani tenevano il cappello con
tutt' e due le mani, stretto come se qualcuno volesse
portarlo- loro via; Giulente zio guardava per terra. II
duca, finito il discorsetto del giovane, rispose, cer-
cando le parole una dopo l'altra, con voce strozzata :
— Cittadini, sono confuso e vi ringrazio, vera-
202
mente — Sono stato felice orgoglioso anzi direi...,
di aver potuto contribuire, come ho potuto, al riscatto
nazionale — e della grand'opera dell'unificazione della
nazione.... Ma, veramente, ciò che voi mi doman-
date— è superiore alle mie povere forze È un man-
dato— Permettete!... — soggiunse con altro tono
di voce, vedendo far gesti di diniego — che non saprei
come disimpegnarlo.... al quale è d'uopo attitudini
speciali che io non possiedo E non vi mancheranno
patriotti che assai meglio di me potranno rispon-
dere agli interessi della tutela degli interessi del
nostro paese !
— • Perdoni ! — riprese il giovanotto. — Noi ap-
prezziamo il delicato sentimento che le fa dire cosi :
la sua modestia non le poteva dettare diversa risposta.
Ma della capacità di lei dev'esser giudice — perdoni !
— lo stesso paese. Se ella avesse altre ragioni per
rifiutare, ragioni private o d'affari, noi e' inchine-
remmo, non potendo permettere che il suo sacrificio
vada troppo oltre. Ma se 1' unica obbiezione consiste
nella sua incapacità, ci permetta di dirle che non
tocca a lei riconoscere se è capace o pur no !
Tacendo Giulente, il sarto Belila, dei Figli della
Nazione, disse :
— Duca, l'operaio vuole a Vostra Eccellenza Ci
sono tanti che brigano il voto, ma noi non ci abbiamo
fiducia. Vogliamo un buon patriotta e un signore come
Vostra Eccellenza —
Allora, rivolto ai compagni, Giulente zio disse, con
tono di bonarietà scherzosa, accarezzandosi la barba :
— Non abbiate paura: il duca vuol farsi pregare
— ■ Farmi pregare? — esclamò il candidato, ridendo.
— Mi prendete forse per un dilettante di pianoforte ?
Tutti sorrisero e il ghiaccio si ruppe. Smessa la
dignità grave e il linguaggio fiorito dell'ambasceria,
ognuno disse la sua, in dialetto, alla buona, per in-
durre il duca acl accettare. Sul nome di lui si sareb-
bero mossi d'accordo; in caso di rifiuto, i voti si sa-
— 203 —
rebbero sperperati sopra tre o quattro persone; e
poiché era quella la prima elezione alla quale chiama-
vasi il paese, bisognava che essa riuscisse l'afferma-
zione unanime della volontà del collegio. Questo ri-
sultato non poteva ottenersi se non per mezzo dell'ac-
cettazione del duca ; dinanzi a lui tutti gli altri si
sarebbero ritirati; il suo rifiuto avrebbe fatto pullulare
altre ambizioncelle di patriotti dell' ultim'ora. A quel-
r insistenza, il duca esclamava:
• — ■ Signori miei !... mi confondete !... Siete troppo
buoni.... Non so che rispondere!...
— Risponda si — accetti!... Ci vuol tanto?... Se
lo vogliamo !
— ■ Ma io non sono adatto Sento tutta la respon-
sabilità del mandato — Non si scherza! Altro è dare
qualche consiglio in Municipio, confortato da tutti voi ;
altro è sedere tra i rappresentanti del Parlamento!...
— • Signori miei, — fece a un tratto Giulente zio,
mettendo fine al cortese contrasto. — Sapete che vi
dico? La nostra commissione è compita: il duca sa
qual è il desiderio di tutti; per ora egli non ci dice
né si né no; lasciamo che ci dorma sopra: domani,
dopo domani, quando avrà ben ponderato, quando si
sarà consigliato con i suoi amici, ci darà una risposta,
e speriamo che sarà la desiderata
— Ecco! Grazie, cosi — — rispose il duca. — Be-
nissimo; vi prometto che ci penserò, che farò il pos-
sibile Ma intanto grazie a tutti ! Ringraziate per
me le società; verrò poi io stesso a fare il mio do-
vere !...
Egli li trattenne ancora, discorrendo delle notizie -^
del giorno, interessandosi alla cosa pubblica, toccando
di sfuggita i provvedimenti che bisognava reclamare
dal governo di Torino pel bene del paese, per il mi-
gliore assestamento del nuovo regime. Prese da un
cassetto della scrivania una scatola di sigari : sigari
d'Avana, color d'oro, dolci e profumati, e ne fece
larga distribuzione, stringendo la mano a tutti, ma
— 264 —
più forte ai due Giulente. Il domani, l'Italia Risorta
portava un articolo di fondo di Benedetto sulle immi-
nenti elezioni, nel quale era detto : « Due soltanto i
criterii ai quali possono ispirarsi i votanti : l' inteme-
rato patriottismo che sia arra dell' italianità dell'eletto
— la cospicuità della posizione sociale che gli per-
metta svolgere la propria missione con queir indipen-
denza che dà guanto di disinteresse e di sincerità. Ora
allorquando il paese ha la fortuna di possedere un
Uomo che risponde al nome di duca Gaspare Uzeda
d' Oragua, noi crediamo che ogni discussione si riduca
un fuor d'opera, e che tutti i voti dei cittadini, giu-
staimente gelosi del bene pubblico, debbano concen-
trarsi sul nome dell' illustre Patrizio ! »
La gran maggioranza del collegio era per lui e nel
coro degli adepti le voci discordi rimanevano soffocate.
I pili infervorati erano i popolani, gli operai, la
Guardia nazionale, la gente spicciola che non godeva
del voto, ma trascinava con sé i votanti. Se qualcuno
tentava addurre argomenti contro quella candidatura,
era subito ridotto al silenzio. Gli Uzeda erano tutti
borbonici fin sopra i capelli ? Tanto maggior merito
da parte del duca nell'aver abbracciato a dispetto
della parentela la fede liberale ! Al Quarantotto egli
non aveva preso un partito ? Ma non aveva tradito,
come tant'altri !... Però quelle voci parevano ridotte
al silenzio, e risorgevano a un tratto piìi insistenti.
Fin dall'estate, fin da quando i Napolitani erano an-
dati via, di tanto in tanto si trovavano attaccati alle
cantonate o circolavano pei caffè e le farmacie certi
fogli anonimi dove si leggevano brutte notizie, giu-
dizi! inquietanti, oscure minaccie; questa roba era di-
venuta pitj rara, ma adesso ricominciava a circolare
e conteneva, oltre che funesti pronostici sull'avvenire
della rivoluzione, allusioni maligne contro le persone
piij in veduta, e specialmente contro il duca. Erano
poche parole, in forma dubitativa o interrogativa, ma
trovavasi sempre qualcuno che le spiegava. Che cosa
— 205 —
aveva fatto il Patriotta nella giornata del 31 maggio?
S'era nascosto a San Nicola, diceva il commento.
E il cannocchiale del Quarantotto ? Quello col quale
s'era goduto l'attacco e l' incendio, attorniato dai sol-
dati di Ferdinando II ! E le visite all'Intendente ? Per
trovarsi dalla parte del manico, se alla rivoluzione
toccavano colpi di granata —
Il duca, a cui i Giulente avevano tenuto nascosti
quegli attacchi, ordinando perfino alle guardie nazio-
nali di non presentare al maggiore quei manifesti
quando li spiccicavano dai muri, cominciò a chiederne
notizie, insistette per leggerli. Impallidì un poco ve-
dendo il suo nome, percorrendo rapidamente le frasi
in cui si parlava di lui; ma non disse nulla.
— E non poter sapere da qual mano vengono ! —
esclamava Benedetto. • — Non poter dare una buona
lezione a questi vigliacchi !
— Che possiamo farci ! — rispose allora l'offeso. —
Sono i piccoli inconvenienti delle rivoluzioni e della
libertà. Ma la libertà corregge sé stessa Non ve ne
date pensiero —
Però, appena quei due se ne furono andati, egli
si mise il cappello in capo e salì difilato a San Nicola,
dove chiese del Priore don Lodovico.
— Guarda che tuo zio, — gli disse tranquillamente
— giuoca a un brutto giuoco. I cartelli anonimi ven-
gono da lui e dalla sua comarca. Che egli se la prenda
con me, non m' importa ; mi giova, anzi, procuran-
domi maggiori simpatie ; ma se continua a prendersela
con tutti, a sparger sospetti e notizie bugiarde, potrà
toccargli qualche dispiacere. Te l'avverto, perchè tu
che gli stai vicino glielo faccia sapere. A lungo an-
dare tutto si scopre Badi !
Il Priore non ne fiatò con don Blasco, ma riferì ogni
cosa all'Abate perchè questi ne tenesse parola con
qualcuno degli amici del monaco. Padre Galvagno fu
incaricato della commissione; all'udire quel discorso,
don Blasco mutò di colore.
— 266 —
— Dite a me ? — esclamò. — Siete impazziti, voi
e chi vi manda. Dovete sapere che se io ho da dire
ciò che sento, lo dico sul muso a chi si sia, occorrendo
anche a Francesco II, che Dio sempre feliciti ! — e
fece un inchino profondo. — Figuratevi un po' se ho
paura di questa manetta di briganti e carognuoli e
— e qui ricominciò a sfilare una litania più terribile
delle solite.
Ma i cartelli anonimi divennero da quel giorno più
rari, e a poco a poco cessarono. Il monaco, a cui la
bile quasi schizzava dagli occhi, sfogavasi in casa del
principe — quando il duca non c'era — dicendo cose
enormi contro il fratello, insultandolo, infamandolo,
rovesciandogli addosso epiteti di novissimo conio, a
petto ai quali quelli scambiati tra facchini e donne
di mal affare erano complimenti e zuccherini. E la
sua rabbia aveva un bersaglio più vicino e più diretto
nella nipote Lucrezia. Questa vipera osava ancora pen-
sare a quella carogna! L'avevano allevata perchè li
mordesse tutti quanti, insozzando il nome degli Uzeda,
facendone ludibrio, sposando quella carogna !
— Ah, razza putrida e schifosa ! Ah, porco Viceré
che la creasti !... Meglio sarebbe stato (mettere al
mondo soltanto bastardi, era 1' idea espressa dalle
turpi parole) piuttosto che generare questo nipotame
sozzo e puzzolente !...
Furono quelli i giorni più tremendi per Lucrezia.
Erano tutti scatenati contro di lei : o non le rivolge-
vano la parola, o la colmavano d' improperii ; donna
Ferdinanda l'afferrava pel braccio dandole pizzicotti
che portavano via la pelle ; don Blasco un giorno per
miracolo non se la messe sotto. Pallida e muta, ella
lasciava passare la tempesta, chinava gli occhi, non
piangeva, non si lagnava, non si confidava a nessuno,
non chiedeva aiuto allo zio duca che sapeva amico
di Benedetto e fautore del matrimonio, non diceva"
una parola dei suoi tormenti a Ferdinando che veniva
J
— 267 —
al palazzo unicamente per lei, lasciando in asso le sue
bestie imbalsamate e da imbalsamare. Soltanto quando
si chiudeva in camera con Vanna, per avere le lettere
del g-iovane, le diceva, con un sorriso freddo, a fior
di labbro :
— È inutile! Lo sposerò!...
Egli, frattanto, continuava a propugnare l'elezione
del duca, con la parola in mezzo ai Circoli, con gli
scritti neWItalia Risorta e nelle stampe volanti inti-
tolate : Chi è il duca d'Oragua, Un Patrizio patriotta,
e via discorrendo. « Fin dal 1848 1' insigne gentiluomo
schierossi contro il Governo del Re Bomba, tanto mag-
giore il suo merito in quanto egli non aveva da rim-
proverargli torti fatti a lui od ai suoi, ma al popolo "^
intero Nel lungo periodo di preparazione noi lo
vediamo a Palermo, intrinseco dei più chiari patriotti
portare il contributo della sua^ attività e delle sue so-
stanze alla causa nazionale. Ai primordii del movi-
mento liberatore, corre in patria, poiché egli vuol parte
dei dolori e delle gioie dei suoi amati concittadini. Qui
è largo del suo prezioso ausilio ai liberali, e fa sentire
ai rappresentanti dell'esecrato Borbone la voce che
ormai lo condanna. Egli versa il suo contributo per la
formazione delle squadre volontarie, sussidia quanti
liberali perseguitati soffrono^ nell' indigenza. Ritirati
gli sgherri di Francesco, accorre tra i primi a regolare
il governo della città, si ascrive tra le fila della nazio-
nale milizia, palladio di libertà; acquista per essa di-
vise, munizioni e non pochi brandi. Apre la sua casa
avita a Bixio ed a Menotti, rende ai liberatori gli onori
della città. iSoUecitato a rappresentare il primo collegio
al Parlamento, modestamente declina l'offerta, volendo
esser primo ai sacrifici, ultimo agli onori. Ma il Paese
lo vuole. La sorella Palermo ce lo invidia. E chi porta
il nome di Duca d'Oragua non può sottrarsi alla vo-
lontà del Paese. Egli sarà il nostro deputato ! »
Il duca, da canto suo, riparlava al principe del ma-
trimonio Idi Lucrezia, tesseva l'elogio del giovane, as-
— 268 —
serica che era un partito da non lasciar sfug-gire,
perchè i Giulente avevano quel solo figliuolo al quale
sarebbero andate tutte le loro sostanze.
— Conviene lanche per un'altra ragione, — spie-
gava al nipote, — che non baderanno alla dote —
— . Che. ci badino o no, che cosa m'importa? —
rispondeva il principe. — Lucrezia ha quello che ha ;
Vostra Eccellenza crede che io glielo voglia negare?
— Chi ha detto questo? Dico che si contentano di
quello che ha —
— Sono affari che non mi riguardano. Sarebbe cu-
rioso che io .impedissi a mia sorella di fare quel che le
aggrada, alla sua età ! La volontà di nostra madre
forse poteva essere che restasse in casa; ma nostra
madre è all'altro mondo; e quando pure vivesse....
Egli insisteva spesso su iquesto _ tono, ripeteva che
sua sorella era libera di prendersi Giulente, ma le pa-
role gli cascavano di /bocca, troncava a mezzo il di-
scorso, come se avesse dell'altro da dire, e tacesse
poi per prudenza, per convenienza, >per non parere
ostinato. Tanto che il duca un giorno gli domandò :
— Ma parla chiaro ! Sei contrario a questo matri-
monio ?
— Io?... Quando è approvato da Vostra Eccel-
lenza !...
— ■ Giulente non ti piace ?
— Ha da piacere a me?... È un buon giovane;
basta saperlo amico di Vostra Eccellenza — Discreta-
mente agiato, anche.... Io non ho i pregiudizii della
zia Ferdinanda e di don Blasco ; i tempi oggi sono
mutati Vostra Eccellenza si persuada pure che se
Lucrezia crede di poter essere felice con lui, io non
mi opporrò Però è giusto che neppur lei mi cerchi
Hte!...
— • Perchè dovrebbe cercartela?...
— Perchè?... Perchè?... Vostra Eccellenza non sa
nulla, era a Palermo in quel tempo!... — E allora gli
confidò i di.spiaceri che la sorella gli aveva dati, com-
— 269 —
plollando con Chiara, col marchese, con Ferdinando,
aocampando diritti, interpretando a modo suo la legge,
accusandolo perfino di volerla spogliare con tutti gli
altri. — Adesso, se va a marito, bisognerà finirla con
tutta questa storia E Vostra Eccellenza vedrà che
cominceranno da capo !
— Nossignore ! — rispose il duca, fermamente. —
Il matrimonio si farà, ma prendo impegno che tu non
sarai molestato.
Già Padre Camillo aveva tenuto un simile discorso
alla ragazza. Aveva cominciato a dirle che quell'unione
era avversata da tutti, in famiglia, non perchè presu-
mevano che restasse zitella — quantunque!... benché!...
— ma per la ragione che non era un .partito conve-
niente. La considerazione della nascita aveva certo la
sua importanza ; non tanto per sé stessa quanto per
quella della educazione,, dei principii morali e religiosi
che implicava. Giulente era forse un buon giovane —
non voleva infamarlo, senza conoscerlo — ma profes-
sava dottrine pericolose, parteggiava pei nemici del-
l'ordine (sociale, del potere legittimo, della Santa
Chiesa ; e non si contentava di far ciò a parole, ma
veniva agli atti. E una Uzeda, una nipote della beata
Ximena, una figlia del principe di Francalanza, avrebbe
sposato costui ? Come era possibile che s' intendes-
sero ? L'amore, l'accordo poteva regnare fra loro?
E poi, lasciamo star questo, ma Giulente, benché fa-
coltoso, l'avrebbe mantenuta con quel lusso al quale
era stata avvezza? Aveva idee ed abitudini signorili?...
Dunque, la famiglia non si opponeva per puro ca-
priccio, ma per ragioni valide e gravi. Però, dice, ella
stessa doveva esser miglior^ giudice di tutto questo :
poteva forse sentirsi animata da tanto amore da an-
dare incontro anche ai disagi materiali dell'esistenza,
da sperare di poter convertire il giovane. Opera meri-
toria, zelo encomiabile; ma la quistione pri.ncipale,
unica, era che senza l'approvazione, il beneplacito, la
benedizione di quelli che rappresentavano le felici me-
morie di suo padre e di sua madre non poteva sperar
pace e prosperità.
Lucrezia non aveva risposto una sillaba.
— Che cosa vogliono — disse, quando il confessore
tacque — per lasciarmelo sposare ? Dicano ciò che
vogliono ; farò come vorranno.
— ■ Ne ero sicuro ! — esclamò il Domenicano con
accento di gioioso trionfo. — Ero certo che una buona
ragazza come te non avrebbe risposto altrimenti. E il
principe che ti vuol bene, ti sosterrà ! Mettetevi d'ac-
cordo, siate sempre uniti-: questo è il vostro interesse
reciproco e la consolazione di chi vi guarda di lassij.
Cosi, quando il duca, che non aveva ancora parlato
con la nipote della domanda di Giulente, gliela par-
tecipò e le disse nel tempo stesso che Giacomo desi-
derava, prima che gli si desse una risposta, sistemare
le quistioni d' interesse, Lucrezia si dichiarò pronta.
Il principe, che aveva tenuto molte conferenze col signor
Marco ed era stato molti giorni chiuso nello scrittoio,
venne fuori a chiedere, anche a nome del fratello cop-
rede, che fosse presa come base la divisione fatta dalla
madre, dimostrandone con gran lusso di documenti e
di cifre la giustezza; dimostrando altresì che la parte
del padre non era mai esistita fuorché nella fantasia
dello zio don Blasco. Esistevano però le cambiali che
egli aveva pagato ; sua sorella doveva dunque soste-
nere la sua parte in proporzione del legato : a conti
fatti, non le toccavano più di ottomila onze. Lucrezia
accettò questa somma. Il testamento materno prescri-
veva poi che il principe dovesse pagarle gli interessi
al cinque per cento ; ma nei cinque anni trascorsi dalla
morte della madre, non aveva egli mantenuto la so-
rella, di tutto punto, dandole casa, vitto, servizio,
abiti, uso della carrozza, ecc. ecc. ? Doveva egli so-
stenere del proprio queste spese ? Se sua sorella fosse
stata in bisogno, certo egli l'avrebbe raccolta in casa
per l'affetto che le portava, ricordandosi che era dello
stesso sangue. Ma ella aveva la sua roba : non era
(.luiKjuc i^inslo né ella stessa poteva accettare clie per
cinque anni il fratello l'avesse mantenuta. Rifatto il
conto, gli interessi delle ottomila onze rappresenta-
vano appunto le spese del mantenimento; dunque non
le toccava altro che il capitale. Lucrezia disse ancora
di sì. Tutto parve cosi stabilito, ma all' ultimo mo-
mento il principe mise allo zio duca una nuova con-
dizione :
— . Io voglio regolare anche la situazione degli altri
legittimarli. Avevano tutti ragione, o hanno torto tutti :
non pare a Vostra Eccellenza logico e giusto? Giacché
dobbiamo metter mano alla carta bollata, bisogna
uscirne in una sola volta. Ne parli Vostra Eccellenza
agli altri e li metta d'accordo.
Chiara e il marchese non avevano le stesse ragioni
per chinare il capo ai patti del principe, ma il mo-
mento era propizio per tentar d' indurre anche questi
altri ad una transazione, giacché non vivevano se non
dell'attesa del figlio, e la gioia di cui l' imminenza del-
l'avvenimento li colmava era tale che li disponeva a
passar sopra ad ogni altro interesse. Perciò quando
il duca riferi loro che Lucrezia si maritava ed aveva
concluso la transazione, approvarono, giudicando sol-
tanto che l'affare degli interessi trattenuti come com-
penso delle spese di mantenimento faceva poco onore
al principe. Contenta lei, del resto, contenti tutti.
— Adesso dovete aggiustarvi anche voialtri! ■ —
aggiunse il duca, col tono d'affettuosa imposizione con-
sentitogli non tanto dalla qualità di zio, quanto dallo
avere accettato di tenere al fonte battesimale il na-
scituro.
Il marchese, scambiata un'occhiata con la moglie,
rispose :
— Se Vostra Eccellenza vuole cosi
— Il conto di Chiara è naturalmente lo stesso di
quello di Lucrezia; ma per lei non c'è la questione
degli interessi, e Giacomo li pagherà fino all' ultimo.
— . Io ho preso la mia cara Chiara pel bene che le
voglio, e non pei quattrini.... — e chinatosi sulla
moglie, Federico la baciò in fronte.
— Ma il legato dello zio canonico ? l'assegno ma-
trimoniale ? — rammentò ella, per non lasciare sopraf-
fare il generoso marito.
— Giacomo non intende riconoscerli, e non so se
ha ragione o torto.... Ma ormai bisogna uscirne! A
voi, per ora, qualche migliaio d'onze non fa niente; io
le compvenserò, a suo tempo, al mio figlioccio!...
Cosi fu concluso, con giubilo immenso del marito e
della moglie. Restava Ferdinando, dal quale il prin-
cipe voleva le duemila onze della quota di debiti. Sul-
l'animo del Babbeo Lucrezia sola poteva ; ella però,
invece di parlare col fratello, si mise a letto, rifiutando
di veder gente, accusando sofferenze misteriose. Il Bab-
beo, saputa la malattia della sorella, venne a trovarla,
tutti i giorni; ma Lucrezia pareva l'avesse special-
mente con lui. La cameriera le aveva detto ed ella
stessa s'era accorta che Giacomo la strozzava; ma, per
vincerla contro i parenti, sarebbe passata sopra a ben
altro. Adesso ella sentiva il male che preparava al
fratello minore, il solo che le volesse bene, inducen-
dolo a spogliarsi d' un poco della magra eredità, la
pili magra di tutte le porzioni ; ma nella sua testa le
parti s' invertivano : il torto era di Ferdinando che
non s' interessava a lei, che non le domandava che
cosa avesse, che non rimoveva 1' ultimo ostacolo alla
conclusione del matrimonio. Ferdinando invece non
sapeva nulla di nulla, e restò a bocca aperta quando
il duca, per cavare una buona volta i piedi da quel
pecoreccio, gli riferi ogni cosa.
— È venuto un buon partito a tua sorella... Bene-
detto Giulente, sai, quel giovane tanto intelligente, che
si è fatto tanto onore....
— Ah, sì? Va bene, ci ho piacere —
— Ma naturalmente Giacomo vuol prima sistemare
gì' interessi, concludere la divisione rimasta per aria.
Lucrezia s'è accordata. Chiara anche lei ; però tuo fra-
tello vuol definire la pendenza con te, una \olta che
è la stessa quistione Questa è la miilattia di Lu-
crezia—
— E perchè non me n'ha parlato prima?
Egli accorse al capezzale dell' inferma, per dirle :
— Stupida! T'affliggi per questo? Lo zio mi ha
narrato ogni cosa Se t'accordi tu, non ho ragione di
accordarmi anch'io? Bisognava dirlo subito! Sei con-
tenta cosi?...
Il giorno dell'elezione era vicino; i due Giulente, ma
più specialmente Benedetto, avevano scovato gli elet-
tori, compiute tutte le formalità dell'iscrizione; mat-
tina e sera veniva gente a trovare il duca per dichia-
rargli che avrebbero votato per lui : i Giulente non
mancavano mai. La vigilia della votazione, mentre ap-
punto il candidato dava udienza ai suoi fautori, il
cameriere del marchese venne di corsa a chiamare il
principe e la principessa, perchè Chiara era sul punto
di partorire. Quando Giacomo e Margherita arrivarono
in casa di lei, trovarono Federico che smaniava come
un pazzo, dall'ansietà, non potendo assistere la soffe-
rente, chiamando però a ogni tratto la cameriera, la
cugina Graziella o una delle tre levatrici che si davano
il cambio al letto della partoriente. Il principe restò
con lui e la principessa entrò nella camera di Chiara.
Nonostante il travaglio del parto, costei aveva un'aria
beata, sorrideva tra due contorcimenti, raccomandava
che rassicurassero suo marito.
— Ditegli che non soffro Va' tu stessa, Mar-
gherita Ah !... Poveretto è sulle spine
Il suo desiderio di tanti anni, il suo voto pili ar-
dente, era dunque sul punto d' esser conseguito ! I
dolori s'attutivano, a quest' idea; ella non soffriva quasi
più pensando all'ambascia del marito Quando la
principessa tornò in camera, la levatrice esclamava :
— Ci siamo!... Ci siamo!...
— • Presenta la testa? — domandò la cuo-ina, che
De Roberto. 7 Viceré - 1 18
— 274 —
reggeva per le ascelle la marchesa in preda all' ultima
crisi.
— Non so... Coraggio, signora marchesa Che è?...
A un tratto le levatrici impallidirono, vedendo di-
sperse le speranze di ricchi regali : dall'alvo sangui-
noso veniva fuori un pezzo di carne informe, una cosa
innominabile, un pesce col becco, un uccello spiu-
mato ; quel mostro senza sesso aveva un occhio solo,
tre specie di zampe, ed era ancor vivo.
— Gesij ! Gesù ! Gesù !
Chiara, per fortuna, aveva perduto i sensi appena
liberata, la principessa che s'era aggirata per la ca-
mera senza toccar nulla, incapace di dare aiuto alla
partoriente, voltava adesso il capo, dal disgusto pro-
dottole da quella vista; e le levatrici, la cugina, la ca-
meriera si guardavano costernate, esclamando :
— E chi vuol dare la notizia al marito !
Giusto il marchese, non udendo più nulla, chia-
mava :
— Cugina!... Donn' Agata !... Come va?... Cu-
gina!... Non viene nessuno?
Fu donna Graziella quella che dovette andargli in-
contro e prepararlo al brutto colpo :
— Cugino, di buon'animo!... Chiara è liberata —
— È maschio?... È femmina?... Cugina!... Perchè
non parlate ?
— Fatevi animo!... Il Signore non ha voluto....
Chiara sta bene; questo è l'importante —
Il principe, entrato a vedere l'aborto il cui unico
occhio erasi spento, tentò d'impedire al cognato sma-
niante l'entrata nella camera della moglie; ma non vi
riusci. Dinanzi al mostro che le levatrici costernate
avevano deposto sopra un mucchio di panni, il mar-
chese restò di sasso, portando le mani ai capelli. Frat-
tanto sua moglie tornava in sensi, guardava in giro
gli astanti.
— Federico!... È maschio?... — furon le prime pa-
role che spiccicò.
ÀJ
— Stia zitta ! — iiigiunsero a una voce le donne,
mettendosi dinanzi all'aborto iper impedire che lo scor-
gesse. — Non le dite nulla per ora —
— Federico ! — chiamava ancora la puerpera.
— Chiara!... Come stai? — esclamò il marchese,
accorrendo. — ■ Hai sofferto molto ? Soffri ancora ? ^
— No, nulla.... Nostro figlio?
— Chiara, confortati! È una femminetta — — an-
nunziò la cugina, accorrendo. — Che importa !... È
tanto bellina !
— Peccato!... — sospirò ella. — Sei dolente per
questo ? — •domandò poi al marito, vedendone la ciera
buia.
— ÌVIa no, no !... Tutti i figliuoli sono cari lo
stesso —
- — - E dov'è?... Portatela qui — — fece ella, con
un nuovo sospiro.
In quello stesso punto la cameriera, dietro ordine
della principessa, portava via il feto avvolto in un pan-
no, cercando di non farsi scorgere.
— È lì !... — esclamò Chiara. — Voglio vederla —
Allora una grande confusione ammutolì tutti quanti.
Federico, accarezzandole le mani, baciandola in fronte,
le disse :
— ■ Coraggio, figlia mia!... Fatti coraggio Vedi
che anch' io mi rassegno ! Il Signore non volle....
— È morta ? — domandò ella, impallidendo.
— No è nata morta Coraggio, poveretta !...
Purché tu stia bene il resto è nulla : sia fatta la vo-
lontà di Dio.
— Voglio vederla.
Tutti la circondarono, insistendo per dissuaderla da
quel proposito :' giacché era morta! perchè angustiarsi
a quella vista? bisognava che ella s'avesse riguardo;
l'importante adesso era la salute di lei!
— Voglio vederla, — ripetè seccamente.
Bisognò contentarla. Non pianse, non provò racca-
priccio nell'esaminare quell'abominio; disse al marito:
— 276 —
— Era tuo fig-^lio!...
E ordinò che .non 1j portassero via, pel momento.
Arrivarono frattanto gli altri parenti, don Eugenio,
donna Ferdinanda, la duchessa Radali, i cugini del
marchese ; tutti si condolevano, ma auguravano miglior
fortuna per la prossima volta. Arrivò anche il duca,
verso sera, a fare i suoi convenevoli ; ma restò poco,
poiché i Giulente lo aspettavano g^iù, per riferirgli le
ulthne notizie intorno alle disposizioni del collegio : Be-
nedetto pareva Garibaldi quando disse a Bixio, « Nino,
domani a Palermo!...»
Il domani infatti egli corse su, e giù per le sezioni,
per le case dei votanti, sollecitando la formazione dei
seggi, interpretando la leg-ge che riusciva nuova a tutti,
incitando la gente a deporre nell'urna il nome d'Oragua.
Frattanto in casa di Chiara, quasi in segno di protesta
contro quell'ultima pazzia del duca, s'erano riuniti tutti
gli Uzeda borbonici, ad eccezione di don Blasco il quale
dopo la transazione dei nipoti, la conclusione del ma-
trimonio di Lucrezia e la candidatura del fratello, pa-
reva veramente impazzito. La marchesa stava discre-
tamente in salute e sopportava anche con sufficiente
rassegnazione la sua disgrazia ; il marchese non la-
sciava il capezzale della puerpera e si chinava a par-
larle all'orecchio: nessuno dei due ascoltava i motti
feroci di donna Ferdinanda contro il fratello, i ragio-
namenti storico-critici che il cavaliere teneva al prin-
cipino, venuto anche lui a far visita alla zia col Priore
e Fra Carmelo. Chiara aveva mandato a chiamare Fer-
dinando, e lo aspettava con viva impazienza : quando
egli apparve se lo fece venire accanto e gli parlò piano,
lungamente. Poi chiamò la cameriera, e cavato di
sotto al guanciale un mazzo di chiavi, glielo diede,
ordinandole in mezzo al frastuono della conversazione :
— Sai la boccia dello strutto, nel riposto?... la
grande?... Prendila, vuotala e nettala bene — Ma bene,
mi raccomando ! Se c'è acqua calda è meglio.
Pront.'i che fu la boccia, Ferdinando andò a vederla.
— ^n —
— Va bene, — disse ; — adesso occorre Io spirito.
La marchesa ordinò che andassero a comprarlo ; e
allora in mézzo al cerchio dei parenti stupefatti, fu re-
cato il feto, giallo come di cera, che Ferdinando lavò,
asciug'ò e introdusse poi nella boccia dove versò lo spi-
rito e adattò il tappo.
— C'è un po' di sego?... di creta?...
— ■ Ho il mio. cerotto, se ti serve — disse il mar-
chese.
E del cerotto che appestava la camera, Ferdinando
spalino r incastratura del tappo, perchè non entrasse
aria nel recipiente. La marchesa seguiva attentamente
l'operazione; Consalvo, con gli occhi spalancati, guar-
dava quel pezzo di grasso diguazzante nello spirito ;
a un tratto disse a don Lodovico :
— Zio, non pare la capra del Museo ?
Al Museo dei Benedettini c'era infatti un altro aborto
animalesco, un otricciuolo con le zampe, una vescica
sconciamente membrificata ; ma il parto di Chiara era
più orribile. Don Lodovico non rispose ; fatta una
breve visita alla sorella, andò via. Anche gli altri a
poco a poco se ne andarono, lasciando Chiara sola col
marito a guardar soddisfatta quel pezzo anatomico,
il prodotto più fresco della razza dei Viceré. Premeva
al principe di tornare dallo zio duqa ; per fargli cosa
grata, prese con sé il figliuolo, quantunque fosse l'ora
che il ragazzo doveva tornare al convento. La famiglia
era appena arrivata al palazzo, che s'udirono di lon-
tano suoni confusi : battimani, grida, squilli di tromba
e colpi di gran cassa. Una dimostrazione di cittadini
d'ogni classe- con bandiere e musica, capitanata dai
Giulente, veniva ad acclamare il primo deputato del
collegio, r insigne patriotta. Il portinaio, vedendo ar-
rivare quella turba vociferante, fece per chiudere il
portone ; ma Baldassarre, mandato giù dal duca,
gì' ingiunse di lasciarlo spalancato. La folla gridava:
((Viva il duca d'Oragua ! Viva il nostro deputato ! »
mentre la banda sonava l' inno di Garibaldi e alcuni
monelli, animati dalla musica, facevano capriole. I
Giulente, il sindaco, altri otto o dieci cittadini pitli rag-
guardevoli parlamentavano con Baldassarre, volendo
salire a complimentare l'eletto del popolo; poiché il
duca si trovava su, nella Sala Gialla, il maestro di casa
ve li accompagnò : Benedetto Giulente, appena entrato,
vide Lucrezia accanto alla principessa, ancora col cap-
pellino in capo. Il duca, fattosi incontro ai cittadini,
strinse la mano a tutti, prodigando ringraziamenti,
mentre dalla via veniva il frastuono delle grida e degli
applausi, e il principe, visto nel crocchio un iettatore,
impallidiva mormorando : u Salute a noi ! Salute a
noi ! » Fu il nuovo eletto, pertanto, quello che presentò
Giulente alle nipoti. Il giovane s' inchinò, esclamando
raggiante :
— • Signora principessa, signorina, sono felice e su-
perbo di presentar loro la prima volta i miei omaggi
in questo fausto giorno che è di festa per la loro casa
come per tutto il paese —
— Viva Oragua!... Fuori il duca!... \'iva il depu-
tato ! — urlavano giù.
E Benedetto, quasi fosse già in casa sua, spalanco
il balcone. Allora il duca impallidì peggio del nipote :
egli doveva "adesso parlare alla folla, aprire finalmente
il becco, dire qualcosa. Stringendosi a Benedetto, bal-
bettava :
— Che cosa?... Che debbo dire?... Aiutami tu, mi
confondo —
— Dica che ringrazia il popolo della lusinghiera
dimostrazione — che sente la responsabilità del man-
dato, ma che consacrerà tutte le sue forze ad adem-
pierlo animato dalla fiducia, sorretto — — Ma poi-
ché le grida raddoppiavano, egli lo spinse verso il
balcone.
Appena il deputato apparve, un clamore più alto
levossi dalla via formicolante di teste ; salutavano coi
cappelli, coi fazzoletti, con le bandiere, vociando :
Evviva! Evviva!... Giallo come un morto, afferrato
— 279 —
alla ringhiera con tutte e due le mani, con la vista
ottenebrata, immobile in tutta la persona, l'onorevole
cominciò :
— ■ Cittadini —
Ma la voce si perdeva nel tumulto vasto e incessante,
nel coro assordante degli applausi ; l'atteggiamento del
deputato non faceva capire che egli volesse discorrere.
Benedetto alzò un braccio; come per incanto ottenne
silenzio.
— Cittadini! — cominciò il giovanotto; — in nome
di voi tutti, in nome del popolo sovrano, ho comuni-
cato all'illustre patriotta — Evviva Oracqua !...
Evviva il Duca!... — la splendida, l'unanime affer-
mazione dell'intero collegio Alle tante prove d'abne-
gazione da lui date al paese — — Evviva! Evviva!...
— • il duca d'Oragua aggiunge quest'altra : di obbe-
dire ancora una volta alla volontà del paese e di rap-
presentarci in quell'augusto consesso dove per la prima
volta concorreranno i figli —
Ma non potè finire quel periodo. Le acclamazioni, i
battimani soffocavano le sue parole ; gridavano : « Viva
r unità italiana ! Viva Vittorio Emanuele ! Viva Orac-
qua ! Viva Garibaldi !... Altri aggiungevano: Viva
G inlente ! Viva il ferito del Volturno!...
— ■ Lo slancio da cui vi vedo animati — • egli pro-
seguiva, — • è la più bella conferma del responso del-
l'urna — di quell'urna donde ancora una volta esce
la libera la sovrana volontà d'un popolo divenuto
padrone di sé Cittadini! Il 18 febbraio 1861, tra i
rappresentanti della nazione risorta noi avremo la som-
ma ventura di veder sedere il duca d'Oragua. Viva il
nostro deputato!... Viva l'Italia!...
Uno scroscio finale d'applausi rintronò e la folla co-
minciò a rimescolarsi. Una seconda volta, con voce
strozzata, senza un gesto, senza un moto, il duca aveva
cominciato: «Cittadini » ; ma giù non udivano, non
comprendevano ch'egli fosse per parlare. Allora, vol-
tatosi verso le persone che gremivano il balcone, egli
disse :
— 28o —
— Volevo aggiungere due parole — ma se ne van-
no Possiamo rientrare —
Sorrideva, traendo liberamente il respiro, come libe-
rato da un incubo, stringendo la mano a tutti, ma
più forte a Benedetto, quasi volesse spezzargliela.
— Grazie !... Grazie !... Non dimenticherò mai que-
sto giorno —
Guidò il giovane nella stanza attigua perchè pren-
desse congedo dalle signore, accompagnò tutti fino
alla scala. Quando rientrò, il principe, liberato anche
lui dall 'incubo della iettatura, ricominciò a complimen-
tarlo, additandolo come esempio al figliuolo :
— Vedi? Vedi quanto rispettano lo zio? Come tutto
il paese è per lui ?
Il ragazzo, stordito un poco dal baccano, domandò :
— Che cosa vuol dire deputato ?
— Deputati — spiegò il padre — sono quelli che
fanno le leggi nel Parlamento.
— Non le fa il Re ?
— Il Re e i deputati assieme. Il Re può badare a
tutto ? E vedi lo zio come fa onore alla famiglia :
quando c'erano i Viceré, i nostri erano Viceré ; adesso
che abbiamo il Parlamento, lo zio è deputato!...
PARTE SECONDA
Quando in città si seppe che il conte Raimondo era
piovuto da Firenze in casa Uzeda, ospite inatteso, solo,
senza bag'agli, con una sacca nella quale aveva fic-
cato appena la poca biancheria occorrente in viaggio,
fu un sussurro generale, uno scambio di commenti,
di supposizioni, di domande curiose ed insistenti come
per un grave avvenimento pubblico. La prima notizia
corsa di bocca in bocca diceva che il contino aveva
abbandonato la moglie per separarsene definitivamente.
I bene informati sapevano che donna Isabella Persa,
da Palermo, se n'era andata a Firenze, dopo la rivo-
luzione. Questo solo fatto non bastava a spiegar tante
cose ? Era dubbio soltanto se l'amica avesse raggiunto
il contino di sua propria iniziativa o d'accordo con lui.
Dicevano alcuni che ella era andata nel continente per
divertirsi, senza pensare più all' Uzeda; ma perchè
sceglier proprio la città dov'egli stava? Lei come lei
aveva oramai ben poco da perdere. Poteva forse spe-
rare d'essere ripresa dal marito, dopo due anni di se-
parazione ? Vivendo la suocera, non era possibile ; don
Mario poteva anche commettere la debolezza di perdo-
nare, tanto più che voleva ancora bene alla moglie e
la piangeva giorno e notte peggio che se fosse morta ;
ma la madre vegliava per lui. Donna Isabella, dunque,
non arrischiava più nulla; anzi, non potendo resistere
alle tentazioni, così giovane com' era, piuttosto che
procurarsi nuovi amici le conveniva tornare col primo :
l'unico errore le sarebbe stato cosi più facilmente ri-
messo.... Ma per Raimondo la cosa era diversa.
C'erano i figli di mezzo, due innocenti creature!... E
la buona gente compiangeva la contessa, cosi mite, cosi
dolce, cosi devota al marito e condannata intanto —
che cosa è il mondo ! — ad una vita d'angustie.
La servitù, al palazzo Francalanza, non discorreva
d'altro, dimenticava perfino il fidanzamento di Bene-
detto Giulente con la signorina Lucrezia. Quest'avve-
nimento, benché previsto e discusso da tanto tempo,
aveva già provocato un risveglio dei partiti in cui i
famigliari del principe eran divisi ; e mentre Giuseppe,
il portinaio, si scappellava inchinandosi all'arrivo del
fidanzato come se rincasasse il padrone in carne ed
ossa, Pasqualino Riso non si toccava neppure il ber-
retto, da sotto l'arco del secondo cortile dove stava a
prendere il sole, e a mala pena degnavasi d'abbassar
la pipa e di voltarsi di fianco se gli veniva di tirare
uno scaracchio. Solo Baldassarre serbava la sua bella
imparzialità, badando esclusivamente al servizio e trat-
tando il promesso della signorina come lo vedeva trat-
tato dal principe : con grande compitezza ma senza
confidenza, a I padroni sono padroni » diceva il maestro
di casa ; e se udiva il basso servitorame discutere con
troppo calore della scelta della padroncina, rimandava
i famigli alla stalla e gli sguatteri in cucina. « È forse
tua sorella, animale ? » Che cosa avevano essi da ve-
dere se donna Ferdinanda e don Blasco, sempre d'ac-
cordo quantunque non si potessero tollerare, non veni-
vano più al palazzo, disapprovando il matrimonio ?
Faceva veramente un certo effetto anche a lui, Bal-
dassarre, che una degli Uzeda dovesse sposare un
avvocato : ma il giovanotto aveva studiato per suo pia-
cere, non già per esercitare la professione. E quan-
tunque non fosse della costola d'Adamo, pure aveva
l'educazione dei signori, dava deW Eccellenza al padre
e alla madre; quand'era entrato in casa della promessa
aveva regalato alla servitù quel che si deve. Forse i
suoi parenti non erano molto fini ; ma gli sposi non
dovevano fare tutta una casa con loro. Per tutte queste
-283 -
ragioni, Baldassarre non poteva permettere che i suoi
dipendenti cicalassero ; ma le chiacchiere non finivano
mai, e soltanto l'arrivo del contino le avviò sopra un
altro soggetto. Che il padroncino Raimondo non fosse
venuto per affari, come certuni volevano dare a inten-
dere, era certo e sicuro agli occhi della servitù : se fosse
venuto per aifari avrebbe portato almeno una valigia,
non già quella sacca con due camicie e .due ,paia di
calze e di mutande ; ne avrebbe avuta quella brutta
ciera, lui che era sempre di buon umore, lontano dalla
moglie ! Gli affari, se mai, li aveva col principe suo
fratello, e invece se ne andava tutti i giorni dalla zia
donna Ferdinanda, quella che era servita di coperchio,
nei primi tempi dell'amicizia con la Fersa. E donna
Ferdinanda diceva chiaro a tutti la sua opinione : allo
stato delle cose, attesa l' incompatibilità dei caratteri
tra marito e moglie, non c'era da far altro che sepa-
rarsi, da buoni amici : mettere le ragazze in collegio,
maritarle al più presto, e del rimanente ciascuno per
la sua via.
Il principe, invece, non parlava al fratello né della
moglie né delle bambine, neppure per chiedergli se
eran vive o morte. Raimondo, per conto suo, pareva
avesse lasciata la lingua a casa o, se diceva qualcosa,
parlava del più e del meno, con aria distratta, impac-
ciandosi meno che mai di quel che avveniva in famiglia.
Dell'accordo dei legatarii, del matrimonio di Lucrezia
non aveva fiatato, come fossero cose che non lo ri-
guardassero punto, o intorno alle quali egli avesse già
manifestato la propria opinione. E appena appena s'ac-
corse di Giulente, del futuro cognato.
Lucrezia trionfava : Benedetto veniva tutte le sere
a farle la corte ; fra sei mesi sarebbe stato suo ma-
rito. Della transazione strozzata, del sacrifizio fatto per
proprio conto e quasi imposto agli altri, non si ram-
mentava neppure. Il giovane, articolo interesse, quasi
non l'aveva -lasciata dire, poiché voleva lei e non la
dote, poiché a quel patto s'era ottenuto il consenso del
-^ 284 —
principe. Tutta\ia questo consenso era così freddo che
pareva strappato per forza ; senza contare che don
Blasco e donna Ferdinanda non venivano più al palazzo,
che lo stesso don Eugenio faceva il viso dell'arme al
futuro nipote. Ma più i parenti si mostravano con-
trarli al matrimonio, maggiori dimostrazioni d'affetto
ella faceva a Benedetto. « Non dar loro retta : sono
tutti pazzi ! Senza ragione ti odiano, senza ragione
un bel giorno faranno pace!... » E gli narrava le loro
pazzie, gli suggeriva il modo come disarmarli, come
prenderli dal loro debole. Il giovane non aveva bisogno
dei suoi consigli, giacché poneva ogni studio nel farsi
accettare dai futuri parenti, sapendo che, se avrebbe
potuto fare un matrimonio migliore quanto a interesse,
non ne avrebbe potuto fare uno migliore quanto a no-
biltà. E i Giulente avevano la mania d'essere nobili
o per lo meno nobilitati dalla lunga serie di magistrati
avuti in casa : il loro più grande cruccio era per la
mancata istituzione del maggiorasco. Pertanto custo-
divano gelosamente i diplomi e i ritratti di tutti i dot-
tori, giudici e presidenti dai quali discendevano, e si
vantavano per le nobili alleanze contratte, specialmente
nelle ultime generazioni. Cosi agli occhi della gente
che non andava troppo pel sottile^ erano considerati
come nobili ; come a nobili senza titolo davano loro del
cavaliere; ma i puri li tenevano a una certa distanza.
In queste condizioni il matrimonio di Benedetto con
la sorella del principe di Francalanza era una fortuna,
e come tale la consideravano don Paolo e donna Eleo-
nora sua moglie. Dall'orgoglio d'essere riusciti a com-
binarlo, non s'accorgevano neanche della freddezza e
dell'ostilità degli Uzeda, o l'attribuivano al liberalismo
di Benedetto : il giovane, vano com'essi, ma meno ac-
cecato, la notava, e lavorava a vincerla. S'era subito
accaparrata la simpatia della principessa, evitando di
darle la mano e lodandole la bellezza e la grazia di Tere-
sina. Non molto difficile fu la conquista dì don Eugenio,
che da principio affettava di non accorgersi di lui. Il
, — 285 —
g-iovine, indettato da Lucrezia, gli si mise a parlare di
cose storiche e artistiche, dei Viceré Uzeda, ascoltando
a bocca aperta le sentenze del cavaliere; poi lo pregò di
fargfli vedere le sue collezioni d'arte e si profuse in elogi
alla vista di tutti i cocci e di tutte le tele imbrattate,
pasteggfiando a superlativi dinanzi ai Tiziano ed ai Tin-
toretto, che dichiarò superiori a tutti i quadri degli
stessi autori conservati nel Museo di Napoli. Venuto
Raimondo, però. Benedetto si trovava spesso tra due
fuochi, perchè don Eugenio e don Cono magnificavano
le glorie cittadine, i patrii monumenti, e Raimondo
interrompeva il suo mutismo solo per denigrarli. Giu-
lente dava un colpo al cerchio ed un altro alla botte,
non sapendo come prenderli, giacché non andavano
mai d'accordo. Pur d'ammirare i forestieri, Raimondo
quasi disprezzava la nobiltà della sua casa ; don Eugenio
invece lavorava assiduamente alla sua Istoria Crono-
logica. Non parendogli che questo titolo sonasse abba-
stanza, lo aveva mutato in quello di Discettazione' isto-
rico -cronologica; ma poiché don Cono sosteneva che
discettazione non equivaleva a dissertazione, tra i due
s'erano impegnate discussioni molto piìi lunghe e vivaci
che non intorno al modo di scrivere solenne, se con
una o con due elle. Richiesto del suo parere. Benedetto
pensò un poco non al vocabolario, ma alla freddezza
che gli dimostravano, alla guerra dichiaratagli dal mo-
naco e dalla zitellona.
— • Credo che siano sinonimi — rispose.
— Avete capito, testa dura ? — disse allora don
Eugenio trionfante a don Cono. — V'arrendete final-
mente?...
Il principe, dal canto suo, giovavasi del futuro co-
gnato in altro modo. Il codice sardo aveva sostituito,
nel mag^gio 1861, quello napolitano, e giudici, avvocati
e litiganti ammattivano sulla nuova legge. Benedetto,
un po' per amore allo studio, un po' per zelo patriot-
tico, lo aveva sviscerato col suo maestro; e allora, di-
scorrendo di questo e di quello, il principe induceva
— 286 —
il giovnnottn a istituire confronti fra i due testi, a indi-
carne le differenze e le concordanze ; certe volte, con
l'aria di parlare in tesi generale, di casi imaginarii o
senza interesse, gli prendeva vere consultazioni legali.
Un giorno gli domandò che cosa pensava circa il le-
gato della Badia. Giulente, quantunque credesse il con-
trario, gli rispose che il caso era dubbio, che la nullità
di quella istituzione potevasi benissimo sostenere
Per ingraziarsi tutti quegli Uzeda egli ne secondava e
incoraggiava le pretese ; ma, dall'orgoglio di fre-
quentar la loro casa, dalla superbia d' imparentarsi con
essi, accettava quella parte, sposava sinceramente le
cause dei futuri parenti : la Discettazione del cavaliere
gli pareva un'opera veramente utile; le ragioni del
principe veramente plausibili. \^anità aristocratiche
del padre e infatuamento liberale dello zio si davano
la mano in lui ; talché, gloriandosi di discendere dal
Mastro Razionale dolenti, sosteneva, a proposito del-
l'elezione del duca d'Oragua, che il governo del paese
doveva esser preso da « noi : n cioè da « un'aristocrazia
capace, come la inglese, d' intendere e di soddisfare i
bisogni della nazione — » Ma, a quelle uscite, egli
perdeva il cammino fatto : il principe e il cavaliere non
sorridevano tanto di sprezzo per le teorie liberali quanto
per udire quel « noi » in bocca sua, nel vedere un Giu-
lente prender sul serio la propria nobiltà. Quando ii
giovine parlava dei suoi passati, degli onori che ave-
vano ottenuti, delle tradizioni signorili della propria
casa, dello stemma di famiglia, il principe si lisciava
la barba, don Eugenio guardava per aria, la principessa
chinava gli occhi, i lavapiatti ammiccavano fra loro,
la stessa .Lucrezia, a quel subito gelo diffuso per l'aria,
si veniva rannuvolando, mentre approvava con un gesto
del capo, ma. senza fiatare.
Una sera egli rammentò il canonico Giulente, fiorito
nel secolo scorso, celebre per certe opere di diritto
ecclesiastico, specialmente pel grande trattato Del Ma-
irimonio. Raimondo, presente, pareva interessarsi a
quel discorso.
-287 -
— Nuova è la trattazione, — diceva Benedetto, —
del capitolo sugli impedimenti, impedienti e dirimenti.
Ho avuto per le mani molte opere sul soggetto ; ma lo
sviluppo, la ricchezza di testi e di commenti di questa
sono davvero ammirabili.
— SI, si.... — confermò per quella volta il cava-
liere; — l'ho letta anch'io.
— Come hai detto? — domandò Raimondo. — Im-
pedimenti ?...
■ — ■ Impedienti e dirimenti.
— Impedimento impediente però, — fece osservare
don Eugenio, — mi pare la stessa cosa.
— Eccellenza sì; — egli dava già dell'Eccellenza
al futuro 2Ìo ; — ma dicesi impediente per distinguerlo
da dirimente; in altre parole: ostacoli che impediscono
la celebrazione e ostacoli —
— Permetti ! — - interruppe il Gentiluomo di Ca-
mera. — Impedimento che impedisce è una bella stram-
beria ! L'impedimento può forse favorire?
Benedetto ripigliò, con molta pazienza, la dimostra-
zione; ma il cavaliere ribatteva, cocciuto, che la «di-
zione » era sbagliata, né tacque se non quando Rai-
mondo esclamò, seccato :
— . Ma zio, lo vada a dire ai canonisti ! Se questa
è l'espressione legale ! E i dirimenti, — domandò a
Giulente, — quali- sono ?
— Gli impedimenti dirimenti sono quelli che annul-
lano il matrimonio quando è già contratto.
— Cioè?
— ■ Eh!... Se ne contano più d'una dozzina anzi
quattordici, precisamente. Prima erailo dodici, poi il
Concilio di Trento li aumentò di due Studiai queste
cose tempo addietro; oggi, se mai — aggiunse voltan-
dosi verso Lucrezia, • — piuttosto che gl'impedimenti
dovrei studiare le ragioni del sacramento magno
— Il Sacramento?... — fece Lucrezia che era già
nelle nuvole. — È esposto alla Cattedrale.
Tutti sorrisero, e per quella sera il discorso restò
lì. Ma qualche giorno dopo Raimondo ridomandò cu-
riosamente al futuro cognato :
— E cosi, non hai rammentato quali sono gli im-
j>edimenti dirimenti ?
— Sì ma non tutti — rispose Benedetto, che in
presenza della promessa non voleva spiegar certe cose.
E li disse in latino : — Error, conditio, votum, co-
gnatìo, crimen
— Basta! Basta! È inutile, non capisco.... — E
gli voltò le spalle.
Però, prim.a d' andar via, Benedetto lo chiamò da
parte :
— ■ Non potevo spiegarmi dinanzi alle donne. Gli
impedimenti sono questi : — E li enumerò e li spiegò
tutti, in italiano.
Qualche giorno dopo quel discorso vi fu un gran
ciarlare tra la servitù, giù nella corte : correva in paese
la voce che il duca stesse per tornare da Torino, uni-
camente allo scopo d'accomodare l' imbroglio del con-
tino. Baldassarre, al quale domandavano se la notizia
era vera, si stringeva nelle spalle : « So molto, io !
Avanzate nulla dal duca, che l'aspettate?...» Ma la
notizia era vera : la ripetevano Giulente, suo zio don
Lorenzo, tutti gli amici politici del deputato, é anzi
parlavasi d'andargli incontro, se veniva per via di
terra, e di preparargU una dimostrazione. Egli giunse
per via di mare e non era solo: il barone Palmi, rtomi-
nato senatore dopo la rivoluzione, lo accompagnava.
Questi, invece che al palazzo, come le altre volte, scese
all'albergo. La cosa parve molto grave. Voleva dun-
que dire che tutto era rotto fra il contino e sua mo-
glie ? che si trattava già di separazione? Ma allora,
il duca? Perchè tornava anche lui?...
In città l'arrivo del deputato mise una rivoluzione,
e subito cominciarono a piovere visite per lui : prima
di tutti don Lorenzo Giulente col nipote, poi alcune
autorità, le rappresentanze di parecchie società poli-
28c) —
tiche; poi una quanUtà di cittadini d'ogni classe, pezzi
grossi, antichi amici e nuovi patriotti che venivano a
salutare l'Onorevole, a ringraziarlo delle grandi cose
fatte a Torino e, mentre e' erano, a chieder notizia
degli affaretti particolari che gli avevano raccoman-
dati. Come al tempo dell' elezione egli riceveva giù,
nelle stanze dell' amministrazione, e ringraziava dei
ringraziamenti, s'ammantava di modestia; ma, alle do-
mande degli ammiratori, descriveva le sedute del Par-
lamento, la visita fatta a Vittorio Emanuele e al « po-
vero » Cavour, la vita politica della capitale ; e tutti
stavano intenti a udirlo. Non aveva aperto bocca, in
Parlamento, neppure per dir si o no ; ma in sala l'udi-
torio non lo spaventava, composto com'era di gente
più o meno familiare che gli stava dinanzi in atto defe-
rente ; ed egli assaporava il suo trionfo, loquace quanto
una pica vecchia, senza neppur avvertire la fatica del
viaggio. Cavour gli aveva promesso mari e monti : che
peccato che il gran ministro fosse morto! Ma il governo
era egualmente ben disposto verso la Sicilia : presto
avrebbe messo mano a ferrovie, a porti, a. grandi opere
pubbliche. Per vegliare al mantenimento delle pro-
messe, in quei giorni egli non avrebbe dovuto lasciare
la capitale ; ma era dovuto venire in fretta e in furia
per certi gravi affari di famiglia per sistemare certe
faccende Non si sbottonava, ma tutti comprende-
vano lo stesso. Le visite si seguirono fino a sera; quelli
che volevano parlargli da solo a solo non si movevano,
parevano decisi di restare a dormire con lui. Quando
ne ebbe abbastanza, egli fece un segno a don Lorenzo,
e questi condusse via tutti.
Ma l'Onorevole non andò a letto. Raimondo, avver-
tito da Baldassarre che lo zio voleva parlargli, lo aspet-
tava impaziente, smanioso, nella sua camera.
— Che cosa vuoi fare? — cominciò il duca, senza
tanti preamboli.
— A proposito di che? — rispose il nipote, quasi
non comprendesse.
De Roberto. / Viceré - I 19
— 2go — -
— A 'proposito di tua moglie e della tua famiglia!...
Tuo suocero è qui, non sai ?
— Io non so nulla.
— Dopo che sei scappato via come un fuggiasco !
Dopo che non ti sei fatto vivo per due mesi ! Adesso
mi par tempo che questa storia finisca.... — Egli par-
lava con tono grave d'autorità, passeggiando per la
camera con le mani incrociate sul dorso ; Raimondo,
sedutosi, guardava per terra, come un ragazzo intimi-
dito dalla minaccia d' una lavata di capo.
— Che hai da dire contro tua moglie ? — domandò
a un tratto don Gaspare, fermandoglisi dinanzi.
— Io? Nulla....
— Lo sapevo bepe ! \'olevo sentirne la conferma
dalla stessa tua bocca. Perchè, dico, solo se avessi avuto
da lagnarti di Matilde si potrebbe spiegare la tua con-
dotta ! Allora, come mai l'hai lasciata?
— . Io non r ho lasciata.
— ■ Come? Sei qui da due mesi, non le hai scritto
un rigo, non ti sei curato di nessuno dei tuoi, quasi
non esistessero; e dici —
— Sono venuto qui perchè avevo da fare. Non
posso star cucito alla gonna di mia moglie, insomma.
E lo guardò in faccia.
— Va bene ; qui non si parla di star cucito ! — ri-
spose il duca. — Ma uno che parte per affari, per
isvago, per una ragione qualunque, non va via come
te ne sei andato tu, non lascia la casa per l'albergo....
— • Non è vero !
— Me r ha detto tuo suocero.... 1' ho sentito ripetere
da tutti....
— È falso ! — ripetè il nipote con yoce forte e un
poco stridente.
Allora il duca battè in ritirata.
— Sarà falso, tanto meglio.... Del resto non è que-
sto l'importante.... Il fatto è fatto adesso si tratta
di pensare all'avvenire. Se non è vero che hai lasciato
tua moglie, non dovresti avere difficoltà di riunirti
con lei !
— 2yi —
— Non ne ho, — rispose Raimondo, alzandosi.
Lo zio restò un nionienlo a guardarlo, quasi non
fosse sicuro d'aver udito bene, poi ripetè:
— Sei pronto a riprenderla ?
— Sono pronto a tutto, purché smettano questa
commedia.
— ■ Meglio ancora !... Vuol dire che esageravano, che
m'hanno informato male Tanto meglio! Domani
tuo suocero può venire ?
— Venga domani, venga quando gli pare ! Vorrei
piuttosto sapere perchè ha- fatto la buffonata di scen-
dere all'albergo? Poteva restarsene al suo paese, in-
vece di fare questa sciocca commedia, invece di dar da
ciarlare alle persone con una condotta da pulcinella. —
Egli parlava adesso duramente, a denti stretti ; con
gli occhi rossi ; e il duca, cambiato tono anche lui,
esclamava, secondando il nipote :
— Questo è vero tu hai ragione L'ho messo
in croce per dissuaderlo!... Ma quel santo cristiano
è fatto a un certo modo Del resto non importa:
diremo che non voleva dare impaccio a Giacomo.... si
troverà una ragione E tu, comprendi che bisogna
pigliare gli uomini come sono, che bisogna avere un
po' di politica nel mondo Divertiti, — aggiunse con
un sorrisetto allusivo; — ma senza dar nell'occhio,
salvando le apparenze. È già increscioso che sia suc-
cesso un primo guaio....
— Vostra Eccellenza ha da dirmi altro ? — do-
mondò Raimondo, interrompendolo bruscamente. —
Se non ha da dirmi altro, buona notte.
Il domani, verso mezzogiorno, quando s' aspettava
il barone, che la carrozza di casa era andata a pren-
dere, piovve donna Ferdinanda. Erano oltre sei mesi
che non saliva piij le scale del palazzo, dal giorno che
c'era entrato Giulente. Fin all' ultimo momento ella
aveva sperato d' impedire che la mostruosità si com-
pisse; ma poiché Lucrezia non sentiva più gli schiafii
— 292 —
né i pizzicotti, quasi fosse divenuta di stucco, e Gia-
como si difendeva gettando la colpa sullo zio duca,
sul Babbeo e sulla stessa sorella, la zitellona era final-
mente andata via facendo sbattere tutti gli usci, gri-
dando : Riderà bene chi riderà l'ultimo! » e appena
giunta a casa, chiamata la cameriera, il cocchiere e
il mozzo di stalla, aveva tratto dall'armadio un foglio
di carta e l'aveva fatto in mille pezzi : « Neppure un
soldo, cosi !... » Ella pretendeva che i nipoti le por-
tassero obbedienza e le stessero sottomessi per via dei
quattrini che, non avendo figliuoli, avrebbe loro la-
sciati ; la distruzione del testamento, in presenza della
servitù, era la pena della loro ribelliohe Il principe,
sulle prime, era stato zitto, per lasciar passare la tem-
pesta, poi aveva mandato dalla zia Fra Carmelo col
figliuolo perchè la vista del nipotino prediletto pla-
casse quella furia, poi era andato egli stesso a tro-
varla, a- prendersi addosso, umile e muto, la pioggia
di rimproveri rovesciata dalla zitellona. E a poco a
poco, pel bisogno di sentirsi far la corte, per non poter
rinunziare a ingerirsi nelle faccende dei nipoti, ella
s'era venuta placando, ma senza andar da loro : la casa
dei suoi maggiori era profanata, contaminata dalla
presenza di quel pezzente, di quel bandito, di quell'as-
sassino che chiamavasi Benedetto Giulente, avvocato,
avvocato! Neppur l'arrivo di Raimondo l'aveva ri-
mossa dal suo proposito ; del resto il nipote era ve-
nuto da lei assiduamente a prendere i suoi consigli. In
odio alla Palma, per distruggere quel matrimonio
stretto contro il suo piacere, ella aveva spinto il gio-
vane alla rottura definitiva. Come Giulente, la Palmo
macchiava la casa degli Uzeda : ella non voleva che
ci rimettesse piede. E difendeva donna Isabella contro
le accuse di cui l' udiva fare oggetto : anche lei era
stata sacrificata con quell' ignobile Farsa, farsa tutta
da ridere : niente di più naturale che quel matrimonio
tanto male assortito fosse finito peggio ; se avessero
dato la Finto a Raimondo, allora si!... A un tratto,
— 293 —
una sopra l'altra le avevano portate le due notizie del-
l'arrivo del duca e del barone e dell'imminente ricon-
ciliazione tra suocero e genero. Raimondo non s'era
fatto vivo; l'avvenimento stava per compiersi ad insa-
puta di lei ! Allora, il tempo di far attaccare, e subito
al palazzo Quando ella entrò nella Sala Gialla c'erano
il principe e la principessa, don Eugenio, il duca, Lu-
crezia col promesso. Chiara col marchese, e Rai-
mondo che passeggiava come un leone in gabbia. Be-
nedetto Giulente, appena la vide entrare, s'alzò rispet-
tosamente : ella gli passò dinanzi come se fosse uno
dei mobili sparsi per la sala ; non rispose al saluto di
nessuno tranne a quello di Raimondo che trasse in di-
sparte verso una finestra.
— . Vecchia pazza ! — disse Lucrezia al fidanzato,
avvampando subitamente in viso.
Egli scrollò il capo con un sorriso d' indulgenza; ma
il duca s'avvicinò alla coppia, quasi a compensarla
della sgarberia della sorella.
— Il barone dovrebbe esser qui, — disse guardando
l'orologio. — Sarei andato io stesso a prenderlo se non
avessi temuto di dare troppa importanza a una cosa
che non dovrebbe averne nessuna
— Vostra Eccellenza ha fatto benissimo, — rispose
Benedetto. — Le ciarle sarebbero state piia lunghe —
Non per questo, — aggiunse, — è minore il merito
di Vostra Eccellenza per aver ricondotta la pace in una
famiglia che....
— Piccoli malintesi ! I giovani hanno le teste calde !
— esclamò con un sorriso tra di modestia e di com-
patimento l'Onorevole.
Raimondo aveva finito intanto di parlare con la zia
e ricominciava a passeggiare su e giù : era verde in
viso e si morsicchiava i baffi, torcendo le labbra, con
le mani in tasca.
Donna Ferdinanda adesso sedeva accanto alla mar-
chesa, la quale era al s<'ttimo cielo per essere incinta
di sette mesi. Dopo due disgraziate gravidanze pas-
— 294 —
sale ad ascoltare ogni prescrizione di medici, ogni
consiglio di levatrici e ogni opinione di femminucce,
aveva finalmente mutato sistema di punto in bianco,
facendo a modo suo in tutto e per tutto, andando fuori
in carrozza e a piedi, salendo e scendendo scale, tran-
gugiando tutte le miscele che immaginava dovessero
giovarle. Ella dichiarava alla cognata di non esser mai
stata così bene come ora : « Quegli asini ! Quegli im-
postori!... E le levatrici?... L'altro giorno non ebbe
l'ardire di venir da me, donn'Anna? La presi per le
spalle e le dissi : « Cara donn'Anna, tre mesi dopo che
sarò partorita se volete venire a trovarmi mi farete
tanto piacere ; ma per adesso andatevene che non ho
bisogno di voi!... m Tutt' intorno gli altri parlavano
piano, come nella camera d'un ammalato, ma al ru-
more di una carrozza che entrava nel cortile ogni di-
scorso cessò. Il duca passò nell'anticamera per andare
incontro all'amico; si vide comparire invece dinanzi
la cugina Graziella.
— Come sta Vostra Eccellenza ? Ho saputo del suo
arrivo ed ho detto : andiamo subito a baciar le mani
allo zio. Mio marito voleva venire anche lui ; ma
l'hanno chiamato di fretta al tribunale per una causa
seccantissima. Verrà più tardi a fare il suo dovere....
Raimondo, vedendola spuntare, soffiò più forte, e
andò a dire concitato allo zio :
— ■ Quest' altra pettegola, adesso ? Ha da esserci
tutta la città ?. . . Non vede Vostra Eccellenza che scena
ridicola?... *'^
— Pazienza!... Pazienza!... — cominciò il iuca ;
ma già un'altra carrozza entrava nel cortile. Egli ri-
passò di là e poco dopo comparve insieme col senatore.
Questi era pallidissimo, si vedeva sotto le sue guance
il movimento delle mascelle nervosamente contratte.
— Raimondo, — esclamò il deputato disinvolto e
conciliante; -^— c'è qui tuo suocero
Il conte s'era fermato. Senza cavar le mani di tasca
fece col capo un breve gesto di saluto e disse :
— 295 -^
— ■ Come sta ?
Palmi rispose :
— Bene ; stai, bene ? — E salutò in giro gii
astanti. -■'
Nessuno fiatava, gli sguardi si volgevano tutti sul
barone. Anche le mani gli tremavano un poco, e non
guardava in viso il genero.
— Accomodatevi, don Gaetano ! — riprese il duca,
prendendolo pel braccio e facendogli amichevole vio-
lenza. Palrni allora sedette tra la principessa e la mar-
chesa ; donna Ferdinanda s' impetti, affondando il
mento nel collo come un gallinaccio.
— Matilde sta bene ? — domanda la principessa.
— • Bene, grazie.
— ■ Le bambine ?
— ■ Benissimo.
Raimondo, ritto in mezzo alla sala, si guardava la
destra, facendo scattare l'unghia del pollice contro tutte
le altre. Il duca tossicchiò un poco, come per un prin-
cipio di raucedine ; poi gli domandò :
— Tu quando raggiungeresti tua moglie ?
Egli rispose secco e breve :
— Anche domani.
— Matilde però la vogliamo un poco qui, — sog-
giunse lo zio, guardando gli altri parenti, quasi a
chiedere il loro assenso; ma nessuno disse nulla. —
Allora, — continuò, — potreste fare cosi : tu andrai
a prenderla e poi ve ne verrete tutti insieme. Che ne
dite, barone ?
— Come credete, — rispose Palmi.
A un tratto s' udì per la terza volta una carrozza
che entrava nel cortile e tutti gli occhi si volsero verso
l'uscio d'entrata. Chi poteva essere? Ferdinando? La
duchessa?...
.Spuntò don Blasco.
Il monaco, come la sorella, non metteva piede al pa-
lazzo dal giorno del fidanzamento di Lucrezia ; come
donna Ferdinanda, ne aveva scagliata la colpa sul prin-
— 2g6 —
eipe, ed era rimasto talmente sordo ad ogni giustifica-
zione, che quest' ultimo s'era finalmente seccato d' in-
sistere, non avendo da sperarne eredità come dall'altra.
Allora, vistosi solo, senza poter occuparsi degli affari
della parentela, costretto a udirne le notizie di seconda
o di terza mano, per mezzo del marchese Federico o
degli estranei, il monaco s'era sentito perso. Le brighe
del convento l'occupavano fino a un certo punto; le
grida e le bestemmie contro i liberali, quantunque rad-
doppiate dopo la sistemazione del nuovo ordine di cose,
non gli bastavano, non avevano gusto se egli non le
proferiva tra i suoi, nello stesso luogo dov 'erasi com-
pito il trioiifo di quel rinnegato del fratello, dove quel
cialtrone di Giulente doveva vomitare le sue eresie.
Cosi, sbuffante e smaniante, più di una volta era stato
sul punto d'andarsene dal principe; ma, giunto a
mezza via, s'era pentito, non aveva voluto dare al ni-
pote la soddisfazione di cedere pel primo. All'annunzio
dell'arrivo del duca e del barone, della pace che si
doveva celebrare tra suocero e genero, non era stato
più alle mosse.
Il principe gli andò incontro a baciargli la mano.
Lucrezia e Giulente, seduti accanto, erano i più vicini
all'uscio d'entrata; e il giovanotto s'alzò, come aveva
fatto per la zitellona, al passaggio del monaco; ma
questi tirò dritto verso il centro della sala. Al secondo
affronto, Lucrezia si fece più rossa, e costretto il pro-
messo a sedere :
— La pagheranno, sai ! — disse, — la pagheran-
no!... Se mi vedranno più in questa casa!... Se t'arri-
schierai di guardarli più in viso!...
Il duca parve non accorgersi dell'arrivo del fratello.
Per animare la conversazione languente, e vincere la
freddezza da cui tutti erano impacciati, e rendersi utile,
la cugina aveva cominciato a chiedergli notizie del
suo viaggio attraverso l'Italia; e il deputato parlava
n vapore :
— La baraonda di Napoli, eh ■' Che paesone ! Pa-
— 297 —
reva che tolta la Corte, i ministeri, tutto il movimento
della capitale, dovesse spopolarsi, ridursi come una
città di provincia; invece cresce ogni giorno, è piij ani-
mata di prima. Anche Torino è piena di vita, però in
modo diverso
— In modo diverso.... — ripetè il barone, con tono
di condiscendenza, come per non restare in silenzio.
— È vero che somfglia a Catania ? — domandò il
marchese.
Raimondo sciolse lo scilinguagnolo per dire, con sot-
tile ironia :
— Tal e quale, sai ! Due gocce d'acqua —
— Le strade dice che son tagliate allo stesso
modo....
— Ma si! Ma sì!... Anzi diciamola tutta: Torino y'
è piiJ brutta, più piccola, più povera, più sporca....
Allora Chiara saltò su in difesa del marito :
— Questa smania di dir sempre male del proprio
paese non l'ho mai capita —
— Scusa ! — protestò il duca. — Qui nessuno ne
dice male —
— Lo stesso paragone è impossibile, — disse Be-
nedetto, conciliante.
Donna Ferdinanda alzò lentamente gli sguardi per
volgerli dalla parte donde venitva la voce ; ma, giunta
a mezza strada, li diresse alla parte opposta, alla fine-
stra dove don Blasco udiva dal nipote le notizie del-
l'accaduto.
— • Dice che raggiungerà sua moglie e che poi se
ne torneranno qui. È stato lo zio duca quello che ha
combinato ogni cosa. Per me, facciano quel che vo-
gliono. Ma vedrà che ricominceranno. Vorrei sbagliare,
ma siamo ancora al principio —
— Quella bestia perchè ci s'è messo? Non ha abba-
stanza tigna in capo? Ha da ficcare dovunque il naso?
Ma il perchè lo so io, il perchè — lo so io, il perchè ! —
E stava per continuare, per vuotare il sacco, quando
entrò Baldassarre, grave e dignitoso come la solennità
richiedeva :
— 298 —
— Eccellenza, — disse al duca, — ci sono le rap-
presentanze delle società che chiedono d'ossequiare Vo-
stra Eccellenza.
Il deputato non ebbe tempo di rispondere che il ba-
rone s'alzò :
— Duca, fate pure, vi lascio libero.
— Ma no, restate!... Un momento, e torno su-
bito....
— Ho qualche cosa da sbrigare anch'io; grazie!
— Verrete almeno a pranzo con noi ?
— ■ Grazie; parto oggi stesso; ho fissato uno straor-
dinario.
Fu inutile insistere ; il barone opponeva un rifiuto
cortese, ma freddo. Salutò tutt' in giro e andò via
accompagnato dal duca che scendeva giù a ricevere i
suoi elettori, mentre Raimondo s'avviava da parte sua
alle proprie stanze. E i tre non erano scomparsi, che
nella Sala Gialla cominciò un mormorio generale :
— Che maniera di, stare in casa della gente ! —
esclamò donna Ferdinanda. ■ — Non ha detto dieci pa-
role in mezz'ora! — rincarò la cugina; — che cosa
aveva ? che gli hanno fatto ? — E il marchese : —
Quando si è di quell'umore non si va in casa delle
persone !... — E come faceva il sostenuto ! — aggiunse
sua moglie.
Benedetto Giulente, dal suo posto, osservò :
— Quella partenza pare un pretesto.... per rifiu-
tare....
Allora, senza rivolgersi al giovanotto, ma quasi ri-
spondendo all' idea da lui annunziata, don Blasco tonò :
— ■ La bestia, l' imbecille e il buffone in questo caso
è chi invita !
Benedetto, quantunque il monaco non lo guardasse,
fece col capo un gesto tra d'assenso a ciò che quegli
diceva, tra di scusa per l' insistenza del duca.
— Pareva concedesse una grazia speciale, onoran-
doci della sua presenza ! — continuava frattanto donna
Ferdinanda. — Come se non si fosse trattato d' inte-
— 299 —
ressi suoi ! Come se la colpa di ciò che è successo non
fosse sua ! E quella bestia che lo prega per giunta e
che gli dà ragione ! Per renderlo piij presuntuoso ed
arrogante !...
Benedetto, che le stava seduto quasi di faccia, ba-
dava a chinare il capo con un gesto continuo ed eguale,
come un automa, e poiché la cugina cicalava piano
con Chiara, e don Blasco, tirato pel bottone del sopra-
bito il marchese, sfogava con lui, e il principe se ne
stava quatto quatto, e la principessa più quatta di lui,
quel gesto d'assenso e d'approvazione attirò alla lunga
gli sguardi della zitellona.
— Mentre la ragione sta dalla parte di Raimondo,
— continuava ella, — che giustamente non vuole lo
spionaggio in casa, che non può tollerare la continua
ingerenza del suocero in tutti i piccoli affari di casa
propria —
\'edendosi guardato due o tre volte, Benedetto, men-
tre continuava ad approvare col capo, confermò :
— Il barone ha veramente un carattere troppo dif-
ficile
Donna Ferdinanda non gli rispose, anche perchè in
quel momento il marchese s'alzava, e Chiara con lui ;
ma, andando via insieme coi nipoti, fece un breve cenno
del capo per rispondere al nuovo e più profondo e più
rispettoso saluto del giovanotto.
Intanto il duca, giù nell'amministrazione, riceveva
i delegati dei sodalizii e una gran quantità di elettori
influenti e una vera processione d'ammiratori di ogni
condizione che venivano a fargli atto di omaggio. La
stessa scena della sera prima, ma più grandiosa; a
poco a poco tutta la città sfilava dinnanzi al deputato ;
per due persone che andavano via, quattro ne soprav-
venivano ; e non essendoci più posto da sedere, tutti
restavano /in piedi, coi cappelli in mano, aspettando i
saluti che il ducn veniva distribuendo in giro. Alcuni
oratori improvvisati, persone che egli non conosceva
neppure, parlavano a n<5me dei compagni, affermavano
in risposta alle sue espressioni di modestia che il paese
non avrebbe mai dimenticato ciò che doveva al signor
duca. Tutti gli altri, a bocca aperta, badavano a racco-
gliere religiosamente le parole dell'Onorevole; il quale,
cessati i complimenti, ragionava della, cosa pubblica,
prometteva la Venezia, aveva Roma in tasca, assicu-
rava insieme col politico il risorgimento morale, agri-
colo, industriale e commerciale del paese. « Questo era
il programma di Cavour. Che testa ! Ragionava della
Sicilia come se ci fosse nato ; sapeva il prezzo dei nostri
frumenti e dei nostri zolfi meglio di un sensale di
piazza » Il governo gli aveva promesso una quan-
tità di provvedimenti per l' isola, giacché bisognava
pensare a tutto : dall'educazione della gioventù al la-
voro per gli operai. A poco alla volta, con la concordia
e la pace, la prosperità pubblica e privata sarebbe stata
raggiunta. Egli la faceva quasi toccar con mano, e le
persone venute per sapere che ne era delle loro do-
mande d'un posticino, o d'un sussidio, o d'una pen-
sione, andavano via portandolo alle stelle come se
avesse colmato loro le tasche, spargendo per la città
la nuova della riconciliazione avvenuta tra il conte e
sua moglie : opera e merito del duca, il quale aveva
fatto il sacrificio di lasciar la capitale in un momento
come quello per indurre il nipote alla ragione. Non
s' udivano se non esclamazioni di lode all' indirizzo
del deputato ; dal cortile del palazzo al Gabinetto di
lettura, tutti ad una voce giudicavano che in questa
occasione egli aveva fatto opera buona e doverosa ;
solamente don Blasco, nella farmacia borbonica, gri-
dava come un ossesso :
— Ah, gli credete?... Perchè credete che l'ha fatto?
Per dar soddisfazione alla canaglia ! Perchè si dica che
difende la morale!... E per un'altra ragione ancora
per ingraziarsi quell'altro cialtrone amico dei mangia-
polenta !... il sonatore dei mici sonagli I... il barone
con set le paia di effe !...
30I —
II.
Quando la contessa Matilde tornò, dopò due anni di
lontananza, tra i parenti del marito, essi medesimi,
alla prima, non la riconobbero. Se era stata sempre
pallida e magra, adesso era scialba e scarnita ; il petto
le si affondava come se qualche male lento e spietato
la rodesse, le spalle le s' incurvavano come per il peso
degli anni, e gli occhi incavati, accerchiati di livido,
lucenti di febbre, dicevano lo strazio di un pensiero
cocente, d'una cura affannosa, d'una paura mortale.
— Povera Matilde ! Sei stata male ? — le domandò
la principessa, a dispetto delle ingiunzioni del marito,
il quale le, /proibiva di avere opinioni.
— Un poco — rispose la cognata, scrollando il
capo, con un sorriso dolce e triste. — Adesso è pas-
sato
Infatti, ella si sentiva rinascere. Suo padre non aveva
voluto né accompagnarla in quella casa, né permet-
terle di condurvi le bambine; eppure, dimenticando
quanto vi aveva sofferto, ella vi entrava con un senso
di sollievo e quasi di fiducia. La tempesta recente era
stata cosi forte e dura, che ella pensava anzi con un
senso di rammarico al tempo degli antichi dolori ; li
aveva giudicati intollerabili e non sapeva di quanto
sarebbero cresciuti, a poco a poco, ma costantemente,
fino a contenderle la stessa speranza d' un qualunque
ritorno alla pace. Come le si era chiuso il cuore ai
primi disinganni, nel vedere che l'amor suo non ba-
stava a Raimondo, che egli pensava diversamente da
lei, che faceva consistere la felicità in cose senza va-
lore per lei ! Eppure egli non l'aveva tradita, allora !
Ma erano venuti i tradimenti, ed ella li aveva perdonati
poiché tutti gli uomini ne commettono, le dicevano ; poi-
— 302 —
che ella soltanto ne soffriva, silenziosamente, in fondo
all'anima. Che cosa avrebbe potuto fare, del resto ?
Che aveva potuto fare dinanzi al pericolo più grave,
alla minaccia terribile? Lasciarlo? Egli stesso l'a-
veva abbandonata !.... Quando ella ripensava a quei due
anni trascorsi in Toscana, a tutto ciò che aveva sofferto
vedendo prepararsi e non potendo impedire l'ultima ro-
vina, ella provava veramente come un bisogno di ingi-
nocchiarsi e di ringraziare il Signore, tanto miracoloso
le pareva il ravvedimento di Raimondo. Poteva adesso
sperare che durasse ? Quante volte egli non era parso
rinsavito, ed aveva poi fatto peggio ? Due anni addietro,
prima che scop>piasse lo scandalo in casa di Persa, ella
non aveva creduto che tutto fosse finito per lei ? Alla
notizia che quella donna era stata scacciata dalla suo-
cera, ella aveva compreso la commedia della rottura
rappresentata da lei e da Raimondo, e preveduto con
lucidità straordinaria quel che poi era accaduto Non-
dimeno, la partenza pel continente l'aveva illusa ancora
una volta ; la lontananza, il tempo, gli svaghi mondani
dei quali era sempre avido, non avrebbero distrutto nel
cuore di Raimondo il ricordo di quell'altra? Ma colei
doveva aver giurato di rubarglielo, ad ogni costo, se lo
aveva raggiunto a Firenze, se erasi mostrata a lui da
lontano, da vicino, per le vie, in società, tentandolo
ovunque, dinanzi a lei stessa ! Ella non accusava più
Raimondo, non sospettava che fosse d'intesa con quel-
l'altra, che avesse finto di fuggirla per ritrovarla più
sicuramente. 1 suoi sospetti, le sue accuse gelose cade-
vano su quella donna soltanto; a Raimondo ella non ri-
volgeva se non preghiere indulgenti, l'umile scongiuro
di evitarle nuovi dolori. Egli s' infuriava, negava come
altre volte, la incolpava di volergli creare imbarazzi e
pericoli, la riduceva al silenzio con le tristi parole che
ancora le risonavano all'orecchio : « Quella donna è l'ul-
timo dei miei pensieri; ma se non la finite di vessarmi,
farò qualche pazzia, vedrete ! » Ella non sapeva ancora
fino a qual punto fosse sincero —
-' 303 —
11 capriccio di Raimondo per donna Isabella, in ve-
rità, s'era sedato appena soddisfatto; il chiasso della
separazione, la paura di trovarsi qualche grossa respon-
sabilità materiale sulle spalle, avevano gettato molt'ac-
qua sul fuoco dei suoi desiderii. A Firenze, dove s'eran
dato convegno, aveva deliberato di spezzare in un modo
qualunque la catena da cui si sentiva avvincere, polche
egli asipirava alla vita allegra e varia, libera, princi-
palmente. Ma, per la notizia del dramma domestico di
cui era stato l'eroe, egli si vide posto più in alto nella
stima degli scapati amici di Toscana, del cui giudizio
faceva più conto che d'ogni altra cosa ; la conquista
d'una signora autentica come la Fersa gli procurava i
sorrisi di compiacimento un po' invidiosi dei rompicolli
che prendeva a modello. E donna Isabella gli divenne
per tanto meno indifferente ; ma la gelosia della moglie
fini di stringere quel vincolo nel punto che egli stava
per giudicarlo increscioso. Tutte le volte che Matilde
gli rivolgeva una supplichevole rimostranza, egli credeva
suo dovere, come per una specie di compenso, di fare
maggiori dimostrazioni di affetto all'amica; più som-
messamente sua moglie lo pregava di non trascurarla,
più smaniosamente egli andava via di casa. Ella sapeva
com'era fatto, com'era intollerante di ogni ostacolo,
d'ogni contrasto, delle stesse osservazioni; ma poteva
forse tacere, fingere d'ignorare quel che avveniva? Po-
teva soffrire, senza neanche piangere, ch'egli la la-
sciasse sola, lunghi giorni, lunghissime notti, che tra-
scurasse le sue figlie per andarsene con quell'altra, per
mostrarsi pubblicamente in compagnia di lei, per con-
durre i propri! amici nella casa di lei come in un'altra
casa sua propria?... E il giorno che s'era sfogata non
contro di lui, ma contro quell'altra, Raimondo le aveva
ingiunto di tacere, con la voce grossa, con gli sguardi
cattivi, alzando la mano Quella triste scena era avve-
nuta la vigilia del giorno che suo padre, diretto a To-
rino, doveva passare da Firenze. II terrore di spingere
l'uno contro l'altro quei due uomini l'aveva costretta a
— 304 —
tacere; e poiché suo padre, ricominciando a sospettare
di Raimondo, aveva mutato a un tratto, con la violenza
abituale, l'antica affezione verso il genero in freddezza
diffidente e vigile, ella aveva dovuto bere le proprie
lacrime, cancellarne le tracce, mostrarsi allegra e con-
tenta per impedire che quei due si scagliaissero l'uno
contro l'altro. Così ella s'era consunta, soffrendo in si-
lenzio, inghiottendo amaro sopra amaro, invocando dal
Signore tanta forza da poter continuare a fingere, a
illudersi, a credere che nessun serio pericolo la minac-
ciasse.
Ma era già troppo tardi. Tutto ciò che, nella sua ge-
losia, la moglie gli veniva dicendo contro l'amante, spin-
geva Raimondo sempre piij nelle braccia dì quest'ul-
tima : poiché Matilde gliene parlava male, voleva dire
che era invece la prima delle donne. Quest'idea si con-
ficcava tanto più saldamente nella sua testa, quanto
che donna Isabella, da suo canto, non gli diceva mezza
parola contro la contessa ; e si lagpava appena, discre-
tamente, dell'odio .che si vedeva portato. « Quando m'in-
contra, mi volta le spalle — Sparla di me — Che cosa
le ho fatto ? » Oppure gli proponeva di rompere e di
lasciarsi, si offeriva in sacrifizio per assicurargli la pace
della famiglia : « Non t'inquietare di me !... Me ne andrò,
vivrò -sola, come vorrà Dio Andrò a buttarmi ai piedi
di mio marito; forse mi perdonerà — » Allora,, di ri-
mando, egli s'ostinava a far cose che ella stessa non
avrebbe volute ; se prima non aveva nascosto quell'ami-
cizia, ora l'ostentava; se prima stava poco in casa,
adesso restava settimane intere senza metterci piede,
senza veder le sue figlie ; ed al teatro prendeva posto nel
palco dell'amica, dal principio alla fine dello spettacolo;
ed al passeggio, se era con amici, non rispondeva al
saluto di sua moglie, quando s'incontravano : mentre la
contessa lacrimava in fondo alla sua carrozza, egli an-
dava a piantarsi allo sportello di quella di donna Isa-
bella.
A Livorno, in principio dell'estate, lo scandalo era
— 305 —
cresciuto talmente, che alcuni buoni amici di Raimondo,
il conte Rossi fra gli altri, suo padrone di casa, l'ave-
vano consigliato d'esser meno imprudente. Matilde, ■!
cui cuore sanguinava da tanto tempo, fu in quei giorni
straziata da un altro dolore : Lauretta, che era sempre
cagionevole, appena lasciato Firenze cadde inferma. Una
notte che la sua bambina vaneggiava, in preda alla
febbre, ella restò in piedi fino all'alba, vegliandola, im-
paurita dal rapido aggravarsi del male, aspettando an-
siosamente il ritorno di Raimondo. A giorno, egli rin-
casò. Doveva esser ebbro. vSolo perchè, rotta dal dolore
e dalla fatica, turbata fieramente dalla malattia della
bambina, atterrita dal pericolo che la povera creatura
correva, ella osò dirgli : « Ma che vita è la tua !... » egli
le piantò in viso gli occhi foschi, strinse il pugno ed
uscì in una sconcia bestemmia — Che disse poi? Che
fece ? Ella non sapeva. Rammentava soltanto che, ria-
vuta dallo stordimento, Stefana, la sua cameriera, le
aveva detto che il padrone era andato via, con lo stesso
abito di società col quale era rientrato, portandosi sol-
tanto una sacca, dove aveva buttato pochi effetti alla le-
sta; rammentava d'essersi sentita struggere, non po-
tendo corrergli dietro, non potendo lasciare la sua po-
veretta agonizzante; d'aver mandato Stefana a Firenze,
credendo che egli se ne fosse tornato li; d'aver saputo
il giorno seguente che, cercato rifugio in un albergo
della stessa Livorno, egli s'era imbarcato per la Sicilia...
Il barone arrivò da Torino come un fulmine, prima
che ella gli avesse dato notizia dell'accaduto. Allora un
altro tormento s'aggiunse ai tanti che la straziavano.
11 rancore di suo padre contro il genero scoppiò a un
tratto, terribile. « È andato via ? Meglio cosi ! » aveva
detto nel primo momento ; ma poiché ella si scioglieva
in lacrime, non sapendo come fare, vedendo distrutta
la propria esistenza, un violento moto di collera gli
cacciò tutto il sangue alla testa : « E lo piangi, anche ?...
Lo vorresti difendere?... Saresti capace di corrergli die-
tro?... » Impaurita, giungendo le mani per disarmarlo.
De Roberto, l Viceré - I 20
— 3o6 —
ella addusse, tra i singhiozzi: « E le mie figlie?... Le
mie orfanelle ?... » Ma con impeto più selvaggio, egli
proruppe: «Ah, il suo amor paterno?... 11 bene che
ha voluto alle sue creature?... Il sangue avvelenato a
quella innocente?... » e con un fiotto di parole crude,
minacciose, frementi, le disse la vita indegna di lui,
ciò che ella non sapeva ancora, ciò che egli stesso non
aveva saputo per tanto tempo, addormentato dalla va-
nità, dal folle orgoglio d'essersi imparentato con uno
dei Viceré. « Vuoi dunque pregarlo per giunta?... Vuoi
eh' io vada a chiedergli scusa per te, per me, per quelle
innocenti?... Non ti basta, sciocca che sei, l'esperienza
di dieci anni?... \'uoi ricominciare a tremargli din-
nanzi ?... Credi eh' io non sappia quel che hai sofferto ?..»
E come ella scrollava le spalle, rabbrividendo, egli
gridò: «Non te ne importa?... Saresti capace di vo-
lergli bene ancora?... »
Si, era vero. Ella non piangeva per l'avvenire delle
sue bambine, non si sdegnava al ricordo delle proprie
torture ; se le aveva patite in silenzio, se aveva accu-
sato soltanto la rivale, se non aveva mai trovato
una parola di rimprovero per Raimondo, l'unica ragione
consisteva nel bene che gli portava « Dopo quel che
t' ha fatto?... Non hai dunque capito che non 1' ha mai
ricambiato, il tuo bene ? Che non chiede di meglio se
non sbarazzarsi di te?... Sciocca che sei, gli vuoi
dunque il bene del cane che lecca la mano che lo ha
battuto?... » SI, si, cosi! Il bene del cane per il pa-
drone, la devozione d'uno schiavo p>er l'essere di un'altra
razza, piìi forte, più alta, più rara. Sì, la sommessione
del cane per il padrone; poiché, anche dopo l'onta
estrema che le aveva inflitta, nonostante la rivelazione
brutale, nonostante il legittimo sdegno del padre, ella
pensava di non poter vivere lontana da Raimondo, di
non poterlo lasciare a quell'altra —
Passarono così per lei lunghi, eterni giorni d'intima
ambascia ; il barone la trattava con ostentata freddezza,
pareva non accorgersi delle sue lacrime; ella nondimeno
- M'7 —
aspettava, affrettava coi voti più ardenti qualcosa : non
il ritorno di Raimondo, che sarebbe stata una gioia
troppo grande, ma una sua lettera, almeno, di penti-
mento, o l'intromissione di qualcuno dei suoi — La
bambina s'era rimessa; ai piedi della Madonna ella im-
plorava il perdono d'un pensiero abominevole; se Lau-
retta fosse ricaduta, avrebbero potuto chiamarlo
S'ammalò invece ella stessa. Vedendola piangere
anche nella febbre, il barone 'proruppe, col tono acre
che prendeva cedendo: «Non vuoi dunque finirla? Bi-
sogna anche dargli questa soddisfazione, di pregarlo
per giunta? Bada però !... » soggiunse con voce minac-
ciosa : « Dal giorno che tornerete insieme, fa' conto che
io non ci sia più!... Scegli tra noi due: non t'ima-
ginare che io possa aver più nulla di comune con lui !... »
Povero babbo ! Burbero, rigido, violento con tutti, egli
aveva sempre ceduto dinanzi alle sue figlie, studiandosi
di fare la voce grossa, mettendo patti che la violenza
del carattere gli dettava, ma che l'inesauribile bontà del
cuore non gli permetteva, alla lunga, di mantenere.
Scrisse così al duca, andò insieme con lui a raggiun-
gere Raimondo dopo averla accompagnata a Milazzo, e
glielo ricondusse.'
Non v'era stato, tra lei e suo marito, neppure una
parola relativa al passato; nell'atto che egli le tornava
vicino, avrebbe ella potuto rammentargli i suoi torti ?
Da parte sua egli non le chiese perdono, non le disse
una buona parola ; le venne incontro indifferente come
se l'avesse lasciata il giorno innanzi. Né ella sperava
più di questo. Il suo bel sogno d'amore e di felicità
s'era a poco a poco, di giorno in giorno, dileguato;
adesso, rassegnata alle tristezze della realtà, ella non
chiedeva altro che quiete. Purché Raimondo volesse bene
alle sue creature, purché non le abbandonasse un'altra
volta, ella era disposta a sopportare ogni cosa —
In casa del principe, adesso, dov'eran venuti pel ma-
trimonio di Lucrezia, lasciando a Milazzo le bambine,
i parenti di lui la trattavano meglio. La sposa, che pa-
— 3"« —
reva non capire nei panni per l'iniminenza del matri-
monio, le prodigava dimostrazioni d'affetto, non si la-
sciava guidare da nessuno fuorché da lei nella scelta
degli abiti e degli ultimi oggetti del corredo; la princi-
pessa, sempre timida e mite, le dimostrava più di prima
la propria simpatia ; quanto a don Blasco e a donna
Ferdinanda, che avevano ripreso a venire tutti i giorni
al palazzo, parevano anch'essi un poco placati, perchè
invece di punzecchiarla non le badavano affatto. Che
le importava! Erano così; bisognava prenderli com'e-
rano. Purché Raimondo non la lasciasse un'altra volta I
purché quei giorni tremendi dell'abbandono non ritor-
nassero ! Quasi quasi ella rassegnavasi alla lontananza
delle sue bambine!... La compagnia della nipotina Te-
resa gliela rendeva più tollerabile. Come somigliava a
Teresa sua, la figlia del principe ! La stessa bellezza fine
e bionda, la stessa grazia, la stessa dolcezza della voce
e dello sguardo. Anche i caratteri, in fondo, si rasso-
migliavano, quantunque la sua bambina dimostrasse una
vivacità quasi irrequieta, mentre la cuginetta era pu.
tranquilla ed obbediente. Ma quanta parte non aveva in
questo risultato l'autorità del padre ? Mentre Raimondo
non si curava di sua figlia, la vigilanza di Giacomo pe-
sava fin troppo sulla principessina : egli l'educava a
mortificare i suoi desiderii, a reprimere le sue- volontà;
la faceva restare intere giornate tra le monache di
San Placido perché s'avvezzasse all'obbedienza e alla
disciplina monastica. Povera piccina ! Tutte le volte
che la mettevano nella ruota per farla passare dentro
alla Badia, oltre il muro impenetrabile che segregava
le suore dal mondo, tendeva le braccia alla sua mamma
ed alle zie con un sen§o di paura negli occhi spalancati ;
ma la principessa che aveva gli ordini del marito, pel
quale la bambina era una specie di muta ambasciatrice
incaricata di sedare il malcontento della Badessa e della
sorella Crocifissa, persuadeva la figlia a star buona, a
non temere, e la piccina diceva di si, di si, mandando
baci alla sua mamma mentre la ruota girava, la chiù-
— 309 —
deva nello spessore del muro, la passava dall'altra parte,
nello stanzone freddo e g'rioflo con un gfrande Cristo nero
e sanguinante che prendeva un' intera parete. La mam-
ma, le monache, tutte e tutti lodavano la saggezza di cui
dava prova; per meritare quelle lodi, per non dispiacere
al suo babbo, ella faceva quel che volevano. La contessa
giudicava che, in fondo, nonostante l'apparente viva-
cità, anche Teresa sua era buona e dolce. Lauretta non
era più tranquilla e ubbidiente della stessa cugina ? E
pensando ai suoi cari angioletti, ella affrettava col desi-
derio il matrimonio di Lucrezia, poiché subito dopo li
avrebbe raggiunti.
Tutto era pronto. Nella casa degli sposi, un quar-
tiere adiacente a ouello di don Paolo Giulente, ma
separato, finivano di dare l'ultima mano alla sistema-
zione dei mobili; le cose erano fatte larghissimamente
e con molto gusto. Il notaio di famiglia aveva gin
steso, in base alla transazione e sotto la dettatura del
principe, i capitoli matrimoniali ; Benedetto, per ingra-
ziarsi il coe^nato, l'aveva lasciato fare, s'era contentato
di cinquemila onze, pel momento, invece di ottomila,
poiché il principe scVi diceva di non aver pronta tutta
la somma. A poco a poco, dal primo incontro col mo-
naco e con la zitellona, egli era riuscito a farsi badare
ogni giorno più da auei due, continuando a chinare il
capo come un burattino a tutto ciò che dicevano. Ar-
ticolo politica, don Blasco e la sorella erano più arrab-
biati di prima, vuotavano il sacco degli oltraggi e delle
contumelie contro i liberali ; e allora il giovanotto fin-
geva di non udire, si voltava dall'altra narte, lasciando
che sfogassero, quasi Quell'onda di male parole non si
rovesciasse anche su lui ; ma in tutte le altre circo-
stanze, nel corso d'ogni discussione, si schierava dalla
loro parte, dava loro ragione ad ogni costo, in busca
d'uno sguardo, d'un saluto, d'una parola. Giusto in quel
torno, un debitore di donna Ferdinanda, un certo Cala-
foti, aveva dichiarato fallimento dando a intendere che
— 3IO —
la sua proprietà era parte venduta e parte ipotecata. La
zitellona strillava come una gallina spennata viva contro
quel ladro, contro il sensale che le aveva proposto l'af-
fare, contro il principe di Roccasciano che lo aveva ap-
provato; ma Benedetto, udito di che si trattava:
— Questo Calafoti lo conosco, — disse : — se Vo-
stra Eccellenza vuole, io gli potrei parlare. Gli atti che
adduce sono tutti nulli ; con la minaccia di impugnarli
lo faremo rigar diritto.
Ella non si fece molto pregare per dargli il permesso
richiestole ; e dopo una settimana di corse e di tratta-
tive Benedetto le ottenne la cessione d'un' ipoteca pri-
vilegiata. In ricambio, donna Ferdinanda non venne
al palazzo il giorno del matrimonio. Non ci venne nep-
pure don Blasco. Gli affari, va bene ; i discorsi, pure ;
ma approvare, con la loro presenza, l'alleanza d'un'U-
zeda con Vafjocato Giulente, questo poi no. Tranne di
loro due, del resto, non mancò nessun altro della paren-
tela, né al municipio, la mattina, né alla cattedrale, la
sera.
La marchesa Chiara accompagnò lo sposalizio per
ogni dove. Era uscita di conti, ma seguitava ad andare
su e giij e non aveva voluto chiamare nessuno. La sera
degli sponsali, stanca del continuo andirivieni, ella s'era
buttata a sedere, ansando, sopra una poltrona, accanto
a donna Eleonora Giulente. Forse era la grande stan-
chezza, ma si sentiva veramente poco bene, provava
sordi dolori e acute trafitture. Coi gomiti appuntati ai
bracciali per tener libero ed erto il ventre, ella strin-
geva uh poco le labbra ad ognuna di quelle rapide fitte,
ma come il marito veniva tratto tratto a domandarle
premurosamente che avesse :
— Noilla ! — rispondeva ; — sto benissimo ; — per-
chè non chiamassero la gente dell'arte.
Alzatasi, fece il giro delle sale. C'era una gran quan-
tità d'invitati, tutta la parentela, tutta la nobiltà, e poi
i nuovi amici del duca, le autorità, il sindaco, il pre-
fetto che egli aveva voluti per dare risalto al carattere
— 311 —
liberale dell'alleanza. E mentre la nobiltà borbonica se
ne stava accrocchiata nel salone o nelle Sale Rossa e
Gialla, il deputato teneva un circolo democratico nella
Galleria dei Ritratti, ricevendo i complimenti per quel
bel matrimonio che era opera sua, discutendo degli af-
fari pubblici. Don Paolo Giulente, poiché nelle sale no-
bili non trovava da appiccar discorso, se n'era venuto ad
ascoltarlo, a bocca aperta, non capendo nella pelle dal
piacere d'essere diventato parente del grand 'uomo. Suo
fratello don Lorenzo portava a spasso, per la circo-
stanza, la cravatta verde di commendatore che l'amico
deputato gli aveva fatto concedere dal g-overno di To-
rino insieme con certi g-rossi appalti : delle poste, dei
trasporti militari. Anche una buona quantità dei postu-
lanti spiccioli cominciavano a vedersi esauditi ; l'Onore-
vole aveva fatto accordare impieghi, sussidiì, croci di
San Maurizio ai patriotti del Quarantotto e del Sessanta,
e riconoscere il diritto alla pensione dei vecchi impiegati
della rivoluzione siciliana, e ammettere nell'esercito re-
golare i volontari garibaldini, e spingere la causa dei
danneggiati dalle truppe borboniche i quali presenta-
vano la nota del loro amor di patria ; talché tutti quei
suoi clienti soddisfatti o prossimi ad essere soddisfatti lo
ascoltavano come un oracolo, superbi d'averlo amico e
d'essere ammessi nella casa dei Viceré, di vedersi ser-
viti dai camerieri con le livree fiammanti.
Baldassarre, in gran tenuta, girava alla testa della
processione dei camerieri che reggevano i vassoi pieni
di gelati, di spumoni, di gramolate e di dolci, e serviva
la Galleria dopo le sale, ma con la stessa etichetta, se-
guendo l'esempio del principe che faceva a tutti lo
stesso inchino ; quantunque, per dire il fatto della verità,
intorno a Sua Eccellenza il duca ci fossero certi tipi
che non si sapeva di dove sbucassero: se prendevano
il piatt-ello del gelato, buttavano a terra il cucchiaino,
o si rovesciavano addosso la gramolata tracannandola
quasi fosse acqua fresca, o prendevano i dolci a manate
come se non ne avessero mangiato mai prima di quella
— 312 —
scia. E i Viceré che g-uardavano dall'alto delle pareti !
Basta : a lui toccava eseguire gli ordini dei padroni !
Giusto la cugina Graziella, appartata in un crocchio
con la duchessa Radali e la principessa di Roccasciano,
diceva al principino che, straordinariamente, per la cir-
costanza del matrimonio della zia, aveva ottenuto il per-
messo di restar fuori la sera :
— Questo qui lo accaseremo noi, a suo tempo !
Avremo da sceglier noi chi dovrà sposare !
Non sapeva in qual modo significare alla Giulente che
quel matrimonio si faceva per forza, contro il piacere
della mag-gioranza della famiglia. Ma donna Eleonora
non s'accorgeva di niente : seduta accanto alla princi-
pessa e alla contessa Matilde, sorrideva di beatitudine
al passag-gio degli sposi, in volto ai quali, specialmente
a Lucrezia, leggevasi la gioia del trionfo. Del resto, se
donna Ferdinanda e la cugina le facevano il viso del-
l'arme, la principessa le usava molte cortesie, la con-
tessa Matilde prendeva parte alla sua felicità di madre ;
la stessa Chiara veniva a gettarsi nuovamente accanto
a lei.
— Siete stanca, marchesa?
— Io? No! Sto benissimo. — Le trafitture spesseg-
giavano, quasi le toglievano il respiro : ella sarebbe stata
felice di partorire 11, su quel divano.
Ferdinando, infagottato nell'abito di società che met-
teva per la seconda volta in vita sua, girava attorno
come un'anima in pena, non conoscendo nessuno, da
tanti anni che faceva la vita del Robinson. Era venuto
per far da testimonio alla sorella diletta ed aveva fretta
che la cerimonia finisse presto per tornare alle Ghiande.
Quando Dio volle, il corteo, sceso giù per la scala
d'onore e distribuito nelle carrozze, s'avviò alla cat-
tedrale. La funzione celebrossi nella cappella privata del
Vescovo, da Monsignore in persona : tutti gl'invitati
con le torce in mano, gli sposi dinanzi all'altane sfol-
gorante e olezzante, donna Eleonora Giulente che pian-
geva come una fontana. « Una cosa commovente, » di-
i
. — 3.13 —
ceva piano il duca al prefetto che gli stava a fianco. A
un tratto vi fu un rimescolio : Chiara, non potendone
più, s'era lasciata cadere sopra uno sgabello. Tutti la
circondarono, ma ella li rassicurava con un sorrìso :
sorrideva perfino Monsignore, sapendola in istato inte-
ressante. Il marchese la trascinò in carrozza mentre il
resto della comitiva andava in casa dei Giulente, dove
le cose eran fatte forse con più sontuosità che dal prin-
cipe : un rinfresco che non finiva mai, i gelati che squa-
gliavano nei vassoi per mancanza di consumatori ; e
finalmente gli sposi, si misero in carrozza e se ne anda-
rono al Belvedere.
Il domani mattina andarono lassù a trovarli, uno
dopo l'altro, i Giulente marito e moglie, don Lorenzo
e il duca, la principessa e perfino Chiara, fresca come
una rosa; i dolori erano svaniti, ella aveva voluto a
forza salire dalla sorella. Gli sposi non aspettavano più
nessuno, quando, nel pomeriggio : drlin, drlin, un tin-
tinnio di sonagliere, e la carrozza di donna Ferdinanda,
tutta impolverata, si fermò dinanzi al cancello del vil-
lino. La zitellona, come se li avesse lasciati la sera pre-
cedente, come se fossero maritati da dieci anni, diede la
mano da baciare alla nipote, e appena sedutasi disse a
Benedetto :
— Bell'affare m'hai propostò ! Gli altri creditori si
oppongono alla cessione dell'ipoteca!
Benedetto, dallo sbalordimento, non seppe li per lì
che rispondere ; ma Lucrezia si voltò con lui dicendo :
— Non c'è modo dì accordarli?
— I creditori?... Sicuro si possono accordare —
— E frenando a stento un sorriso, esclamò : — Vostra
Eccellenza non se ne inquieti. Il credito di Vostra Ec-
cellenza era privilegiato. Li faremo stare a dovere, non
dubiti !
Il domani, donna Ferdinanda tornò col suo patroci-
natore, perchè Benedetto gli spiegasse bene il da fare ;
e tornò ancora il giorno appresso, e poi quell'altro, fin-
ché, per farla contenta, egli stesso riscese con la moglie
— 314— .
in eittti a tlipanare in persona la matassa. Dovevano
passare un mesetto al Belvedere, e ci stettero così una
settimana appena. Egli non se ne lagnava, contento
della pace fatta con la zia, la quale, se li aveva cercati
ogni giorno in campagna, venne mattina e sera a tro-
varli in città. Arrivava per tempo, quando 1 Giulente
padre e madre non erano ancora passati dalla nuora,
la quale restava a letto fino a tardi. Benedetto, in piedi
col sole, dava gli ordini alle persone di servizio per la
colazione e il desinare, curava che la moglie, levandosi,
trovasse la casa ravviata, e tutto in ordine ; e donna
Ferdinanda, dopo aver discorso del proprio credito,
cominciava a fare le sue osservazioni sulle faccende dei
nipoti : se desinavano troppo tardi per seguire la moda
italiana portata da quella bestia del duca; se il venerdì
comperavano il pesce troppo caro, quando avrebbero
potuto contentarsi, come lei, del baccalà; se davano
alla cameriera tutto il trattamento invece della sola
minestra come usava lei stessa in casa propria. E a
poco a poco ficcava il naso in, tutte le cose più minute,
pii!i intime : rivedeva i loro conti, esaminava la nota
della lavandaia, criticava la compera degli strofinacci,
dettava sentenze di economia domestica, biasimava il
largo spendere di Benedetto dopo essersi opposta al
matrimonio perchè i Giulente erano « pezzenti ». Bene-
detto non si stancava di quella vigilanza curiosa e mi-
nuziosa, in grazia della benevolenza di cui gli pareva
prova; anzi, per ingraziarsela meglio, invitava la zia
una volta la settimana a desinare e un'altra a cola-
zione; ma la zitellona, che non si faceva molto pregare
e che sfruttava in ogni modo i nipoti, esercitava con
sempre maggiore autorità la sua critica, voleva essere
ascoltata in tutto e per tutto; non potendo prender-
sela con Benedetto, il quale le stava dinanzi come un
servitore, punzecchiava la nipote perchè si levava tardi,
perchè fino a mezzogiorno restava discinta, coi capelli
sulle spalle e i piedi nelle pantofole ; tanto che final-
mente questa disse a suo marito :
— • Mi comincia a seccare, sai !
Allora, per farle piacere, non importandole il bron-
cio della zia, egli diradò gli inviti ; ma quando credeva
di mettersi a tavola solo con sua moglie, vedeva spun-
tare la zitellona, che Lucrezia aveva chiamata. Mutava
facilmente opinione, Lucrezia, da un momento all'altro;
e tutti la secondavano, non solo suo marito, ma anche
il suocero e la suocera : la covavano con gli occhi come
una cosa preziosa, la contentavano a un cenno, la ser-
vivano all'occorrenza. Cosi ella si alzava ogni giorno
un poco più tardi, restava un paio d'ore senza far
nulla, senza neppure lavarsi ; vestita finalmente, se ne
andava talvolta dalla sorella Chiara, che non era ancora
partorita, avendo sbagliato i conti d'un mese; ma più
spesso al palazzo, dove aveva giurato di non metter più
piede, ma restava invece tanto che spesso suo marito
doveva passare a rilevarla all'ora del desinare. Ci
tornava anche la sera per prender parte alla solita
conversazione ; talché, tutto sommato, e tolte le ore del
sonno, ella stava più nella casa paterna che nella ma-
ritale. I Giulente, del resto, giudicavano naturale che
ella cercasse dei suoi parenti, né Benedetto pensava a
rammentarle gli antichi propositi ; quando, un bel giorno,
offertosi come al solito di accompagnarla al palazzo, si
udi rispondere :
— M' hanno da tagliare tutt'e due le mani, se vado
più in quella casa !
— • Che é stato? Che t'hanno fatto?...
— Che m'hanno fatto? Leggi!
Il principe aveva ritardato di settimana in settimana
il pagamento delle ultime tremila onze ; adesso final-
mente mandava, per mezzo del signor Marco, in piego
suggellato diretto a Benedetto, un nuovo conto. Lucrezia
l'aveva aperto; c'era un passivo, dove figuravano le
spese della festa di nozze : un totale di centoventicinque
onze. Notati gli spumoni, i dolci, i pacchi di candele,
l'olio delle lampade Carcel; ad ogni persona di servizio
un'onza di regalo; dieci onze di fiori, dodici tari di car-
— 3i6 -
rozze pagate a Baldassarre e persino quindici tari di
piatti rotti. Quando Giulente lesse quella nota, si mise
a ridere di cuore, tanto gli parve buffa la grettezza
spinta a tal segno ; ma Lucrezia era furibonda contro
il fratello.
— • Che trovi da ridere? È una schifezza senza esem-
pio!... Per quésto ordinò le cose largamente!... Ma
trent'onze di dolci, chi li ha mangiati? Cento rotoli di
roba ? E quelle quattro rose che mandò a cogliere al
Belvedere? E i piatti rotti?...
Quantunque suo marito cercasse di calmarla, dimo-
strandole che in fin dei conti il principe non era ob-
bligato a spendere del proprio, ella non intendeva ra-
gione, -spiattellava il resto, ciò che prima aveva negato
a sé stessa :
— Non era obbligato ? E il frutto della mia dote che
s'è pappato per sei anni? misurandomi il pane? senza
ch'io fossi padrona di comperarmi uno spillo?... E la
transazione a cui m'obbligò, prendendomi per il collo,
per consentire al nostro matrimonio ? E Ferdinando
spogliato con me?... Se lo guardo piij in faccia, non
sono più io !...
Non andò più infatti al palazzo ; ma il principe, da
canto suo, non venne più da lei ; alla moglie, che vo-
leva far qualche vìsita alla cognata, ordinò rigorosa-
mente di astenersene. La cugina Graziella, che a stento
era stata a trovare una volta sposi, segui l'esempio del
capo della casa ; talché Lucrezia cominciò a dire il
fatto suo anche a quest'altra pettegola :
— Non vuol venire a casa mia? L'onore sarebbe
stato tutto suo ! Guardate un po' questa boriosa che
mia madre non fece valere un fico secco, darsi adesso
il tono di non so chi ! Credono di farmi dispiacere non
venendo a casa mia ? Non sanno che non cerco di me-
glio ? Che non voglio veder più nessuno ?
Don Blasco, da canto suo, non aveva messo piede
neppure una sola volta dagli sposi; e Lucrezia, dichia-
randosene contenta, diceva anche tutte le pazzie e le
— 317 —
porcherie elei monaco. Ella l'aveva anche con la so-
rella Chiara, senza che questa le avesse fatto nulla, e
la derideva per l'eterna gravidanza che non veniva a
line, quantunque giunta al decimo mese. Se la prendeva
insomma con tutti, e alla contessa Matilde che la veniva
a trovare come prima :
— Dillo tu, — diceva, — • che razza di gente ! Quante
te n' han fatto vedere, ah? Quel birbante di tuo ma-
rito ? Tutti quegli altri che gli hanno tenuto il sacco,
quando egli andava dietro a quella — ?
Impallidendo, poi arrossendo a quei discorsi, Matilde
tentava nondimeno di metter buone parole; ma l'altra
rincarava :
— E li difendi, anche? Lasciali andare!... Tutti di
una pasta !... Chi sa quante ne vedrai ancora, povera
disgraziata !... Per me, ringrazio Dio d'essere uscita da
quella galera !... Credono che io mi debba rinchinare ?...
M'importa assai di loro e delle loro visite!...
Ora un giorno, rincasando. Benedetto, che per secon-
dare la moglie, non già per sentimento proprio, aveva
chinato il capo a quelle sfuriate, la trovò seduta accanto
a don Blasco, al quale serviva biscotti e rosolio — Il
monaco, non vedendo più Lucrezia al palazzo, saputo
della rottura tra fratello e sorella, era apparso come
una malombra dinanzi alla nipote. E Lucrezia, che
aveva gettato fuoco e fiamme, s'era subito alzata per
baciargli la mano: «Come sta Vostra Eccellenza?...
Mio marito è andato fuori Se V^ostra Eccellenza si
ferma un poco, non tarderà a venire.... » E mentre lo
aspettavano, il monaco s'era fatto raccontare tutto l'ac-
caduto. Agli sfoghi di lei contro Giacomo e la cugina,
egli pareva ingrassare nel seggiolone; ma non espri-*^
meva il proprio parere, non si schierava né da una parte \
né dall'altra; scrollava il capo soltanto, per dar la corda
alla narratrice. Arrivato Benedetto, che non credeva ai
propri! occhi, il monaco si lasciò baciar la mano dal
nuovo nipote, chiacchierò di tutto un poco, mangiò un
altro biscotto, ci bevve su un altro bicchierino, e andò
- 3iB -
vìa accompagnato dagli sposi fino al pianerottolo. Da
quel giorno, Benedetto non se lo potè più levar di torno.
\ eniva continuamente, a ore diverse, quando meno se
l'aspettavano; una strappata di campanello lo annun-
ziava, brusca, forte, padronale ; e una volta entrato,
cominciava a girondolare come un trottolone, parlando
di centomila cose, guardando in tutti gli angoli, fru-
gando su tutti i mobili, leggendo tutte le carte, di-
cendo la sua sulle faccende dei nipoti peggio che donna
Ferdinanda, ma andando via appena spuntava costei.
Benedetto non era più padrone in casa propria, giaccii
nulla sfuggiva alla doppia critica della zitellona e del
monaco ; ma egli la soffriva allegramente, contento ■.
vedersi oramai trattato da tutti gli Uzeda, solo dolente
della freddezza sorta col principe per causa non pro-
pria. Ma ciò che faceva sua moglie era per lui sempre
ben fatto, ed ella, che aveva preso al suo servizio Vanna,
dalla quale era informata di tutto ciò che avveniva al
palazzo, sfogava con lo zio Blasco contro il fratello, lo
accusava di averla rubata, di aver rubato Chiara, . .
voler rubare adesso Raimondo :
— Lo spinge lui contro la moglie ! Dicono che gli
ha detto : « Che ci stai a fare qui ? » Per metter legna
sul fuoco ! Deve avere il suo piano ! Non è tipo da far
nulla per nulla ! E Raimondo parte con Matilde ; per
Milazzo, dice. Ma è troppo stupida, insomma, mia co-
gnata ! Io ho cercato di aprirle gli occhi perchè mi fa
pena. La cosa non finirà bene !... Non si sono consi-
gliati con Benedetto sullo scioglimento del matrimo-
nio?... Io gli ho detto di non mescolarsi in questi pa-
sticci !...
Ella non diceva che Benedetto, mandato a chiamare
da donna Ferdinanda, in casa della quale Raimondo Io
aspettava, lusingato da una confidenza delicatissima so-
pra un affare intimo, se aveva dapprima lottato con la
propria coscienza, s'era a poco a poco lasciato vincere
dall'onore che la zitellona gli faceva, mettendolo a parte
d'un secreto di famiglia, sollecitando i consigli di un
~ 319 —
parente piuttosto che quelli d'un primo venuto. E quesl.i
idea aveva vinto i suoi scrupoli. Un estraneo, un azzec-
cagarbugli capace di tutto per amore di far quattrini,
non sarebbe stato più da temere, non avrebbe consigliato
di porre subito mano alla causa ? Invece egli contidava
di riuscire a metter pace fra marito e moglie; fino al-
l'ultimo momento ce ne sarebbe stato il tempo. Poi,
gli ostacoli enormi da superare finivano di rassicurarlo.
Lo scioglimento d'un matrimonio era impresa diffici-
lissima ; ma donna Ferdinanda voleva scioglierne due :
quello della Fersa e quello di Raimondo, e i motivi
mancavano, mancavano perfino i pretesti, da una parte
e dall'altra. Che male commetteva egli dunque rienu-
merando i motivi necessari! dei quali il cognato gli
aveva già chiesto una prima volta, e discutendo con la
zitellona la via che si sarebbe dovuto tenere se qual-
cuno di quei motivi fosse realmente esistito? Non era
una pura accademia, una specie di lezione di diritto
canonico, come quella del suo antenato, che il cavaliere
don Eugenio, Gentiluomo di Camera, aveva elogiato?...
Nondimeno, una secreta soggezione Io impacciava di-
nanzi a Matilde, sentendosi già complice della trama
ordita contro la poveretta. La contessa, però, mostra-
vasi più serena e confidente che al tempo del suo arrivo
in casa Uzeda; a poco a poco ella s'era lasciata vincere
dalla speranza, vedendo che Raimondo non parlava
più di tornare in Toscana, che le prometteva di con-
durla, subito dopo il parto di Chiara, a Milazzo per
raggiungere le bambine e poi a Torino, dove il padre
di lei, placatosi, li aspettava. Come suo padre aveva
dimenticato i severi propositi contro Raimondo, anche
Raimondo non poteva aver dimenticato l'amore di quel-
l'altra?... Non finiva tutto, col tempo?...
E Chiara non partoriva. Il secondo nono mese stava
per finire e il suo ventre non si sgonfiava. I dolori e
le trafitture erano continui, oramai; ma, col coraggio
dei maniaci, non ne diceva niente a nessuno, ostinata
a voler sgravarsi senza aiuto di medici o di levatrici.
— 320 —
Il guaio fu che, compito il decimo mese, ella non si
liberava ancora. Certamente, aveva sbagliato il cal-
colo; ma, al marito, ai parenti che la esortavano a
chiamare qualcuno :
— Non voglio nessuno ! — rispondeva, cocciuta,
per partorire da sola.
— ■ Questa è nuova ! — gridava don Blasco, il quale
voleva ficcare il naso anche nel ventre della nipote. —
Una gravidanza di dieci mesi dove s'è vista? Meno
male se durasse dodici, quanto l'asina che sei !
Infatti, era cominciato l'undecimo mese, secondo il
primo calcolo. E una sera che ella non ne poteva più,
che si sentiva morire e non riusciva a nascondere le
proprie doglie, suo marito,^ spazientito per la prima
volta dopo otto anni di matrimonio, gridò :
— Se qui non viene un dottore, mi prendo il cap-
pello e me ne vado.
Venne il dottor Lizio e si chiuse con la partoriente,
mentre il marchese aspettava ansioso nel salotto, coi
parenti. Udendo che il chirurgo schiudeva l'uscio e chia-
mava, corse a domandargli, trepidante :
— Dottore!... È sgravata?
— Ma che sgravare e aggravare d'Egitto ! — esclamò
Lizio. — Vostra moglie ha una ciste all'ovaia grande
come una casa. Un altro poco, ed era spacciata !...
in.
A San Nicola, dopo la sistemazione del governo ita-
liano, si faceva la stessa vita di prima, come al tempo
dei Napolitani; anzi era questo uno degli argomenti sfo-
derati dai liberali contro i sorci, durante le discussioni
politiche che s' impegnavano continuamente all'ombra
dei chiostri.
— Avete visto ? A darvi ascolto doveva succedere il
- — 121 —
finimondo, dovevano mandare all'aria il convento, e in-
vece è sempre ritto...,
— Ritto un cavolo ! — tonava don Blasco. — Aspet-
tate e vedrete !...
Pel momento i monaci seguitavano a far l'arte di
Michelasso. Il principino, crescendo, indiavolava. Pre-
potente coi Fratelli, incuteva adesso un vero terrore
ai camerieri, dai quali pretendeva le cose piij proibite :
coltelli arrotati per lavorar canne delle quali faceva,
cerchiandole di fil di ferro, schioppi e pistole ; polvere
da sparo per caricare queste armi che gli potevano
scoppiare. Dio liberi, tra le mani e accecarlo di tutt'e
due gli occhi; razzi e tric-trac e altri fuochi artifiziati
per cavarne la polvere, oppure zolfo, salnitro e carbone
per farla da sé. Aveva una inclinazione istintiva e in-
vincibile per la caccia : nel giardino^ durante la ricrea-
zione, non potendo far altro, tirava sassate agli uccelli,
a costo di spaccar la testa a qualche compagno, o s'ar-
rampicava sui muri per distruggere i nidi dei passeri
a rischio di fiaccarsi il collo egli stesso. E quando i
camerieri non lo contentavano, non gli procuravano le
reti, il vischio, la polvere, li strapazzava, li denunziava
al Maestro per colpe inventate di pianta, li metteva
a più dure prove buttando all'aria ogni cosa nella pro-
pria camera dopo che essi l'avevano rifatta — La smania
di fumare non gli era neppure passata. Attribuendo
alla cattiva preparazione del tabacco l'ubbriacatura
presa al tempo della rivoluzione, volle fumare sigari per
davvero, e prese un' ubbrTacatura più terribile della
prima. Scoperto anche questa volta, il Maestro si decise
a dargli un gran castigo, vietandogli di uscire per una
settimana; ma poi la settimana fu ridotta a tre giorni,
grazie all'avvicinarsi del Natale.
Ogni anno, per questa ricorrenza, ciascuno dei no-
vizii doveva recitare una predica, e riceveva in premio
un'onza di quattrini, quasi tredici lire della nuova mo-
neta, più una scatola di cioccolata e due galletti vivi.
La predica di Natale toccava quell'anno '6i a Consalvo
De Roberto. I Vlrerè - I 21
Uzeda : l'aveva scritta il Padre bibliotecario, che era
letterato, perciò invece che nelle poche paginette degli
altri anni, consisteva in un bel quadernetto. Egli che
aveva una memoria di ferro e una faccia tosta a tutta
prova, aspettava la cerimonia con una tranquillità e
una sicurezza ignota ai compagni, ai quali i regali co-
stavano quindici giorni d'ansia e uno di vera paura.
Il giorno della funzione, il Capitolo dove i monaci ave-
vano già preso posto nei loro stalli. Tu invaso dalla
consueta folla dei parenti maschi : le donne, per via
della clausura, restavano accanto, nella sacrestia, della
quale lasciavansi spalancate le porte. Tutti esclamarono
piano : « Che bel ragazzo ! Com'è franco e sicuro ! »
quando il principino, vestito della candida cotta piego-
linata, salì sul pulpito, guardò tranquillamente la folla
degli spettatori e spinse uno sguardo alla sacrestia, ri-
girandosi tra le mani il rotoletto del manoscritto e tos-
sicchiando un poco, prima di cominciare. Sotto lo stallo
dell'Abate, in mezzo al principe, al duca d'Oragua, a
Benedetto Giulente, don Eugenio diceva : « Guardate
che padronanza ! Se non pare un predicatore consu-
mato ! » Ma la stupefazione crebbe a dismisura quando
il ragazzo, aperto il fascicolo e datavi un'occhiata, lo
abbassò, recitando a memoria : « Reverendi Padri e
Fratelli dilettissimi, era una notte del piij rigido verno,
allorquando in una stalla di Nazaret » e tirando poi
via fino in fondo senza guardare neppure una volta
lo scartafaccio, gestendo, facendo pause, cambiando -A
tono della voce come un oratore provetto, come un
vecchio attore sul palcoscenico. Finito che ebbe, risceso
che fu, per miracolo non lo soffocarono dagli abbracci,
dai baci ; la principessa aveva le lacrime agli occhi,
donna Ferdinanda anche lei era commossa; ma, quan-
tunque muta, l'ammirazione del deptitato, al quale la
sola idea della folla serrava la gola e annebbiava la
visrta, non era la meno profonda. « Che presenza di
spirito! Che franchezza!... » e tutte le signore lo atti-
ravano, l'abbracciavano, lo baciavano in viso : egli la-
sciava fare, restituiva i baci sulle guance fresche e pro-
fumate, torceva il muso dinanzi alle flosce e grinzose ;
e oltre ai regali dei convento, intascava le lire che gli
davano gli zii. Il piij contento, con tutto questo, era
Fra Carmelo : gli pareva d'essere l'autore di quel
trionfo, d'aver diritto ad una parte degli applausi, delle
congratulazioni, dei baci delle signore. Non aveva co-
vato con gli occhi quel ragazzo nei cinque anni del
noviziato ? Non aveva vantato il suo ingegno, predetto
la sua riuscita ? I maestri si lagnavano perchè non amava
lo studio : doveva dunque fare il medico o l'avvocato o
il teologo ? Ai Benedettini ci stava per ricevere l'educa-
zione conveniente alla sua nascita ; poi sarebbe andato
a casa sua a fare il principe di Francalanza !
E questo era il giorno che Consalvo aspettava ; per
l'impazienza di non vederlo arrivare, per farsi mandar
via, egli sfrenavasi sempre piij, metteva con le spalle
al muro non più i Fratelli e i camerieri, ma lo stesso
Maestro. Durante la rivoluzione e subito dopo, i Tignosi
avevano tolto dal convento Michelino, i Cùrcuma Ga-
sparino, i Cugnò Luigi; né altri novizii erano entrati,
fuorché Camillo Giulente, giacché dicevasi che il governo
avrebbe soppresso i conventi. Restavano soltanto coloro
che le famiglie destinavano a professarsi, Giovannino
Radali, fra gli altri, il « figlio del pazzo ». Morto suo
padre, la duchessa, per amore del primogenito, desti-
nava il secondo a farsi monaco. Ma Consalvo, che non
doveva professarsi, voleva andar via, al più presto, su-
bito; e invece suo padre, ogni volta che egli gli doman-
dava : K Quando tornerò a casa ? » rispondeva col solito
suo fare secco e freddo che non ammetteva replica :
« Ho da pensarci io ! » E non ci pensava mai, e il ra-
gazzo sentiva crescere l'avversione che quel padre ri-
gido, del quale non rammentava una buona parola, gli
aveva ispirata. Quando andava a casa in permesso, egli
stava un momento con la mamma, poi se ne scendeva
giù nella corte, passava in rivista i cavalli e le car-
rozze, domandava il nome di tutti gli arnesi delle scu-
— 3^4 —
derle ; e la tonaca g-li pesava, perchè non gli permetteva
di salire a cassetta e d' imparare a guidare. Aveva tempo
di spassarsi, gli diceva Orazio, il nuovo cocchiere, poi-
ché Pasqualino era partito per Firenze al servizio dello
zio Raimondo ; ma egli voleva spassarsi subito, sot-
trarsi alla tutela dei monaci, fare quel che gli piaceva.
E all' idea di dover tornare nella prigione del convento,
invidiava perfino le persone di servizio, il figlio di donna
Vanna, Salvatore, che era entrato in casa Uzeda come
mozzo di stalla, e passava tutto il santo giorno a cas-
setta, scarrozzando per la città. Consalvo lo invidiava
e lo ammirava per le tante cose che sapeva, per le male
parole che diceva liberamente ; e Fra Carmelo, sonata
l'ora di ricondurlo al convento, doveva sgolarsi un bel
pezzo prima di stanarlo dalla stalla o dalla scuderia.
— Che hai fatto ? — gli domandavano la mamma e
la zia.
— Nulla, — rispondeva, un po' rosso in viso.
Era stato ad ascoltare i discorsi di Salvatore, che
gli narrava le gesta di tanti Padri Benedettini :
— La notte se n'escono per andare a trovar le ami-
che, e certe volte le conducono con loro, nello stesso
convento, avvolte nei ferraioli : il portinaio finge di ca-
pire che sono uomini !... Vostra Eccellenza che c'è
dentro non le ha mai viste?...
Non aveva visto nulla, lui ; e tutte quelle cose ap-
prese in una volta lo stupivano e lo turbavano.
— Ma non è peccato?...
— Eh !... — faceva il famiglio. — Se avessero co-
minciato essi ! Hanno fatto sempre cosi, i monaci ! I
Fratelli non sono quasi -tutti figli dei vecchi Padri ?
— . Anche Fra Carmelo ?
— Fra Carmelo?... Fr^ Carmelo è un'altra cosa —
È bastardo del bisnonno di Vostra Eccellenza, fratello
spurio di don Blasco —
— Perciò mio zio ?
— E Baldassarre anche lui — fratello bastardo del
signor principe Si sono spassati i signori Uzeda !...
— 325 —
Poi, quando sarà grande, si divertirà anche Vostra Ec-
cellenza !...
Ah, come aspettava di crescere! Con quanta impa-
zienza, con qual rancore verso il padre vedeva scorrere
i giorni, le settimane, i mesi e gli anni, in quella pri-
gione! Con qual animo udiva adesso le prediche se-
vere dei monaci, <fopo aver saputo la loro vita ! Spesso
discorreva di queste cose scerete con Giovannino, gli
diceva quel che avrebbe fatto appena fuori del con-
vento; e Giovannino stava a sentire con aria stralunata,
quasi non capisse. Era cosi quel ragazzo, alle volte fu-
rioso come un diavolo, alle volte inerte come uno scemo.
\^oleva anche lui andar via dal convento, e dava, a
giorni, in ismanie terribili; .ma poi si persuadeva dei
ragionamenti della duchessa sua madre, che i quattrini
di casa erano tutti del fratello Michele, che a San Ni-
cola sarebbe stato da signore, fra tanti altri signori,
e si chetava, non pensava più a scapparsene, non invi-
diava la futura libertà di Consalvo.
Finita l'agitazione politica, era venuta meno una gran
causa di risse al Noviziato e tra i Padri ; ma questi
avevano trovata un'altra ragione di battagliare. Le voci
relative alla prossima soppressione dei conventi erano
state confermate da Roma ; non poteva passar molto che
il governo degli usurpatori avrebbe messo le mani sui
beni della Chiesa. Don Blasco s'era nettata la bocca
contro i liberali, i fedifraghi, nemici di Dio e di loro
stessi, che non avevano voluto dargli retta. Adesso però,
piij che gridare, bisognava prendere un partito in pre-
visione di quell'avvenimento. A San Nicola s'era sempre
spesa allegramente tutta la rendita del convento, nella
certezza che la cuccagna sarebbe durata fino alla fine
dei secoli ; ma col mondo sottosopra, col pericolo che il
governo abolisse davvero le corporazioni religiose, non
era più conveniente moderare le spese, perchè il più
corto non rimanesse poi da piede? L'Abate, come sem-
pre, aveva preso consiglio prima di tutto dal Priore.
Padre don Lodovico, modestamente, non aveva voluto
- 3^6 -
pronunziarsi : « Che posso dire a Vostra Paternità ?
L'avvenire è nelle mani di Dio. Dalla nequizia dei tempi
c'è tutto da aspettarsi. I nemici della Chiesa son ca-
paci di questo e d'altro. Non mi stupirei se ricomin-
ciassero le persecuzioni dell' infernale Ottantanove. »
Eg-li era sincero nel suo livore contro il nuovo ordine
di cose, che da principio aveva appoggiato per poli-
tica, per tenersi bene con la nuova potestà temporale.
Ma la soppressione dei conventi distruggeva tutti i suoi
sogni di rivincita, di predominio, d'onori. Che cosa
gì' importava oramai del bilancio di San Nicola, mentre
pericolava tutto il proprio avvenire, Jl frutto di quindici
anni di politica, mentre egli doveva pensare a una
nuova via da battere, a un altro scopo verso il quale
dirigere la propria attività? E quel povero mo deir.A.bate
insisteva per avere la sua opinione sulle miserie della
spesa quotidiana ! « Dimmi tu come debbo regolarmi !
Che cosa faresti al mio posto?... » Un momento, don
Lodovico provò la tentazione di levarselo dai piedi ;
ma, chinato il capo, con maggiore umiltà di prima,
rispose : « Vostra Paternità è troppo buona! Le eco-
nomie mi sembrano sempre lodevoli. Se il Signore non
{permetterà che i suoi servi siano messi alla prova,
avremo qualche cosa di piij da destinare alle opere
buone » Così l'Abate s'era pronunziato pel risparmio,
d'accordo col Capitolo ; ma i monaci non furono tutti
d' un sentimento. Tra quelli che non credevano possi-
bile la soppressione, tra gli altri che temevano di dover
rinunziare al lusso di cui avevano sempre goduto, il
partito delle economie trovava molti oppositori. In mezzo
ai due campi don Blasco non voleva né tenere né scor-
ticare, scaraventandosi a un tempo contro gli uni e
gli altri. Combattere il sistema delle economie con la
speranza che il governo non commetterebbe la spoglia-
zione, egli oramai non poteva più, se questa spoglia-
zione aveva prevista e rinfacciata ai traditori liberali ;
e del resto le economie destinate ad essere spartite tra
i monaci in caso di scioglimento erano nel suo modo
di vedere, poiché egli avrebbe avuto la propria parte,
uscendo dal convento ; però non voleva rinunziare allo
scialo cui era avvezzo, e poi lo stesso fatto che questo
partito era capitanato dall'Abate e dal nipote Priore
e da tutti quelli del Capitolo, faceva che egli si sca-
gliasse contro di loro, chiamandoli « lerci straccioni, »
gridando : « \''adano a fare i locandieri o i bottegai !
Si mettano a vender l'olio, il vino e il caciocavallo !
A questo scn buoni ! Per questo mestiere sono nati !... »
Udendo dall'altro canto i patriotti cullarsi nella certezza
che il governo, in ogni caso, avrebbe pensato a loro,
s'evacuava : « Il governo vi butterà fuori a pedate e
vi porgerà il sedere da baciare ! Giuda vendè Cristo,
ma n'ebbe almeno trenta denari ! A voialtri toccheranno
calci nel preterito per giunta!... »
In fondo, all' idea della spartizione dei quattrini, di
possedere finalmente qualcosa di suo, era per le eco-
nomie, pure combattendole. Del resto a San Nicola la
spesa era grande non tanto per il valore delle cose
acquistate, quanto pel modo regale di sperperare i quat-
trini, di compensare il più piccolo lavoro, di far godere
ai primi venuti il ben di Dio accatastato nei sotterranei
del convento. Con un certo ordine, lasciando che i
cuochi rubassero un po' meno di prima, che i Fratelli
destinati al governo dei feudi s'arricchissero in un
tempo un poco più lungo del consueto, c'era da riporre,
ogni anno, una somma che avrebbe fatto l'agiatezza
di parecchie famiglie. Ma le case regalate ai protetti
dei monaci, per esempio, non bisognava toccarle : don
Blasco avrebbe voluto veder proprio questo, che aves-
sero tolta la bottega e il quartierino alla Sigaraia ! E
né lui né gli altri volevano rinunziare ai loro diritti :
spesato ed alloggiato, ciascun Padre aveva tre rotoli
d'olio al mese, una soma di carbone, una salma di vino,
tutta roba che andava a finire dalle amiche. Ora ì ri-
sparmi stavano bene ; ma ciascuno pretendeva il suo.
L'Abate, o di buona o di mala voglia, doveva lasciarli
fare. Egli del resto chiudeva adesso un occhio, perchè
— 3-2» —
aveva da propiziarseli. Camillo Giulente, compiti ven-
t'anni ed espressa la ferma decisione di pronunziare
i voti, era passato al noviziato formale. C'era stato bi-
sogno di una votazione, per questo, e l'opposizione con-
tro r intruso, scatenatasi più violenta, aveva gridato
e minacciato alto per impedire la sanzione dello scan-
dalo. Ma l'Abate aveva insistito personalmente presso
tutti i Padri, raccomandando quel ragazzo, facendo
rilevare le sue eccellenti qualità, il profitto ricavato negli
studii, la sua triste situazione di orfano povero. Ai ca-
poccia aveva fatto parlare dal Vescovo e scrivere dai
parenti, dalle persone che potevano esercitare qualche
influenza sull'animo loro; cosi qualcuno s'era piegato,
altri aveva dato una promessa in aria, e insomma no-
nostante le grida e i complotti, Giulente era stato am-
messo, ma per pochi voti. La Inotizia aveva fatto
chiasso : i nobili improvvisati, di fresca data, se n'erano
rallegrati come di una fortuna loro propria, riconoscendo
r influsso dei nuovi tempi, l'azione spregiudicata dei
Padri liberali ; ma, tra i puri, lo scandalo durava ancora.
Adesso, passato l'anno di prova, innanzi che il no-
vizio potesse pronunziare i voti, bisognava che il Capi-
tolo rinnovasse lo scrutinio. L'Abate, quantunque si-
curo del fatto suo, pure trattava tutti con le molle
d'oro, s'affidava a don Lodovico, gli esponeva le nuove
ragioni che dovevano indurre i monaci a dire di si.
Dopo un primo voto favorevole era mai possibile darne
uno contrario, se durante tutto questo tempo il gio-
vanotto era stato il vivente esempio del rispetto, del-
l'umiltà, dello zelo religioso? Del resto, se quel che
si temeva dovesse realmente accadere, se il governo
avesse soppresso i conventi, che fastidio poteva dare
il nuovo monaco agli antichi ? Era bene, anzi, nelle
tristizie dei tempi, far vedere ai persecutori della Chiesa
che lo stato monastico rispondeva a un vero bisogno
sociale, se, col pericolo di non goderne più i vantaggi,
i giovani chiedrv'ano egualmente di sopportarne i pesi —
E l'Abate, assicurato da don Lodovico che tutto sarebbe
— 3^9 —
andato a seconda, dormiva tra due guanciali. Arrivato
il giorno della votazione e posta ai Padri la quistione
se volevano fra loro il Giulente, trenta sopra trentadue
votanti risposero no, e due soli consentirono.
— Per una volta che si ragiona ! — esclamò don
Blasco quasi sotto il naso di Sua Paternità.
Il complotto era stato preparato sottomano da un
pezzo. Alla prima votazione una metà dei votanti s'eran
lasciati piegare sapendo bene che quel voto non pre-
giudicava nulla, che bisognava poi tornar da capo; ma
dovendo ora dir sul serio, nessuno aveva piij esitato :
borbonici e liberali, fautori e avversarli dell'Abate, il
partito delle economie e quello dello scialo, s'erano tutti
accordati nell'opporsi all'ammissione tra i discendenti
dei coliquistàtori del regno e dei Viceré di un pronipote
di mastri notari come Giulente. Non importava loro
della prossima o lontana fine della cuccagna, né del-
l'esempio da dare nell'interesse della religione; c'era
innanzi tutto il principio di tener alto, « il bestiame da
non confondere, » come diceva don Blasco ; se il giovane
era orfano e povero, gli si sarebbe dato da dormire
e da mangiare, come a uno di quei tanti parassiti che
vivevano sul convento ; ma permettere che rivestisse
la nobile tonaca benedettina? Che gli si dicesse Vostra
Paternità? Che sedesse alla loro mensa?...
E per tutta la clientela del convento corse un lungo
sussurro di approvazione : così andava fatto, sin dal
principio! Era una bella lezione data all'Abate!... Il
giovanotto, dal dispiacere, dalla vergogna, restò un
mese senza farsi vedere. Quando riapparve, pallido
e con gli occhi rossi, non si seppe che cosa farne. Se
i Padri non l'avevano voluto, non era più possibile ri-
mandarlo tra i novizii, alla sua età e dopo quello scan-
dalo, specialmente, che attirava sul povero diavolo le
beffe e gli insulti del principino e dei suoi compagni.
Così l'Abate dovette assegnargli una camera fuori
mano, in fondo a un corridoio deserto ; e Giulente, la-
sciato l'abito di San Benedetto per l'umile veste del
— 330 —
prete, se ne stava tutto il giorno a studiare sui libri
che il suo protettore gli faceva mandare dalla biblio-
teca. Al refettorio, né i Padri ne i novizii volendolo con
loro, egli mangiava alla seconda tavola, in compagnia
dei Fratelli di servizio Don Lodovico esprimeva il
proprio dolore all'Abate per questa persecuzione. Egli
s'era guardato bene dal far la propaganda della quale
Sua Paternità l'aveva pregato, prima di tutto perche
il suo proposito di neutralità glielo vietava, poi perchè
neppur lui voleva Giulente al convento. Nondimeno
era stato il solo a votare il si, per dimostrare al Supe-
riore la propria fedeltà, sicuro frattanto dell'unanime
opposizione dei monaci. Dopo l'esito dello scrutinio,
gettava la colpa sulla doppiezza dei Padri, che dopo
tante promesse, all'ultimo momento, per uno « stupido »
pregiudizio, s'eran disdetti — E cosi la baracca andava
avanti, col solito armeggio dei partiti, con le solite
discussioni più o meno burrascose, quando un bel giorno
tutta la frateria fu messa a rumore da un avvenimento
straordinario, come al tempo della rivoluzione.
Garibaldi era già in Sicilia a far gente, non si sapeva
perchè, o meglio, si sapeva benissimo : per andar contro
il Papa. Al suo avanzarsi un mal represso fremito si
levava tutt' intorno, per le città e le campagne, mentre
le autorità si barcamenavano non sapendo a qual santo
votarsi, e un po' fingevano d'osteggiarlo, un po' gli ce-
devano il passo. Quando egli si presentò dinanzi a Ca-
tania, la guarnigione che doveva arrestarlo aveva g:?,
sgomberata la città, e il prefetto scese al porto per im-
barcarsi sopra un legno di guerra. E il Generale entrò
coi suoi volontarii tra due siepi vive di popolazione che
applaudiva e gridava freneticamente, in mezzo a un de-
lirio d'entusiasmo dinanzi al quale le stesse dimostra-
zioni del Sessanta parevano tiepide e scolorite. Da un
balcone del Circolo degli operai, dominando il corso
gonfio di popolo come una fiumana, egli spiegava lo
scopo della nuova impresa, gettava con la voce dolce
— 33^ —
il grido della nuova guerra: «e O Roma, o morte!... »
Poi, dove andò egli a porre il suo quartier generale ?
A San Nicola !
Le grida, il trambusto che ci furono lassù tra i mo-
naci si lasciarono anch'essi molto indietro le dimostra-
zioni del Quarantotto e del Sessanta. Don Blasco di-
venne un energumeno; disse cose dei « Piemontesi » eli:
non fucilavano Garibaldi e di Garibaldi che non spaz-
zava via i « Piemontesi », da far turare le orecchie a
un Saracino. E la sua piij viva speranza, la fede che lo
sorreggeva, era quest'ultima : che i due partiti si ster-
minassero reciprocamente, che i briganti della Basili-
cata dessero l'ultimo crollo alla baracca, che succedesse
così un cataclisma, il diluvio universale non piia d'acqua
ma di ferro e di fuoco perchè il mondo risorgesse pu-
rificato dalle proprie ceneri. £ i monaci liberaloni,
« quei pezzi di scannapagnotte, » osavano ancora batter
le mani mentre la rivoluzione ordiva la finale rovina
dell'ultimo rappresentante delle legittimità, del piij
augusto, del più sacro; il Santo Padre! Battevano le
mani come gli arruffoni, come gli affamati in busca di
un'offa, come i galeotti evasi di cui si componevano le
nuove bande ! E dimenavano i fianchi ingrassati a spese
di San Nicola, e si fregavano le mani che la beata cuc-
cagna permetteva loro di mantener bianche e lisce come
quelle delle dame !
— . Manetta di mangia a ufo che siete, avete forse
vinto un terno al lotto ? Non capite che più presto
r eresia trionferà, più presto vi butteranno in mezzo 3
una strada? Di che vi rallegrate, traditori più di Giuda?
Non volete capire che avete tutto da perdere e niente
da guadagnare ?
— E con questo?
— Come con questo ?
— Ci piglieremo anche noi un po' di libertà....
Quando gli dettero quella risposta, il monaco impal-
lidì, poi tutto il sangue gli montò alla testa e gli occhi
parvero sul punto di schizzare dalle orbite.
— 332 —
^- Ah, si; ve ne manca? — articolava. — Vi manca
la libertà?... Siete chiusi in fondo a un carcere, poveri
disgraziati ?... Che libertà vi manca, d' ubbriacarvi come
tanti otri ? >di crepare dalla sazietà ? di mantenere le
vostre ciarpe?... Non lo sapete, no, come vi chiama la
gente?... — E spiattellò loro in faccia l'epiteto popo-
lare col quale erano designati da tutta la città : — Porci
di Cristo !...
In mezzo al baccano delle discussioni che minaccia-
vano di finire a cinghiate, il povero Abate pareva un
pulcino nella stoppa, non sapendo come fare, non vo-
lendo dar mano ad affrettar lo scempio dei buoni prin-
cipi!, ma non potendosi opporre alla venuta dei Gari-
baldini. Pertanto s'afferrava al Priore, si metteva nelle
sue mani, non lo lasciava più. Don Lodovico, lagnandosi
delle tristizie dei tempi, invocando dal Signore la
cessazione di quelle dure prove, prese le redini del
convento e preparò il ricevimento di Garibaldi : ordinò
che dessero aria al quartiere reale, che approntassero
pagliericci e foraggi, che vuotassero le cantine e i
riposti. Quando arrivò il Generale, gli andò incontro
fino a pie dello scalone, accompagnò ai loro alloggi gli
aiutanti e presiedè il pranzo delle camicie rosse, scu-
sando l'Abate che una piccola indisposizione costringeva
a letto.
Don Blasco, giallo come un limone, non potendo più
gridare all'arrivo dei Garibaldini, s'era tappato una
seconda volta al Noviziato. Quasi tutti i ragazzi non
e' erano più, ripresi dalle rispettive famiglie, che per
paura dei torbidi si mettevano in salvo. Solo il princi-
pino, Giovannino Radali e due o tre altri erano rimasti,
mentre gli Uzeda erano scappati al Belvedere, tranne
Ferdinando, chiuso come sempre alle Ghiaììde, e
Lucrezia con Benedetto, il quale riprendeva il suo posto
di combattimento in quei giorni agitati, tra le poche
autorità e i rari notabili rimasti. Egli si sarebbe anzi
arrolato, per far la nuova campagna con gli antichi
commilitoni, senza il dovere di non abbandonar la
— .133 —
moglie. Salito su al convento, il domani dell' arrivo di
Garibaldi, andò ad ossequiare il Generale, che lo rico-
nobbe subito, gli strinse la mano, e lo intrattenne un
pezzo non ostante l'andirivieni delle commissioni, delle
rappresentanze di ogni genere accorrenti incontro
all'antico Dittatore. La incertezza e l'inquietudine, le
speranze e i timori intorno a quel che sarebbe seguito
erano universali. Quali disegni aveva Garibaldi? Quali
ordini i rappresentanti dell'autorità? Il conflitto, se
mai, sarebbe scoppiato a Catania ? Che cosa avrebbe
fatto la Guardia nazionale?... Non si sapeva nulla;
certuni dicevano che il Governo fosse secretamente
d'accordo con Garibaldi, che facesse finta d'osteggiarlo
per l'occhio dei potentati. Benedetto, ripresa la pub-
blicazione dell' Italia Risorta, sosteneva questa opinione,
e il silenzio del duca d' Oragua, al quale aveva scritto
lettere su lettere pregandolo di tornare in Sicilia, poicJic
la presenza di lui poteva divenire necessaria, lo induceva
a confermarvisi. Aveva pertanto assicurato al Dittatore
l'unanime consenso di tutto il paese. Congedatosi e sul
punto di riscendere in città, si udì chiamare :
— Eccellenza!... Eccellenza!...
Era Fra Carmelo che gli veniva dietro. All' orecchio,
e con aria di mistero, quando 1' ebbe raggiunto :
— Suo zio don Blasco, — gli disse, — ha da par-
larle—
Rintanato nell' ultima stanza dell'ultimo corridoio del
Noviziato, don Blasco volle sentire due volte la voce
del nipote prima d'aprire. Serrato l'uscio sul muso del
Fratello :
— Sei dunque impazzito anche tu, pezzo di bestione?
— disse a Benedetto-
Questi aveva appena domandato un perchè timido e
sommesso, che il monaco ricominciò, con nuova vio-
lenza :
— Come, perchè? Hai il viso di domandarlo? Con
la guerra civile che state per far scoppiare ? La città
bombardata ? Le strade insanguinate ? I galantuomini
perseguitati?... E mi domandi perchè?...
— Non è colpa —
— Non è colpa tua? Di chi, dunque? Mia, forse?
Sicuro ! Li ho scatenati io in persona ! Conosco il so-
lito giuoco ! GÌ' istigatori sono i galantuomini colpevoli
di non transigere con la propria coscienza ! Mi mera-
viglio che non son venuti ad arrestarmi!... Vengano,
vengano pure!... — e pareva un leone, con gli occhi
sfavillanti.
— Vostra Eccellenza si calmi — balbettava Giu-
lente.
— Ho da calmarmi, anche? Mentre il mio paese è
minacciato dell'ultima rovina? Quando vedo una bestia
della tua cubatura batter le mani con gli altri, invece
di evitare quest'inferno?...
— Ma in qual modo ?
— In qual modo ? Facendoli andar via ! Si scannino
in campagna, sul mare, dove piace loro, non dentro una
città come la nostra, dove i danni sarebbero incalcola-
bili, dove ne andrebber di mezzo le donne, i vecchi,
i bambini, i galant — \'adano via a scannarsi dove gli
piace; il mondo è grande!... Ecco in qual modo!...
Giulente rimaneva perplesso, non osando contraddire
allo zio, ma non volendo neppure disdirsi dopo mez-
z' ora.
— Ma come fare ? Tutto il paese è pel Generale....
— Tutto il paese ? Prima di tutto, sei una bestia !
Quale paese ? I pazzi come te ? E poi, quand' anche,
ragione di più ! Se il paese è per lui, se e' è entrato
da trionfatore, che resta a farci? Fosse una piazzaforte,
capirei ; ma una città aperta ai quattro venti ? Se ha
da attaccar battaglia, vada altrove ! Si porti chi vuole
e ciò che vuole, e buon viaggio !...
Il monaco, a poco a poco, s' era venuto placando, e
aveva detto le ultime parole quasi col tono di voce di
ogni altro cristiano ; ma appena Benedetto osservò ;
— E chi lo persuaderà ?
— Ah, sangue di Maometto ! — riprese col vocione
di prima e un gesto furioso. — Parlo con una bestia
— 335 —
Ci con un essere ragionevole? Chi l'ha da persuadere?
Voialtri che gli slate attorno ! C è una Guardia nazio-
nale ? C'è un'autorità qualunque? Tu, che cavolo sei?
Capitano, buon cittadino, il diavolo che ti porta via ?
Tocca a voialtri parlar chiaro e tondo, dopo che i tuoi
conigli Piemontesi se la sono battuta, lasciandoci nel
ballo ! O credi forse che voglia impicciarmi con cotesti
assassini, briganti, galeotti, ru —
Al rumore di un passo risonante pel corridoio, don
Blasco ammutolì come per incanto. Si gargarizzò quasi
la gola gli prudesse, fece due passi per la camera, si
fermò un momento a tender l'orecchio; poi, cessato il
rumore, dichiarò :
— Se vuoi capirla, tanto meglio; se no, mettiti bene
in testa che a me, come a me, importa un solennissimo
cavolo di te, di Garibaldi, di \'ittorio Emanuele, e di
quanti siete —
Giulente tornò a casa sua impensierito ed inquieto.
Appena entrato in carriera di sua moglie, vide Lucrezia
seduta in un angolo, con gli sguardi a terra e gli occhi
rossi.
— Che hai?... Che è stato?...
— Nulla. Non ho nulla.
— Ma tu hai pianto, Lucrezia ! Parla ! Dimmi che
cos' hai !...
Ella negava, senza guardarlo in faccia, con la bocca
ostinatamente cucita, e se non era Vanna che soprav-
veniva, Benedetto non sarebbe riuscito a saper niente.
— La padrona non vuol restare in città, — dichiarò
la cameriera. — Tutti i suoi parenti se ne sono andati,
anche la povera gente si mette al sicuro, e lei sola ha
da restare al pericolo ?
— Che pericolo?... Lucrezia, è per questo? Ma se
non e' è pericolo di niente ? Che temi ? Non ?ono qua
io? A me non faranno nulla, in nessun caso! Se ci
fosse un pericolo anche lontano, ti lascerei qui ? An-
dremo via se le cose si guastano; ho bisogno di pro-
mettertelo ?...
— 336 —
Dopo che ebbe parlato un quarto d' ora, ella articolò :
— Voglio andarmene dai miei parenti.
— Ma santo Dio, perchè? Stamattina era cosi tran-
quilla ! Che cosa è mai successo ?
Era successo questo : che la moglie di Orazio, il coc-
chiere del principe, aveva fatto una visita all'antica pa-
droncina per annunziarle, col fiato ai denti, che scap-
pava anche lei al Belvedere. « Eccellenza, qui non si
può più stare. Oggi non sa che cosa è successo ? I sol-
dati piemontesi rimasti all' infermeria se ne andavano
a raggiunger la truppa. Al Fortino, i Garibaldini li
vogliono fare prigionieri. Allora, Gesù e Maria, il te-
nente ordina baionetta in canna ! E io che passavo con
le creature !... Dallo spavento sto ancora tremando ! Ho
fatto un fagotto di quei quattro cenci, e stasera me ne
vado — » Allora, se la moglie del cocchiere andava via,
lei, la sorella del principe, era da meno della moglie
del cocchiere?... Quest'idea non era sorta improvvisa-
mente nella sua testa. Lottando per sposare Giulente,
ella aveva giurato di non aver più che fare con gli
Uzeda ; tutte le ragioni da loro addotte per denigrare
Benedetto e la famiglia di lui, 1' avevano invece sempre
più confermata nel suo proposito. Ma, trionfando delle
opposizioni, ella aveva cominciato a rimuginare, nelle
lunghe ore d'ozio e d'inerzia, gli antichi argomenti
della zia Ferdinanda, di Giacomo, del confessore ; la
persuasione d' essere discesa, sposando Benedetto, aveva
cozzato un pezzo con l'ostinazione antica; in rotta col
fratello, il cruccio di non poter più entrare nella casa
dei Viceré, di sentirsi quasi posta al bando dai parenti,
r aveva occupata a poco a poco, mentre ella continuava
a prendersela con loro. Al principio delle inquietudini
pubbliche, la fuga generale dei nobili e dei ricchi aveva
colmato* la misura, ed ora ella dimenticava ciò che
aveva detto contro Giacomo, la freddezza sorta tra
loro due, il fermo proposito di non piegarsi : voleva
andarsene al Belvedere, se perfino la moglie del coc-
chiere c'era andata
Giulente stava ancora cercando di persuaderla, quando
arrivò la posta; in mezzo ai giornali c'era finalmente
una lettera del duca. Il duca diceva di non aver più
ricevuto sue lettere, in quei momenti di agitazione, che
gliele facevano aspettare con impazienza. Le notizie
di Sicilia gli avevano messo la febbre addosso, tanto che
egli voleva subito far le valige ; ma disgraziatamente
era impedito da molte e gravi faccende, « tutte d' inte-
resse del collegio e del paese. » Del resto, se voleva
trovarsi fra i proprii concittadini, ciò era per avvertirli
di non lasciarsi trascinare da Garibaldi. « Lo dico dunque
a te che puoi farlo capire alle teste riscaldate, dove
più insistente si cammina a nome del principio utopista,
si corre sicuro al naufragio. Altronde il Governo è de-
ciso opporsi in tutti i modi a simile aberrato. Ed io,
credo, che fa benissimo ; anzi che ha perduto troppo
tempo. Garibaldi dev'essere arrestato a forza; non si
può permettere che una nazione di ventisette milioni
è messa in orgasmo da un upmo che ha meriti distinti,
ma pare avere giurato di farli dimenticare con una
condotta che » e qui due facciate contro Garibaldi.
« Perchè poi, voltiamo la pagina, neppure il Governo
è libero, e non bisogna lusingarsi col non intervento ;
c'è la Francia che fa un casa del diavolo. Napoleone
ha detto l'Austria aspetta un pretesto — tutta
r Europa invigila » e un altro foglietto di gravi
considerazioni sulla politica internazionale. « Quindi ti
raccomando di far comprendere queste verità agli amici,
ed anche, anzi sopratutto, agli avversarli. Bisogna evi-
tare un serio disastro al nostro paese, e tutti bisognano
persuadersi del pericolo della situazione. Pregoti di
parlare e occorrendo scrivere in questo senso ; anzi
sono sicuro che nella tua accortezza, ti sarai già messo
all' attuazione »
Per la terza volta in tre ore, qualcuno dei suoi pa-
renti lo sping'eva cosi nella via da cui egli ripugnava.
Il duca scriveva, escandescenze a parte, come don Blasco
parlava; il monaco borbonico era, in fondo, d'accordo
De Roberto. I Viceré - I 22
col deputato liberale; e sua moglie, chiusa in camera,
gli teneva il broncio, complottava con la cameriera per
indurlo ad abbandonare il suo posto.
La sera, ad una tempestosa riunione del Circolo Na-
zionale, dove il partito garibaldino e il governativo erano
venuti quasi alle mani, egli s' alzò per parlare. Neil' im-
barazzo da cui era vinto, l'argomento suggerito da don
Blasco gli parve il più opportuno. « Nessuno poteva
mettere in dubbio, disse, la sua devozione al Generale,
né la coscienza gli permetteva di dare ragione a quelli
che volevano schierarsi contro il liberatore della Sicilia ;
ma bisognava piuttosto dimostrargli, col dovuto rispetto,
il pericolo a cui era esposta la città. Delle due 1' una :
o agiva d' accordo col Governo, e allora non aveva
nessun interesse di restare a Catania ; o il Governo gli
si opponeva, e allora bisognava chiedere al suo cuore
di evitare gli orrori della guerra civile ad una città
popolosa e fiorente. E questo era proprio il caso, poiché
il Governo aveva deciso di opporglisi » Quel discorso
scandalizzò i suoi antichi amici ; ma, prendendoli a parte
uno dopo l'altro quando l'assemblea fu sciolta senza
nulla deliberare, egli li esortò a piegarsi, esponendo la
verità nuda e cruda, le notizie dategli dal duca. « Per-
ché non viene egli stesso, allora ? » gli domandavano ;
« che cosa sta a fare a Torino, mentre qui si balla ? »
ed egli lo giustificava, annunziando che si sarebbe
messo in viaggio al più presto possibile, ma che in-
tanto bisognava mandare una commissione al Gene-
rale per indurlo a s,gomberare
La sua propaganda ottenne 1' effetto desiderato. Sul
partito ostile a Garibaldi s'erano accumulati molti so-
spetti, poiché i borbonici, i paurosi senza nessuna fede
erano con esso; ora che un liberale provato consigliava
non la resistenza, ma la rispettosa esposizione del peri-
colo, questo consiglio si faceva strada. Benedetto non
ebbe tuttavia il coraggio di andare in persona dal Ge-
nerale ad esporgli la sua nuova opinione; lasciò che
andassero gli altri. Costretto a condurre sua moglie al
— 339 —
Belvedere, se ne tornò solo in città, aspettando gli av-
venimenti, scrivendo e telegrafando al duca per invitarlo
a venire. Passarono alcuni giorni senza che la situa-
zione mutasse. Garibaldi, dall' alto della cupola di San
Nicola, scrutava spesso la linea dell' orizzonte, col can-
nocchiale spianato; o, curvo sulle carte, studiava i suoi
piani, o riceveva la gente e le commissioni che veni-
vano a trovarlo. Finalmente s' imbarcò con tutti i volon-
tari, non si sapeva dove diretto, se in Grecia o in
Albania; ma, dopo la partenza, un lievito di scontento
restò nella città, una sorda agitazione che le persone
influenti e la stessa Guardia nazionale non riuscivano a
sedare. Il movimento era adesso contro i signori, contro
i ricchi ; Giulente aveva arringato i tumultanti, ma nes-
suno lo ascoltava più ; e il duca gli scriveva ancora che
non poteva venire, che stava poco bene, che i grandi
calori gli avevano rovinato lo stomaco —
Un pomeriggio che don Blasco aveva arrischiato,
per la prima volta, una visita alla Sigaraia, dove, ridi-
ventato un energumeno, augurava il reciproco sterminio
dei Garibaldini e dei Piemontesi, arrivò Garino giallo
come un morto :
— La rivoluzione!... La rivoluzione!... Bruciano il
Casino dei Nobili
Infatti la dimostrazione era diventata sommossa, le
fiamme consumavano il circolo dell'aristocrazia. Il mo-
naco, manco a dirlo, tornò a sbarrarsi al convento, e non
lo lasciò più se non quando la truppa regolare rioccupò
la città. Ma l'eccitazione degli animi prodotta dall'avve-
nimento d'Aspromonte, le paure, i pericoli, non pare-
vano cessati, e il principe non si moveva dal Belve-
dere, e Giulente tornava a pregare il duca di farsi vivo,
di venire a metter la pace nel paese. Il duca non venne;
rispose ancora che i medici gli avevano vietato di tor-
nare in Sicilia. « Sono disperato, non posso trovarmi
fra voi come dovrei e vorrei, non solamente per tutto
ciò che mi dici di Catania, ma anche perciò che è av-
venuto a Firenze »
— 340 —
Benedetto non sapeva a che cosa alludesse; 11 per lì
non pensò neppure che Raimondo era in Toscana. Seppe
qualche giorno dopo di che si trattava, quando arri-
varono, insieme, il conte e donna Isabella Fersa, e
scesero all'alberg-o, sempre insieme, come fossero ma-
rito e mos'lie.
IV.
L'impressione prodotta da quell'avvenimento fu tale
che tutt'a un tratto Garibaldi e Rattazzi, Roma ed
Aspromonte passarono in seconda linea. Il conte Uzeda
con donna Isabella ! All'albergo insieme, quasi fossero
due innamorati fuggiti di casa per forzar la mano alle
famiglie! E la contessa? E il barone? Com'era suc-
cesso il pasticcio ? E come sarebbe andato a finire ?
Pasqualino Riso, reduce da Firenze, col padrone,
fu assediato di domande. Pareva un signore, Pa-
squalino : abito tagliato all'ultima moda, biancheria
finissima, anelli alle dita, scarpe verniciate, che se non
era la faccia sbarbata, ognuno lo avrebbe preso per
un cavaliere. E nelle portinerie, nelle stalle, nei caffè
dei cocchieri, nelle anticamere della parentela, diede
tutte le spiegazioni desiderate. « Che il contino non
potesse durarla a lungo con la moglie, egli l'aveva
previsto da un pezzo, e tutti avevano potuto accor-
gersene l'anno innanzi, quando il signor don Rai-
mondo era scappato lontano da quella donna che gli
amareggiava l'esistenza. Lo sapevan tutti che egli vo-
leva bene a donna Isabella; dunque la contessa, se
fosse stata un'altra, che cosa avrebbe dovuto fare ?
LTsar prudenza, per amore dei figli ! Invece, nossi-
gnori : pianti, strepiti, accuse, minacele, suo padre
sempre tra i piedi : bisognava esser fatti di stucco per
resisterci ! Ma quantunque la pazienza fosse scappata
una prima volta al povero contino, pure egli aveva
— 341 —
ceduto — tant'era vero che il torto non stava dalla
sua parte ! — dimenticando il passato, rassegnandosi a
tornar con lei perchè i figli ne andavan di mezzo. Gli
uomini, si sa, non possono star sempre cuciti alle
gonne delle mogli, e il contino non aveva fatto più
di ciò che fanno tutti i mariti. Le donne accorte, quelle
che hanno due dita di cervello, capiscono queste cose,
chiudono un occhio e fanno la volontà di Dio. Invece,
quella santa cristiana della contessina, dopo d'aver
promesso d'essere ragionevole, aveva cominciato àa.
capo ; ma come ? peggio di prima ! Suo marito non
poteva pigliare un po' d'aria che lei non gli facesse
una scenata : se andava al Gluhho a trovar gli amici,
a far quattro passi, subito i sospetti, i pianti ed i
rimproveri. E gli strepiti per la passeggiata alle Cas-
sine? Il contino, che usciva a cavallo, ci trovava donna
Isabella in carrozza e, naturale ! si fermava a salu-
tarla ; giusto in quel punto : ciaff-ciaff , chi spuntava ?
la carrozza della padrona !... O buona donna, se questo
le dispiaceva, perchè non se ne andava al giardino dei
Popoli, che non è meno bello?... E poi, con le bam-
bine ? con quel diavoletto della maggiore che capiva
tante cose come una donna fatta ? Le bambine avrebbe
dovuto lasciarle alla Missa inglese che il contino aveva
preso appunto per questo!... La sera, poi, a casa, un
inferno ! E il povero contino : santa pazienza, aiutami
tu!... La padrona, quando smetteva di andargli dietro,
cominciava un'altra musica : chiusa in camera quin-
dici giorni di fila, senza metter fuori la punta del naso,
non ascoltando né ragioni né preghiere, senza riguardi
per la bambina piccola che aveva bisogno di pigliar
aria e non voleva andar fuori se la sua mamma le-
stava in casa ! E il conte : santa pazienza !... Ma questo
sarebbe stato niente : finché era sua moglie quella che
lo metteva con le spalle al muro, il padrone soppor-
tava tutto in santa pace. Un bel giorno, che pensa di
fare la contessa? Pensa di chiamare suo padre, di
metterselo in casa e di scatenare una guerra tra suo-
— 342 —
cero e genero!... Bisognava che fosse ammattita! Lei,
fino a un certo punto, poteva mescolarsi nelle faccende
del contino; ma suo padre? Chi era suo padre? Un
estraneo, villano rivestito per giunta, e rompiscatole
anche ! Diciamo le cose come sono : prima di tutto gli
mancava l'educazione : uno che aveva imparato alle
figlie a dargli del tu ! Istigato poi dalla contessa, era
diventato una bestia, salvo sempre il santo battesimo,
e il conte doveva sorbirsi le sue impertinenze, in casa
propria ! Un giorno, solo per aver detto che certi affari
gli impedivano d'accompagnare la moglie al teatro, il
barone villano ardì perfino minacciarlo col bastone !
Santo Dio d'amore, era un po' troppo ! Il contino non
gli disse niente, altro che una parola : Facchino !...
quella che ci voleva ! e preso il cappello se n'andò, per
sempre, stavolta. Chi poteva più consigliargli di tor-
nare a perdonare V Le figlie, pazienza, sarebbero an-
date in collegio, o, se la padrona voleva tenerle con se,
il padrone gliele avrebbe anche lasciate... quantunque...
quantunque — Perchè il piìj curioso, sig,nori miei, era
questo : che la contessa, mentre faceva la gelosa, si
divertiva anche lei in società ! Non che fosse successo
niente ; in coscienza, questo non si poteva dire, né il
padrone sarebbe restato con le mani a cintola, se mai !
ma bisognava vedere che smania di andare ai balli, al
teatro ; che sfarzo di abiti quando riceveva tanti uo-
mini, tanti scapoli, un certo conte Rossi, fra gli altri,
il padrone di casa — »
E la storia di Pasqualino passava di bocca in bocca,
era ripetuta dai cocchieri ai famigli, dai guatteri ai
cuochi, dai portinai agli affittacamere, ciascuno dei
quali ci ricamava su qualcosa del proprio, finché,
arrivando al gran pubblico, preparava l'opinione, gua-
dagnava simpatie alla causa del conte. Molti però
scrollavano il capo, non si lasciavano prendere; e a
poco a poco, senza che si sapesse donde, da certe
informazioni venute da Firenze e da Milazzo, da certe
parole sfuggite allo stesso Pasqualino quando si tre-
— 343 —
vava a quattr'occhi con gì' intimi, dopo aver bevuto, la
\erità cominciava a venire a galla.
Raimondo aveva giurato di romperla con sua moglie
nel punto stesso che lo zio duca lo costringeva a ri-
prenderla. Come tutte le volte che cercavano dissua-
derlo da un proposito, egli s'era maggiormente inca-
ponito. Lontano da Matilde e da donna Isabella, aveva
goduto l'illusione di quella libertà che gli stava a
cuore sopra ogni cosa; costretto a rinunziarvi, s'era
promesso di riguadagnarla a qualunque costo, e la sua
facile sottomissione ai consigli del duca non aveva
avuto altro scopo che dimostrare, con la propria ar-
rendevolezza, il torto della moglie, unico punto in cui
la versione di Pasqualino non mentisse del tutto.
L'ideale del suo padrane era di liberarsi della moglie
e dell'amica ad un tempo; ma il conto era fatto senza
l'oste, cioè senza donna Isabella. Fin dai primordii
dell'amicizia con Raimondo, fin da quando, in casa del
marito, ella resisteva alla corte del giovane, dimostran-
dogli simpatia ma opponendogli i doveri del proprio
stato, gli aveva detto e ripetuto, con un rammarico
che doveva dargli la prova dei suoi sentimenti per lui :
« Se ci fossimo conosciuti prima, liberi entrambi ! Come
saremmo stati felici!...» E quelle parole alle quali
egli non credeva, lo gelavano, e più lo avrebbero ge-
lato se le avesse credute espressione di un sentimento
sincero : come il gran torto di sua moglie era il bene
che gli voleva, la pretesa di averlo tutto per sé, di
far tutt'uno con lui, torto egualmente grave sarebbe
stato una simile pretesa da parte dell'amica. Tuttavia,
impegnato a vincere le sue resistenze, anch'egli le
aveva ripetuto : « Come saremmo stati felici ! » e giu-
rato che l'unico suo sogno era di vivere con lei, per
lei. Dopo, aveA'a tentato di dare addietro; ma donna
Isabella, perdutasi per lui, senza famiglia, senza pro-
tezione, non intendeva che le sfuggisse. Per ricondurre
a se quel tiepido amante, del quale aveva imparato a
conoscere a proprie spese la conformazione, le era ba-
— 344 —
stato addebitare la freddezza di lui all'opposizione dei
parenti, alla volontà della moglie. Ognuna di queste
allusioni era un colpo di sprone nei fianchi del giovane ;
impegnato a dimostrarle che era libero di fare ciò che
voleva, egli faceva ciò che non A^oleva.... E il martirio
della contessa Matilde era ricominciato, piij atroce di
prima, accresciuto dal nuovo disinganno, dall'impos-
sibilità di ricorrere al padre, non già perchè ella cre-
desse airabbandono di cui l'aveva minacciata, ma per
una specie d' impegno contratto dinanzi a sé stessa di
non confessare l'errore, per l'antica paura d'un urto
tra quelle due nature violente... Suo padre, quand'ella
si sentì più sola e perduta, la raggiunse. Il suo cieco
amore per la figlia e il non meno cieco odio pel genero
avevano reso vano il suo proponimento d'indifferenza;
da lontano egli li seguiva di passo in passo, aspettando
l'ora d' intervenire : e quando la misura fu colma ap-
parve. E Pasqualino l'aveva proprio udito, il colloquio
fra suocero e genero, la spiegazione definitiva avve-
nuta, dopo pochi giorni di calma apparente, giù nelle
scuderie del palazzo Rossi, per impedire che Matilde,
che le bambine udissero. Alle ingiunzioni sordamente
minacciose del barone che gli diceva : « Non vuoi fi-
nirla ? Non vuoi ? » Raimondo aveva risposto col tono
consueto di sprezzante superiorità : « Di che intendete
parlare? Occupatevi di ciò che vi riguarda!... » Si, di
ciò che lo riguardava, rispondeva il barone, della pace
di sua figlia che gli stava a cuore sopra ogni cosa, che
voleva garantita a qualunque costo, a costo di portar-
sela via e di romperla per sempre — « E chi vi trat-
tiene ? Andatevene pure ! » Era appiattato nella stalla,
Pasqualino, lì a costo, e se udiva i padroni non poteva
vederli ; ma a quella risposta del contino, al breve si-
lenzio da cui era stata seguita, aveva sentito un certo
senso di freddo in pelle in pelle. « Sì, ce ne andremo —
ma prima » E allora Pasqualino accorse. Col sangue
agli occhi, il pugno levato, il barone aveva già ag-
guantato il genero; ma,- senza il cocchiere gettatosi in
— 345 —
mezzo, era bastato a Raimondo dire una sola parola :
«Facchino!... » perchè tutt'a un tratto il suocero lo
lasciasse. Sicuro, l'aveva detta il conte quella parola;
Pasqualino non lavorava di fantasia, riferendola; e bi-
sognava aver veduto l'effetto prodotto sul barone ! Quel
pezzo d'uomo che con un soffio avrebbe buttato a terra
il genero esile e sfiaccato, che lo avrebbe spezzato
come una canna tra le mani grosse e villose, pareva
diventato un ragazzo dinanzi al maestro : il contino
Uzeda, il grazioso e frollo discendente dei Viceré ful-
minava il barone contadino con quella parola, con
queir insulto che diceva la distanza da cui erano se-
parati il signore vizioso ma bene educato e il manesco
villano ringentilito. Facchino, sì, approvava Pasqua-
lino : tra persone d'una certa nascita le quistioni non
vanno definite a pugni : e con quella parola appunto
il conte rammentava al suocero l'onore fattogli spo-
sando sua figlia ; e se il barone restava immobile come
una statua era perchè subitamente riconosceva d'esser
nel torto. La parentela con gli Uzeda non gli era parsa
una fortuna? L'orgoglio d'essere entrato nella fami-
gno dei Viceré non l'aveva accecato al punto di non
scorgere per tanti anni il sacrifizio della figlia ? Un
confuso e quasi istintivo sentimento della propria in-
feriorità dinanzi al genero non lo aveva impacciato
ogni volta che, aperti gli occhi, s'era proposto di rin-
facciargli la sua condotta, i suoi vizii, la sua durezza,
il sangue avvelenato all' innocente bambina ? Facchino,
si; egli meritava l'insulto se, lasciandosi trasportare
dall' ira, aveva voluto definire la lite come tra coc-
chieri ; e aveva riconosciuto di meritarlo, ad alta voce,
dinanzi al genero, prima di voltargli le spalle. Perchè
infatti la scena non era finita in quel punto, aveva
anzi avuto una codetta che Pasqualino narrava sólo
a quattr'occhi. « Io facchino si » aveva balbet-
tato il barone; «ma tu?... » E ad un tratto gli aveva
buttato in faccia una parola che il cocchiere ripeteva,
piano, all'orecchio delle persone
— 346 —
Raimondo lasciò allora immediatamente la sua casa,
corse dall'amica, la costrinse a far le valige e la con-
dusse seco in Sicilia.
Dovette costringerla, perchè infatti donna Isabella
non era ben sicura dell'opportunità di quel viaggio.
Ella vedeva che Raimondo voleva condurla al suo
paese per rompere clamorosamente e definitivamente
coi Palmi; ma comprendeva pure che soltanto l'ec-
citazione dei contrasti sofferti e l'impeto dell'odio pro-
vocato dalla tempestosa spiegazione determinavano
l'amico suo a quel passo, e non l'amore di lei; e sen-
tiva anche che l'ostentazione della loro amicizia, laggiù,
in una piccola città, le avrebbe fatto torto, che la mo-
rale più o meno sincera della provincia si sarebbe ri-
bellata. Pure, essendo ormai tardi, non riuscendo con
le sue osservazioni se non a eccitare maggiormente Rai-
mondo, non restandole altro per trarlo a sé che fare as^
segnamento su queste eccitazioni, ella era venuta. Gli
Uzeda, a ogni modo, sarebbero stati per lei.
Appena arrivata, infatti, donna Ferdinanda che non
ostante la mal sedata inquietudine pubblica era in
città per una sua causa contro certi debitori morosi,
venne a trovarli all'albergo, s' informò dell'accaduto,
approvò la determinazione di Raimondo con una sola
parola, ma molto espressiva : « Finalmente !... » C'erano
in città anche Benedetto e Lucrezia che s'era poi fatto
coraggio: Raimondo andò a trovarli il domani del suo
arrivo. Lucrezia gli restituì la visita nella stessa serata,
non curando l'opposizione del marito. Questi giudicava
molto severamente la condotta del cognato, e se avesse
osato, avrebbe impedito alla moglie di far quella visita ;
ma Lucrezia dichiarò che non vedeva nulla di male
nel recarsi a trovare il proprio fratello : era forse ob-
bligata a sapere che « accompagnava » una signora ?
E andarono all'albergo, dove Raimondo li ricevette
solo ; ma dopo un poco che discorrevano del viaggio
e del tempo, egli s'accostò a picchiare all'uscio della
-- 347 —
camera accanto, e comparve donna Isabella, la quale
strinse la mano a Giulente e baciò Lucrezia. Né pre-
sentazioni, né spiegazioni, né nulla. Benedetto, sulle
prime, era imbarazzatissimo, non sapeva come trattare,
con qual nome chiamare la Persa ; ma ella stessa diede
il tono alla conversazione, parlando del più e del meno
con molta disinvoltura, come tra vecchi amici, anzi
come tra veri parenti. « Pel momento erano all'albergo;
ma non potevano naturalmente restarci. Raimondo
aveva intenzione di prendere in affitto un quartiere in
città ; ella giudicava preferibile una villetta, anche per
evitare le indiscrezioni della gente. »
Giulente stava per dire che facevano bene, quando
Lucrezia esclamò :
— Che c'entra la gente ? Se vi nascondete, dirà che
avete paura ! Parliamo chiaro : vi saranno molti che
faranno gli schifiltosi, — donna Isabella cHiinò gli occhi;
— se cominciate voialtri a dar loro ragione, è finita !
Raimondo non disse nulla, aspettando di veder Gia-
como che era al Belvedere ed al quale nella mattina
aveva spedito Pasqualino per avvertirlo del suo arrivo.
Ala il cocchiere tornò con un'aria confusa e mortifi-
cata e non sapeva spiccicar parola. « È venuto ? » gli
aveva detto il principe; « e che vuole?... » come ad uno
che si presenti per chiedere quattrini. « Niente, Eccel-
lenza— manda ad avvertire 1' Eccellenza Vostra —
desidera sapere quando tornerà in città Vostra Eccel-
lenza » Con lo stesso tono di voce il principe aveva
risposto: «Comincio adesso la villeggiatura; tornerò
a novembre » e gli aveva voltato le spalle. Rai-
mondo, alla narrazione della scena, si morse le labbra ;
donna Isabella esclamò :
— Che abbiamo fatto !... Tuo fratello ci disapprova !
— ■ Ed incolpando solo sé stessa : — Ti ho messo in
urto con la tua famiglia !...
— La vedremo, — rispose brevemente Raimondo.
Le previsioni di lei si avveravano. I piij, senza acco-
gliere né rifiutare le scuse e le accuse relative al se-
— 348 —
condo e decisivo abbandono della famiglia, biasima-
vano Raimondo per il viaggio fatto insieme con l'amica,
il soggiorno nell'albergo, l'unione apertamente con-
fessata, quasi sfidando l'opinione pubblica. Egli poteva
aver torto o ragione di lagnarsi della moglie ; la pas-
sione per donna Isabella poteva scusarsi; però i mora-
listi, i padri di famiglia, le signore piti o meno timo-
rate volevan salve le apparenze ; e quantunque ci fosse
poca gente in città, pure quegli umori si manifestavano
in certi freddi saluti rivolti a Raimondo, in certi ambi-
gui discorsi di servitori. In campagna, nelle ville dove
la notizia dello scandalo giungeva, tutti discutevano
della condotta da tenere verso la coppia al ritorno in
città. Molti dichiaravano che avrebbero troncato ogni
rapporto; altri, più intimi, perciò piìi imbarazzati, fa-
cevano dipendere la loro risoluzione dal modo col quale
si sarebbe comportata la famiglia. Ora l'improvvisa
severità espressa dal principe a Pasqualino significava
chiaro che egli ritirava loro a un tratto il suo appoggio.
Dinanzi all'ostacolo Raimondo s' impennava, prendeva
r impegno di vincere ; ma come donna Ferdinanda gli
suggerì di andare personalmente da Giacomo, egli
entrò in una sorda agitazione : era disposto a far tutto
fuorché a pregare quel birbante che, dopo avergli dato
mano, gli si schierava contro chi sa per qual fine,
fuorché ad umiliarsi dinanzi a quel fratello del quale
per tanti anni, ai tempi della madre, s'era sentito odiato.
Poi il pensiero delle dimostrazioni ostili che si prepa-
ravano a lui ed all'amica sua lo arrovellava, gli met-
teva un'altra smania nel sangue. E un giorno prese
una carrozza e sali al Belvedere. Giacomo, vedendolo
arrivare, gli disse, non nel dialetto familiare, ma in
lingua :
— Buon giorno, come stai ? — e senza stendergli
la mano.
— Bene, e tu? — rispose Raimondo.
— Benissimo, — e il principe si lisciò la barba.
La principessa che si teneva accanto Teresina in-
_ 349 -
tenta a ricamare, rispose a monosillabi alle domande
del cognato, sentendo pesarsi addosso lo sguardo del
marito.
— Resterete ancora un pezzo? — domandò Rai-
mondo, rosso come un papavero.
— Si, fino a novembre. Te lo mandai a dire, credo.
E lasciò di nuovo cadere il discorso. La bambina
volgeva lo sguardo a quello zio di cui non rammen-
tava bene le fattezze, che non l'accarezzava, che suo
padre trattava come un estraneo.
— Volevo dirti una cosa, — riprese Raimondo esi-
tante, quasi pauroso, e tanto più crucciato contro sé
stesso quanto più cresceva il suo impaccio. — Volevo
domandarti se c'è qualche villetta da affittare una
casetta che faccia per me... non importa se piccola,
purché pulita —
Il principe parve cercare nella memoria.
— No, — rispose. • — ■ Tutto è preso, fin da quando
passò Garibaldi.
Raimondo che si torceva i baffi nervosamente, in-
sistè :
— . Cercherò, ad ogni modo.
E allora il fratello, con voce fredda, senza guar-
darlo :
— Cerca, se vuoi. È inutile, non ne troverai.
Raimondo andò via pallido, muto e fremente. S'era
umiliato per nulla ! Colui gli dichiarava guerra ! Non
lo voleva vicino !...
Il principe, infatti, aveva spiattellato a tutta la pa-
rentela ed la tutte le conoscenze che non trovava parole
per disapprovare la condotta di Raimondo. « È uno
scandalo inaudito ! Come non si vergogna ? Ha il viso
di tornarsene nel suo paese ? Ma quando si vuol fare
una di queste pazzie, bisogna nascondersi dove più lon-
tano è possibile, dove non si è conosciuti, dove si può
dare a intendere ciò che si vuole ! » E alla zia donna
Ferdinanda che sali un giorno a posta al Belvedere
per intromettersi, per indurlo a far come lei :
— La nostra situazione è diversa, — rispose. — •
Vostra Eccellenza è padrona di pensare ciò che crede,
di fare ciò che le piace : può anche prenderseli in casa,
non avendo da render conto a nessuno. Io ho mia
moglie e mia figlia alle quali non posso metter sotto
gli occhi un simile scandalo.
Diceva queste cose dinanzi alla principessa e alla
bambina, e le insistenze della zitellona lo trovavano
incrollabile nella sua indignazione. Anche Chiara di-
sapprovava il fatto del fratello poiché Federico lo giu-
dicava immorale ; non si parla della cugina Graziella,
la quale faceva da portavoce al principe. Tutte le pa-
role di costui, per mezzo della zitellona stomacata, dei
lavapiatti dolenti, del servitorame pettegolo, arriva-
vano all'orecchio di Raimondo, il quale fremeva, en-
trava in collere mute ; ma allora donna Isabella, con
un sorriso triste :
— Vedi che non puoi durarla ! — gli diceva. — Il
meglio è che tu mi lasci I Non voglio costarti la pace
della famiglia !
Così egli che sentiva aggravarsi le conseguenze del
suo passo falso, che in cuor suo malediceva l'ora e il
punto in cui aveva posto mente a quella donna della
quale era già stufo, per la quale aveva sofferto l'af-
fronto di rinchinarsi al fratello, si stringeva piij a
lei, per puntiglio le si dava mani e piedi legati. Non
la volevano ricevere ? Egli le prometteva che avrebbe
vtisto tutti ai suoi piedi. Parlavano male di lei ? Le
assicurava che sarebbe stata sua moglie.
Per avere altri parenti dalla sua, andò a cercare dello
zio Eugenio. Il povero cavaliere era molto giù, il com-
mercio dei vecchi cocci non rendeva più niente; e Vit-
torio Emanuele poteva forse dare una cattedra al Gen-
tiluomo di Camera di Ferdinando II ? Cosi egli aveva
lasciato il quartierino dove stava da tanto tempo, s'era
ridotto in due camerette più piccole, più fuori mano.
Sempre in busca di quattrini, aveva fondato adesso
V Accademia dei quattro Poeti, di cui era presidente.
— 35T —
segfretario, economo e tutto, e nominava a destra e a
manca socii promotori, fondatori, piotettori, effettivi,
benemeriti, corrispondenti, onorarli : ciascuno di questi
riceveva un diploma, una medaglia di bronzo, lo statuto
e una noticina di venti Jire di spese ; ma sovente la
posta, invece del vaglia, gli portava indietro 1' involto
rifiutato. I parenti lo tenevano un poco a distanza,
temendo richieste di quattrini ; ma vedendosi cercato
da Raimondo, egli fiutò a un tratto il buon vento.
Andò subito a trovare donna Isabella, si dichiarò per
lei contro il principe, s' invitò tutti i giorni a cola-
zione e a desinare. Aveva certi abiti che gli pian-
gevano addosso e certe scarpe che, viceversa, gli ride-
vano ai piedi : pochi giorni dopo mise pelle nuova.
Con l'abito fiammante, le camicie di bucato e le mani
inguantate accompagnò donna Isabella tutte le volte
che ella andò fuori, le fece da cavalier servente, pe-
rorò in pubblico e in privato la sua causa dandole della
« nipote. »
Anche Lucrezia, a dispetto del marito, si faceva ve-
dere per le strade con lei, la sosteneva, si scagliava
con violenza contro il fratello maggiore, spiegandone
l'opposizione con un motivo semplicissimo.
— Per la morale ? Per farsi pagare il suo appoggio !
Scommettiamo ? Io non ho dovuto pagargli il suo con-
senso al mio matrimonio ?
— Lucrezia!... ■ — avvertiva Benedetto.
— Che c'è? Non è forse vero? Non ho dovuto ac-
cettare la transazione strozzata per sposarti ? È storia
che tutti sanno ! Adesso viene la tua volta, — e si vol-
geva a Raimondo. — Vedrete se sbaglio ! Aveva ra-
gione lo zio don Blaso, quando diceva — Oh, a pro-
posito, perchè non vai a fargli una visita ? E a Lodo-
vico ? Quanti più saranno dalla tua, tanto meno var-
ranno gli scrupoli di Giacomo. Andiamo insieme, v'ac-
compagno io —
E Raimondo rifece la via del Bosco, andò con la
sorella e col cognato a Nicolosi, dove i Benedettini vii-
— - ,15^ —
leggiavano, a mendicar l'appoggio del fratello e dello
zio monaco. Don Blasco era a giorno di tutto, e di-
menticato a un tratto Garibaldi, non faceva altro, lassù,
che gridare come indemoniato contro Raimondo che
aveva fatto l'ultimo e più grande imbroglio; poi contro
Giacomo, non meno imbroglione del fratello, verso il
quale, dopo avergli tenuto il sacco, faceva adesso il
puritano: perchè? per strozzarlo!... All'arrivo dei ni-
poti, dopo il refettorio, egli dormiva come un ghiro,
.quando FrA Carmelo lo destò :
— Che c'è? — vociò. — Perchè mi rompi il capo?
— Vostra Paternità mi scusi ; ci sono i parenti di
Vostra Paternità.
Egli venne fuori, e appena vide Raimondo apri bene
gli occhi ancora imbambolati. Come Lucrezia e Bene-
detto, Raimondo gli baciò la mano. Egli lasciò fare,
borbottando :
— Che c'è? A quest'ora? Con questo sole?
— Siamo venuti a fare una visita a Vostra Eccel-
lenza, — spiegò Lucrezia per tutti. — La giornata
non è tanto calda. Vostra Eccellenza sta bene ? Sono
due anni dacché non venivo più qui — E Lodovico?
Fra Carmelo, costernato, venne a dire che Sua Pa-
ternità il Priore era in conferenza con l'Abate e che
non poteva scend&re giù pel momento. Raimondo im-
pallidi : anche quest'altro gli dichiarava guerra; si met-
tevano tutti contro di lui !.. . Per questa ragione,
quando Lucrezia, accordatasi con lo zio, propose di
fare un giro pel giardino, egli disse brevemente :
— No, ho fretta di tornare. Andiamo via.
Il domani mattina, all'albergo, egli non s'era ancora
levato che il cameriere venne ad annunziargli :
— C'è lo zio di Vostra Eccellenza.
E don Blasco apparve. Per la prima volta dacché
viveva, Raimondo vedeva lo zio venirgli incontro,
l'udiva domandargli, con voce quasi garbata : « Come
stai... ? » Non pareva vero al monaco, sentendo ripre-
pararsi una gran lite, di poter rifìccare il naso nelle
— 35-1 —
faccende altrui. 'C'era adesso da spingere l'uno contro
l'altro i due fratelli, da dar mano a disfare un'altra
opera della principessa defunta, il matrimonio di Rai-
mondo : egli si sentiva invitato al suo giuoco.
Donna Isabella si mostrò in veste da camera, gli
baciò la mano, dandogli dell' « Eccellenza, » quasi fosse
già suo zio; e il discorso s'avviò sul da fare. Uden-
dola ripet-ere che voleva nascondersi in campa,gna, il
monaco saltò su :
— In campagna? Perchè in campagna? Per la vil-
leggiatura, va bene, fino a novembre ; ma la casa in
città bisogna prepararla ! Avete paura della gente ?
Allora perchè siete venuti ? Questa è logica, mi pare !
Il suo consiglio era di chieder subito i conti a Gia-
como, di togliergli la procura e di iniziare la divisione :
a <5|uelle minacele il principe sarebbe subito venuto a
più miti consigli. Ma proprio il domani della visita del
monaco, scese il signor Marco dal Belvedere per dire
al conte che il signor principe voleva restituirgli la
procura e dargli i conti, una volta che era tornato in
patria. Raimondo mandò via l'amministratore con un
violento: «Ho capito; va bene!... » e uri malumore
terribile lo tenne a bocca chiusa per tutto un giorno.
Donna Isabella, costernata, gli ripeteva : « Non vedi ?
Io ti porto disgrazia ! Lasciami andare ! Sarà di me
quel che vorrà Dio — » E allora egli di rimando:
«No; ho da vincer io!...»
Giusto Lucrezia, che oramai era tutta una cosa con
la cognata della mano manca, fece una pensata :
— ■ Giacché non potete stare sempre all'albergo, e
ora è il tempo della villeggiatura, perchè non ve ne
andate alla Pietra dell'Ovo, da Ferdinando? Ha tanto
posto ; vi darà due camere. Starete con un parente e la
cosa farà buon effetto.
Tutti approvarono la proposta. Né Raimondo era
ancora andato a trovar quel fratello, né Ferdinando sa-
peva che Raimondo era tornato : dalla tanta indiffe-
renza, dalla tanta diversità di educazione, di gusti, di
De Eoberto. 1 Vicari ■ I 23
— 354 —
vita, erano diventati peggio che estranei, ciascuno
ignorava l'esistenza dell'altro. Lucrezia, incaricatasi
delle trattative, andò alle Ghiande. Non vedendo il
Babbeo da molti mesi, rimase. Egli era dimagrato come
dopo una lunga malattia, aveva gli occhi infossati, la
barba incolla, la voce fioca, una malinconia più nera
dell'abituale.
— Venga pure — è il padrone — rispose alla so-
rella, senza esprimere nessuna meraviglia pel ritorno
di Raimondo, per la richiesta dell'ospitalità.
— Ma, sai, ti debbo dire una cosa — aggiunse
Lucrezia. — Non è solo....
— È con sua moglie ?
— Con sua moglie, si — come se fosse sua moglie
E gli spiegò che aveva lasciato la Palmi, che era
con la Persa. Ferdinando stette ad ascoltarla guar-
dando a destra ed a sinistra, quasi avesse smarrito
qualcosa, poi ripetè :
— • Va bene, va bene ; digli che venga quando gli
piace.
Arrivati che furono alle Ghiande, Raimondo e donna
Isabella vollero visitare la casa, il giardino e il podere,
e profusero elogi per l'ottima coltivazione della vigna
e pel magnifico aspetto del frutteto, approvarono la
trasformazione delle colture, ammirarono ogni cosa.
Ma le lodi non facevano più sul povero Babbeo l'effetto
d'un tempo. Una trasformazione erasi compita nel
suo spirito, le cose che prima lo allettavano adesso lo
lasciavano indifferente, la vita del Robinson aveva per-
duto per lui ogni attrattiva, senza di che non avrebbe
consentito a prendere altra gente in casa. Il fattore
era adesso il vero padrone delle Ghiande, vi faceva
quel che voleva, le coltivava a modo suo, ne intascava
le rendite mostrando al cavaliere le bucce. Se talvolta,
preso da uno scrupolo, gli chiedeva qualche ordine,
Ferdinando rispondeva : « Lasciatemi stare ! Non mi
parlate di nulla! Per me è finita.... Avrò sei mesi di
vita, forse Potete prepararmi il cataletto »
I
— 355 —
La cosa era andata a questo modo : che 11 libraio,
dal quale aveva comperate le opere d'agricoltura, di
meccanica e di storia naturale, trovandosi una quan-
tità di opuscoli di medicina d' ignoti autori, tesi di
laurea di dottori asini, , vecchi ricettarli farmaceutici,
fascicoli spaiati di enciclopedie anonime, tutta cartac-
cia che non si poteva vendere altrimenti che a peso,
gliene propose un giorno l'acquisto dandogli a inten-
dere che c'era dentro il fior fiore della dottrina. Egli
la pagò salata, e si mise a leggere tutto. Allora la sua
mente cominciò a turbarsi. La descrizione dei morbi,
l'enumerazione dei sintomi, l'incertezza delle cure lo
atterrirono : chiuso nciia sua camera, col libro in una
mano, egli si teneva l'altra sul cuore per verificarne
il numero dei battiti, o si palpava dappertutto con lo
spavento di scoprire i tumori, gli incordamenti, le in-
fiamjnazioni di cui parlavano 1 medici. A poco a poco,
per un colpo di tosse, per una digestione difficile, per
un dolor di capo, per un leggiero prurito, per un for-
micolio in pelle in pelle credette d'avere tutte le ma-
lattie; e quell'idea, ficcatasi nel suo cervello di soli-
tario misantropo, aveva compita una devastazione. La
morte, per lui, era questione di tempo; e giusto la
paura di dover morire solo, il bisogno di vedersi di-
nanzi un viso amico lo aveva persuaso a prendere con
sé il fratello.
Quando costui vide che non mangiava quasi nulla,
che stava chiuso in camera', che certi giorni neppur si
levava, cominciò a chiedergli che aveva, se si sentiva
male ; e sulle prime, quasi arrestato da una specie di
pudore, egli si tenne sulle negative; messo alle strette,
confessò. Aveva un catarro intestinale cronico,
un'espansione della milza, una bronchite lenta; l'erpete
gli serpeggiava nel sangue, il sistema glandolare gli
s'era ingorgato. Come Raimondo rideva di quell'enu-
merazione, eg'll soggiunse, con voce triste e quasi con
le lacrime agli occhi :
— ■ C'è poco da ridere, sai ! Credi che siano fantasie ?
So lo quel che soffro!...
— 35^^ —
— Allora perchè non chiami un medico?
— Un medico? Che possono fare i medici? Al punto
in cui sono ridotto ?
E non ci fu verso di persuaderlo. Allora entrò in
iscena donna Isabella. Invece di contrariare il maniaco,
prese a secondarlo : riconobbe l'esistenza e la gravità
delle sue malattie, l'inutilità delle prescrizioni mediche;
però, se i dottori ci perdevano il latino, non poteva egli
provare almeno qualcuno di quei rimedii empirici che
certe volte fanno miracoli ?
— • Quand'ero ragazza anch' io ebbi un catarro in-
testinale lungo e ostinato più del vostro. Sapete come
andò via? Con l'insalata di lattughe!
E gliene fece preparare un piatto, come contorno
d'una gran fetta d'arrosto sanguinolento. Ferdinando si
mise a mangiare come Cristo all'ultima cena : non
aveva fiducia nel risultato, era sicuro che quella roba
avrebbe affrettata la sua fine.
— Adesso bisogna farci sopra una bella passeg-
giata ! — e offertogli il braccio, come ad un povero
convalescente, lo condusse a spasso pel giardino.
Non parve vero al malato, il domani, di svegliarsi
vivo e con un certo appetito. L' insalata e l'arrosto,
in poco tempo, fecero miracoli ; ma restava da guarire
il prurito al quale egli dava il nome di erpete.
— Per questo il rimedio è ancora più semplice : fate
un bel bagno d'acqua dolce.
Da mesi e mesi, egli non si lavava altro che la
punta del naso e delle dita, due o tre volte la settimana,
per paura di prendere una polmonite; cosi l'erpete
andò via. Il latte, le uova, il moto, la nettezza, lo ri-
tornarono in vita, e dalla gratitudine verso donna Isa-
bella gli spuntavano i lucciconi :
— Che donna ! Che testa ! Che intelligenza !
Aveva ben poche amicizie, ma tutte le volte che si
trovava con qualcuno cominciava a parlar di lei con
tanta ammirazione, come fosse la donna più saggia e
virtuosa, un angelo sceso dal cielo. Presa l'abitudine
— 357 —
di muoversi, se ne andava dalla sorella Lucrezia, cer-
cava la gente apposta per parlare di lei.
— Quanto bene vuole a Raimonda! Che cura ha
della casa ! Quel che ha fatto per me non si può ri-
dire ! Se non era lei, a quest'ora sarei morto e se-
polto !
Un giorno arrivò da Lucrezia mentre moglie e ma-
rito discutevano vivamente : al suo apparire essi
tacquero.
— • Di che parlavate ?
— Si parlava della situazione di Raimondo, — ri-
spose sua sorella, decidendosi di metterlo a parte del
secreto. — Non può durare a lungo così. Bisogna pen-
sare a legittimarla, sciogliendo i matrimonii.
Ella annunziava quel partito con la stessa sempli-
cità con cui Raimondo e donna Ferdinanda lo ave-
vano partecipato a lei. Chiedere ed ottenere il doppio
annullamento di matrimonio era, per gli Uzeda, una
cosa semplicissima : chi poteva negare ai Viceré ciò
che essi volevano ? La loro volontà non doveva esser
legge per tutti ? Non possedevano essi tutti i mezzi ma-
teriali e morali per vincere gli ostacoli e le resistenze?
Avevano clientele dappertutto, tra i borbonici e i libe-
rali, in sacrestia e in tribunale : i nobili erano con loro
per solidarietà, gli ignobili per rispetto : ognuno do-
veva essere superbo e lieto di render loro servizio. Bi-
sognava, per riuscire in questa impresa, esser bene
indirizzati; perciò volevano l'opera di Benedetto. Come
la prima volta che gliene avevano parlato. Benedetto
titubava, arrestato dagli scrupoli, con la coscienza del
male che gli facevano commettere, delle difìfìcoltà enor-
mi dell' impresa, del dispiacere che avrebbe fatto allo
zio duca, tanto amico di Palmi ; ma sua moglie insi-
steva a dimostrargli che gli scrupoli erano sciocchi,
che anzi l'opera sarebbe stata meritoria.
— Se domani nasce un figlio ? Sarà condannato a
restare bastardo ? Raimondo non riprende più sua mo-
glie, certo com'è certa la morte. Allora? Meglio met-
- 358 -
tersi in regola con la legge e la società ! Non dico
bene?
E Ferdinando, rivolto al cognato :
— Ne dubiti forse?... Ma come ragioni?... Dov'hai
la testa ?
Benedetto tentava dimostrare che non ragionavano
loro invece ; che i figli già nati c'erano e che bisognava
pensare a questi prima che ai nascituri, ma Lucrezia e
Ferdinando gli davano sulla voce, tutt'e due insieme :
— C'è la famiglia della madre che pensa alle figlie !
Nostro fratello le rinnegherà per questo?... E gl'inte-
ressi saranno regolati come vogliono i Palmi — Se i
matrimonii sono sciolti di fatto, perchè non scioglierli
di diritto ? Chi ci guadagna ? La gente che ci fa sopra
i suoi commenti !
E questo era il pungolo di Raimondo. Quanto mag-
giori difficoltà aveva incontrato nella via per la quale
s'era messo, tanto piij s'era incaponito a persistervi :
l'opposizione del fratello, le mormorazioni degli estra-
nei, il biasimo quasi universale lo spingevano a vincer
la partita in un modo imprevisto da tutti e da lui stesso.
Egli non pensava più che la sua passione era stata
quella della libertà, che donna Isabella, come moglie,
gli sarebbe pesata piia della moglie, e che gli pesava
già come amante; impuntato, accecato dall'opposi-
zione, dalla disapprovazione, dal biasimo, voleva trion-
fare degli avversarli, sbaragliarli con un colpo di cui
si sarebbe parlato un pezzo.... Dicevano che l'im-
presa era disperata, che il doppio scioglimento non si
sarebbe mai ottenuto, che donna Isabella era condan-
nata a restare in una falsa posizione, bandita dalla so-
cietà, dalla stessa casa del principe ? Egli metteva i
piedi al muro, deciso a spuntarla a qualunque costo,
contro tutto e tutti. E Lucrezia, Ferdinando, donna
Ferdinanda, don Blasco lo aiutavano ciascuno per conto
e a modo proprio, congiuravano per vincere le ultime
resistenze di Benedetto, che all'idea di contentare sua
moglie, di cattivarsi la fiducia, la stima e la gratitu-
— 359 —
dine dei parenti sentiva ammorzarsi a poco a poco ì
rimorsi.
Al principio dell' inverno, quando il principe tornò
dalla villeg'g'iatura, non si parlò d'altro che della rot-
tura tra i due fratelli. Giacomo non solamente non sa-
lutò Raimondo, incontrandolo per via, ma non tollerò
neppure che toccassero in sua presenza il tasto dei
pasticci di lui. Per tanto tempo, mentre il fratello mi-
nore era stato in Toscana, o era andato e tornato di
qua e di là, col capo all'amica, l'eredità era rimasta
indivisa, e il principe l'aveva amministrata anche nel-
l'interesse e per procura del coerede; adesso, per tron-
care o£;fni rapporto con lui, gfli mandava il signor
Marco a notificarg-li che rinunziava la procura e vo-
leva subito subito darg-li i conti e venire alla divisione.
Quella trombetta della cug-ina Graziella annunziava a
tutti queste cose, e dovunque si trovasse, tra parenti od
amici o semplici conoscenze, approvava il cugino Gia-
como, esprimeva il grande dispiacere che « a noi della
famiglia » cagionava l'ostinazione di Raimondo. Come
mai poteva egli del resto sperare di ottener l'intento?
Dicevano che donna Isabella chiedesse lo scioglimento
del matrimonio perchè non era stato consumato ! Ma
a chi volevano darla a bere? Perchè non c'erano figli?
Non sapevano tutti che Persa, giovanotto, avea corso
la cavallina?... O forse speravano di poter sostenere,
come dicevano certi altri, che donna Isabella era stata
forzata a sposar Persa, senza volerlo? Questa doveva
essere fatica particolare del Giulente ! « Guardate un
po' che immoralità ! sostenere una causa condannata
da tutti, che fa tanto dispiacere alla famiglia ! È ve-
nuto a ficcarsi tra noi per metter guerre e liti, questo
avvocato delle cause perse!... •>•> Ma ella prevedeva un
fiasco colossale. Già, cominciamo che il tribunale civile
non era buono ad annullare un matrimonio contratto
sotto il codice napolitano del 1819; bisog^nava rivol-
gersi alla Corte vescovile; ma qui cascava l'asino,
— 36o —
perchè Monsignor Vescovo, e il vicario Coco e il cano-
nico Russo e tutti i maggiorenti della Curia erano col
principe contro il conte, giustamente, sapendo i torti
di Raimondo e della Persa, non potendo metter mano
a sanzionare uno scandalo di quella fatta!...
D'altra parte i fautori del conte e di donna Isabella
davano sicura la riuscita. L'impotenza di Persa, la vio-
lenza patita da sua moglie erano affermate da una quan-
tità di persone ; ma specialmente Pasqualino sonava
la campana per conto del suo padrone. « Sissignori : il
cavaliere Giulente, e non avvocato, studiava e dirigeva
la causa del cognato, piuttosto che lasciarla in mano
di qualche strascinafaccende di quelli da quattro il
mazzo ; ma del resto egli non aveva molto da faticare,
perchè il motivo della nullità del matrimonio di donna
Isabella era chiaro e lampante. Lasciamo stare che
Persa non era precisamente un vulcano, come uomo;
ma lo zio di lei l'avea costretta a prenderselo metten-
dole il coltello alla gola : altro che la storia della si-
gnorina Chiara ! Almeno la principessa, sant'anima,
avea cercato di prendere sua figlia con le buone, ricor-
rendo alle minacele soltanto all'ultimo, dopo due anni
di persuasioni e di preghiere ; ma lo zio di donna Isa-
bella ? Bastonate mattina e sera, fin dal primo momento
che la ragazza aveva detto : — Meglio morta che spo-
sar Persa ! » Come Pasqualino, tutta la servitù, la mi
nuta clientela della famiglia era, nonostante l'opposi-
zione del principe, favorevole al contino; questi, per
accaparrarsi simpatie, non faceva più venire, come un
tempo, le sue robe da Pirenze o da Napoli, ma dava
ogni genere di commissioni in città, e il sarto, il cal-
zolaio, il cravattaio, onorati dai comandi del contino
Uzeda, lo portavano al cielo, peroravano in favor suo,
tenevano fronte agli scandalizzati. V'era gente che
rammentava l'amore di donna Isabella per Persa? Ri-
spondevano adducendo infinite testimonianze contrarie :
da Palermo sarebbero venuti tutti i servi di casa Pinto,
pronti a giurar sul Vangelo che l'orfanella era stata pie-
— 36i —
chiata di santa ragione dallo zio tutore, perchè costui,
senza badare che Persa, se aveva quattrini, non na-
sceva bene, voleva darglielo per forza. Dicevano che
queste testimonianze erano sospette, ottenute per via
di quattrini ? Enumeravano gli amici palermitani di
casa Finto, don Michele Broggi, il cavaliere Cutica,
il notaio Rosa, tutti superiori al sospetto di corruzione,
citati da donna Isabella perchè attestassero le se-
vizie usatele, i rifiuti costanti da lei opposti. Che più ?
lo stesso zio sarebbe venuto a confermare la violenza
esercitata!... «E poi?» esclamava da suo canto la
cugina. « Dopo che avranno sciolto questo matrimo-
nio ? Credono di poter riuscire a sciogliere quell'altro?
Non sanno che cosa ha detto Palmi ?» E narrava che
quell'attaccabrighe di Giulente gli aveva scritto per
ottenere che anche lui, il barone, consentisse allo scio-
glimento del matrimonio di sua figlia, testimoniando
d'averla forzata a prendersi il conte Uzeda. Per amore
della verità, spiegava che Giulente s'era dapprima ri-
fiutato, parendogli una cosa proprio enorme, propo-
nendo, se mai, di affidare questa missione al duca che
era intimo del senatore. Ma sì ! il duca aveva altro
pel capo ! Se ne stava a Torino, badando ai suoi af-
fari, non voleva tornare in Sicilia per paura che la
sua lontananza durante i turbamenti dell'anno prece-
dente gli avesse fatto torto; e quando gli scrivevano
dell'affare di Raimondo rispondeva che per nulla al
mondo voleva mescolarvisi. Giulente, dunque, per con-
tentar la moglie, il cognato e gli zii, aveva dovuto ras-
segnarsi a rivolgersi lui al barone. « Sapete quanto
tempo ha impiegato a scrivere la lettera?» aggiun-
geva la cugina, informata di tutti i più piccoli parti-
colari. « Una settimana ! Ha stracciato una risma di
carta! Sfido io! Come dire a un cristiano: consentite
che il matrimonio di vostra figlia si sciolga, che le vo-
-stre nipoti restino senza padre !... » Ma la lettera, piena
d'espressioni riguardose, di complimenti, di scuse, era
partita: e Giulente aspettava ancora la risposta!...
— 362 —
L'avrebbe aspettata un pezzo ! Che per mezzo di certe
persone di Messina, la cugina sapeva quel che aveva
detto il barone a un amico, stringendo il pugno : « Vo-
glio piuttosto veder morire tutti quanti!... « Perchè in-
fatti la « povera Matilde », moribonda dai tanti dispia-
ceri, indifferente a tutto oramai, comprendendo che
non c'era più alcun riparo, avrebbe anche contentata
l'ultima pretesa del marito ! Il barone, invece, faceva
certi giuramenti tremendi per dire che mai, mai, lui
vivente, suo genero sarebbe riuscito a rompere il ma-
trimonio : sapeva bene che era spezzato di fatto, ma
voleva che Raimondo restasse incatenato per tutta la
vita, che la Fersa non potesse prendere, dinanzi al
mondo, il posto della propria figliuola
Anche Pasqualino sapeva tutto questo ; ma al coc-
chiere di donna Graziella, che tenendo per la padrona,
gli prediceva il fiasco del conte : « Un po' per volta ! »
rispondeva. «Lasciate che si finisca la prima causa!...
Quando la padrona sarà libera, penseremo a liberare
anche il padrone !... Adesso non hanno a decidere i ca-
nonici, ma i giudici civili. Con la legge di Vittorio
Emanuele, il matrimonio dinanzi alla Chiesa vale un
fondello, e solo ha peso quello dinanzi al sindaco : ab-
basso Francesco II! Viva la libertà!... » Ma donna
Ferdinanda, Lucrezia, tutti i sostenitori di Raimondo
non si contentavano di una sentenza civile; volevano
legittimare la situazione di Raimondo e di donna Isa-
bella dinanzi agli uomini e a Dio. Per tanto, Ferdi-
nando il quale era intimo del canonico Ravesa, pezzo
grosso della Curia e proprietario d'una vigna attigua
alle Ghiande, gli parlava tutti i giorni a favore del fra-
tello, e don Blasco andava tutti i giorni dal vicario
Coco, intronandolo con le clamorose dimostrazioni della
convenienza, della giustizia, della riecessità di quel-
l'annullamento di matrimonii ; della stramberia, della
prepotenza, della birbonaggine del principe che lo con-
trastava. Il pezzo più grosso da guadagnare era però
monsignor \'escovo ; il quale adesso non faceva nulla
— 363 —
senza l'approvazione del Priore don Lodovico. Questi,
persuaso che l'abolizione delle comunità relig"iose era
quistione di tempo, disinteressatosi di San Nicola, s'era
rivolto al Vescovato dove la sua nascita, la sua repu-
tazione d' intelligenza, di dottrina e di santità g-li ave-
vano spalancato le porte. In poco tempo, com'era g'ik
stato il braccio destro dell'Abate, era diventato il
braccio destro del capo della diocesi : la prudenza dei
suoi consio^li, l'eccellenza della sua posizione, a cava-
liere di tutti i partiti, lo avevano reso indispensabile
in molte circostanze delicate, quando bisognava con-
ciliarsi le nuove autorità politiche senza tradire le
« legittime », salvar capra e cavoli, servir Cristo e
Mammone. Ora, se egli avesse detto una parola a fa-
vore di Raimondo, il matrimonio di donna Isabella
sarebbe stato annullato ; ma a donna Ferdinanda che gli
si metteva alle costole per guadagnarlo alla causa della
sua protetta, il Priore rispondeva ambiguamente, ad-
ducendo le difficoltà da superare, l' imbarazzo in cui
lo mettevano.
— Sciogliere un matrimonio è una cosa grave
Vostra Eccellenza sa bene quanto la Chiesa sia giusta-
mente contraria a pronunziare sentenze di questo ge-
nere, come vada coi calzari di piombo. Essa non può
contentarsi di certe prove e di certe ragioni Queste
potevano forse bastare ai giudici secolari, la cui re-
sponsabilità non è impegnata dinanzi alla Maestà di-
vina. Mi duole moltissimo, in coscienza, di vedere Rai-
mondo messo per una via falsa Dopo questa causa
ne verrà una seconda, lo scandalo è immenso — Io ho
i miei doveri da compiere la mia coscienza
— Coscienza?... Coscienza?... — Donna Ferdinanda
che stava a sentirlo a bocca chiusa e a denti stretti,
una volta cantò : — Lasciala da parte la coscienza !
Di' piuttosto che non gli hai ancora perdonato d'aver
preso il tuo posto e gliela vuoi far pagare, ora che
l'hai nelle forbici!...
Il Priore impallidì repentinamente, guardando un
— 364 —
istante in viso la zia che lo guardava fisso anche lei,
come se . gli volesse leggere nell'anima. Poi chinò il
capo e portò le braccia in croce sul petto :
— Vostra Eccellenza m'affligge 'crudelmente Sa
bene che le passioni del mondo sono straniere al mio
cuore — che io amo mio fratello come rispetto Vostra
Eccellenza!... Dica questo a Raimondo; mi fornisca
l'occasione di darne la prova....
Donna Ferdinanda andò pertanto da Raimondo per
dirgli di recarsi personalmente dal fratello e di racco-
mandarglisi. Un momento, il giovane si ribellò. Era
stanco di pregare e di umiliarsi, di» far la corte a
Ferdinando e a Giulente per guadagnarli alla sua causa,
di imbeccare Pasqualino e gli altri portavoce. S'era
già umiliato una volta dinanzi a Giacomo e non gli era
valso nulla ; s'era umiliato anche dinanzi a Lodovico,
quando era andato a Nicolosi, e il fratello non s'era
lasciato vedere. Adesso bisognava gettarsi ai piedi di
cotesto gesuita, chiedergli perdono del posto sottrat-
togli, implorarne col perdono la protezione e l'appog-
gio. Era troppo, non ne poteva più. Le mortificazioni
dell'amor proprio gli cocevano più di tutte, gli face-
vano stringer le pugna e mordersi le dita e quasi spun-
tar le lacrime agli occhi Ma giusto, finita la villeg-
giatura, tornati tutti in città, la parentela e la nobiltà
si schierava col principe contro di lui. La cugina Gra-
ziella andava dicendo dovunque che neppure la causa
civile sarebbe andata avanti, che i giudici avrebbero
essi fatto un processo per falsa testimonianza a chi
avesse tentato di provare la mancanza del consenso ;
figuriamoci poi la causa ecclesiastica !
E una domenica donna Isabella che era scesa in città
per far certe compere, tornò alle Ghiande con gli occhi
rossi.
— Che hai ? — le domandò Raimondo, quasi bru-
scamente, quasi pronto a sfogare contro di lei, causa
prima di tutto quello che gli accadeva.
— Nulla.... nulla.... — e piangeva dirottamente.
Egli dovette alzar la voce per sapere il motivo dì
quel pianto. La sua amica aveva incontrato per via i
Grazzeri e la cugina Graziella; la cugina s'era voltata
dall'altra parte, Lucia e Agatina Grazzeri non avevano
risposto al suo saluto, fingendo di non vederla — Il
giorno dopo egli sali a San Nicola, cercando del Priore.
Lodovico lo ricevette a braccia aperte, lo ascoltò
con attenzione benevola. Raimondo gli disse, un po'
pallido: «Ti prego d'aiutarmi » Invocava il sua ap-
poggio per uscire dalla falsa situazione in cui si tro-
vava. Era urgente legittimarla per una potente e nuova
ragione che nessuno ancora sapeva, che confidava a lui
prima che ad ogni altro: donna Isabella era incinta —
Con gli occhi quasi chiusi, il capo un poco piegato, le
mani raccolte in grembo, il Priore pareva un confes-
sore indulgente ed amico : non una contrazione del viso,
non una dilatazione del petto svelava l' intima soddisfa-
zione di vedersi finalmente dinanzi, sommesso e quasi
supplice, il ladro che lo aveva spogliato, pel quale era
stato bandito dalla famiglia e dal mondo.
— • Tu puoi aiutarmi, mettere una buona parola —
— continuava Raimondo, — far considerare che in
fondo non si domanda se non giustizia perchè la
volontà di Isabella fu violentata ; trenta testimonii
proveranno la verità
— Lo so ! Lo so !... — rispose finalmente il Priore.
— Io non t'avrei neppure ascoltato se non conoscessi
che la ragione sta dalla vostra parte !
— Allora, posso fare assegnamento su te ?
— Certo, certo!... Ma c'è un'altra quistione Nel
caso presente, non si tratta tanto di giustizia astratta,
quanto di prudenza mondana. Sicuramente, noi dob-
biamo render conto solo a Dio delle nostre azioni, ma
perchè la nostra coscienza s'acqueti del tutto, non dob-
biamo e non possiamo perder di mira l'effetto che i
nostri giudizii sono capaci di produrre !... Ora, come
vuoi che cotesto provvedimento sia stimato giusto, se
nella nostra stessa famiglia, se il capo della nostra casa,
^ 366 —
non riconosce le tue ragioni e ti condanna con tanta
severità ?...
— E se Giacomo si piega ? — insistè Raimondo.
— . Sarà un gran passo innanzi ! Vedrai che l'opi-
nione pubblica lo seguirà, che tutti quelli finora dichia-
ratisi tuoi avversarli ti sosterranno concordi. Allora
sarà molto più facile ottenere l'intento. Lo stesso Gia-
como potrà giovarti presso i giudicanti molto meglio
di me. Sai bene quali relazioni egli ha tra quanti cir-
condano Monsignore — una sua parola varrà molto
più della mia —
E questa era la dimostrazione a cui voleva arrivare
attraverso tante parole. L'affare di Raimondo, tutto
quel pateracchio di matrimonii da sciogliere e da ristrin-
gere non gli piaceva : il biasimo sordo del gran pub-
blico gli era noto e lo metteva in guardia contro l'er-
rore di sostenere una cattiva causa, il trionfo della
quale, del resto, non gli avrebbe menomamente gio-
vato
Raimondo, tornando alle Ghiande, mandò a chiamare
il signor Marco. Chiusi in camera tutt'e due, resta-
rono pochi minuti a confabulare. L'amministratore
tornò il domani e poi il giorno dopo, restando sempre
più a lungo. Un pomeriggio Ferdinando era buttato
sul letto a dormire, quando l'abbaiare dei cani lo destò
di repente; il fattore già picchiava all'uscio.
— Eccellenza! Eccellenza!... C'è qui suo fratello —
il signor principe
Egli balzò in piedi, stropicciandosi gli occhi. Gia-
como da lui? Adesso che c'era Raimondo? E se si
fossero incontrati?...
— Vengo subito trattienilo tu ma non dir
nulla
— Come, Eccellenza?... Se i suoi fratelli stanno
parlando insieme?... C'è anche la principessa....
Sceso giù a precipizio per evitare qualche guaio,
Ferdinando entrò nel salotto e trovò i fratelli e le co-
gnate che chiacchieravano allegramente.
— 367 —
— Passavamo di qui, — gli disse il principe, — ■
e abbiamo pensato di farvi una visita
Il domani, nella Sala Gialla, la cugina Graziella ve-
nuta prima di colazione e trovata la principessa in com-
pagnia di don Mariano, se la prendeva con più calore
del solito contro Raimondo e l'amica sua, narrava i
loro nuovi armeggìi, le istanze fatte allo zio duca
perchè prestasse la sua autorità di deputato per otte-
nere lo scioglimento dei matrimonii, perchè persua-
desse il suo buon amico Palmi ad acconsentirvi. La
principessa, sui carboni ardenti, si faceva di mille co-
lori, alzava, abbassava e girava gli occhi, pareva in-
vocare l'intervento di don Mariano, tossicchiando un
poco voleva avvertire la cugina di non insistere ; ma
questa continuava con nuova lena :
— Almeno, avessero un po' di pazienza ! Si libere-
ranno egualmente, perchè la povera Matilde sta per
morire Pare che vogliano affrettare la sua fine!...
Tutte queste notizie figuratevi che effetto le fanno !...
Ma suo padre giura più terribilmente di prima che non
acconsentirà mai a fare il comodo loro Sua figlia lo
scongiura di desistere perchè anche a lui, quando ar-
rivano di queste notizie, è come se gli pigliasse un colpo
apoplettico Veramente, è un po' troppo !... Qui sotto
c'è lo zampino della zia Ferdinanda!... Non credete
giunto il punto di avvertirli che siano più prudenti?...
La principessa non ebbe il tempo di rispondere, di
nascondere il nuovo imbarazzo in cui quella domanda
la gettava, quando Baldassare, entrato senza far ru-
more, annunziò con la consueta sua bella serenità :
— Il signor conte e la signora contessa.
La cugina restò di sale. Raimondo? La contessa?
Quale contessa?... E donna Isabella apparve, andò in-
contro alla principessa che le veniva incontro, l'ab-
bracciò e la baciò sulle due guance.
— Come stai. Margherita ? Ero impaziente di re-
stituirti la tua cara visita di ieri
Si davano del tu ! La Persa trovava modo di dire
che Margherita era già stata da lei ! E il principe so-
pravveniva, stringeva la mano a Raimondo, dicendo :
— Cognata e cugina, resterete a colazione con noi?...
Fine del Primo Volume
ROMANZI ITALIANI
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I volumi segnati con * sono in corso di ristampa.
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Ora e sempre . . . L.
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5 —
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Il tesoro di Golconda .
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Il ritratto del diavolo
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Niccolò de' Lapi. 2 voi. .
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Un giudizio di Dio .
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2 —
Il Dantino ... ;
2-—
Santa Cecilia ....
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La signora Àutari . .
2 —
*I1 libro nero ....
3 —
La sirena. . . . . .
2 —
I Rossi e i Neri. 2 voi.
4 —
Scudi e corone. . . .
2 —
Confess. di Fra Gualberto.
2 —
Amori antichi . . .
2
Val d'Olivi ......
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Rosa di Gerico. . .
2
Semiramide
2 —
La bella Graziali a. .
2 —
Notte del commendatore.
2
— Ediz. in-8, illustr.
3 —
Castel Gavone ....
2
Le due Beatrici . .
Terra Vergine . . .
9
Com& un sogno . . .
2 —
2 —
Cuor di ferro e Cuor d' oro.
I figli del cielo . . .
2
2 volumi
4 —
La castellana . . . .
2
Tizio (!aio Sempronio .
2 —
Il prato maledetto . .
2 '.
L'Olmo e l'Edera . . .
2 —
Galatea ......
2 —
JtiLANO — Fratelli TREVES, Editori — ìfiLANO
A. G. Barrili.
Fior d"oro . . • . . L. 2 —
Il diamante nero . .
Raggio di Dio . . .
Il ponte del Paradiso
Tra cielo e terra . .
Re di cuori ....
La figlia del re . .
2 —
2 —
2 —
2 —
T suoi tre capolavori: Capitan
Dodèro. - Santa Cecilia. - Il
libro nero. . . . . 3 5U
Carlo Emanuele BaailO.
La Vittoria senz'ali . ,5 —
Ambrogio BaZZGrO.
storia di un'anima . .5 —
Giulio Bechi.
I racconti d' un fantaccino.
In-8, con 64 illustr. . 5 —
Lo spettro rosso . . .5 —
II capitano Tremalaterra. 5 —
I Seminatori . . . .5 —
Caccia grossa . . . .2 —
I racconti del bivacco . 5 —
Antonio BeltranielU.
Anna Perenna . . . .5 —
I primogeniti . . . .5 —
II cantico ó —
L'alterna vicenda . . .5 —
Gli uomini rossi . . .2 —
Le Novelle della Guerra, 5 —
La vigna vendemmiata . 3 —
Silvio Benco.
La fiamma fredda. . .'2 —
Il castello dei desideri , 2 —
Leo Benvenuti.
Racconti romantici . .2 —
Serenada, race, sardo . 2 —
Eugenio Bermaui.
Spunti d'anime . . .3 —
Vittorio Bersezio.
Aristocrazia. 2 voi. . .4 —
p. Bettoli.
Il processo Duratiti . .2 —
Giacomo Locarapo. . .2 —
La nipote di don Gregorio. 2 —
Maso Bigi.
La Sorgente 5 —
Alberto Boccardi.
Cecilia Ferri ani . . L. 5 —
Il peccato di Loreta . .2 —
L'irredenta 2 —
Camillo BoitO.
Storielle vane . . . .2 —
Senso 2 —
Virgilio Brocchi.
Le aquile 5 --
La Gironda 5 -
L'Isola sonante. . . . 5 —
I sentieri della vita . .5 —
II labirinto 5 —
La coda del Diavolo. . 5 —
La bottega degli scandali 5 • —
Miti 6 —
Secondo il cuor mio . . 5 —
L'amore beffardo . . . 5 —
E. A. Butti.
L'Incantesimo . . . .5 —
L'Automa 2 —
Antonio Cacclaniga.
Bacio della cont. Savina. 2 —
— Ediz. di lusso, in-8, ilL 5 —
— Ediz. econ., in-8, ili. 3 —
Villa Ortensia . . . . 2 —
Il Roccolo di Sant'Alipio. 2 —
Sotto i ligustri. . . . 2 —
Il Convento 2 —
11 dolce far niente . .2 —
La famiglia Bonifazio . 2 —
Raffaele Calzini.
La vedova scaltra . .3 —
Luigi Capranica.
Papa Sisto. 4 voi. . . .8 —
Racconti 2 50
Re Manfredi. 3 voi. . . 6 —
Giovanni Bande Nere. 2 V. 4 —
♦Fra Paolo Sarpi. 2 voi. . 4 —
*La congiura di Brescia 2 vo-
lumi 4 —
Giulio Caprin.
Gli animali alla guerra. 4 —
Luigi Capuana.
Marcb. di Roecaverdina. 5 —
Rassegnazione . . . .5 —
Passa Tamore . . . .5 —
La voluttà di creare. . 5 —
k
Milano — FbatellI TREVES, Editori — Milano
Enrico Casteluuovo.
Nella lotta. In-8, ili. . L. 5 —
Due convinzioni . . .5 —
P.P.a Ultime novelle . 5 —
I Moncalvo 5 —
L'on. Paolo Leonforte . 3 —
Dal 1.° piano alla soffitta. 3 —
Moisè Cecconl.
n primo bacio . . . .2 —
[1 taccuino perduto . .5 —
Racconti pei convalescenti 3 50
Giovanni Chig^glatO.
II figlio Vostro, . . .5 —
Domenico Clàmpoll.
Diana 5 —
Guelfo Glvlninl.
La stella confidente . .3 —
E. P. Civiulnl.
Gente di palude . . .5 —
G. P. Clerici.
11 più lungo scandalo del seco-
lo XIX. 2 V. con illustr. 4 —
Luig:ia Codèmo.
La rivoluzione in casa . 3 —
Cordella.
Dopo le nozze . . . .4 —
Vita intima 2 —
Racconti di Natale, ili. 4 —
Casa altrui 2 —
Catene 2 —
Per la gloria . . . .5 —
Il mio delitto . . . .3 —
P-er vendetta . . . .2 —
Verso il mistero . . .5 —
L'incomprensibile . . .2 —
Le donne che lavorano . 4 —
Enrico Corradlnl.
La patria lontana. . .5 —
La guerra lontana . .5 —
Carlo Dadone.
La forbice di legno . .2 —
La casa delle cbiaccbiere. 2 —
Come presi moglie . .4 —
Lucio d'Ambra.
Il Re, le Torri, gli Alfieri 5 —
Danieli e Manfro.
Nel dubbio 5 —
Gabriele D'Annunzio.
Il Piacere . . . . L. 6 50
L'innocente 6 50
Trionfo della Morte . .7 —
Il Fuoco 7 —
Le Vergini delle Rocce. 7 —
Le novelle della Pescara. 5 —
Forse che sì forse che no. 6 50
La Leda senza cigno. 3 V. 14 —
Ippolito Tito D'Aate.
Mercede 2 —
Edmondo De Amlclfl.
La vita militare . . .5 —
— Edizione economica . 2 —
Alle porte d'Italia . .5 —
Romanzo d'un maestro.2v. 4 —
Fra scuola e casa. . .5 —
La carrozza di tutti. . 5 —
Memorie 5 —
Capo d'anno. . . . .5 —
Nel Regno del Cervino . 5 —
Pagine allegre . . . .5 —
Nel Regno dell'Amore . 6 50
Nuovi racconti e bozzetti. 5 —
Cinematografo cerebrale. 5 —
Gli amici. 2 voi. . . 4 —
Ricordi infanzia e scuola. 5 —
Pagine sparse . . . .2 —
Ricordi del 1870-71 . . 2 —
Novelle. Ediz. di lusso . 5 —
— Edizione economica . 2 —
Grazia Deledda.
I giuochi della vita . .5 —
Sino al confine. . . .5 —
II nostro padrone . . .5 —
Cenere 5 —
Anime oneste . . . .4 —
Il vecchio della montagna 5 —
Nel deserto 5 —
Colombi e sparvieri . .5 —
Chiaroscuro 5 —
Canne al vento. . . .5 —
Le colpe altrui. . . .5 —
Nostalgie 5 —
Il fanciullo nascosto . .5 —
Marianna Sirca . . .5 —
La via del male . . .5 —
Elias Portolu .... 5 —
L' incendio nell'oliveto . 6 —
MiLAjJO — pRATBLti TREVES, Editori — Milano
Gian Della Quercia.
Il Risveglio . . . . L. 2 —
Sul meriggio . . . .5 —
Emilio De Marchi.
Il cappello del prete. . 3 —
Giacomo l'idealista . .4 —
Storie d'ogni colore . . 4 —
Nuove storie d'ogni colore 4 —
Arabella, 2 voi. . . .4 —
Col fuoco non si scherza. 6 —
Redivivo 2 —
Demetrio Pianelli. 2 voi. 4 —
Federico De Roberto.
Una pagina della storia del-
l'amore 2 —
La sorte 2 —
La messa di nozze; Un sogno;
La bella morte . . .5 —
L'albero della scienza . 4 —
Le donne, i cavalier'... In-8,
con 100 incisioni . .10 —
' Salvatore DI QiaCOmO.
Novelle napolitano . .5 —
Paola Drigo.
La Fortuna 5 —
Codino 5 —
Paulo Fambrl.
Pazzi mezzo e serio fine. 3 —
Onorato Fava.
Per le vie 2 —
La Rinunzia . . . . 2 —
Gazzella 5 —
Ugo Fleres.
L'anello 2 —
FolchettO (J. Caponi).
Novelle gaje . . .5 —
Ferdinando Foutana.
Tra gli Arabi . . . . 2 —
T. Qallaratl-Scottl.
Storie dell'amore sacro e del-
l'amore profano. . .5 —
Piero Giacosa.
Specchi dell'enigma . .5 —
Il gran cimento . . .4 —
Anteo ....'... 5 —
Cosimo Giorglerl-Contrl.
L'amore oltre l'argine . 5 —
Adolfo de Glslimbertl.
Ilsacrificiod'un'anima . 2 —
U mistero di Valbruna . 2 -
.Guidò Gozzano.
L'altare del passato . L. 3 —
L'ultima traccia . . .5 —
0. Grandi.
Macchiette e novelle. . 2, —
Destino 2 —
Silvano 2 —
La nube 2 —
Per punto d'onore . .4 —
— Edizione economica . 2 —
Eleonora Grey.
Della vita di un Pierrot 4 —
Luigi Gualdo.
Decadenza 2 —
F. D. Guerrazzi .
La battaglia di Benevento. Ve-
ronica Cybo. 2 voi. . 4 —
L'assedio di Firenze. 2 v. 4 —
Amalia Guglielminetti.
I Volti dell'Amore . .5 —
Anime allo specchio . .5 —
Rosalia Gwla-Adami.
La Vergine ardente . .5 —
Haydée (Ida Pinzi).
Faustina Bon, romanzo tea-
trale fantastico. . .5 —
Jarro.
L'a-ssassinio nel vicolo della
Luna 2 —
II processo Bartelloni . 2 —
Apparenze. 2 voi. . . . 4 ^
La duchessa di Naia. . 2 —
Mime e ballerine . . .2 —
La moglie del Magistrato 3 —
Paolo Lioy.
*Chi dura vince. . . . 4 —
Giuseppe Xiipparinl.
Il filo d'Arianna . . .2 —
Paola Lombroso.
La vita è buona . . .5 —
Cesarina XiUpati.
La Leggenda della spada. 2 —
Manetty.
Il tradimento del Capitano.
2 volumi 4 —
Giuseppe Mantioa.
Figurinaio. In-8, iUus. . 5 —
iriLANo — Fratelli TREVES, Edii'Ori — Milano
G. Uarcottl.
Il conte Lucio . . . L. 2 —
La Giacobina. 2 volumi. 6 50
Le spie. 2 voi 6 50
Ferdinando Mai'tlul.
Racconti 2 —
Luigi Materl.
Adolescenti 2 —
Dora Melegarl.
Caterina Spadaro . . .5 —
La piccola m.Ha Cristina. 5 —
La città del giglio . . 6 50
Mercedes.
Marcello d'Agii ano . .2 —
Maria Messlna.
Le briciole d.'l destino. 3 —
Guido Mllaneal.
Thàlatta 5 —
Nomadi . . . . . . 5 —
Ànthy, romanzo di Rodi. 5 —
Nella scia ..... 5 —
Paolo Emilio MlntO.
Ombre, uomini e animali 5 —
Marino Moretti.
I pesci fuor d'acqua. . 5 —
II sole del sabato . . .5 —
La bandiera alla finestra. 5 — r
Guenda .5 —
Conoscere il mondo . . 3 —
E. L. Morselli.
Storie da ridere.... e da pian-
gere . . . . . . .3 —
Luigi Motta.
(Edizioni Jn-8, illnstrate).
Dominatore dellaMalesia. 6 50
— Edizione economica . 4 —
L'onda turbinosa . . .5 —
— Edizione economica . 3 —
L'occidente d'oro . . . 6 50
— Edizione economica . 4 —
La principessa deUe rose. 5 —
— Edizione economica . 3 —
Il tunnel sottomarino . 6 50
Fiamme sul Bosforo . .6 —
— Edizione economica . 3 —
Il Vascello aereo . . .5 —
'— Edizione economica . 3 —
Luigi Motta.
(Edizioni in-S, illitsti'ate).
L'Oasi Rossa . . . L. 5 —
Il Leone di San Marco . 5 —
— Edizione economica . 4 —
I tesori del Maelstrom . 5 —
II Demone dell'Oceano . 2 —
Neera.
Crevalcore 5 —
L'Indomani. In-8, illus. . 3 —
Una passione . . . .2 —
La vecchia casa . . .4 —
Duello d' anime. . . .5 —
La sott-ana del diavolo . 5 —
Rogo d'amore . . . .5 —
Crepuscoli di libertà. . 5 —
Ada Negprl.
Le Solitarie 6 50
Dario Nlccodeml.
Il romanzo di Scampolo . 5 —
Ippolito Nlevo.
Le confessioni di un ottua-
genario. 3 voi. . . .6 —
Angelo di bontà . . .2 —
À. s. Novaro.
L'Angelo risvegliato . . 4 —
Ugo OJettl.
Donne, uomini eburattini 5 —
L'Amore e suo figlio. . 5 —
Mimi e la Gloria . . .5 —
Antonio Palmieri.
Novelle Maremmane . .5 —
I racconti deUa Lupa . 5 —
Alfredo Fanzini.
Piccole storie del Mondo
grande 4 —
La lanterna di Diogene. 5 —
Le fiabe della virtù. . 5 —
Santippe . . .■ . . .5 —
La ìtadonna di Marna . 5 —
Novelle d'ambo i sessi . 3 —
Viaggio di un povero lette-
rato 6 —
Ferdinando Paollorl.
Novelle selvagge . . .3 —
Conte G. !■. Passerini.
II romanzo di Tristano e
Isotta , 5 —
JIiLANO — Fratelli TREVES, Editori — .Miiiano
Francesco Pastonchl.
Le Trasfigurazioni . L. 5 —
Emma PerOdl.
Caino ed Abele. . . . 2 —
♦Suor Ludovica. . . .2 —
Petruccelll della Gattina.
Il sorbetto della Eegina. 2 —
Memorie di Giuda. 2 voi. 4 —
Il Re prega 2 —
Le notti degli emigrati a
Londra 2 —
Luigi Pirandello.
Erma bifronte . . . .6 —
L'esclusa 5 —
La vita nuda . . . .5 —
Il fu Mattia Pascal . '.5 —
Terzetti 5 —
I veccbi e i giovani. 2 v. 6 50
La trappola 5 —
II turno; Lontano. . .4 —
Si gir;i .5 —
E domani, lunedì 5 —
Un cavallo nella luna . 3 —
Quand'ero matto 3 —
Carlo Placcl.
Mondo mondano . . .2 —
In automobile . . . .2 —
Marco Praga.
La Biondina 2 —
Mario Pratesi.
Le perfidie del caso . .2 —
Carola Prosperi.
La Nemica dei Sogni . 5 —
L' Estranea 6 —
Vocazioni 3 —
Dino Provenial.
Uomini, donne e diavoli. 3 —
Egisto Boggero.
Le ombre del passato . 2 —
Komokokis. In-8, illus. . 4 —
I racconti della mia Ri-
viera 3 —
Gerolamo BOVOtta.
♦Sott'acqua 5 —
II primo amante . . .5 —
♦Novelle 2 —
♦XI processo Montegù. . 2 —
Ferdinando BuSSO.
Memorie di un ladro. L. 2 —
Il destino del Re. . . 2 —
Roberto Sacchetti.
Gandaule 4 —
Fausto Salvatori.
Storie di parte nera e Storie
di parte bianca. . .5 —
Baron. di S. Maria (Fides).
Vittoriosa ! 6 —
Vie opposte 5 —
Rosso di San Secondo.
Ponentino 5 —
La fuga 5 —
La morsa 5 —
Io commemoro Loletta . 3 —
Michele Sapouaro.
Peccato 5 —
Francesco Sapori.
La Trincea 5 —
Terrerosse 6 —
6. A. Sartorio.
Romse Carrus Navalis . 2 —
Tre novelle a Perdita . 5 —
Angusto Schippisi.
La colpa soave . . . .5 —
Isabella Soopoli-Biasi.
L'erede dei Villamari . 2 —
Matilde ScraO.
Suor Giovanna della Croce 5 —
La Ballerina . . . .5 —
Ella non rispose . . .6 —
Dopo il perdono . . .5 —
Evviva la vita ! . . ,5 —
La vita è così lunga! . 3 —
Serra-Greci.
Adelgisa 2 —
La fidanzata di Palermo. 2 —
Sfinge.
Dopo la vittoria . . .2 —
La costola di Adamo. . 5 —
Il castigamatti, . , .8 —
Valentino Soldani.
Viva r Àngiolo 1 ... 2 —
Milano — Fpatelli TREVES, Editoei — Milano
Flavia Steno.
L'ultimo sogno. . . L. 2 —
Il pallone fantasma . .2 —
Così, la vita! . . . .2 —
Fra cielo e mare . . .2 —
La veste d'amianto , .2 —
La nuova Eva . . . .2 —
Il gioiello sinistro . .2 —
n sogno che uccide . .2 —
Il miraggio 2 —
Oltre l'odio 2 —
Téréaah (Teresa Ubertis).
Il corpo e l'ombra . .5 —
Il salotto verde . . .5 —
La casa al sole. . . . 5 —
Federigo Tozzl.
Bestie 5 —
Con gli occhi chiusi . .5 —
I. Trebla.
Volontario d'un anno. - Sotto-
tenente di complem. . 4 —
Alessandro VaraldO.
Un fanciullo alla guerra . 5 —
Le avventure . . . .3 —
L. A. Vassallo.
La signora Cagliostro . 4 —
Guerra in tempo di bagni. 3, —
La famiglia De-Tappetti. 3 50
Uomini cheho conosciuto. 5 —
Dodici monologhi . . . 3 50
Ciarle e macchiette . . 4 50
*I1 pupazzetto tedesco . 3 —
Il pupazzetto spagnolo . 3 —
Il pupazzetto francese . 3 —
Diana ricattatrice. . . 3 50
Giovanni Vorg^a.
Storia di una capinera. 4 —
— Edizione economica . 2 —
Eva. . • 3 —
Cavalleria rusticana . .5 —
— Ediz. in-8, illustr. .12 —
Novelle 2 —
Per le vie 2 —
Jl marito di Elena . .2 —
Giovanni Verga..
Eros L. 2 —
Tigre reale 2 —
Mastro-don Gesualdo. . 5 —
Ricordi del capit. d'Arce. 2 —
I Malavoglia . . . .5 —
Don Candeloro e C. . .2 —
Vagabondaggio. . . . 4 —
Dal tuo al mio. . . .5 —
G. Vlacontl-Venosta.
II curato d'Orobio. . . 5 —
Nuovi racconti . . . .5 —
Mario Vagliano.
Gli allegri compari di Borgo-
drolo. Con disegni . .2 —
Anita Zappa.
La Notte, race, del 1915. 6 50
Remigio Zena.
La bocca del lupo . .2 —
L'apostolo 5 —
Luciano ZÙCCOli.
La Compagnia della Leg-
gera 5 —
L'amore di Loredana. . 5 —
Farfui .: . 5 —
Ufficiali, sott'ufiìciali, caporali
e soldati 5 —
Il Designato 5 —
Donne e Fanciulle . .5 —
I lussuriosi 4 —
Romanzi brevi . . . .5 —
Primavera 5 —
La freccia nel fianco . 5 —
L'Occhio del Fanciullo . 5 —
La vita ironica . . .5 —
Novelle prima della guer-
ra 5 —
La volpe di Sparta . . 5 —
Roberta . . . . . .5 —
II maleficio occulto . . 5 —
Per la sua bocca . . .5 —
Baruffa 5 —
ROMANZI STRANIERI
EDIZIONI TREVES.
1 volumi segnati con * so?io in corso di ristampa.
FRANCESI.
Amedeo AchftTd.
Giorgio Bonaspada. 2 v. L. 4 —
Matthey AmOUld.
*Lo Stagno delle suore grigie.
2 volumi 4 —
Giovanni senza nome. 2 v. 4 —
Gli amanti di Parigi, 2 v. 4 —
La rivincita di Clodoveo. 2 —
*La Brasiliana . . . .2 —
La bella Nantese . . .2 —
La figlia del giudice d'istru-
zione. 2 volumi. . .4 —
Zoe. 2 volumi . . . .4 —
Un punto nero. . . .2 —
Un genero . . . . .2 —
*La bella Giulia . . .2 —
*La vergine vedova . .2 —
Dieci milioni di eredità. 2 —
La figlia del pazzo . .2 —
Castello della Croix-Pater. 2 —
*Zaira . . . . . . . 2 —
L'impiccato della Baumette.
2 volumi . . . \ 4 —
Arnould e Fournier.
Il Figlio dello Czar . . 2 —
L'erede del trono . . .2 —
Balzac.
Memorie di due giovani
spose 2 —
Piccole miserie della vita co-
niugale. ..... 2 —
Papà Goriot 2 —
Eugenia Grandet . . .2 —
Cesare Birottò .... 2
I celibi:
L Pierina . . .
II. Casa di scapolo
1 parenti poveri:
L La cugina Betta
TI. Il cugino Pons.
2 —
3 —
Balzao.
Illusioni perdute:
I. I due poeti; Un graa-
d' uomo di provincia a
Parigi . . . . L. 2 —
II. Un grand'uomo di pro-
vincia a Parigi; Eva e
David 2 —
Splendori e miserie delle cor-
tigiane 2 —
Giovanna la pallida . .2 —
L'ultima incarnazione di Vau-
trin 2 —
Il deputato d'Arcis . .2 —
L' Israelita 2 —
Orsola Mirouet. . . .2 —
Il figlio maledetto. - Gambara.
- Massimilla Doni . .2 —
Adolfo Belot.
Due donne 2 —
Alessandro Bérard.
Cypris; Marcella . . .2
Elia Berthet.
La tabaccaia . . . . 2-
Il delitto di Pierrefitte. 2 —
Fortunato Boisgobey.
L'avvelenatore . . . .2 —
La canaglia di Parigi . 2 —
L'orologio di Rosina . . 2 ■
La casa maledetta . . 2 ■
Il delitto al teatro dell'Opera.
2 volumi 4 —
Maria . 2-
Albergo della nobile Rosa. 2 —
Cuor leggero. 2 volumi. 4- — .
Il segreto della cameriera. 2 ^
La decapitata . . . .2 —
La vecchiaia del signor Lecoq.
2 volumi 4 —
Milano — Fratelli TREVES, Editori — Milano
2
2
150
2 —
150
2
2
2 —
2 —
4 —
2
2 —
2 —
Paolo Bourget.
Un delitto d'amore . L
Andrea Cornelis . .
— Ediz. in-8 illnstr.
Enimma crudele . .
— Ediz. in-8 illustr.
Menzogne
L'irreparabile . . .
Il discepolo ....
Il fantasma ....
La Duchessa Azzurra
Alessio Bouvier.
Madamigella Olimpia
Il signor Trumeau .
Discordia coniugale .
Basnach e Chabrlllat.
La iìgiia di Lecoq . . 2-
Alfredo CapuS..
Robinson 4-
Enrico Chavette.
Quondam Bricheti. . . 2 -
*La stanza del delitto . 2 -
In cerca d'un perchè . 2-
Un notaio in fuga . . 2 -
Vittorio Cherbuliez.
Miss Rovel 2 -
L'avventura di L. Bolski. 2 -
Samuele Brohl e comp. 2 -
L'idea di G. Testaroli . 2-
Fattoria della cornaccliia. 2-
Giuiio Claretie.
Il milione 2 -
S. E. il Ministro . . . 2 -
*Laura la saltatrice . . 2 -
*La casa vuota . . . . 2 -
*L' amante . . -. . . . 2 -
Roberto Burat . . . . 2 -
La commediante. 2 voi. 4 -
I Moscardini. 2 voi. . . 4-
La fuggitiva . . . . 2 -
■Michele Berthier . . . 2 -
Troppo bello! (Puyjoli). 2-
II 9 termidoro . . . . 2 -
Maddalena Bertin. . , 2-
Noris 2-
II bel Solignac. 2 voi. . 4-
Beniamino Constant.
Adolfo 2-
AifoDso Daudet.
*DittaFromonteRislerL. 2 —
*I re in esilio . . . .2 —
— Ediz. in-8 illustr. . 3 —
Numa Roumestan . . .2 —
. Novelle del lunedì . .2 —
*L' Evangelista . . . . 2 —
— Ediz. in-8 illustr. . 3 —
Pietro De Coalevain.
Su la frasca 2 —
Delpit.
Il figlio di Coralia . .2 —
Teresina 2 —
Il padre di ìrarziale. . 2 —
Appassionatamente . .-2 —
G. De Lys.
Duplice mistero . . .2 —
F. De Kiou.
Giovanna e Giovanni . 2 —
L. De Robert.
Il romanzo del malato . 4 —
Melchiorre De Vog^ué.
Giovanni d'Agrève . .2 —
Gustavo DrOZ.
Attorno una sorgente . 2 —
*Marito, moglie e bebé . 2 —
Alessandro Dumas (figlio).
*Teresa; L'uomo-donna . 2 —
Erckmaun e Chatrian.
L'amico Fritz . . . .2 —
*I Rantzau 2 —
La casa del goiardaboschi. 2 —
Ottavio Feuillet.
Il signor di Camors . .2 —
*La vedova. Il viaggiatore. 2 —
Storia di Sibilla . . .2 —
Un matrimonio nel!' alta so-
cietà 2 —
Giulia di Trecoeur . .2 —
Paolo Féval.
La regina delle spade . 2 —
Gustavo Flaubert.
Madame Bovary . . . 2 —
Ànatoie Frauce.
*Taìde 2 —
Il delitto di Silvestro Bon-
nard 2 —
10 Milano — Fratelli TREVES, Editori — ]\Iilano
Emilio Gaborlau.
Il signor Lecoq. 3 voi. . 6 —
La cartella 113 . . . 2 —
Il processo Lerouge . .2 —
La vita infernale. 2 voi. 4 —
*I1 misfatto d'Orcival. . 2 —
Gli amori d' una aweleua-
ti'ice 2 —
Edmondo de GonCOUrt.
Maria Antonietta . . . 2 —
La Faustin 2 —
Carina. ., 2 —
Suor Filomena . . . .2 —
Emanuele GonZAleS.
La strega d'amore. 2 voi. 4 —
La principessa russa. . 2 —
Le due favorite. 2 voi. 4 —
Il vendicatore del marito. 2 —
E. Gre ville.
Niania . 2 —
Clairefontaine . . . .2 —
Maritiamo la figlia . .2 —
Amore che uccide. . . 2 —
Il voto di Nadia . . . 2 —
Nikanor 2 —
Perduta 2 —
Un violinista russo . .2 —
Dosia 2 —
Il romanzo d'un ]iadre . 2 —
La via dolorosa di Raissa. 2 —
La principessa Ogherof. 2 —
Sonia 2 —
Ariadna 2 —
Halévy.
*L' abate Constantin . .2 —
GriUina (Criquette) . .2 —
Paolo Hervieu.
Lo sconosciuto . . . .2 —
L'Alpe omicida. . . .2 —
Arsenio Houssaye.
Diane e Veneri . . .2 —
Vittxjr Hugo.
Nostra Donna di Parigi o E-
smeralda. Con 72 incis. 5 —
Han d'Islanda. Dlustrato. 3 50
Bug-Jargal. Con 36 ine. 3 50
Enrico Lavedan.
I bei tempi 4 —
Hugues Le Rouz.
II Padi-oae dell'ora . , 'i -
Pierre LOti.
^lio fratello Ivo . . L.
Renato Malzeroy.
Piccola regina . . .
L'adorata
Camilla Mallarmé
Come fa Tonda
Ettore MalOt.
Il dottor Claudio. 2 voi
Un buon aftV.re. .
Il luogotenente Bonnet
*3Iilioni e vergogne ,
Paolina . . . . ,
Paolo Marg^ueritte
*La tormenta. . .
Amor nel tramonto ,
La Principessa Nera. 2 v,
p. e V. Margueritte.
Il Prisma 2 —
Florence Marryat,
Stirpe di vampiri. . .2 —
Giulio Mary.
*Le notti di fuoco . . ,2 —
La famiglia Danglard . 2 —
L'amante del banchiere. 2 —
M. Maryan.
Guénola. In-8, illustr. . 2 —
Guy de Maupassant.
Forte come la morte. . 2 —
Bel- Ami 2 —
Una vita .2 —
■ II nostro cuore. . . .2 —
Racconti e novelle . .2 —
Casa Tellier 2 —
Prospero Mérimée
La contessa di Turgis . 2 —
Carlo Mérouvel.
Priva di nome. 2 voi. . 4 —
Febbre d'oro. 2 voi. . .4 —
L'inferno di Parigi. 2 v. 4 —
L'amante del Ministro . 2 —
La signora Marchesa. . 2 —
Figlioccia della duchessa. 2 —
La vedova dai cento milioni.
2 volumi 4 —
Teresa Valignat . . . 2 —
Un segreto terribile . .2 —
Pari e patta 2 —
Fior di Corsica. . , , 'à —
2
2 —
4 —
4 —
2 —
2
2 —
2
2
7 —
Milano — Fratelli TKEVES, Editori — Milano 11
G. Méry.
Un delitto ignorato . L. 2 -
Il maledetto . . . . 2 -
Marco Monnier.
Novelle napoletane . . 2 -
Saverio Montépin.
*La veggente 2 —
*I1 condannato . . . . 2 —
*L'agenzia Rodille . . . 2 —
♦L'ereditiera 2 —
Il ventriloquo. 3 voi. . 6 —
*I delitti del giuoco . . 2 —
*I delitti dell'ebbrezza . 2 —
Espiazione 2 —
*La bastarda. 2 voi. . . 4 —
*La Casina dei lillà . . 2 —
La morta viva, 2 voi. . 4 —
♦L'impiccato. 3 voi. . . 6 —
*I1 marchese d'Espinchal. 2 —
*Un fiore all'incanto . . 2 —
*Compare Leroux . . . 2 —
*L'ultimo dei Courtenay. 2 —
*Una passione . . . , 2 —
*I fanti di cuori . . . 2 —
^Due amiche di St.-Denis. 2 —
*L'avventuriero . . . .2 —
Il segreto del Titano . 2 —
^L'amante del marito . .2 —
^L'avvelenatore . . . .2 —
S. M. il Denaro. 2 voi. . 4 —
^'Ammaliatrice bionda. 2 v. 4 —
^Donna Rovina . . . ,2 —
^riegreto della contessa. 2 V. 4 —
Giorgio Ohnet.
Il padrone delle ferriere. 2 —
— Edizione illustrata . 4 —
La contessa Sara . . .2 —
— Edizione illustrata . 4 —
Sergio Panine . . . .2 —
Lisa Fleuron . . . .2 —
— Edizione illustrata . 4 —
Debito d'odio . . . .2 —
Il diritto dei figli. . .2 —
VeccM rancori . . . .2 —
La sig.^ vestita di grigio. 2 —
L'indomani degli amori. 2^
Il curato di Favières . 2 —
l Gaudenti 2 —
Vittorio Perceval.
*10,000 frauciu di mancia. 2 —
Le vivacità di Carmen . 2 —
11 nemico della 'signora. 2 —
Renato de Pont-Jest.
L'eredità di Satana . .2 —
Le colpe di un angelo . 2 —
Un nobile sacrificio . .2 —
Giorgio Pradel.
Compagno di catena. 2 v. 4 —
Abate PrévOSt.
Mauon Lescaut. . . . -2 —
Marcello PrévOSt.
Lettere di donne . . .2 —
Nuove lettere di donne. 2 —
Ultime lettere di donne. 2 —
Coppia felice . . . .2 —
Il giardino segreto . .2 —
L'autunno d'una donna. 2 —
Pietro e Teresa . . . 3 —
Le Vergini forti:
I. Federica . . , .4 —
II. Lea 4 —
La principessa d'Erminge 4 —
Donne 4 —
A passo marcato . . .4 —
Gli angeli custodi .• ,4 —
Herr e Frau Molocli. . 4 —
Lettere a Francesca . .3 —
Lett. a Francesca marit. 4 —
Lettere a Frane, mamma. 4 —
L. Beybaud.
Il bandito del Varo . .2 —
Emilio Blchebourg.
♦L'idiota. 2 voi. . . .4 —
Innamorate di Parigi. 2 v. 4 —
Carlo Blchet.
Fra cent'anni . . . .2 —
Edoardo Bodi
*I1 senso della vita . .2 —
La vita privata di Michele
Teissier . .' . . .2 —
La seconda vita di Michele
Teissier 2 —
Lo zio d'America . . .2 —
Taziana Leilof . . . .2 —
L'acqua che corre. . .2 —
Arnaldo Bug'C.
♦Bianca della Eoccu . . 2 — >
12 Milano — Peatelu TREVES, Editori — Milano
Eemy Salut-Maurice.
Gli ultimi giorni di Saint-
Pierre L. 2 —
Gìorgit) Sand.
*Mauprat , . . : . .2 —
Giulio Sandeau.
*Madam.^ deUa Seiglière. 2 —
— Edizione illustrata . 5 —
— Nuova ediz. illustr. . 3 —
Texier e Le Senne.
Memorie di Cenerentola. 2 —
Andrea Theurìet.
Elena . 2 —
Un'Ondina; I dolori di Claudio
Bloue't 2 —
Amor d'autunno . . .2 —
Sacrifizio d'amore. . .2 —
Marcelle Tlnayre.
Hellè 2 —
Giulio Verne.
Il giro del mondo in ottanta
giorni 2 —
— Ediz. in-8 illustr. . 3 50
*Dalla terra alla luna . 2 —
*20 000 leghe sotto i mari. 2 —
*No velie fantastiche . .2 —
— Ediz. in-8 illustr. . 4 —
*I figli del capitano Grant e Una
città galleggiante. 2 v. 4 —
*Avvent. del cap. Hatteras. 2 —
Il faro in capo al mondo. In-8,
illustrato 5 —
U dottor Oss; I violatori di
blocco. In-8, iUustr. . 2 —
Vincent.
Il cugino Lorenzo. . .2 —
Giovanni Wachenhusen.
Per vii denaro. . . L. 2 —
L'inesorabile 2 —
Pietro Zaccoue.
Bianchina 2 —
Emilio Zola.
L'assommoir. 2 volumi . 4 —
— Edizione illustrata . 4 —
Il ventre di Parigi . .2 —
— Edizione illustrata . 3 50
La fortuna dei Rougou. 2 —
La cuccagna (La Curée). 2 —
La conquista di Plassans. 2 —
Il fallo dell'abate Mouret. 2 —
S. E. Eugenio Rougon . 2 —
Una pagina d'amore . .2 —
Teresa Raquin. . . .2 —
*Racconti a Ninetta . .2 —
*Nuove storielle a Ninetta. 2 —
*Nantas ed altri racconti. 2 —
^Misteri di Marsiglia. 2 v. 4 —
Pot-Bouille (Quel che bolle in
pentola). 2 volumi. . 4
Il voto di una morta . 2
Il Denaro. 2 volumi . . 4
La Guerra. 2 volumi . 4
— Edizione in-8 illus. . 6
La Terra. 2 volumi . . 4
Germinai. 2 volumi . . 4
Yitad'artista(L'(Euvre). 2
— Edizione illustrata . 5
Il dottor Pascal. 2 voi. 4
n sogno 2
— Edizione illustrata . 6
Maddalena Ferat ... 2
INGLESI E AMERICANI.
Edoardo Bellamy.
KeU'anno 2000. . . . 2 —
Guy Boothby.
il dottor Nikola . . .2 —
Miss Braddon.
Per la fama 2 —
Verrà il giorno . . .2 —
La zampa del diavolo. 2 V. 4 —
Asfodelo. 2 voi. . . .4 —
Un segreto fatale . . .2 —
Una vita, un amore . .2 —
Fra due cognate . . . 2 —
Carlotta Brente.
Jane Eyre. 2 voi. . . .4
Rhoda Broug'hton.
Addio,, amore . . . .2
Edoardo Bulwer.
La razza futura ." . .2
Delannoy Burford.
L'assassino 2
Roberto Byr.
La legge del taglione . 2 ■
Milano — Fratelli TKEVES, Editom — Milano 13
Wilkie Collins.
Le vesti nere. 2 voi. L. 4 —
No. 2 voi. ..... 4 —
Il segreto di morte . .2 —
Il cattivo genio . . .2 —
L'eredità di Caino . .2 —
Ugo Gonway.
Il segreto^ della neve . 2 —
Un segreto di famiglia. 2 —
Novelle. 'I voi 4 —
Vivo 0 morto . . . .2 —
Maria Corelli.
Vendetta 2 —
Francis Marion Crawford.
Saracinesca. 2 voi. . .4 —
Sant'Ilario. 2 voi. . . .4 —
Don Orsino. 2 voi. . .4 —
Corleone. 2 voi. . . .4—^
Paolo Patoff. 2 voi. . . 4 —
Carlo Dickens.
*Storia d"amor sincero . 2 —
Il Circolo Pickwick, 2 v. 4 —
♦Grandi speranze. 2 voi. 4 —
*Tempi difficili . . . . 2 —
Memorie di Cavide Copper-
- field, 2 volumi . . .4 —
— Ediz. in-8 illustr. . 4 —
*La piccola Dorrit. 3 voi. 6 —
*L'abisso - 50
Le ricette del dottor Marigold;
Il mistero degli specchi 2 —
Beniamino Dlsraell.
Alroy 0 il Liberatore . 2 —
Dick Donovan.
Caccia a fondo . . . .2 —
Conan Doyle.
Il dramma di Pondichery-
Lodge 2 —
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.Gli Italiani 3 —
Lauoe Falconer.
Mademoiselle Ixe . . .2 —
F. G. Farrar.
Tenebre e albori . . .2 —
Fergus Hume.
La dama ei'rante . . .2 —
11 13." commensale . . 2 7—
Lady FuUerton.
L'UcceUino di Paradiso. 2 —
Rider Haggard.
Beatrice . •. . . . L. 2 —
*Jess, 0 Un amore nel Trans-
vaal 2 —
Il popolo della nebbia. 2 v. 4 —
Giovanna Baste. 2 voi. . 4 —
La fanciulla dalle perle. 2 —
Hall Caine.
Il figliuol prodigo. . .3 —
La donna che Tn mi hai
dato. 3 voi 8 —
Hamilton-Shields.
Tre novelle di Van Dyke. 4 — ■
Hill Headon.
La storia d'nn gran segreto.
Con 2 .incisioni . . .2 —
M. Hewlett.
Gli amanti della foresta. 2 —
Siias Hocking.
La figUa del signorotto. In-8,
iUnstrato 3 —
Il cappuccio rosso. In-8, illu-
strato 1 no
Le avventure di un curato.
In-8, illustrato . . . 4 ^
Miss Hungerford.
Dalle tenebre alla luce. 2 —
Giorgio James.
L'Ugonotto. 2 volumi . 4 — •
Vallace LewiS.
Ben Hur, racconto storico dei
tempi di Cristo. 2 v. ili. 5 —
William John LOCke.
Idoli 4 —
Stellamaris 4 —
E. Marlltt.
La Contessina Gisella . 2 —
Elisabetta dai capelli d'oro 2 —
Mayne-Beid.
La schioppettata mortale. In-8,
illustrato 4 —
Giorgio Meredlth.
Diana de' Crossways . .4 —
L. G. Moberly.
Il passato che ritorna . 2 —
Miss Mulock.
Zio e nipote 2 —
F. Oppenheim.
JVIisterodiBernardBrown 2 —
La spia misteriosa . .2 —
Ì4 Mn^NO. — Fratelli TREVES, Editori — ISÌilano
Guida.
AffrescW. Con biografia. 2 —
*Iii maremma . . . .6 —
Blviugton-Pyke.
Il viaggiatore misterioso. 2 —
M. Boberts.
Il segreto della marchesa. 2 —
Bianca BOOSevelt.
La regina del rame. 2 v. 4 —
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Una moglie d'occasione. 2 —
Conquista d'una sposa . 2 —
Una sireiìa americana . 2 —
Walter SCOtt.
Ivanhoe. In-8, illustrato. 6 50
Kenilworth. In-8, illustr. 6 50
Quintino Durward. Ulus. 6 50
R. L. Stevenson.
Rapito 2 —
La strana avventura del dot-
tor Jekyll 2 —
w. M. Thackeray.
La fiera della vanità, o v. 6 —
Guy Thorne.
Nelle tenebre . . . .2 —
Mrs. Humpliry Ward.
Miss Bretherton . . L. 2 —
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Novelle straordinarie. In-8, con
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Nei giorni della cometa. 4 —
La visita meravigliosa . 2 —
Storia d'un uomo cbe digeriva
male (The history of Mr.
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Quando il dormente si sve-
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Nel labirinto . . . .2 —
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Nella Montagna nera . 2 —
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Sofia Junghans.
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La modella; Formosa
Deus Yicit . . . .
Rodolfo Iiindau.
Roberto Asbton . .
Liudner.
La marchesa Irene .
Corrado Meyer.
Giorgio Jenatsch . .
Eugenio Bichter.
Dopo la vittoria del sociali-
smo , ,2—'
2-
2
2
2 —
2 —
2
Milano — Fratelli TREVES, Editori — ÌIilano 15
Ei-inanno Sudermauu.
E. Werner.
La fata del dolore . L.
2 —
Eejetto e redento . . L.
2 —
L'Isola dell'Amicizia. 2 v.
4 —
Via aperta
2 —
Il ponte del «'atto . .
2 —
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3 50
Fratelli e Sorelle . . .
2 —
Vineta
2 —
Berta de Suttner.
Catene infrante . . .
2 —
*Al)basso le armi'. 2 voi.
4 —
Verso l'altare . . . .
2 —
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Buona fortuna! . . .
2
L'esercito dormente . .
2
Fata Morgana. 2 volumi.
4 —
Wagner.
— Ediz. ili. da 89 incis.
4 —
Sottolabandiera dei Boeri
2 _
A caro prezzo . , . ',
o _
E. Werner.
La fata delle Alpi . .
2 —
Un eroe della penna. .
2 —
Messaggieri di primavera.
2
San Michele
2 —
Caccia grossa . . . ,
2 —
Il fiore della felici t.à. .
2
Rune
2 —
Fiamme
2 —
Il Vincitore
4 —
POLACCHI
E RUTENI.
Kraszewskl.
Sulla Sprea 2 —
Sa.cher-Masoch.
Racconti galliziani . .2 —
Enrico Slenklewìcz.
Quo.Vadis? Ed. di lusso. 8 —
— Edizione cinematografica.
. lllustr. da 78 quadri .10 —
Enrico Sienkiewloz.
Quo Vadis? Ediz. pop. . 2
— Edizione in-8, illustr. 4
Oltre il mistero . . .2
Invano 2
*L Crociati. 3 volumi . .6
*Per il pane 2
Stefano Zeromski.
Fiume fedele . . , . 4 •
UNGHERESI.
Mattrus Jokai.
Amato fino al patibolo. . 2 —
Elisa PolkO.
Lontani ! 2 —
Max Nordau.
Battaglia di parassiti. 2 vo-
lumi 4 —
Morganatico. 2 volumi . 4 —
SPAGNOLI.
Pio Bavoja.
La scuola dei furbi . .
A. De Alar^on.
L'ultimo amore. . . .
Juiio Nombela.
La carrozza del diavolo.
9 _
Armando Palaclo Valdés.
Suor San Sulpizio. . .4 —
Benedetto Perez-Galdós'.
Donna perfetta. . . . 2 —
Mari anela; Trafalgar. .2 —
Don Juan Valera.
Illusioni del d.'' Faustino. 2 —
ARGENTINI.
Cuàyen
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mondo De Amicis . .5 —
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Racconti della Pampa. . 2 —
16 Milano — Fratelli TREVES, Èditobi — Mn.ANO
RUSSI.
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Principessa Olga.
Eattaglie iutiine . . L.
2
*Lavita galante in Russia.
2
Anton CeCOW.
Gregor Samarow.
Racconti russi ....
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In cerca di una sposa .
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Gernicevakl.
Che fave"''
o
Osslp Schubin.
Feodor DostoJeWSkl
Dal sepolcro dei vivi. .
11 delitto e il castigo. 3 v.
2
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Ali spezzate. . . . L.
Un cuore stanco . . .
Gloria Yictis! ....
2 .
2 —
Povera gente! ....
2 —
Alessio TolstOl.
*I fratelli Karamazoff. 2 v.
4 —
*Ivau il Terribile . . .
2 —
L'idiota, 2 voi
4 —
Leone TolstOi.
Principe Galytzln.
Anna Kareuine. 2 voi. .
4 —
Il rublo
2 —
La sonata a Kreutzer .
2 —
Senz'amore
2
La guerra e la pace. 4 v.
8 —
Il contagio .....
Maxim GOrkl.
2
Ultime novelle ....
9 _
I Cosacchi
2-
Lavitaèuna sciocchezza!
2 —
Padrone e servitore . .
2 —
I coniugi Orlow . . .
2 —
Che cosa è l'Arte? . .
2 —
w. Korolenko.
Resurrezione. 2 volumi .
4 —
Il sogno di Makar . .
2 _
Ivan Turg^henieff.
Demetrio Mereshkowsky.
*Fumo; Acque primavera.
2 —
*La ]\Iorte degli Dei. 2 v.
4-
^Racconti russi ....
2 —
La Resurrezione degli
Dei.
♦Nidiata di gentiluomini/- 2 —
3 volumi
6 —
Terre Vergini ....
2-
— Edizione di lusso. .
8 —
Padre e figli ....
2-
RUMENL
Maria Th. JonuetiCO. Un amore tragico 4
BELGI.
Consclence.
♦Statua di legno , .
2 —
OLANDESI.
Luigi CouperuB.
Maestà 2
Pace universale ... 2
SCANDINAVI
Bjornstierne BJÒ1*I1S0I1.
*Mary. 2 —
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Potenza della Menzogna. 2 —
Un cuore ferito . . . 2 —
La coscienza (Erik Evje). 2 —
Vita . , . . . . . 4 —
Selma Lagerlòf.
La leggenda di Gbsta Ber-
• ling 4 —
La casa di Liljecroua . 2 —
Otto Moeller.'
Oro e onore 2 —
GIAPPONESI.
Kenjiro Tokutoml. Nami e Takeo 2 —
Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano*
I VICERÉ
II.
Ol tivK DI KKinìUK :< ) OF, ROBERTO
(Indizioni Irtri;-^!.
Le donne, i cavalicr'.... 1 dizione di lusso, iii-3,
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Una pagina della storia deU'a:ywre . . .2 —
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Giacomo Leopardi 1 --
/ Viceré, t voi io-
^>
FEDERICO DE ROPJERTO
I VICERÉ
ROMANZO
A'
uova edi.
zìonc Jrez'cs
(m 2
voìwiti)
VOLUiME
SECONDO
..•/t"
,'0
••••• ••
MILANO
Kkatelli Freves, Edi i ori
T920
Secondo miglialo.
PROPRIETÀ LETTERARIA.
I diritti di\riproduzione e di traduzione sono riservati
per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e V Olanda.
Si riterrà contraiifatto qualunque esemplare di quest'opera che non
porti il doppio timbro a secco della Società Italiana degli Autori.
Milano — Tip. Treres.
I VICERÉ
V.
«Il duca ci'Orag-ua !... Il deputalo, il palriolta !...
Dove? Dov'è?... Eccolo lì!... È ingra-ssato !... Manca
da quasi tre anni!... \'iene da Torino?... Signor du-
ca!... Eccellenza!... » E qui saluti ed inchini a destra
e a sinistra, certuni che si tiravan da canto una de-
cina di passi prima d'incontra'"Io, e si scoprivano come
al passaggio del Santissimo Sacramento : tutti che si
voltavano a seguirlo un pezzo con gli occhi quand'era
già passato. Pochi godevano il privilegio di poterlo ac-
costare, di stringergli la mano, di chiedergli le sue no-
tizie; pochissimi, gli eletti, potevano onorarsi d'accom-
pagnarlo, di scortarlo, di mescolarsi al codazzo degli
intimi ammiratori ed amici che lo seguivano su e giù,
fllla Prefettura, al Municipio, ai Circoli. Ed egli teneva
il centro della strada, quasi ne fosse il padrone, ascol-
tato devotamente da quanti gli stavano a fianco, aspet-
tato da tutta una corte intenta a tessere e a ritessere
le sue lodi quando, per un piccolo bisogno imperioso,
egli s'accostava a un cantone. Al palazzo, lo stesso an-
dirivieni d'un tempo : elettori, sollecitatori, delegazioni
di società politiche che tornavano a ringraziarlo a voce,
dopo averlo ringraziato per iscritto, del bene che aveva
fatto al paese ed ai concittadini : grazie a lui, la prima
ferrovia a cui s'era messo mano in Sicilia era quella
da Catania a Messina, e il porlo aveva numerosi ap-
De Roberto. / Viccri -lì .1
prodi di piroscafi, e la città era stata dotata di nume-
rose scuole, d'una ispezione forestale, d'un deposito di
stalloni ; e un istituto di credito, la Banca Meridionale,
stava per sorgere; e il Governo prometteva d'intrapren-
clere una quantità d'opere pubbliche, di aiutare il Mu-
nicipio e la Provincia; e i buon' liberali, i fig-li della
rivoluzione, ottenevano a poco a poco quel che chiede-
vano : un posto, un sussidio, una croce.
La sua popolarità toccava l'apice. Alcuni, è vero, gli
rimproveravano l'assenza durante i fatti del '62, adde-
bitandola alla paura, e tiravano in bailo le storie del
Quarantotto, lo accusavano d'essersi finalmente rammen-
tato del collegio adesso che, sciolta- la Camera, voleva
gli riconfermassero il mandato ; ma questi mormoratori
erano gli eterni malcontenti, i pochi repubblicani, qualche
garibaldino sfegatato, tutta gente che non poteva perdo-
nargli la sua ascrizione al parato conservatore. Nelle
conversazioni politiche egli difendeva infatti a spada
tratta la politica moderata, « ora che abbiamo fatto la
rivoluzione e raggiunto lo scopo; » e celebrava l'azione
prudente del Governo, deplorava le intemperanze di Ga-
ribaldi, biasimava il malcontento contro la Convenzione
di settembre, affermava che la lega dei buoni era ne-
cessaria per salvar la nazione dai nemici esterni ed in-
terni. Più che nei primi tempi della deputazione, faceva
coljx) mentovando i suoi grandi amici politici : « Quando
andai da Minghetti Rattazzi mi disse In casa del
ministro » Però non citava più il barone Palmi; se
gli parlavano delle gesta del nipote Raimondo, faceva
con le spalle e col capo un breve moto che poteva dir
tutto, secondo_l\imaj£-4oll' mt0jua5g;ata: approvazione,
compatimento, biasimo. Ma oramai la situazione di
Raimondo e di donna Isabella era legittima, e tutti
i parenti, dopo l'esempio del principe, li trattavano
come marito e moglie. In meno di sei mesi, la Corte
vescovile, riconosciuto che il matrimonio era stato con-
tratto per forza e con la paura, aveva liberato la Fersa.
Per quello di Raimondo con la Palmi c'era stato un
poco più da fare. Da principio, aspettavano che il
barone si decidesse anche lui a chiedere l'annulla-
mento del matrimonio della lìg"lia, asserendo di averla
forzata a contrarlo; ma il barone, «testa di villan
cocciuto » spiegava Pasqualino, « aveva e avrebbe sem-
pre detto di no, fino al momento di tirar le cuoia,
quantunque sua fig^lia — felice memoria — si fosse
finalmente posto il cuore in pace, specialmente appren-
dendo che il primo matrimonio non esisteva più e che
il conte aveva un figlio da legittimare. La signora
donna Matilde — giustizia innanzi tutto ' — nono-
stante le sue stravaganze era ragionevole in fondo,
0 sapendosi del resto malata, comprendendo che un
po' prima un po' dopo il conte sarebbe rimasto li-
bero, s'era persuasa di pregare il padre che consentisse
allo scioglimento del matrimonio civile. Del religioso,
no, perchè aveva certi suoi scrupoli un po' curiosi
sulla santità del sacramento; ma basta! suo marito
si sarebbe contentato dello scioglimento civile. I conti
eran però fatti senza la mulaggine del barone villano,
il quale giurava di voler prima morta la figliuola che
consentire alla liberazione del genero!... Ah, no? E
allora il contino aveva chiesto lui d'essere sciolto,
adducendo che la madre lo aveva costretto a prendersi
quella moglie! »
Sapevano tutti che donna era stata la principessa,
con quanta prepotenza s'era imposta ai figli. Non
aveva violentata la volontà di Chiara, per darle il
marchese di \'illardita ? Così aveva violentata quella
di Raimondo per dargli la Palmi ! Decine, centinaia
di testimonii affermavano che il contino mai e poi
mai aveva voluto prender mogjie : prima di tutti la
parentela, il principe, le sorelle, i cognati, gii zii,
le cugine; poi gli amici, poi la servitù, poi tutta la
città. Ma per ottenere lo scioglimento del matrimonio
bisognava dimostrare che all'atto di pronunziare il sì
che Io legava per sempre don Raimondo avesse pro-
vato un timor grave : e allora il cavaliere don Eugenio
— 4 —
era venuto innanzi al magistrato per testimoniare che
la principessa sua cognata a\eva fatto accompagnare
il figliuolo alla parrocchia da due ccnnpìcri armati, i
quali, se eg-li avesse risposto ììo, dovevano legarlo,
buttarlo in fondo a una carrozza che stava ad aspet-
tare vicino alla chiesa e portarlo in campagna per
usargli le maggiori sevizie. Dai feudi di Mirabella
erano venuti i due campai a confermare la testimo-
nianza, e il cocchiere l'avea suffragata per suo conto,
e il sagrestano pure. Così, il .tribunale aveva fatto
giustizia.
E certa gente — ■ Pasqualino non se ne dava pace !
— pretendeva che quelle testimonianze fossero false,
che i campai fossero stati pagati, che don Raimondo
avesse dato una bevuta di trecent'onze allo zio don
Eugenio ! Quasi che don Eugenio Uzeda di Franca-
lanza. Gentiluomo di Cam.era di Sua Maestà Ferdi-
nando II (senza esercizio perchè Ferdinando non era
più di questo mondo e i suoi discendenti avevano ri-
cevuto il benservito) fosse capace di un' azione di
questa fatta! Quasi che i giudici fossero gente da
accettare deposizioni non vere ! Altri volevano dare
a intendere che, come uomo, il contino non poteva
spaventarsi delle minacce, e che non s'era mai dato
il caso d'un annullamento di matrimonio per costri-
zione della volontà dello sposo. Non s'era ancor dato,
e adesso si dava : oh bella, che ci trovavano da ridire ?
Non ci aveva trovato da ridire neppure il barone
Palmi, che non aveva preso parte alla causa ! Le male
lingue rincaravano che il barone aveva lasciato cor-
rere per amore della figlia, la quale era in fin di vita ;
ma Pasqualino, com'è vero Dio, certe cose neppur
intendeva come potessero capire in mente umana ! Che
c'entrava la malattia della signora donna Matilde col
silenzio del barone ? Forse che a saper, dissolto il ma-
trimonio, la signora Matilde sarebbe guarita dalla
contentezza? Era moria, invece — salut'a noi ! —
qualche mese dopo le giuste nozze del conte e di donna
— 5 —
Isabella ! nunque il barone era riniaslo zitto perchè
sapeva che il i^eiiero diceva la \erità !
Subito dopo la pace col principe, Raimondo e donna
Isabella s'erano riconciliati con una gran parte de^li
antichi oppositori ; la cugina Graziella, specialmente,
s'era messa a difenderli con maggior calore dello
stesso Pasqualino, dimostrando che la passione è
« cieca », che gli uomini « sono fatti di carne », e le
donne pure, e che la colpa di tutto quel che succedeva
anda\a attribuita tutta alla leggerezza, « per non dir
altro », della Palmi. Tuttavia', buona parte della no-
biltà restava a fare il a iso dell'arme a Raimondo ed
all'amica; ma la cugina assicurava che a poco a poco
tutti si sarebbero addomesticati, specialmente quando
i tribunali avessero fatto giustizia, accordando i di-
vorzii ; e non contenta di dare assicurazioni, faceva
propaganda, persuadeva i tentennanti, teneva fronte
ai Ixìrbottoni.
Frattanto, ringraziato Ferdinando dell'ospitalità che
gli aveva accordata, Raimondo s'era preso in affitto
un quartiere nel palazzo Roccasciano e v'era andato
a stare insieme con la futura moglie. Giacomo, il
Priore, il duca avevano veramente consigliato loro
di non farne nulla, di restar piuttosto alla Pietra del-
l'Ovo fino al giorno Iella loro legittima unione e poi
andar via, a Napoli, a Milano, a Torino, in mezzo
a gente nuova. Ma donna Isabella, a cui le schifiltose
avevano fatto troppi affronti, voleva prendere la ri-
vincita ed assaporare il trionfo. Raimondo, impegnato
a spuntarla contro tutti e tutto, faceva ancora, suo
malgrado, ciò che ella \oleva. Fermo proposito di lui
era d'andar via al più presto, non già per le ragioni
di prudenza suggerite dai parenti, ma perchè non
ammetteva di poter vivere due giorni di seguito, senza
una estrema necessità, nel paese nativo; poche pa-
role dell'amica bastarono a dissuaderlo. I suoi parenti
non consigliavano forse quel partito perchè, nono-
stante la pace, avevano mediocre piacere di trattarla
— 6 —
e preferivano saperla lontana ? Xon c'erano tuttavìa
tante persone che la salutavano freddamente, che evi-
tavano di parlarle?... Ed egli cominciò a far spese
pazze per n-.etter su una casa, volle che il matrimonio
si celebrasse con la massima pompa, quasi sfidando
chi prima aveva sostenuto impossibile la riuscita della
sua impresa. Fu una festa sontuosa alla quale molti
di quelli che s'erano ostinati nel biasimo sollecitarono
il g-rande onore di poter assistere, e cosi donna Isabella
assaporò la voluttà di vederseli ai piedi. Peccato che
la cug'ina Graziella, la quale aveva tanto contribuito
a quest'effetto, non potesse goderne anche lei, poiché
suo marito, pochi giorni prima, aveva preso un raf-
freddore che pareva all' inizio una cosa da nulla, ma
che giusto la notte degli sponsali degenerò in polmo-
nite e tre giorni dopo lo ammazzò.
Tutti gli Uzeda furono da lei in quella dolorosa
circostanza; il principe, specialmente, nonostante l'abi-
tuale freddezza, mostrò di prendere molta parte al
dolore della cugina. Ella pareva veramente inconso-
labile, raccontava a tutti piangendo la gran bontà del
povero marito suo, il grande amore che gli aveva
portato, r irreparabile sciagura che quella morte era
per lei. Soltanto la vista dei suoi « cari cugini », i
conforti della « famiglia », lenivano il suo cordoglio :
i « cugini », gli « zii », erano ormai i soli che le re-
stavano. Ella mise per ogni dove i .segni del corrotto,
per poco non si tinse di nero la faccia, e durante un
buon numero di mesi rifiutò ostinatamente di prender
aria, neanche in carrozza chiusa, di sera. Ma la sua
prima visita fu 'al palazzo del principe, dove, a poco
a poco, riprese l'abitudine di venire spesso a con-
fortarsi. Si prendeva in braccio Teresina ed escla-
mava, con voce rotta: «Figlia miai Figlia mia!...
Se il Signore mi avesse concesso una figlia come te,
non sarei rimasta sola al mondo I... Il Signore ti con-
servi sempre all'affetto di tua madre.... Figlia! Fi-
glia mia!...» tanto che la principessa Margherita,
mollo impressionabile, si melte\a a piangere anche
lei. Col tempo, nondimeno, quel grande dolore si
calmò, divenne più composto, tale da consentirle di
occuparsi delle cose mondane. Suo marito l'aveva la-
sciata erede universale d'una discreta sostanza, tal-
ché ella non aveva da inquietarsi per l'avvenire; piut-
tosto, non sapendo come disbrigare gli affari del-
l'eredità, rivolgevasi al cugino principe, il quale glieli
metteva in piano. Pertanto ella veniva adesso tutti i
giorni al ^palazzo, certi giorni più d'una volta; ma,
quantunque non avesse affari, andava pure spesso da
Lucrezia, dalla « zia » Ferdinanda e dalla « cugina »
Isabella. In casa di costei tuttavia, a causa del lutto,
non compariva il lunedi, giorno nel quale la contessa
« riceveva ».
Quest' uso di ricevere in un giorno determinato era
una gran novità della quale si discorreva molto. Donna
Isabella, che non s'appagava del trionfo d'una sola
sera e voleva piegare le ultime ostinate oppositrici,
l'aveva introdotto, riuscendo cosi a dare al suo salotto
un tono speciale, un' importanza straordinaria, tale
che le più restie brigavano finalmente l'onore di es-
servi ammesse. Talché, dopo appena tre anni che era
venuta in una volgare camera d'albergo, moglie della
mano imanca, osteggiata da tutti, ella troneggiava
in queir inverno del 65, autentica contessa di Lumera,
fra una corte di ammiratori.
— Grazie! Grazie!... — diceva a Raimondo, get-
tandogli le braccia al collo e stringendolo a sé. —
Tu l'hai voluto e ottenuto!... Grazie ! Grazie!...
Egli restava di m.armo sotto quelle carezze. Vinta
la partita, cessata la febbre che lo aveva animato
contro le difficoltà, i contrasti e le opposizioni d'ogni
genere, faceva il conto di quanto gli costava quel ri-
sultato. Confusamente, sordamente, poiché non poteva
convenire di esser stato tanto cieco, sentiva d'aver
lavorato a ribadirsi al collo una nuova e più pesante
ed infrangibile catena, quando invece la sua personale
. — 8 —
aspirazione, il suo unico ardente desiderio sarebbe
stato quello di liberarsi del tutto. .Scontento, irre-
quieto, nervoso, frenavasi dinanzi alla gente; ma in
casa, coi familiari, trtì\ava nelle circostanze più futili
un motivo di sfogarsi, di gridare, di maltrattare qual-
cuno; Pasqualino riceveva sulle spalle il fitto della
gragnuola ; donna Isabella sentiva la tempesta mi-
nacciare anche ilei, ma la stornava a furia di sommes-
sione, secondando iscmpre e comunque l'umore del
marito.
Adesso, r incosciente rancore di cui Raimondo era
animato contro di sé rovesciavasi sui parenti ; egli
sapeva che in modo diverso, per diverse ragioni, in-
coraggiandodo o contraddicendo'lo, avevano contri-
buito al suo danno, e non potendo accusare sé. stesso,
se la prendeva con quelli. .Sua moglie, per evitare che
egli pensasse ad altro, gli parlava male di tutti gli
Uzeda. E la materia era inesauribile. Chiara, per
esempio, che aveva fatto la scrupolosa quand'essi non
erano uniti legittimamente, adesso dava da parlare
a tutta la città per le cose vergognose che tollerava
in casa sua. Con J'utero fradicio dopo l'estirpazione
della ciste, non poteva più essere toccata dal marito,
e di che si lagnava, quella pazza? Forse della condi-
zione in cui era ridotta? del male che da minacciava
sordamente ? Nossignore : il suo gran dolore era di
non. poter servire a Federico ! E comprendendo che
questi, il quale non aveva niente di fradicio, anzi era
sanissimo come una lasca, non ipoteva far quaresima
tutto l'anno, che aveva /pensato? di scegliergli lei
stessa certe fiorenti cameriere, una più bella dell'al-
tra, e gliele metteva nel letto, e le trattava a zucche-
rini, quasi le serviva lei stessa invece di farsene ser-
vire !... « Son cose vergognose?... È pazza?... » escla-
mava donna Isabella, rammentando a Raimondo la
storia del matrimonio di Chiara con quel marchese
aborrito, la violenza che la principessa madre aveva
dovuto farle. « E gli altri? e le altre?... » Infatti, dove
— 9 —
metter Lucrezia ? f.a pazzia di costei era andata tut-
t'al rovescio : dopo aver fatto cose de'U 'altro mondo per
sposare Gililente,^ adesso, a poco a poco, era arri-
vata quasi a disprezzarlo, ì;1ì dava dell'asino a tutto
pasto, non poteva soffrire la sua politica che prima
l'aveva accesa, gli diceva sul muso : « Ha pur da tor-
nare Francesco IT che vi legherà tutti quanti !... »
E le speculazioni di don Eugenio? Costui, facendo
pag-yre un occhio del capo al principe di Roccasciano
cocci ed imbratti, li riprendeva per due baiocchi dalla
moglie che, invasata dal demonio del giuoco, li sot-
traeva clagli scaffali E la metamorfosi di Ferdi-
nando ? Pareva che la passione per le Ghiande non
potesse finirgli mai : un be»l g-iorno le aveva piantate,
aveva lasciato in asso tutti gli esperimenti agricoli e
meccanici e se n'era venuto a stare in città. Non man-
cava ai lunedì della cognata, andava tutte le sere
al teatro, frequentava le donne, e per non metter più
piede nel podere che gli era stalo tanto a cuore, la-
sciava che il suo fattore gli rubasse gli occhi. « È
pazzo?... Son pazzi?... » Don-na Isabella non parlava
d'altro, sapendo . d'appagare il rancore di Raimondo.
Egli l'aveva, si, con tutti, ma il suo astio più grande
era serbato al principe.
Giacomo non aveva prodotto solo un danno morale al
fratello, gli aveva anche fatto pagar salato il suo ap-
poggio. Xei momenti in cui era impegnato a spun-
tarla contro tutti, a trionfare degli immensi ostacoli
di cui era irta 1' impresa dello scioglimento dei ma-
trimonii, Raimondo non aveva neppur calcolato quel
che gli costava la pace col fratello maggiore ; era
tanto, allora, il suo impegno, che egli avrebbe forse
consentito a cedere tutto quanto possedeva, .\desso che
faceva il conto e tirava ile somme, vedeva che Gia-
como g-li aveva preso un buon terzo del suo. Come a
Lucrezia, aveva presentato a lui la nota dell'ospitalità
accordatagli, una nota molto lunga perchè compren-
deva le spese fatte per la Palmi e le bambine ; poi
— io
aveva tirato fuori le solite cambiali apparse doipo la
morte della madre, addebitandogliene la metà; e nei
conti della procura aveva dimostrato d'esser rimasto
creditore di parecchie migliaia d'onze, per gì' interessi
accumulati degli anticipi : cosi s'era preso i due fondi
di Burgio e BurgiteJlo. Ma la magagna più grossa
era stata operata nella divisione, perchè egli aveva
messo secondo gli conveniva i prezzi alle terre, e te-
nuto (per sé le 'migliori e le più vicine. In cambio di
altre proprietà gli aveva ceduto rendite fradice, di
difficile ed incerta riscossione, e non contento di tutto
ciò, gli aveva anche imposto di rinunziare all'uso del
quartiere nel palazzo avito, a quella clausola del testa-
mento materno che gli stava come un bruscolo negli
occhi Passata pertanto la foga della lotta, Rai-
mondo era animato da un sordo astio contro di lui ;
ma donna Isabella, parlandogli male del fratello, non
rammentava già queste cose, comprendendo che l'ar-
gomento era a due tagli e si poteva ritorcere contro
di lei. Invece critica\'a il carattere (prepotente del
cognato, la sua severità verso la moglie, iJ suo disa-
more per tutti, la sua doppiezza con gli zii. Curiosa
per indole, viglile per interesse, ella veniva scoprendo,
adesso, in casa di lui, qualche cosa di nuovo che le
dava buono in mano. «Hai visto?... Hai visto?... »
diceva al marito tutte le volte che tornavano a casa
dopo essere stati al palazzo. « E faceva il morali..ta
anche lui ! Bisognava sentirlo, quando predicava !...
E quella stupida di Margherita che non s'accorge di
nulla !... »
La principessa, infatti, non pareva notasse che da
un pezzo la vedova cugina veniva a consolarsi « in fa-
miglia » tutte le sante mattine che il Signore man-
dava e tutte le sante sere. Il principe s'occupava di
metterle in ordine l'eredità, e per ciò, avendo bisogno
di parlarle, l'andava spesso a trovare per suo conto;
certe volte la riconduceva con sé al palazzo. La sera
ella restava lino all'ultimo nella Sala Gialla, dove la
solita società si riuniva. Nessuno deg^li Uzeda, p>el
momento^ vi mancava : il matrimonio di Raimondo
pareva avesse ricondotto la pace in tutti gli animi.
Il duca pontificava, aggiustava 1' Europa in quattro
e quattr'otto, le finanze italiane in men che non si
dice, e Giulente stava a udirlo come il Messia, lascian-
dosi rimorchiare sempre più, disertando il suo par-
tito per corteg'giare lo zio, aspettando di prenderne
il posto. Il duca, infatti, g'Ji aveva ' eletto : «Quando
sarò stanco, lascerò a te il collegio » ; e questa era
la secreta brama di Benedetto : esser deputato, met-
tersi nella grande politica. Per dargli pazienza, il
duca lo aveva fatto ©leggere consigliere comunale, e
discorreva con lui anche delle cose del Municipio, delle
riforme da introdurvi. Quantunque il Parlamento fosse
in piena sessione, egli non parlava d'andar via, occu-
pato a sbrigare i suoi affari. Il patriottismo gli era
costato : per sussidiare i perseguitati, per comperar
fucili e cartucce, per offrire rinfreschi alla Guardia
nazionale, aveva fatto qualche debituccio, ipotecata
la sua magra proprietà : ora la rimetteva in ordine.
Dove trovava i quattrini ? Dicevano che spartisse ne-
gli appalti fatti accordare a Giulente zio ; ma quei
guadagni, quantunque grossi, non potevano bastare
alle grandi operazioni che disegnava. Fondata la
Banca Meridionale di Credito e di Depositi, aveva
sottoscritto per cento azioni di mille lire l'una; è vero
che ncTi aAeva versato se non un quarto; ma nello
stesso tempo egli parlava d'una grande compagnia
di navigazione a vapore, d'una società per la lavo-
razione degli zolfi, di un'altra pel taglio dei boschi
etnei. Don Blasco e donna Ferdinanda, ciascuno per
conto proprio, s' ingegnavano con ogni mezzo di ap-
purare come facesse ; fu il marchese Federico quello
che li mise sulla buona strada.
Con le economie del suo largo reddito, il marchese
faceva ogni anno qualche acquisto; ultimamente aveva
12 - —
comperato una villa al Belvedere, per stare a casa
propria durante la vi.ldejj^giatura, e g'ii era rimasta tut-
tavia una sommetta della quale non sapeva che fare.
Era troppo esigua per comprare una proprietà; darla
a mutuo non voleva; che CQsa bisognava farne? «Ac-
quistane rendita pubblica ! » gii aveva consigliato il
duca, spiegandogli i vantaggi dell' impiego, offrendo-
gli di farla venire da Torino. « Vostra Eccellenza ne ha
dunque comprala? » gli domandò il marchese; « Ne ho
comprata, ne ho venduta secondo i corsi — capisci
bene.... » poi, quasi pentito d'avergli fatto comprendere
che ci aveva speculato su durante i cinque anni passati
a Torino, col comodo delle notizie appurate nelle anti-
camere dei ministeri, aveva mutato discorso. Il rriar-
chese titubò un pezzo, un po' per fedeltà al principio
borbonico, m'olto piij per paura d'- perdere i suoi quat-
trini, frutto e capitale, con l' idea che 1' Italia fosse sem-
pre sul punto non che di fallire, ma di andare a rotoli ;
lìnalmente un giorno, incontrato il duca che veniva a
riscuotere le cedole del semestre scaduto, vistolo venir
via con un bel rotolo d' biglietti, si decise. E la sera
che annunziò al palazzo l'acquisto, bisognò sentir don
Blasco I
— Ah pezzo di pagliaccio! Anche tu? Con l'Italia
anche tu ? Sei impazzito anche tu ?
— Perchè? — tentò rispondere il marchese. — Al ses-
santasei, il capitale frutta il sette e mezzo per cento — .
Le cedole sono pagate puntualmente alla scadenza —
n monaco stava a sentirlo, spalancando tanto d'occhi,
come aspettando di vedere fin dove sarebbero arrivate
le enormità che quel bestione eruttaA'a : alla fine scop-
piò :
— ■ Te ne netterai il fondamento, delle tue cedole '■...
Andrai a riscuoterle al luogo comodo, pezzo d'asino!...
— E rivolto a Chiara, con le mani in capo : — Fallo
interdire!... Ti vuol rovinare!... L'impiego al sette per
cento!... Se non ne vogliono neppure in elemosma?...
— Girando poi uno sguardo tutt 'intorno, con amara
ironia : — Impiego sicuro, S'ignori mici I,... Quando la
rendila napoletana era al cento e dieci !... Un altro
poco e scenderà al cinque, la cartaccia sporca !... Allora
con cinque lire di capitale, avremo cinque lire l'anno !
Arricchiremo tutti quanti ! \'iva la cuccagna ! \'iva il
gran Vittorio !
Il duca, che stava in un angolo con Benedetto spie-
gandogli le proprie, idee sull'avviamento della Umica
M cì'idioìiale, che sotto la direzione di don Lorenzo Giu-
lente doveva «venire all'aiuto dell'incremento indu-
striale e commerciale » e « cooperare l'opera protettrice
del g-overno, » sorrise impercettibilmente, scrollando le
spalle, alla sfuriata del fratello; Chiara, preso in di-
sparte suo marito, g-li disse :
— Non dar retta a quel pazzo!... Tu hai fatto be-
nissimo : comprane dell'altra. — E dopo un poco lo
condusse via, prima che la società si sciog;liiesse, come
faceva da un pezzo, senza che si sapesse la rag-ione
della sua gran fretta di tornare a casa
La ragione era questa : che Rosa Schirano, la nuova
cameriera da lei presa a Federico, un bel pezzo di ra-
gazza della Piana, bianca e rossa al pari d'una mela,
era incinta per qpera del marchese ; e invece di cac-
ciarla via, ella non capiva in sé dal contento. Questa era
anzi la secreta speranza che l'aveva indotta a metter
tante fresche ragazze a fianco del marito; poiché vo-
leva un figlio di lui e non era buona di farlo, s'accon-
tentava di quello di un'altra, le pareva naturalissimo
circondare di cure quest'altra che Federico aveva fe-
condata, e ne invidiava la sorte Ella stessa le aveva
strappato la confessione dell'errore, e la ragazza, im-
paurita e tremante, era rimasta, poiché la padrona,
invece di buttarla giù dalle scale, le aveva detto : « Non
t 'inciuietare ; penserò io a tuo figlio !... » Da quel giorno
Chiara non aveva avuto pensieri se non per la came-
riera. Un certo senso di rispetto umano le aveva impe-
dito di continuare a tenerla nelle proprie camere col
ventre sempre più gonfio ; ma giù nel cortile, nelle
— 14 —
stanze che la moglie del cocchiere era stala costretta a
cederle, la visitava tre e quattro volte il giorno, le
mandava i mig'liori bocconi della sua tavola, la teneva
nella bambagia.
Quando la cosa si riseppe, tutti i parenti, special-
mente i fiutoni, don Blasco e donna Ferdinanda, co-
minciarono a fare un diavolio, gridandole che dovesse
cacciare a pedate quella ciarpa ; ma Chiara, fingendo
che Rosa avesse la tresca fuori di casa, la scusava, di-
chiarava di non poterla veder soffrire. « Le tentazioni,
per queste povere ragazze, sono tante !... Speriamo che
la sposerà, chi è stato Io so che cosa vuol dire gra-
vidanza— Non ho il coraggio di buttarla in mezzo a
una strada — » Ma il piij bello era che il marchese si
seccava e si vergognava anche un poco di quella pater-
nità clandestina. Col marito. Chiara non aveva tenuto
nessun discorso in proposito; ma quando la cugina Gra-
ziella si mise anche lei della partita, veneJido a dirle di
mandar via quella sgualdrina, ella si fece rossa, non
sajpendo li per li che rispondere; ma appena l'altra se
ne andò, proruppe, rivolta a Federico :
— Sentila, adesso!... Io faccio quel che mii pare e
piace, e tu solo hai il diritto di comandare, qui dentro !...
Fa la scrupolosa, adesso, questa non so che cosa !
Dopo che ruba Giacomo a sua moglie ! Ci vuole la scioc-
chezza di mia cognata, per non accorgersi di nulla!...
\'eramente, più d'uno ne cominciava ora a mormo-
rare, e tra la servitù delle due case correvano già certe
occhiate d'intelligenza, si scambiavano certi commenti
che facevano inghiottire a Baldassarre botti di veleno.
Il signor principe non poteva dunque fare un atto di
carità, sorvegliando l'amiministrazione intricata della cu-
gina, che già le lingue di vipera ci trovavano a ridire ?
Forse perchè s'era parlato di matrimonio, tanti anni
addietro ? Ma il padrone aveva fatto la volontà della
principessa, sant'anima, e adesso pensava ai suoi figli,
rispettava la moglie, aveva tutt 'altro pel capo che le
galanterie ! Se avesse voluto andar dietro alla cugina,
— 15 —
ne avrebbe avuto tanto tempo, senza aspettar la morte
del marito, perchè proprio quel buon diavolaccio del ca-
vaJier Carvano non era tipo da metter paura ! Non ve-
devano del resto la principessa ? Era la piia interessata
di tutti a sapere la verità ; e se quelle ciarle maligne
avessero avuto fondamento, se ne sarebbe rimasta così
tranquilla ?...
La principessa era più tranquilla che mai, sempre
piena d'obbedienza verso il marito, sempre aspettando
gli ordini che egli le impartiva spesso con una sola
guardata. La cugina a ipoco per volta quasi domicilia-
vasi a palazzo, dava ordini alle persone di servizio come
le pagasse lei, esprimeva su tutti gli affari della casa la
propria opinione, della , quale il principe teneva piia
conto che non di quella della moglie ; ma donna Mar-
gherita, invece di dolersene, respirava più liberamente
perchè Giacomo la lasciava quieta, non pretendeva
ch'ella gii desse ragione in tutto e per tutto, e non la
rimproverava se le cose non riuscivano poi com'ei
voleva. Pertanto, se qualche giorno la vedova non
veniva, ella la mandava a chiamare prima che il
principe notasse l'assenza, e la tratteneva tutto il
giorno in casa, le affidava Teresina, la trattava come
una sorella. Quell'intrinsichezza le procurava un altro
vantaggio grande, impagabile, risparmiandole l'orrore
di toccar le chiavi, i mobili, gli aggetti. Quando biso-
gnava metter fuori biancherie, o frugare negli armadii,
o riporre qualche cosa nelle casse, la cugina faceva
tutto lei, andava e veniva con le chiavi ailla cintola per
■la casa, la metteva sossopra, al punto che in sua as-
senza non si trovava più nulla e bisognava mandare
qualcuno a chiamarla.
— ALmeno, levassero via la bambina ! — diceva
donna Isabella, scandalizzata, a Raimondo. — La fanno
assistere a un bello spettacolo!...
E don Blasco e donna Ferdinanda già cominciavano
a fare anch'essi i loro commenti; ma quando Rosa
^chirano partorì al marchese un bel figlio maschio,
~ i6 —
liiaini) e i^osso, ijrosso v j^rasso, la niunit i^ucrra tra
L^li lizccla divenne i^enerale.
Chiara, fuori dei panni dal ,()iai-cic, imprese \)cin<) a
s"' la camriitTa, le cereo \in:\ balia, diede al piei-oliiio
liillii il ((irredo i])i"epara1o un K'inpo pei suoi ])i"opi"ii
r!:,;li. Lo lene\a nialiiua e .sera in bi'aeeio, lo da\a a ba-
tiale al marito dic-endof^ii : ((Guarda exjmi'è bello!... 'li
sonii;;li;i, ih?... » ma c|uand'era sola, faceva calare dal-
l'allo deirarinatlio l.i boccia polvei'osa col nioslriccial -
lolo parloritcì da ki, abbracciava con un solo sguardo
l'orribiU' aborto giallo come di seg'o e il bambino ])af-
lulo che tirava pugaii, e due lacrime le .spuntavano sulle
citnli;i. ((Sia latta la volontà di Dio!...» Riposta la
boccia, tutte le sue cure e tutti i suoi pensieri si rivol-
i^'cvano al figlio di Rosa, al (luale aveva persino messo
il nome di i<\'derico.... Ma Giacomo diede della pazza
alla sorella; Chiara, sentendosi punj^'ere, si mise a can-
tare contro il fratello che teneva la yanza in casa e le
atlitlava la figlia; l.uciezia, che a\e\a i^ià fatto ])ace con
Giacomo al tempo del matrimonio di Raimondo, voltò
iuio\aniente casacca e accusò Giacouio, unicamente per-
chè Henedetto consentiva con lui nel biasimare le stram-
berie della marchesa; donna Isabella, per distrarre
Raimondo, i-he a\(\a un umore sempre più nero, rin-
carò la dose contro il |)rincipi', (~onlro Chiara, contro
l.uci\'zi;i ; don liiasco e donna h'erdinanda solliavano
nel fuoco ciascuno per suo conto, ora formando leijhe
contro Chiara, ora contro Giacomo, ora lontro la con-
les.sa; e tutti e tutte, giovani e vecchi, fratelli e sorelle,
/ii e nipoti, ricominciavano a buttarsi addosso, \()lta per
volta, l'accusa tli stravag"anza, di ossessione e di pazzia.
In mezzo ad essi, il Priore portava la sua serena indif-
ferenza pei- tutte le cose di questo mondo, <lopo aver
fatto .la corte a Monsignore e brigato col coadiutore,
col vicario e col canonici; l^'erdinando, elegantissimo,
non parlaxa più d'altro che. di abili e di sarti forestieri;
il duca, u(lendo tutti senza iispon;U're a nessuno, scam-
l)la\a leleiiiamaiii coi sensali che giocavano in Borsa
— 17 —
per conto suo, e badava a ordinare le sue banche e so-
cietà; il cavaliere don Eugenio, lasciata in asso VAca-
demia dei quattro Poeti, si (x;cupava unicamente d'uxi
certo negozio di zolfi che pareva molto lucrativo —
con le trecent'onze della falsa testimonianza, dicevano
le male lingue — e la principessa era felice di tener
per aria le mani bianche e lucide, preservandole da
ogni contatto, adoperandole soltanto per abbracciare i
suoi figli.
Teresa, adesso vicina ai dodici anni, formava il suo
orgoglio, per la bellezza della persona e la bontà del-
l'animo. Mai un dispiacere da quella bambina; lo stesso
principe, che a giorni pareva cercasse col lanternino i
pretesti per andare in collera, non la coglieva mai in
fallo. Bastava che le dicessero una volta : « Teresina,
ciò dispiace a tuo padre, » oppure : « Tuo padre vuole
cosi », perchè ella chinasse il capo senza fiatare. Per
l'obbedienza esemplare, per la dolcezza del cuore, ella
raccoglieva dovunque lodi e premii. Cresciuta negli
anni, non la mettevano più nella ruota -per farla passare
tra le monache, a San Placido, ma la con ducevano
spesso al parlatorio della Badia. P211a che aveva frenato,
piccolina, la paura di restar chiusa nello spessore del
muro, e il terrore del Crocefisso nero, preferiva anche
ora, in cuor suo, le belle passeggiate all'aria aperta ;
ma poiché ai parenti faceva piacere che andasse dalla
zia monaca, ella stessa sollecitava quelle visite dietro
le grate. Ella passava per prove ancora più forti. La
vigilia dei Defunti, tutti gli anni, la famiglia recavasi
nelle catacombe dei Cappuccini, a visitare gli avanzi
della principessa Teresa, per ordine del principe, il
quale da canto suo restava in casa temendo che la
vista dei morti gli portasse iettatura. La bambina tre-
mava da capo a piedi. Che spavento, tutti quei morti
pendenti dalle pareti, chiusi nelle casse, vestiti come in
vita, con le scarpe ai piedi e i guanti alle mani ; cer-
tuni con la bocca contorta come se urlassero dallo spa-
simo, altri che ridevano d'un riso sgangherato; la non-
P» Roberto. / Victre. Il 2
— i8 —
na, lutla nera in viso, nella bara di vetro, vestita da
monaca, con la testa sopra una tegola e le mani ag-
grappate disperatamente a un crocefisso d'avorio!...
Tremava tutta, la bambina, dallo spavento, dall'orrore,
e la notte sognava tutti quei morti che le danzavano
intorno ; ma nascondeva il proprio spavento poiché il
confessore le aveva detto che i poveri morti non pos-
sono far male, che è dovere visitarli, che bisogna con-
tinuamente pensare ad essi perchè un giorno anche noi
moriremo e andremo dinanzi al Giudice eterno. Quasi
in tutte le chiese, del resto, ella aveva un senso di
fredda paura; alla Madonna delle Grazie c'era una pa-
rete (piena di doni votivi : gambe, teste, braccia, mam-
melle di cera sulle quali erano dipinte orribili piaghe
paonazze; ai Cappuccini, nella cappella della beata Xi-
mena, vedevasi la bara dove custodivano il suo corpo.
Dicevano che s.i conservasse cosi fresca, dopo secoli,
come se fosse spirata da un'ora; ad ogni centenario
della beatificazione scoperchiavano il feretro; ella pen-
sava con terrore che fra dodici anni, nel 1876, sa-
rebbe capitato il terzo centenario. Ma poiché faceva
sempre forza a sé stessa e niente traspariva delle sue
paure, e la vedevano stare lunghe ore in quelle chiese,
inginocchiata, pregante, tutti lodavano la sua pietà;
alcuni dicevano perfino : « Cresce come la Beata ; santa
come lei ! » E queste lodi, sì, l'inorgoglivano; per gua-
dagnarsele sopportava tutto in pace. Anch'ella, come
tutte le altre sue amichette, desiderava le belle vesti
nuove, dai colori gai, dalle ricche guarnizioni, o le
prime buccole, un anellino ; ma suo padre diceva che
queste cose guastano le ragazze; e invece di piangere
e di gridare, come facevan tante, ella chinava il
capo, confortata dalla sua mamma che le prometteva
all'orecchio : « Vedrai, amorino mio, quando sarai gran-
de !... »
Consalvo non aveva lo stesso carattere della sorella ;
tutt'al contrario; ma la principessa, scusandolo, lo esor-
tava ad essere buono. Le esortazioni della mamma non
— 19 —
davano molto frutto. Sperato invano di tornare a casa
pei torbidi del Sessantadue, egli aveva visto passare gli
anni uno dopo l'altro senza che il padre mantenesse la
promessa di toglierlo dal Noviziato. Tutte le volte che
era venuto al palazzo, il ragazzo l'aveva rammentata al
principe ; ma questi risponde\a invariabilmente : « Più
tardi in primavera in autunno non tocca a te
pensarci !... » Cosi rodeva il freno, aspettando la pri-
mavera e l'autunno che lo ritrovavano ancora in quella
prigione, smaniante, irrequieto, buttato a un tratto col
partito dei liberali, nella speranza della soppressione
dei conventi. Giovannino Radali, che, durando la madre
nel proposito di fargli pronunziare i voti, nutriva anche
lui quest'unica speranza per tornare al secolo, lo aveva
convertito; ma l'annunzio della soppressione somigliava
alle promesse del principe : ripetute sempre, non si tro-
\avano mai confermate dai fatti. Perciò, continuamente
irritato dall'ostinazione del padre, pieno d'invidia per
C|uei compagni che ad uno ad uno se ne tornavano in
famiglia a godersi la bella libertà, egli diventava il tor-
mento dei maestri, dei Fratelli, dei camerieri, di tutto il
convento, e rifiutava anche di andare a casa, o, se vi
andava, non salutava nessuno, non parlava, stava tutto
il tempo della visita con tanto di muso. Ora che al pa-
lazzo non si rimoveva una seggiola senza il beneplacito
della cugina, costei prestava mano forte al principe,
giudicava che il ragazzo, pel momento, stava bene do-
v'era; gli diceva, con tono d'afietto materno, mentr'egli
freme \a d'odio contro quest'altra :
— Non dubitare; verrai via a suo tempo; per ora
bisogna studiare Vedi la mia figlioccia? Anche lei
va messa in collegio —
La signorina Teresina in collegio?... Xella corte, tra
la parentela, la notizia, appena risaputa, fu commentata
in mille modi: « E perchè?... Non sta bene in casa?...
Il duca ha voluto così E che c'entrava i'I duca?...
Xo, è stato il principe Xo, la cugina La princi-
pessa piange da mattina a sera..,. » Cijiscuno diceva \u
sua, qualcuno soffiava che forse la decisione era slata
presa perchè un giorno la signorina, entrata inavverti-
tamente nella Sala Rossa, aveva trovato il principe e la
madrina in troppo intimo colloquio Ma Baldassarre,
col suo tono d'autorità che troncava tutte le chiacchiere,
dava la versione schietta e genuina : tutte le grandi fa-
miglie di Palermo e di Napoli, al giorno d'oggi, stilano
di mettere le signorine in collegio, nei collegi a chic,
dove imparano la lingua italiana e anche la francesa :
il barone Ci^ircuma ci aveva messo la sua ragazza, dun-
que la figlia del principe di Francalanza doveva andare
anche lei in uno di quei collegi. Il signor duca cono-
sceva che quello dell'Annunziata, a Firenze, era il più
a chic di tutti, perchè infatti costava più caro ; e anche
il signor don Raimondo e la contessa donna Isabella,
che a Firenze c'erano stati di casa, dicevano altret-
tanto e approvavano che la principessina ricevesse
l'educazione conveniente!...
Egli non diceva che donna Ferdinanda, alla notizia
della decisione presa a sua insaputa, s'era scagliata con
più violenza contro il principe e aveva perdonato a
Chiara l'allevamento del bastardo per andare a sfogarsi
con lei contro queste stupide no^■ità dei collegi fioren-
tini, quando ai suoi tempi Ig ragazze nobili impara-
vano in famiglia a filar seta e non s'impinzavano di
sciocchezze italiane e forestiere ; non diceva che don
Blasco girava per le case dei nipoti predicando la cro-
ciata contro le porcherie che si commettevano al pa-
lazzo Per Baldassare, il principe era Dio, e tutto
ciò che il padrone faceva era ben fatto. Rispettava anche
gli altri parenti e perciò le voci di quelle guerre in fa-
miglia lo c<jntristavano positivamente ; voleva che tutti
andassero d'accordo per il buon nomie, per il prestigio
della casata. K negava i piccoli dissidii, scemava im-
portanza ai gi'andi, imponeva silenzio al basso perso-
nale sempre con l'orecchie tese per acchiappare a volo
qualche notizia piccante, attribuiva all'invidia delle altre
Cfìse -meno nobili e ricche le voci malig'ne che circola-
— 21
vano tra i servi. Esse non dovevano a ni'ssun costo
arrivare al padrone; .,e costui domandava perchè il ta'e
o tal altro guattero era stato congedato, egli trovava
un buon pretesto, oppure diceva che era stato il signor
Marco. Stimava pertanto l'amministratore, che era come
lui geloso del buon nome della casa e pieno di rispetto
verso il principe e di giusta severità verso i dipendenti.
Del resto, alla lung-a, g'I' invidiosi si stancavano di
sparlare. Prima di tutto, alcuni dei parenti andarono
via e perciò i motivi di lite scemarono. Il contino Rai-
mondo un bel giorno, senza aver detto niente a nes-
suno, fece i bauli e se ne parti con la moglie per Pa-
lermo, lasciando a Pasqualino l'incarico di vendere la
mobilia comperata un anno prima. Poi parti il duca
diretto a Firenze e conducendo \ia anche la principes-
sina Teresa, per metterla al colleg'io, com 'erasi stabi-
lito. La bambina, nel congedarsi, piangeva dirottamente
dal dolore di lasciar la sua casa, di entrare nel collegio
di Firenze, tanto lontano, dove neppure la domenica,
neippur dietro a una grata, come a San Placido, avrebbe
potuto vedere la sua cara mamma. La comare però le
diceva : u Non piangere così ; non vedi che fai male a
tua madre?... » e allora ella inghiottiva le sue lacrime,
si ricomponeva. Il giorno della partenza, la principessa
ebbe una convulsione di pianto, abbracciando furiosa-
mente la figlia; e la stessa cugina aveva gli occhi rossi,
ma faceva coraggio a tutti : « Teresina tornerà fra
qualche anno; e poi ogni autunno l'andremo a trovare,
è vero, Giacomo?... Verrò anch'io; sei contenta cosi?...
Vedrai poi, quando tornerai istruita ed educata come
conviene, quando tutte t'invidieranno !... Vedrai anche
tu, Margherita, quanto sarai orgogliosa della mia fi-
glioccia!... » La bambina allora chinò il capo, s'asciugò
gli occhi, e disse alla sua mamma, seria e composta
com'era sempre stata : « Non t'angustiare, mamma mia
bella; ci scriveremo ogni giorno, ci rivedremo presto —
\'edi che sono ragionevole?... » Un amore di figliuola,
quella li ; vera razza dei Viceré !
— 22 —
Poi parti aiulie il cavaliere don Eugenio per Pa-
lermo. La ragione di questa partenza qui non si seppe
molto bene. Il cavaliere aveva detto che certe grandi
case palermitane lo avevano chiamato per associarlo in
grandi e nuove speculazioni dove c'era da arricchire in
poco tempo ; ma le male lingue, che non tacciono mai,
volevano dare a intendere che egli era scappato perchè,
mangiatisi i quattrini degli zolfi presi a credenza, contro
cambiali che non poteva più pagare, correva rischio di
prendersi qualche soma di sante legnate — Comunque
andasse la cosa, fatto sta che, partite tutte queste per-
sone, la pace tornò a regnare in famiglia. La cugina,
affezionatissima, veniva giorno, sera e notte a tenere
compagnia e a dare una mano alla principessa, che le
era gratissima di tante attenzioni ; venivano anche gli
altri parenti, non piiJ inviperiti come un tempo; grida-
vano, è vero, ogni tanto : don Blasco, per esempio, a
motivo della soppressione dei conventi aanunziata nel
programma della nuova legislatura, o !a signora don a
Lucrezia contro il marito e i li'berali ; ma niente di posi-
tivo. Il principe, da canto suo, badava agli affari del-
l'amministrazione, ma senza piij affaticarsi troppo, senza
più tenere le interminabili sedute d'un tempo col signor
Marco.
Ora un giorno, che fu giusto il 31 dicembre 1865,
Baldassarre corse ad una chiamata del padrone il quale
era nel proprio scrittoio in compagnia del notaio.
— • Accompagna il notaio dal signor Marco e con-
segnagli questo biglietto, — gli disse il padrone.
— Eccellenza, — rispose Baldassarre, — è andato
fuori mezz'ora addietro
— \'a bene; metterai dunque il biglietto sul suo
tavolino. E voi, notaio, mi farete il piacere d'aspettare
un poco Tu va a prendere un cartellino col 5/ loca,
di quelli delle botteghe; ce ne dev'essere, nel magaz-
zino E attaccalo al balcone della sala del signor
Marco.
- ^3 —
Baldassarre, nonostante la sua abituale passività nel-
l'obbedienza, restò un momento a guardar iper aria.
— Il si loca nel balcone della sala : hai capito? —
ripetè il padrone che non amava dire due volte le cose.
— Sxabito, Eccellenza.
Corso a prendere il cartellino, il maestro di casa salì
a quattro a quattro le scale dell'amministrazione, entrò
nel quartierino del signor Marco, e lasciato il biglietto
sulla tavola, aperse la vetrata e si mise ad attaccar
l'appigionasi. Non capiva bene che cosa significasse
quell'ordine né quel che stesse per succedere; ma sen-
tivasi inquieto. Giusto mentre finiva di legare la tavo-
letta, apparve, giù nella via, il signor Marco. Si fermò
un istante a guardare in alto, poi cominciò a gestico-
lare, domandando al maestro di casa che diamine fa-
cesse, e Baldassarre gli rispondeva additando le finestre
del padrone, per fargli intendere che obbediva ad un
suo ordine. A un tratto il signor Marco si mise quasi a
correre, e dopo pochi minuti gli arrivò dinanzi pallido e
col fiato ai denti.
— Che fai ? Perchè ii si loca ? Chi diavolo t'ha detto ?
— ■ Il principe, il signor principe c'è anzi una let-
tera li, sulla tavola —
Leggendo il biglietto, le mani e le labbra tremavano
al signor Marco, come se gli stesse per prendere un
accidente ; e Baldassarre, impaurito, si tirava un poco
indietro, pronto a chiarnare soccorso; quando, strappato
malamente il foglio, l'altro gridò, con voce rotta :
— A me?... Il congedo?... Come a un guattero ?
L'ultimo del mese? Ladro schifoso? Principe porco?
— Don Marco!... — balbettò Baldassarre, atterrito.
— ^A me il congedo?... E il notaio per la consegna?...
Credeva forse che gli volessi portar via i suoi denari?...
Quelli che ha rubati ai fratelli e alle sorelle?... O le
sue carte ? le prove delle sue ruberie ? delle sue falsità ?
ladro, ladro, ladrone ? e più porco io che gli tenni
mano?... Mi manda via perchè non ha più da spogliare
nessuno?...
— 24 —
Con le mani in capo, Baldassarre scongiurava : « Don
Marco !... Signor Marco !... per carità !... possono udir-
vi !... » ma l'altro, fuori della grazia di Dio, tremando
dall'ira, buttava fuori quel che aveva in corpo contro il
padrone e tutta la sua razza :
— Dieci anni ! dieci anni di studio per rubare i suoi
parenti! quegli altri pazzi e furbi, scemi e birbanti!...
E non mangiava, non beveva, non dormiva, studiando
il modo di accalappiarli, facendo il moralista, fingendo
l'affezione, il rispetto alle volontà di sua madre : pezzo
di gesuita più di quell'altro Sant' Ignazio del Priore,
pezzo di porco più di quell'altro maiale di don Blasco !
Ah, crede che la gente non sappia qu-ant'è porco, con
la ganza in casa, adesso che non ha più nessuno da
rubare, con la ganza sotto gli occhi di sua moglie, sotto
gli occhi di sua figlia, fino all' altr' ieri ?...
— Don Marco ! — gridò Baldassarre, minaccioso fi-
nalmente anche lui, per tentar d'arrestare quella fiu-
mana di male parole che i gesti disperati di preghiera
e di paura non erano valsi a frenare. E il signor Marco
lo guardò, stralunato, quasi accorgendosi in quel punto
della sua presenza.
— Mi meraviglio ! — continuava il maestro di casa,
fermo e contegnoso. — I^a volete finire, una buona
volta ?...
Allora l'altro gli tirò sul muso un'amara sghignaz-
zata.
— Zitto, tu ! Prendi ieiparti di tuo fratello, bastardo ?
Giusto in quel momento comparve il notaio che sa-
liva dal quartiere del principe :
— Signor Marco — ma 1' altro non lasciò dire :
— \^enite per la consegna, eh ? — riprese a tonare,
— che cosa volete che vi consegni ? le carte false del
vostro padrone ? gli atti carpiti ? le transazioni stroz-
zate?... Ecco qui, prendete !... — e cominciò a buttare
all'aria tutto ciò che si trovava sulla scrivania, sugli
scaffali. — Temete che io li porti via? Xon ne ho bi-
sogno. I.O sanno tutti che razza d'imbroglione, di ladro
— 25 —
e di lalsario è il vostro iprinciix' ! XOi lo sapete, che
ha rubato la sorella monaca e la Badìa col cavillo della
approvazione re;gia, e quell'altra pazza per consentire
al suo matrimonio, e il Babbeo perchè è babbeo e il
contino per dargli mano a quelle altre vergogne !... \^oi
le sapete meglio di me tutte le trame che ha ordite, le
cambiali vecchie pag-ate dalla madre, fatte ripagare due
volte, prima ai legatarii, poi al coerede; e i debiti sup-
posti, la procura carpita....
— Di grazia, signor Marco — un po' di misura —
— Misura ? Sono misuratissimo, sono ! O credete
che mi dolga del posto perduto?... Ne troverò un altro,
non dubitate!... E da per tutto sarò trattato meglio
che tra questi arlecchini finti principi Forse teme-
vano che io li rubassi, eh? Che io m'arricchissi a spese
loro?... Lo disse una volta, quel maiale del monaco:
vi pare che non l'abbia risaputo?... Io che ci ho rimesso
di sacca mia ? perchè se trovavano un centesimo man-
cante gridavano un mese durante!.... Casa munifica,
in verità! da poterci fare il nido! — — E spalancando
gli armadii e le cassette, riprendeva: — Qui!... Pren-
dete, vi consegno ogni cosa !... \"enite a guardare sotto
il letto, se c'è il cantero!... Frugatemi addosso, se gli
porto \ia qualche cosa A voi, chiappate: sono le
chiavi delle casse e degli armadii; ditegli che se 'le..-..
— E le lasciò correre per terra. A un tratto, vide, nel-
l'armadio spalancato, appesa a un uncino di rame do-
rato, quella della bara della principessa, l'unico legato
fattogli dalla defunta oltre le vecchie tabacchiere, dopo
quasi trent'anni di servizii. Afferrarla e scaraventarla
contro il muro, fu tutt'uno :
— E questa con l'altre — — gl'iglò, con una mala
parola da far arrossire la morta, laggiù, nelle cata-
combe dei Cappuccini.
26 —
VI.
Per la via polverosa, sotto il cielo di fuoco, un'in-
terminaibile fila di carri colmi di masserizie : stridevano
le ruote, tintinnavano i sonagli, e i carrettieri seduti
sulle stanghe o appollaiati in cima al carico, voltavano
tratto tratto il capo, se uno scalpitar più frequente e un
più vivace scampanellio di sonagliere annunziava il pas-
saggio di qualche carrozza. Allora la fila dei carri ser-
ravasi sulla destra della via, e il legno passava, tra una
nugola di polvere e lo schioccar delle fruste, mentre le
facce spaventate dei fuggenti apparivano agli sportelli.
« Il castigo di Dio !... Tutta colpa dei nostri pec-
cati !... Eran più di dieci anni ch^ vivevamo tranquilli !
Assassini del governo!... » La povera gente seguiva a
piedi i carrettelli carichi di due magri sacconi e di
quattro seggiole sciancate ; e nelle brevi soste fatte per
riprender fiato, per asciugare il sudore grondante dalle
fronti terrose, scambiava commenti sulle notizie del
colera, sull'origine della pestilenza, sulla fuga univer-
sale che spopolava la città. I più credevano al malefizio,
al veleno sparso per ordine della autorità ; e si scaglia-
vano contro gVu Italiani », untori quanto i Borboni. Al
Sessanta, i patriotti avevano dato a intendere che non ci
sarebbe stato più colera, perchè Vittorio non era ne-
mico dei popoli come Ferdinando; e adesso, invece, si
tornava da capo ! Allora, perchè s'era fatta la rivolu-
zione ? Per veder circolare pezzi di carta sporca, invece
delle belle monete d'oro e d'argento che almeno ricrea-
vano la vista e l'udito, sotto l'altro governo? O per pa-
gare la ricchezza mobile e la tassa di successione, inau-
dite invenzioni diaboliche dei nuovi ladri del Parla-
mento ? Senza contare la leva, la più bella gioventù
strappata alle famiglie, perita nella guerra, quando la
— 27 —
Sicilia era slata sempre esente, per antico pri\ilegio, dal
tributo militare? Eran dunque questi tutli i vantaggi
ricavati dall'Italia una?... E i piiJ scontenti, i piij fu-
riosi, ' esclamavano : «Bene han fatto i Palermitani, a
prendere i fucili !... » Ma la rivolta di Palermo era stata
vinta, anzi la pestilenza, secondo i poclui che non cre-
devano al veleno, veniva di lì, importata dai soldati
accorsi a sedare l'insorta città E sui monticelli di
breccia disposti lungo la via, al filo d'ombra proiettata
dai muri, dalla cui cresta sporgevano le pale spinose
dei fichi d' India, i fuggenti sedevano un poco, discu-
tendo di queste cose, mentre continuava la sfilata delle
carrozze, dei carri e dei pedoni non ancora stanchi. Al-
cuni tra questi, i più poveri, avevano caricata tutta la
loro roba sopra un asinelio, e uomini, donne e bam-
bini seguivano a piedi, con fagotti di cenci in capo, o
sotto il braccio, o infilati ad un bastone, la bestia lenta
e paziente. I conoscenti si fermavano, notizie e com-
menti erano scambiati anche tra sconosciuti, con la so-
lidarietà del pericolo nella comune miseria. Le donne
ripetevano ciò che avevano udito dire dai preti : il co-
lera era la pena dei tempi peccaminosi : gli scomuni-
cati non avevano fatto la guerra al Papa ? La Chiesa
non era perseguitata ? E adesso, per colmar lo staio,
c'era la \egge che spogliava i conventi ! « La fine del
mondo ! L'anno calamitoso ! Chi avrebbe creduto una
cosa simile ! Tanti poveri monaci buttati in mezzo a una
via? I luoghi santi sconsacrati? Non c'è piij dove arri-
vare!... » Queste erano sciocchezze, giudicavano invece
gli uomini. « I monaci avevano assai scialato senza far
nulla ! Mangiavano a ufo ! E i muri dei conventi, se
avessero potuto parlare, ne avrebbero dette di belle.
Era tempo che finisse la cuccagna ! L'unica cosa fatta
bene dal governo!... » Però, tanti santi Padri, che ce
n'erano, costretti a vivere con una lira il giorno ! I Be-
nedettini, per esempio, avevano di che scialare con una
lira il giorno, dopo aver fatto la vita di tanti Re ! « E i
quattrini che si sono divisi ? »
— 28 —
La notizia circolava da un pezzo, e certuni ne da-
vano i particolari coinè se fossero stati presenti : le eco-
nomie fatte negli ultimi anni, nella previsione della
legge, erano state distribuite a tanto per uno : ogni mo-
naco aveva preso nientemeno che quattromila onze di
monete d'oro e d'argento. Poi s'eran spartita l'argen-
teria da tavola, tutta la roba di valore, e avvicinandosi
il momento del congedo, avevano venduto una gran
quantità delle provviste accatastate nei magazzini :
grandi botti di vino, grandi giare d'olio, gran sacchi di
frumento e di legumi ; altrettanti quattrini intascati — ■
e nondimeno i magazzini parevano ancora colmi ! « Han
fatto bene ! Dovevano forse lasciare anche la cassa ai
ladri del governo?... » E le piccole carovane si rimet-
tevano in marcia con le teste riscaldate all'idea dei
milioni di milioni d'onze che avrebbe intascato \'ittorio
Emanuele vendendo i beni di San Nicola e di tutte le
altre comunità Molti mendicanti, profittando del gran
passaggio di gente, tendevano la mano dal mucchio di
sassi dove stavano sdraiati ; i cenciosi bambini che li
accompagnavano correvano dietro alle carrozze se da
qualcuna di esse cadeva un soldino nella polvere dello
stradale. E i pedoni riconoscevano i signori fuggenti,
se ne ripetevano il nome, spaventati all'idea del vuoto
della città : « Il principe di Roccasciano !... La duchessa
Radali!... I Cùrcuma!... I Grazzeri !... Non resterà
dimque nessuno ?. . .
\'erso sera, quando l'ardore della giornata sì temperò
tre carrozze padronali scappanti una dietro all' altra
sollevarono una gran nuvola di polvere dalla città al
Belvedere. Nella prima e' era il principe di Franca-
lanza, donna Ferdinanda e la cugina Graziella, invitata
alla villa perchè non poteva andar sola alla Zafferana,
e il principino Consalvo a cassetta, che brandiva
trionfalmente la frusta, quantunque portasse ancora la
tonaca benedettina perchè suo padre s' era deciso a
riprenderlo in casa proprio all' ultimo momento, quan-
A
— 29 —
do i monaci s' eran dispersi e don Blasco e il Priore
avevano anch'essi chiesto ospitalità al palazzo. Nella
seconda carrozza stava la principessa, senza nessuno
a fianco né dirimpetto e solo la cameriera nell' angolo
opposto. Il contatto d'una spalla l'avrebbe fatta
cadere in convulsione, perciò s' era dichiarata conten-
tissima che il principe accompagnasse la cugina.
L' altra carrozza era invece stipata : e' erano il mar-
chese e Chiara, Rosa col bambino e finalmente don
Blasco. Questi aveva rifiutato per la campagna l'ospi-
talità del principe e accettata quella del marchese,
allo scopo d'evitare la sorella Ferdinanda; l'avversione
non cedeva neppure dinanzi al pericolo del colera, gli
faceva preferire la compagnia del bastardello. Il Priore,
invece, era rimasto in città, al \'escovato, dove Monsi-
gnore lo aveva accolto a braccia aperte : tutte le pre-
ghiere e gli invili dei parenti non erano valsi a farlo
fuggire; il suo posto, diceva, era al capezzale degli in-
fermi, accanto a Monsignore. Le maggiori insistenze
gli erano venute dal principe, il quale sosteneva, come
sempre, che in tutte le circostanze gravi e solenni la
famiglia doveva tenersi unita; perciò gì' incresceva di
lasciare in mezzo al pericolo qualcuno dei suoi. Che
cosa si sarebbe detto ? Che egli pensava solamente a
sé stesso?... Ma, come non era riuscito a rimuovere
il Prioie, cosi aveva fatto fiasco con Ferdinando, il
quale, preso gusto alla vita cittadina, non voleva
sentir parlare neppure di rifugiarsi alle Ghiande. Lu-
crezia era già partita nella mattina pel Belvedere col
marito, il suòcero e la suocera. Quanto allo zio duca,
era a Firenze, vicino alla nipote Teresina, e poiché
li il colera non infieriva e non metteva tanto spavento
quanto in Sicilia, cosi egli era e voleva che sua moglie
fosse tranquilla. Al cavaliere don Eugenio, che se ne
stava ancora a Palermo, nessuno pensava.
Ricominciò al Belvedere la vita allegra della villeg-
giatura, tanto più che l'allarme destato . dalle prime
notizie della pestilenza si dimostrò presto ingiustificato ;
— 3° —
in città e' era appena qualche caso sospetto di tanto
in tanto. Il principino, lasciata finalmente la tonaca
per gli abiti di tutti gli altri cristiani, cominciò a
prendersi quegli spassi che aveva sognati. Prima di
tutto, con uno schioppo vero, se ne andava a caccia
sui monti dell' Elee o dell' Urna, a sterminare conigli,
lepri, pernici ed anche passeri, se non trovava altro;
poi faceva attaccare ogni giorno, per imparare a
guidare, e il suo calessino divenne in breve il terrore
di chi girava per le vie di campagna : sempre addosso
ai carri ed alle carrozze, lanciato a tutta corsa per
lasciare indietro ogni altro veicolo, a costo di ribaltare,
di fracassarsi, d' ammazzare qualcuno. Quando non
guidava, se ne stava nella scuderia a veder governare
le bestie, a imparare il linguaggio speciale dei coc-
chieri, dei cozzoni e dei maniscalchi, a criticare gli
animali deg^li altri signori rifugiati al Belvedere o nei
dintorni, gli acquisti recenti di Tizio, gli equipaggi di
Filano; e donna Ferdinanda, udendolo parlare con
sempre maggior competenza intorno a tali nobili argo-
menti, s' inorgogliva ammirando : « Queste son le cose
che devi imparare !... )> Anche la principessa, sebbene
piangesse ancora per la lontananza di Teresina, si
mostrava orgogliosa dei progressi del figliuolo, ma
più la cugina, che prodigava al giovanotto continue
carezze, benché Consalvo non solamente non le rispon-
desse con eguale effusione, ma si studiasse anche di
evitarla. Non l'aveva perdonata d'essersi opposta al
suo più pronto ritorno nella casa paterna ; e adesso,
vedendola domiciliata lì come una persona della fami-
glia, prendere il posto della sua mamma, la sua
antipatia cresceva. Donna Graziella, in verità, più
che da ospite si diportava da padrona : bisognava
\ederla la sera, quando veniva gente, come faceva
gli onori di casa, specialmente se la principessa senti-
vasi indisposta. E questo accadeva spesso; senza
soffrire precisamente di nulla, donna Margherita, dopo
la partenza della figliuoletta, accusava un sordo males-
— 31 —
sere, dolori di capo, una certa difficoltà di digestione.
K felice di poter evitare la folla, le vicinanze infette, le
strette di mano contagiose, se ne andava a letto, mentre
nel salone la gente conversava animatamente, giocava,
scioglieva sciarade. Lucrezia, lasciando la villa Giulente,
partecipava con la cugina alla direzione delle faccende
domestiche. Lei che in casa propria non metteva un
dito all' acqua fresca, veniva a darsi un gran da fare
per la vanagloria di riprendere il proprio posto nella
casa del fratello principe. Chiara tirava su a zuccherini
il bastardello, lo vezzeggiava molto più del marchese, il
quale provava sempre un certo disagio e una certa ver-
gogna a riconoscere pubblicamente quella paternità,
mentre sua moglie quasi se ne gloriava. Se la prin-
cipessa, o donna Ferdinanda, o qualche altro parente
non faceva buon viso al piccolino, ella mostravasi offesa
ed era capace di non metter piede per una settimana
alla villa se le passava pel capo che qualcuno inco-
minciasse a criticare quella specie di adozione. \^ice-
versa, era adesso tutt' una cosa con lo zio Blasco,
il quale, stando con lei, la approvava implicitamente.
Il monaco, alla notizia della legge che sopprimeva i
conventi, durante gli ultimi tempi della vita claustrale
e nei primi passati a casa del nipote, aveva fatto cose,
cose dell'altro mondo : era parso veramente uno scate-
nato diavolone dell' inferno. Le male parole di nuovo
conio, le imprecazioni, le bestemmie eruttate contro il
governo, a San Nicola, al palazzo, dalla Sigaraia, nelle
farmacie borboniche ed anche sulla pubblica via, non
si poterono neppur noverare ; i vituperii evacuati contro
il fratello deputato, che aveva dato il suo \oto alla
legge, si lasciarono mille miglia lontano tutto quello
che di più violento gli era mai uscito di bocca. Ma
quasi la mostruosità compitasi fosse troppo grande,
troppo stordente, egli si ridusse tosto ad un silenzio
grave ed incagnato, dal quale non lo toglievano se
non le voci, ripetute in sua presenza, della spartizione
delle economie, delle quattromila onze toccate a ci^-
scun Padre. Allora ricominciava a tonare : « Spartite
sette paia di corna ! Toccate quattromila teste di
cavolo!... C'era un cavolo da spartire!... E se pure
ci fosse stato qualcosa, nessuno avrebbe toccato
niente ! Per renderci complici dei ladroni, ah ? del
rifiuto delle galere ? del sublimato della briganteria ?... »
Egli parlava cosi dinanzi agli estranei, alla gente di
poco affare, alle persone di servizio ; in famiglia, tra
gli intimi, confessava la spartizione, ma riduceva la
sua quota a poche' centinaia d'onze, a due posate, a
un paio di lenzuola, tanto da non restar sulla paglia.
Da San Nicola era venuto via con due casse, delle
quali non lasciava mai le chiavi ; e il principe, in
città, le aveva covate con gli occhi, quasi pesandole
e fiutandole, con nuovo rispetto per quello zio che
adesso possedeva qualcosa ; ma tutto il suo studio per
trovare il destro di guardar dentro alle casse era stato
inutile, giacché il monaco si sprangava in camera,
ogni qualvolta aveva da frugarvi.
Adesso, al" Belvedere, anche Chiara e Federico parla-
vano spesso tra loro di questi famosi quattrini che
doveva possedere don Blasco. Il marchese, temendo che
li sciupasse con la Sigaraia, avrebbe voluto proporgli
di metterli al sicuro, di impiegarli, di comperarne
altrettanta rendita, se il monaco fosse stato un altro,
se op"ni semestre, avvicinandosi la scadenza delle
- *
cedole, don Blasco non l'avesse vessato, punzecchiato,
tormentato, profetandogli il subisso di quel titolo.
Il corso forzoso, la guerra, il colera, tutte le pubbliche
calamità erano stati altrettanti argomenti di giubilo pel
monaco, il quale si fregava ogni volta le mani, gri-
dando al nipote : u Addio, la carta sporca ! li fritto,
il tuo governo ! Tu non mi hai voluto ascoltare : ben
ti sta !... )) Ma il marchese incassava sempre la sua
rendita il giorno stabilito, fino all' ultimo centesimo.
Cessato del tutto il pericolo del colera, un giorno egli
scese in città per qualche affare e per riscuotere il
semestre; tornato al Belvedere e passeggiando, dopo
— 33 —
pranzo, sulla terrazza, mentre Chiara giocava col ba-
stardello, egli riferi allo zio l'impiego della sua giornata.
— Ho anche preso i quattrini delle cedole — adesso
le pagano anticipatamente, per l'affare dell'aggio —
A mandarle a Parigi si prenderebbero altrettanti pezzi
di napoleoni.... Io ho ordinato un'altra partita di
cartelle — le divideremo con parecchi amici — perchè
oggi non c'è come impiegare il denaro —
Voleva insistere a dimostrar la bontà dell' affare, ma
tacque, perchè don Blasco, fermatosi di botto, gli
piantò gli occhi addosso, come sul punto di scoppiare.
— Potresti cedermene diecimila lire ?
Il marchese, sulle prime, credè d' aver udito male.
— Cederne?... Come?... A Vostra Eccellenza?...
— ■ Dico se puoi vendermi diecimila lire di cartelle,
capisci o non capisci ?
— Ma credo certo Diecimila lire di capitale,
s'intende?... Eccellenza sì; posso scrivere subito
un' altra lettera, per maggior sicurezza, se \'ostra
Eccellenza le vuole —
— • Quando scriverai ?
— Domani stesso.
— E verranno subito ?
— In un giro di posta.
Il monaco gli voltò le spalle e s'allontanò un poco;
poi tornato indietro, ripiantatoglisi dinanzi, riprese :
— Senti, giacché ci sei, fanne venire per ventimila
lire.
— Eccellenza si; quanto vuole Vostra Eccellenza —
E appena solo, il marchese corse dalia moglie, le
disse col respiro rotto dallo sbalordimento :
— Non sai?... Non sai?... Lo zio vuol comprar
della rendita! \'entimila lire di cartelle!... M'ha dato
la commissione!... Non mi par vero! M.i par di
sognare !...
Chiara rispose, tranquillamente, con una scrollatina
di spalle :
— Di che ti stupisci ? Non sai che i miei parenti
sono tutti pazzi?...
D» Roberto. I Viceré - Il 3
— 34 —
Soltovocc, r uno air orecchio dell' altro, gli Uzeda
riprendevano a darsi del inatto. Non era matta Chiara
che trattava la cameriera come una sorella e il bastardo
di lei come un fig-lio 'suo proprio ? Non era matta
Lucrezia che imaltrattava quel povero diavolo di
Benedetto in lutti i modi ? Che cos' era donna Ferdi-
nanda, la quale, senza che gliene venisse nulla, si
impacciava di tutti gli affari della parentela ? E che
dire del principe, il quale, dopo aver dimenticato per
tanti anni la cugina, adesso si metteva con lei, sotto
gli occhi del figlio?...
Qui consisteva forse il motivo che rendeva la Gra-
ziella sempre più antipatica a Consalvo : egli la contrad-
diceva in tutto e per tutto, dinanzi alle persone ; evitava
poi di restar solo in sua compagnia, affettava di trat-
tarla come una intrusa quando le persone di servizio gli
parlavano di lei. Questo era però l' unico sentimento
che egli manifestava ; del resto, stava in casa il meno
possibile, montava a cavallo quando non usciva in
carrozza, inforcava tutti gli asini dei contadini, teneva
conversazione con tutti i carrettieri ; il cuoco, dalla
finestra della cucina, da cui si scorgeva il podere fino
alla chiusa degli olivi, lo vedeva rincorrere le donne
che venivano a cercare i fasci dei sarmenti vecchi.
Con la moglie di massaro Rosario Farsatore, il fattore
lo colse quasi sul fatto, un pomeriggio, nel pagliaio :
egli non si mostrò per nulla turbato, e la cosa, venuta
air orecchio di donna Ferdinanda, lo rialzò nelJa stima
della zitellona. Il principe finse di non saper nulla :
pareva si fosse proposto di lasciarlo sbizzarrire, quasi
a compensarlo degli ultimi anni che lo aveva tenuto
a San Nicola.
— E Fra Carmelo ? — ■ domandavano di tanto in
tanto donna Ferdinanda, la principessa, Lucrezia; — -che
n'è di Fra Carmelo?... — ma il principino non sapeva
né curavasi di sapere che fosse avvenuto del suo antico
protettore. A San Nicola, quando aveva roso il freno,
aspettando la legge di soppressione come l'unica via di
— 35 —
salvezza, t'irli s'era divertito a lornieiilare il Fratello
predicendogli lo sbando dei monaci, la cliiusura del
convento; ma l'altro, scrollando il capo, sorrideva
d'incredulità, non comprendeva come gli stessi Padri
potessero credere a una cosa simile. Mandarli via ?
Vendere le proprietà ? Parole, chiacchiere, queste d'ora
come quelle d'un tempo! Chi avrebbe avuto tanto
ardire ? E la scomunica del Papa ? la guerra delle
potenze cattoliche? la rivoluzione di tutta la cristia-
nità?... E nulla era riuscito a scuotere la sua sicurezza,
nò le notizie dei giornali, né i preparativi dello sgom-
bero, né la partenza dei noxizii. Dopo, Consalvo non
aveva più avuto notizie di lui.
L'na mattina, al Belvedere, mentre la famiglia si
levava di tavola dopo colazione, Baldassare venne ad
annunziare :
— Eccellenza, e' è Fra Carmelo.
- — Fra Cannelo !
Nessuno riconobbe il Fratellr- dal faccione bianco e
roseo, dalla ciera gioviale, dal pancione arrotondato
sotto la tonaca, nel personaggio che s' ava.nzò verso
il principe, con le braccia levate :
— ?>Ie n' hanno cacciato !.... Me n' hanno cacciato !...
In qualche mese era . dimagrato della metà, e sul
viso giallo e floscio gli occhi un tempo ridenti avevano
una strana espressione d' inquietudine quasi paurosa.
— Eccellenza, me l'hanno caccialo!... Eccellenza,
me n'hanno cacciato!... — e guarda\'a tutti i signori,
tutte le signore, quasi a provocare la dimostrazione
del loro sdegno contro quella mostruosità. — Dunque
era vero?... Ma che non s'ha da far nulla?... Voialtri
che siete ascoltati?... Lascerete che quei scellerati ru-
bino San Nicola, San Benedetto, tutti i santi del pa-
radiso?...
— Che possiamo farci I... — esclamò Consah'o fre-
gandosi le mani; e donna Ferdinanda aggiunse:
— Avete voluto il governo liberale ? Godetene i
frutti !
-36 -
— Io?... Io, Eccellenza?... Sapevo molto, io, di li-
berali e non liberali !... Io badavo agli affari miei !...
.Sessant'anni che c'ero dentro!... Nessuno aveva osato
toccarlo, in tante rivoluzioni che ho viste : il Trenta-
sette, il Quarantotto, il Sessanta
— Bel terno!... — fece il principino; e come Bal-
dassarre venne a dirg-li che il calesse era attaccato, si
alzò, esclamando sotto il naso del Fratello :
— Adesso c'è la legge, caro mio!...
— Ma è g-iusta legge questa?... I beni della Chie-
sa?... Allora io me ne vengo in casa delle X'ostre
Eccellenze e mi piglio ogni cosa?... Si può fare una
legge cosi?... — • E raccontò confusamente ciò che
era avvenuto all'atto dello spogliamento : — Quel de-
legato, per la consegna.... L'Abate non volle esser
presente, ed ha ben fatto : una simile vergogna !...
E s'è coricato nel letto di Sua Paternità, lo straccione :
cose da non credersi \'enne il Priore, e gli ha dato
tutte le chiavi. Eccellenza : della chiesa, della sacre-
stia, dei magazzini, del museo, della biblioteca — E
tutto venduto, sulla pubblica piazza : le tavole, le .seg-
giole, i servizi!, la lana, il vino, i letti, quasi fossero
di nessuno!... E i candelieri del coro, quel ladro, cre-
dendoli d'oro, di notte non li portò via?... Lo lega-
rono, g-li altri ladri più di lui !... E non. c'è più
niente!... I soli muri!... Me n'hanno cacciato!... Me
n'hanno cacciato!...
La principessa cercava di confortarlo, con belle pa-
role; il principe gli offrì da bere; ma egli rifiutò, ri-
prese a narrare le stesse storie imbrogliandosi più di
prima ; poi se ne andò alla villa del marchese, da don
Blasco, ricominciando :
— Ce n'hanno cacciato!... E Vostra Paternità non
fa nulla?... 11 Priore suo nipote?... Monsignor Ve-
scovo?... Perchè non scrivono a Roma?... Ha da finir
così ?...
Don Blasco, al quale il giorno prima era arrivata
la rendita, tonò :
— 37 —
— Come vuoi che finisca?... Quando io gridavo a
quei ruffiani : « Badate ai fatti vostri ! Non scherzate
col fuoco! Ci rimetterete il pane!...» mi davano del
pazzo, è \ero ? E si confortavano con g^li aglietti, le
bestie, dicendo che il governo non li avrebbe toccati,
che avrebbe passato loro una lauta pensione, se mai !...
E i tuoi compagni che facevano anch' essi i sanculotti,
quel porco di Fra Cola che distribuiva bollettini ai no-
vizii ? Quell'altro collotorto di mio nipote che faceva
salamelecchi a Bixio e a Garibaldi? Quell'asino con di-
ciotto piedi dell'Abate che si grattava la tigna, e pa-
reva un pulcino nella stoppa?... Adesso che volete?
Se siete stati i vostri propri! nemici?... Il governo è
ladro, e doveva fare il suo mestiere di ladro : che me-
raviglia ? La colpa è di quelle testacee di cavolo che
lo aiutarono, che gli proposero : « Venite a rubar-
mi !... )) e gli aprirono anzi le porte!... Non mi dis-
sero, una volta, che volevano godersi un po' di libertà ?
Se la godano tutta, adesso!... Nessuno gliela con-
trasta !...
— E ce n' hanno cacciato !... Ce n' hanno cacciato !...
Quando gli Czeda tornarono in città, al principio
dell'anno nuovo, una lettera ' del duca a Benedetto
annunziò che la Camera sarebbe stata sciolta fra poco.
Egli non si dava questa volta neppur la pena di venire,
incaricava i suoi amici di lavorare per lui. Gli affari
non gli consentivano di lasciar Firenze, e questi affari,
in fin dei conti, erano più quelli degli elettori che i
suoi propri!. I suffragi dovevano quindi andare a luì,
come al naturale, al legittimo rappresentante del paese ;
era assurdo supporre che qualcuno pensasse a con-
trastarglieli. Quanto a render conto del modo col
quale aveva esercitato l'ufficio ed a spiegare le proprie
convinzioni politiche ed a studiare i bisogni o ad ascol-
tare i voti del collegio, uno scambio di lettere con
Giulente zio e nipote, con qualcuno dei pezzi grossi,
bastò. I soliti malcontenti tornavano a fargli stupide
accuse, tentavano un' altra volta di rivangare le vec-
chie storie ; i repubblicani, i sinistri, gli rimprovera-
vano il suo servilismo verso il governo, tentavano con-
trapporgli qualcuno dei loro; ma incontravano da per
tutto forte resistenza, erano costretti a battere in ri-
tirala. Un giornaletto satirico settimanale, il Ficca-
naso, faceva ridere la gente, dicendo che l'onorevole
■d' Oragua aveva fatto alla Camera quanto Carlo in
Francia senza neppure aprir bocca ; ma il Pensiero
italiano, successo ixW If-alia risorta, dichiarava che il
Paese non sapeva che farsi dei chiacchieroni, e pre-
feriva i cittadini intemerati che votavano senza ascol-
tare altra voce se non quella della propria coscienza.
Esso non nominava mai il duca senza chiamarlo l'emi-
nente Patriotta, l'insigne Patrizio, l'illustre Deputato;
e all'annunzio dello scioglimento della Camera ne
cominciò il panegirico. Fra i tanti meriti del « cospicuo
Cittadino » quello d' aver contribuito precipuamente
all' istituzione della Banca Meridionale di Credito non
era certo il più piccolo; e don Lorenzo Giulente, nel
suo gabinetto di direttore, raccomandava alla gente
che veniva a prender quattrini l' elezione del duca.
«C'è bisogno di rammentarcelo?...» Ma, conside-
rando le velleità d'opposizione, gli amici del deputato
volevano ottenere una vittoria strepitosa ; infatti gli
misero insieme quasi trecento voti. 11 duca, ricono-
scente, fece cadere sul collegio una nuova strabocche-
vole pioggia di croci di San ^Maurizio e Lazzaro; Be-
nedetto ne ebbe una tra i primi, e la cosa non gli fece
certo dispiacere, quantuncjue egli si stimasse cavaliere
per nascita; ma dal giorno di quell'annunzio sua moglie
non gli dette più requie: «Cavaliere!... Senti, cava-
liere!... Che fai, cavaliere?... Cavaliere, vogliamo
andar fuori?... » gli diceva a quattr'occhi e in presenza
d'estranei, a proposito e a sproposito. E se c'erano
altre persone, aggiungeva invariabilmente : « Perchè
adesso, non sapete? mio marito è cavaliere, sissignori :
senza cavallo »
— 39 —
La vera, la prima origine della durezza con la quale
ella lo trattava da un pezzo era 'la persuasione final-
mente radicatasi nel suo cervello che egli non fosse
abbastanza nobile per lei. A poco a poco, giorno per
giorno, aveva riconosciuto che i suoi parenti dicevano
giusto cjuando denigravano i Giulente ; e dimenticate
le accuse rivolte al principe, aveva fatto la pace con
lui, cedendo per la prima, affinchè non si dicesse che
gli Uzeda sdegnavano di trattarla. E quanto più Bene-
detto le stava dinanzi sommesso, tanto più ella ricono-
sceva di avergli accordato una grazia speciale, sposan-
dolo. Le opinioni liberali di lui, un tempo ammirate,
adesso l'esasperavano come una prova di volgarità. I
puri erano tutti borbonici ; lo zio duca e qualche altro
facevano i liberali perchè ci speculavano su. Se il pa-
triottismo avesse fruttato qualche cosa a suo marito,
un grande onore o molti quattrini, meno male; ma quei
principii da straccione professati senza costrutto dimo-
stravano insieme la bassa origine e la sciocchezza di
Benedetto. Adesso, per vantarsi di quel ciondolo, di
quel titolo di cavaliere toccato agli ultimi scalzacani,
bisognava sapersi discendenti da mastri notari ! Bene-
detto ci rideva un poco, ma a malincuore, e una volta,
anzi, da .solo a sola, le disse :
— Potresti smetterlo, questo scherzo.
— Scherzo? Che scherzo? T'hanno fatto cavaliere,
sì o no ? È verità o è menzogna ?
E per farsi un vanto del suo rigorismo, non contenta
d'aver messo in ridicolo quella nomina, andava a dire
dinanzi a donna Ferdinanda o a don Blasco :
— Del resto, egli non ha bisogno della croce ! K già
cavaliere di natura —
ÌNIa, il più bello era che do;ina P^erdinanda, adesso,
non le dava più retta, anzi parteggiava a viso aperto
per Benedetto, il quale la serviva in quella stagione,
per via della famosa legge sul corso forzoso. Con gli
anni, quanto più il suo peculio era cresciuto, tanto più
cupida ella era divenuta : adesso dava i danari al
— 40 —
trenta, al quaranta per cento, gridando poi al ladro
se qualche povero diavolo ritardava di qualche giorno
il pagamento. Ora, della «carta sporca», come chia-
mava i biglietti di banca, ella non voleva saperne, non
riconosceva altra moneta dai colonnati e dai dodici
tari in fuori ; se i suoi debitori, alle scadenze, venivano
a pagarle gì' interessi in tanti stracci, ella rifiutava
■di rinnovare il prestito, pretendeva sotto il colpo la
restituzione del capitale, si faceva suggerire dal nipote
avvocato il modo d'eludere la legge e d'obbligare la
gente a pagare in argento sonante Quanto a don
Blasco, anch'egli aveva altre cose pel capo, e i Giu-
lente cominciavano a entrare nelle sue grazie. Tornato
dalla villeggiatura, s'era preso in affitto un quartierino
verso la Trinità, per esser libero e restar vicino alla
Sigaraia, come quand'era a San Nicola; ma gli biso-
gnava frattanto ammobiliar la casetta. E vomitando
maledizioni contro i « Piemontesi » che lo avevano but-
tato in mezzo ad una via, con l'elemosina d'una lira
e mezza il giorno, chiedeva qualcosa a ciascuno dei
parenti : un divano al principe, un paio di poltrone al
marchese, un armadio a Benedetto. Comprata un po'
di biancheria, la distribuì alle parenti perchè gliela
facessero cucire ; cucita che fu, chiese qualche piccolo
ricamo per giunta ; e tutti si facevano un dovere di
contentarlo, rivaleggiavano anzi nel rendergli quei ser-
vizi!, se lo ingraziavano, adesso che aveva anch'egli
il suo gruzzolo. Quanto avesse non si sapeva con pre-
cisione ; ma alla scadenza del primo semestre della sua
rendita, visto che le cedole eran pagate puntualmente
— in carta, è vero, ma la carta correva come moneta
— egli disse al marchese di fargli comperare altre die
cimila lire di cartelle. E gridando contro il governo
ladro, teneva sotto il guanciale i suoi titoli.
Al principio dell'estate, benché la Camera fosse an-
cora aperta, arrivò il duca. Ricominciarono le solite
dim.ostrazioni degli amici e degli ammiratori; egli sa-
liva in cattedra con maggior sicumera di prima e com-
— 41 —
meritava l'opera del Parlamento. La soppressione delle
società religiose era il gran fatto dei tempi moderni ;
t'gli ne enumerava e dimostrava gli immensi vantaggi.
Prima d'ogni cosa, i latifondi tolti alla manomorta
avrebbero raddoppiato e migliorato i loro prodotti « a
vantaggio dell'agricoltura, industria e commercio, sor-
gente percipua di ricchezza sociale » ; in secondo luogo
tutti, anche coloro che non avevano capitali, potevano
diventar proprietarii aggiudicandosi piccoli lotti da ri-
scattare con lo stesso frutto della terra ; finalmente il
governo, con l'utile della vendita, avrebbe scemato le
tasse « a sollievo della finanza pubblica e privata ».
Era come un'altra « legge agraria » : egli citava i Ro-
mani, Servio Tullio; e la gente che non capiva, bat-
teva egualmente le mani, in attesa della cuccagna.
Egli frattanto si preparava a comperar qualche lotto
— dicevano anzi che fosse venuto proprio per questo —
e consigliava al principe, a Benedetto, al marchese di
fare altrettanto. Quando don Blasco ne ebbe sentore,
fece cose da pazzo :
— I beni della Chiesa, razza di miscredenti e di dan-
nati ? Volete dunque tenere il sacco ai ladri, ah ? Non
avete paura per l'altra vita? Che faccia una cosa si-
mile quel farabutto, — ormai non chiamava altrimenti
il fratello deputato, — non è meraviglia, dopo che ha
votato la ladreria. Nel più c'è il meno, e neppure Do-
mineddio può cavarlo dal fuoco eterno! Ma voialtri?
Guai a tutti ! Fuoco dall'aria sui vostri capi ! Arse
l'anime !...
Donna Ferdinanda, da canto suo, era contrariissima,
per scrup>olo religioso ; e minacciava anche lei le pene
infernali ai compratori dei beni della Chiesa; la princi-
pessa, che stava peggio in salute, appoggiava la zia;
e un giorno venne il Priore al palazzo, a posta per di-
stogliere i parenti dall'acquisto col linguaggio della
persuasione evangelica.
— Non vi lasciate indurre in tentazione. Vi diranno
che l'occasione è propizia per fare qualche guadagno
— 42 —
materiale; ma la salute dell'anima è il sommo dei beni.
Il vSignore vi compenserà in altro modo, vi darà da un
altro canto quello che ora rinunziercte....
Il principe sta\a a sentire le . due campane senza
esprimere la propria opinione; il marchese però giudi-
cava eccessivi gli scrupoli ; e Chiara, per seguire il ma-
rito, non dava ascolto alle ammonizioni del confessore.
Lucrezia, da canto suo, spingeva Benedetto a com-
prare, ad arricchirsi, poiché adesso lo credeva non solo
ignobile, ma anche miserabile ; uno che non possedeva
neppure' uno straccio di feudo, mentre in casa Fran-
calanza ce n'erano sedici !...
Frattanto il Parlamento discuteva un'altra legge « a
vantaggio dell' incremento pubblico e privato », come
spiegava il duca, sebbene non andasse alla capitale :
quella, cioè, relativa allo svincolo delle cappellanie e
dei beneficii laicali ; e il principe, zitto zitto, cominciava
a tener conferenze col notaro e col procuratore legale,
preparava i suoi titoli per ottenere i beni di tutte le
fondazioni degli antenati, specialmente della cappel-
lania del Sacro Lume; quando un bel giorno don Bla-
sco, che da un certo tempo non metteva piede al pa-
lazzo, vi piovve inaspettato.
— Badiamo, ohi ! Se si svincola la cappellania, la
roba va divisa fra tutti i consanguinei !
— \'ostra Eccellenza s' inganna — rispose il prin-
cipe. — I beni rientrano nel fedecommesso.
— Che fedecommesso d'Egitto? Dov'è il fedecom-
messo? Sono quarant'anni che è finito, e i titoli li ho
letti anch' io !
— Ma il diritto di patronato è stato in mano mia.
— Patronato ? Quasi che si trattasse di un ente
autonomo ! — don Blasco parlava adesso come un
trattato di giurisprudenza. — È una semplice eredità
cuììi Oliere inissarum : hai da spiegarmi il latino ? O
torniamo coi cavilli che facesti alla Badia per non pa-
gare il legato?... Alle corte, qui bisogna intendersi:
se no comincio con un dichiaratorio, e poi ce la ve-
dremo in tribunale !
— 43 —
Il principe, vistosi scoperto, in un momento che la
bile gli tornava a g'ola, esclamò :
— (J \'ostra Eccellenza non aveva vietato di toc-
care i beni della Chiesa ?
— Evviva la bestia ! — proruppe il monaco. — Qui
la Chiesa che ha da vedere? Le messe si faranno cele-
brare come prima, anzi meglio di prima ! Tu volevi
forse intascare le rendite senz'altro?
Ma non ci fu tempo di approfondire la quistione e
di concretar nulla, che una sera d'agosto, mentre al pa-
lazzo una folla d' invitati assisteva alla processione del
carro di Sant'Agata, arrivò il duca giallo come un
morto, annunziando :
— Il colera! Il colera!... Un'altra volta!...
Quello buono, adesso ; la dose giusta finalmente tro-
vata dagli untori ; perchè, Dio ne scampi, non erano
passate ventiquattr'ore che già il morbo si dilatava. E
che spavento per le vie di campagna, nuovamente per-
corse, giorno e notte, da torme di fuggiaschi ; e che
terrore, infinitamente più contagioso della peste, vin-
ceva i più coraggiosi all'annunzio del rapido progredire
del male, e li cacciava su, verso la montagna, nei paesi
del Bosco, dove, con la consueta fiducia nell' immunità,
l'affitto d'una casupola costava un occhio del capo !
Gli Uzeda erano arrivati al Belvedere poche ore
dopo la notizia portata dal duca, e questi aveva preso
posto nella prima carrozza, tanta tremarella aveva in
corpo. La cugina Graziella era ancora una volta coi
cugini : la sua presenza adesso diveniva tanto più ne-
cessaria quanto che la p<3vera principessa andava peg-
gio, e o fosse la paura del colera, o il disagio della
fuga improvvisa, appena arrivata alla villa si mise a
letto. Un po' per questo, un po' per la tristezza gene-
rale prodotta dal sapere le stragi che faceva in città la
pestilenza, non più ricevimenti, non più giuochi, non
più veglie. Il giorno passeggiavano nel podere; Con-
salvo, Benedetto e qualche altro s'arrischiavano per le
vie, ma all'ave il principe voleva che tutti fossero in
— 44 —
casa e faceva sprangare tutte le porte e tutti i can-
celli; don Blasco, alla villa del marchese, si teneva
prudentemente nella propria camera, e non andava
neppure a litigare con Giacomo, anche per evitare la
compagnia di quel « farabutto » del duca. Ma improv-
visamente un brutto g-iorno la costernazione crebbe
fuor di misura : la pestilenza era scoppiata al Belve-
dere ; la serva di certa gente venuta tre giorni prima
dalla città agonizzava; s'udiva la campanella del Via-
tico per le vie deserte come quelle d'un paese morto.
— Bisogna scappare!... Scappiamo! Subito!... Alla
Viagrande, alla Zafterana....
Lucrezia coi Giulente parti subito per .Mascalucia. Il
duca, più morto che vivo, avrebbe voluto andarsene
sul pizzo d' Etna, per mettersi bene al sicuro; ma pre-
valse pel momento il partito del marchese, che diceva
d'andare alla \'iagrande, dov'erano quasi sicuri di tro-
vare una casa capace di tutta la parentela. BLsognavti
però che qualcuno passasse innanzi per cercarla ; e il
duca s'offerse d'accompagnare il principe, non paren-
dogli vero di battersela immediatamente. Giacomo
disse alla moglie :
— Vuoi venire anche tu ?
La principessa, da alcuni giorni, aveva lo stomaco
rovinato, non digeriva piì,i, si trascinava penosamente
dal letto alla poltrona; e appunto per ciò tutti conven-
nero che bisognava metterla in salvo prima degli
altri. Marito e moglie partirono dunque subito con lo
zio e Baldassarre ; gli altri restarono a preparare i carri
della roba, giacché questa volta, non andando in casa
propria, bisognava portare letti, biancheria, tutte le
cose d'uso giornaliero. Nella notte tornò il maestro di
casa per avvertire che l'alloggio era trovato, e il do-
mani all'alba tutti scapparono dal Belvedere dove il
colera già divampava. La casa, alla Viagrande, s'era
trovata grazie alle relazioni ed ai quattrini del prin-
cipe di Francalanza : nondimeno, era una catapecchia
consistente in tre cameracce e due stanzini a pian ter-
— 45 —
reno, povera abitazione d'un bottaio, dove i « Viceré »
furono molto contenti di potersi ficcare. Grazie al nome
di L'zeda, l'entrata in paese fu loro consentita, quan-
tunque venissero da un luog-o infetto; ma, una volta
dentro, il principe, il duca, don Blasco cominciarono a
g-ridare che non bisognava lasciar passare nessun altro,
se non si voleva la rovina della Viagrande. Infatti l'epi-
demia decimava non solamente la popolazione rimasta
in città, dove si contavano fino a trecento morti il
giorno e non c'era più consorzio civile, nessuna auto-
rità, né deputati, né consiglieri, ne niente, ma diffon-
devasi per la prima volta con violenza straordinaria
nel Bosco scampato a tutte le altre invasioni coleriche :
era al Belvedere, a San Gregorio, a Gravina, alla
Punta, gfuadagnava le case sparse, non risparmiava i
casolari perduti in mezzo alle campagne ; e non soltanto
i poveri diavoli morivano, ma le persone facoltose, i
signori che s'avevano ogni sorta di riguardi ; talché
la gente atterrita fuggiva da un paesuccio all'altro,
come poteva, sui carri, a cavallo, a piedi ; ima chi por-
tava addosso il germe del male cadeva lungo gli stra-
dali, si torceva nella polvere e moriva come un cane :
i cadaveri insepolti, cotti dal torrido sole estivo, esala-
vano pestiferi miasmi, mettevano il colmo all'orrore;
e i fug"giaschi che arrivavano sani e salvi ai luoghi
ancora immuni erano accolti a schioppettate dai ter-
razzani atterriti ; o, se riuscivano a trovare un rifugio,
comunicavano ai sani la pestilenza. La siccità aggiun-
gevasi a render disperate quelle tristi condizioni ; tutte
le cisterne erano asciutte, non si poteva far pulizia,
c'era appena di che dissetarsi. Il principe, alla Via-
grande, pagava una lira ogni brocca d'acqua; e la
principessa pareva diventata un pozzo, tanta ne sciu-
pava, tra per lavarsi ogni ora, in quelle stanze dai
pavimenti e dai muri unti e dagli usci luridi, la cui
sola vista .le metteva i brividi ; tra per la sete che la
divorava. I dolori intestinali non la lasciavano più ; a
momenti pareva che avesse già. ì crampi del colera ;
- 46-
lauto che i! duca, atterrito, pensava di scapparsene pili
lontano; ma la paura di lui era fuor di luogo: quei
dolori, quelle disposizioni al vomito, la principessa li
soffriva da paia di un anno, non con 1' intensità di
adesso, è vero, ma con lo stesso carattere. Il principe,
assicurando lo zio, gli manifestava altri timori :
— Margherita non ha voluto mai chiamare un dot-
tore...^ jiia io ho una gran paura m'hanno detto
che forse ha un cancro allo stomaco
Ma il duca non gli dava retta ; per adesso, aveva
da pensare alla propria pelle, perchè il colera poteva
scoppiare da un momento all'altro alla \'iagrande, anzi
qualche allarme c'era già stato.
— • Andiamo via!... — insisteva; — andiamo più
lontano, al Milo, a Cassone, sulla montagna — e
quando finalmente il primo caso fu accertato in paese,
mentre tutti ripetevano : — Andiamo via scappiamo
più lontano — — egli aveva la cacaiòla, dalla paura.
Questa volta le difficoltà per trovare una casa erano
ancora ipiù grandi. Il duca andò a cercarla dalle parti
del Milo. Il principe si preparò a partire per Cassone.
— ■ \'uoi venire anche tu ? — • ripetè alla moglie.
Ella aveva passato una notte orribile, senza sonno,
tormentata dalla nausea e dal vomito; s'era levata a
stento, pallida e disfatta cosi, che Chiara disse :
— Xo, lasciala.... \errà quando avrai trovato la
casa
Le stesse cameriere dissero che non era prudente
esporla al disagio della ricerca, che meglio le conve-
niva partire quando si sapeva dove condurla ; ma la
cugina Graziella fu di contrario parere, udendo che i
casi si moltiplicavano rapidamente nel villaggio.
— Io direi invece di allontanarla subito nelle su-^*
condizioni può opporre meno resistenza al contagio —
una casa qualunque Giacomo ha pure da trovarla....
Donna Ferdinanda era anche lei di questa opinione ;
ma Consalvo, stretto alla mamma, le diceva, piano :
— ■ No, non andare per ora è meglio qui an-
dremo poi tutti....
>,
à
— 47 —
Ella carez/ax a il giovanetto con la mano scarna e
fredda, e guardava timidamente il manie, aspettando
che egli stesso decidesse.
— . \'uoi o non vuoi venire? — le domandò ogli,
con voce breve, col tono che prendeva quando le di-
scussioni cominciavano a seccarlo; e la domanda che
aveva il suo senso letterale per tutti, ne acquistava un
altro per la principessa che comprende v'a le intenzioni
e i gesti, che intuiva i sottintesi
— No, t'accompagno —
Sul punto di vederla andar via, il priricipino insistè :
— Mamma, resta o prendimi con te; — e il gio-
vanetto, ordinariamente allegro e spensierato, dimo-
strava adesso una specie d' inquietudine quasi paurosa.
— Non c'è posto per tutti I — rispose il principe,
brusco; e la principessa abbracciò forte il figliuolo d'i-
cendogli :
— Resta resta domani saremo insieme
Si mise in carrozza accanto a suo marito tenendo un
pezzo di canfora alle nari ; Baldassarre montò in serpe
e la carrozza partì.
Fino a sera, non s'ebbe più notizia di loro. A un'ora
di notte arrivò un espresso mandato dal duca dal Milo,
il quale avvertiva d'aver trovato lassù uno stambugio
dove c'era posto appena per lui; li lasciava quindi li-
beri di raggiungere Giacomo.
Alla \'iagrande frattanto smaniavano, perchè il pa-
nico cresceva contagiosamente. Già accusavano Gia-
como d'essersi scordato di loro come quell'egoista del
duca; g^ià don Blasco parlava di mettersi a cavallo a
un asino e di andarsene non importava dove, quando,
all'alba del domani, arrivò Baldassarre, pallido, stra-
volto e tremante.
— Eccellenza!... Eccellenza!... La padrona, la si-
gnora principessa!... Attaccata di colera!... Spirata
in tre ore !...
-48
VII.
Al matrimonio del principe con la cugina Graziella,
celebrato tre mesi dopo la cessazione dell'epidemia,
solo i parenti e pochissimi intimi furono invitati : il
vedovo era ancora in gramaglie e il chiasso d'una fe-
sta sarebbe stato inopportuno. Del resto il principe
stesso spiegava che quel matrimonio era di semplice
convenienza : tanto lui quanto la sposa avevano molti
autunni sulle spalle, associavano quindi i loro destini
senza nessuna delle fantasticherie giovanili, e solo per
fare assegnamento sull'aiuto reciproco che si sarebbero
prestato : la cugina aveva bisogno d'un uomo che tu-
telasse gli interessi di lei, che le ridesse una posizione
in società, ed il principe trovava una nuova madre ai
proprii figliuoli. Ouell'unione, prevista da alcuni, fin
da quando la cattiva salute della principessa aveva fatto
temere per la sua vita, aspettata poi da un giorno al-
l'altro dopo la catastrofe affrettata dal colera, risco-
teva perciò l'approvazione quasi universale : il confes-
sore, il vicario, tutti i preti che bazzicavano per la casa
l'avevano giudicata conveniente e provvida. I prepa-
rativi della cerimonia nuziale furono molto modesti
perchè non i soli sposi erano in lutto : non c'era quasi
famiglia, dopo quella terribile epidemia, che non pian-
gesse qualche persona cara. Benedetto Giulente aveva
perduto in un giorno il padre e la madre, a Mascalucia ;
la principessa di Roccasciano era rimasta vedova, alla
duchessa Radali era morto uno zio, il cavaliere Gio-
vanni Artuso; ma questa disgrazia non era stata causa
di grande dolore, poiché il cavaliere, ricchissimo e
senza figli, aveva lasciato in casa Radali tutta la sua
sostan.-^a : l'usufrutto alla duchessa, la proprietà a Gio-
vannino che aveva tenuto a battesimo. Doleva piut-
— 49 -^
tosto alla madre che l'eredità non fosse andata al pri-
mogenito, per amor del quale ella aveva sacrificata la
propria vita. La soppressione dei conventi aveva già
sconvolto tutti i suoi disegni, non potendo Giovannino
professarsi più, e tornando al secolo; adesso l'eredità
veniva a pareggiare la condizione dei due fratelli, cioè
a diminuire quella del primogenito. Ella voleva bene
ad entrambi, ma al duca, oltreché bene, portava anche
una specie d'istintivo rispetto, come capo della casa,
come erede e continuatore del nome e della potestà
paterna. Perchè la chiusura dei conventi e l'errore dello
zio non disturbassero i piani di lei, bisognava che Gio-
vannino non prendesse moglie : ella lavorava a questo
scopo, lasciando il giovane libero di sbizzarrirsi a suo
modo, secondando tutti i suoi gusti per la caccia, pei
cavalli, per tutti i diporti, in modo che il giovine non
fosse tentato di mutar vita.
Che donna Graziella avrebbe fatto da madre ai figli
del principe, era frattanto fuori di dubbio. Baldassarre
aveva riferito ai suoi dipendenti, e questi ripetevano
dovunque i particolari delle lettere scambiate tra la
sposa e la principessina. La ragazza aveva saputo a
Firenze la morte della mamma, e che pianto ! che con-
vulsioni! basti dire che la direttrice del collegio s'era
messe le mani in capo, non sapendo come fare. Povera
signorina, aveva pure ragione ! sola, lontana da casa
sua, «senza poterla abbracciare un'ultima volta!
Mamma mia ! Mamma mia !... » Bisognava leggerle,
queste lettere ; perchè alla Santissima Annunziata le
signorine ricevevano un' istruzione comi fo; e la prin-
cipessina otteneva sempre i primi premii, tanto era
svegliata e studiosa. Ma finalmente, quando la madrina
le mandò una ciocca di capelli della buon'anima, e il
suo libro di preghiere, e il suo rosario, promettendole
che il principe l'avrebbe ripresa più presto in casa
e raccomandandole frattanto di non affliggerlo di più,
poveretto, con quelle lettere, la padroncina si venne
cahnando a poco a poco : » Hai ragione, mia buona
De Robeito. / VUcri- -li "4
— 5° —
madrina ; dimenticavo il dolore del povero babbo per
pensare al mio (solo ; e ciò non è giusto " E le lettere
scritte al principe direttamente? «Non ti afflig-gere
più, babbo mio; pensa come me che la santa mamma
è in paradiso, e di là ci guarda tutti, e veglia su noi,
e vuole che ci consoliamo perchè ella è tra i beati e
noi tutti, con la grazia del Signore, un giorno la rag-
giungeremo— » cosa veramente da strabiliare che
una ragazza di quattordici anni scrivesse a questo
modo !... E il principe le aveva dato allora la gran
notizia : inconsolabile per la perdita di quella santa,
egli l'avrebbe pianta fino all'ultimo giorno della
propria vita ; ma i figliuoli avevano bisogno di qual-
cuna che tenesse loro luogo di madre, e per quest'unico
scopo egli accettava i consigli di tutti i .parenti che lo
persuadevano a riammogliarsi : sposava quindi la cu-
gina che gli aveva dato tante prove d'affezione nella
circostanza della « grande disgrazia », ed era la più
adatta, nella sua qualità di parente, a compiere la deli-
cata missione di seconda madre. La cugina, da suo
canto, scrisse in , coda sotto la dettatura del Padre
confessore : « Mia cara figlia, da quel che t' ha detto
tuo padre, tu comprendi che da ora innanzi ho più di-
ritto di chiamarti con questo nome che il mio cuore
t' ha sempre dato. La mia più grande ambizione è
quella di renderti meno sensibile la mancanza della
nostra santa, non di fartela dimenticare, che sarà
sempre impossibile non solo a te ma a noi tutti. Strin-
gendo ancora più i vincoli che già ci uniscono, io ti
starò sempre a fianco per vegliare su te e tuo fratello,
come quella benedetta raccomandò al letto di morte.
Sono impaziente di stringerti al mio cuore : se i tuoi
studii non ti permetteranno di tornare per ora a casa,
verremo noi a trovarti al .più presto — » Passarono
però molti giorni, senza che a questa lettera venisse
risposta. Che cosa succedeva ? La , posta ne aveva
fatta qualcuna delle sue ? O la signorina stava poco
bene? Oppure accoglieva male l'annunzio del matri-
— 5' —
iliouio?... Baldassarre fece di tutto per dissipare que-
st 'ultimo dubbio. \'eraniente egli lavorava del suo
meglio per nascondere alla g^cnte anche il malumore
del principino, ma non ri riusciva, perchè Consalvo,
fin dal primo annunzio delle nozze, aveva preso posi-
zione contro la futura madrigna e il padre. Natural-
mente, aspettando lo sposalizio, la cugina non veniva
più al palazzo, adesso che non c'era più nessuna signora
che la ricevesse ; ma il principe andava da lei e voleva
che il fig-liuolo le facesse visita : tutto fiato perduto :
il principino non ci sentiva da quell'orecchio, e quando
incontrava la promessa del padre in casa dei parenti,
la salutava appena, rispondeva con una freddezza mor-
tificante alle effusioni di lei che gH dava del « figlio
mio » a tutto andare, o addirittura la sfuggiva, la-
sciando intendere l'avversione che quella donna gì' ispi-
rava. Il principe, con grande e comune stupore, pareva
che non se ne accorgesse, e quasi avesse mutato ca-
rattere, quasi volesse ingraziarsi anche lui il figliuolo,
largheggiava a quattrini, gli lasciava fare quel che
voleva, gli comperava carrozzini e cavalli inglesi ; ma
Consalvo era freddo anche col padre, lo evitava, stava
settimane intere lontano, in campagna, a caccia, tanto
che :a poco a poco si vedeva il principe gonfiare, gon-
fiare, gonfiare. II maestro di casa, tanto amante della
pace, se n'accorava, e lavorava a rabbonire il padron-
cino. iConsalvo lo lasciava dire; a un certo punto gli
rispondeva, freddo freddo : « Non mi seccare. Bada al
tuo servizio. Non mi seccare » Giovanotti ! Gio-
vanotti ! Bisogna aver pazienza con essi, lasciarli fare
a modo loro, prima che mettano giudizio ! Ma la princi-
pessina ? Era possibile che anche lei si voltasse contro
il padre e la madrigna ? Una figliuola savia, obbe-
diente, educata alla Santissima Annunziata?...
Dopo essersi fatta aspettare più d'una settimana,
arrivò finalmente la risposta della signorina. « Caro
babbo, cara mamma, » diceva, « non v' ho scritto più
presto perchè sono stata poco bene ; una cosa da nulla,
*- 52 -
non v'inquietato; ora, grazie a Dio, posso dirvi con
quanta gioia ho appreso ciò che fate per noi : » e così
via per due pagine piene d'espressioni affettuose, fino
aila chiusa che diceva : « \'ostra affezionatissima e
gratissima figha, Teresa. » Scrisse anche al fratello,
nello stesso senso ; ma il principino, rispondendole,
neppur nominò la madrigna, neppur lece un'allusione
al prossimo matrimonio, come se mai ne avesse udito
parlare. Due giorni prima della cerimonia, anzi, andò
via con Giovannino Radali ed altri amici, a caccia, di-
cendo che sarebbe rimasto fuori ventiquattr'ore ; invece
il giorno degli sponsali, quando il padre e la madrigna
con gì' invitati andarono al Municipio, egli non era an-
cora arrivato. Xon arrivò neppur la sera, quando gli
sposi tornarono dalla chiesa : uno scandalo straordi-
nario, la servitù che mormorava, i lavapiatti sulle
spine, la sposa che sorrideva per forza-, Lucrezia che
ripeteva ogni quarto d'ora: «Ma Consalvo? Perchè
non lo mandate a chiamare?... » nonostante le aves-
sero spiegato parecchie volte che il giovanotto era in
campagna, alla Piana. Il principe, un poco pallido,
diceva che doveva esser capitatta qualche disgrazia
alla comitiva; infatti nessuno dei compagni di Con-
salvo era ancora tornato, e la duchessa Radali e il duca
Michele suo figlio mandavano ogni mezz'ora a casa,
inquieti per il loro Giovannino. La barca capovolta, al
Biviere ? La carrozza ribaltata ? L'n fucile, Dio liberi,
scoppiato?... Donna Ferdinanda era invece tranquil-
lissima, sapeva bene che il suo protetto aveva dovuto
combinar la cosa per non assistere alla cerimonia nu-
ziale; e in cuor suo lo approvava. Bella sciocchezza,
da parte di Giacomo, quella di dar a intendere che si
ammogliava per non lasciar senza madre i proprii
figli ! I suoi figli non erano più bambini, da doverli
allattare I... E poi, e poi, che grande autorità aveva
esercitato su loro la madre ! Il principe non Je aveva
mai permesso d'attaccar loro un bottone ! Adesso, in-
vece, che si sarebbe visto? La pettegola cugina far da
padrona in casa Francalanza !
— 53 —
La zitellona diceva queste cose, piano, all'orecchio
di Chiara e di Lucrezia, le quali le ripetevano al mar-
chese, a don Blasco ; e tutti riconosceviano che Gia-
como sposava Graziella unicamente perchè, da gio-
vane, s'era messo in capo di sposarla. La madre non
aveva voluto, ed egli s'era piegato, allora, alla ferrea
volontà di lei ; parevia anzi aver dimenticato la propria,
trattando la cugina freddamente, quasi non l'avesse
j)ensata mai, badando solo agli affari ; ma appena finito
di accomodarli, egli s'era messo con l'antica innamo-
rata, e ora, dopo tanti anni, non più giovane, con due
figli grandi e grossi sulle spalle, il suo primo pensiero,
appena libero, era quello di sposarla, vedova, invec-
chiata, imbruttita, pur di prendere la rivincita, pur
di disfare l'opera della madre. Non l'aveva disfatta in
un altro modo, eludendo le volontà che ella aveva
manifestate nel testamento, spogliando i legatarii e il
coerede? E che restava oramai dell'opera della de-
funta? Raimondo non aveva anch'egli disfatto il ma-
trimonio voluto da lei? Lucrezia che doveva restare in
casa non s'era sposata?... «Strambi!... Cocciuti!...
Pazzi !... » Così essi scambiavansi le stesse accuse; ma
stavolta tutti erano stati d'accordo fiel biasimare il
principe, nel coalizzarsi contro di lui ; ad eccezione del
solo Priore. Gli interessi mondani, le lotte della fa-
miglia lo lasciavano adesso molto più indifferente di
prima, sul punto com'era di partire per Roma. Dopo
la soppressione d€Ì conventi tutti avevano riconpsciuto,
al'lia Curia, che il dotto e santo Cassinese doveva
<indare avanti in altro modo. Gli era stato offerto un
\escovato, a ,sua scelta ; ma egli che mirava più alto,
aveva chiesto di andare a Propaganda. E giusto in
quei giorni, con la nomina di vescovo /;/ partibiis, era
stato chiamato alla grande Congregazione. Che gì' im-
portava del matrimonio del fratello, del testamento
della madre e di tutte le trame meschine che ordivano
i suoi ? A Roma egli era preceduto da una fama cosi
chiara, da raccomandazioni tanto eflìc^ci, che in poco
— 54 —
tempo era sicuro di raggiungere, con la propria accor-
tezza, i più alti gradi della gerarchia.... Come a lui,
lo scioglimento delle corporazioni religiose aveva dato
a don Blasco altri desiderii, altre ambizioni. Convertiti
in bella rendita sul Gran Libro i quattrini portati via
dal convento, il monaco aveva finalmente visto avve-
rarsi il sogno della sua giovinezza : aver del suo, essere
capitalista. Allora aveva quasi dimenticato 1' odio contro
il rivale nipote, 'non s' era più curato né di lui né degli
altri. Ma 1' appetito vien mangiando, dice il proverbio,
e don Blasco non si contentava di quelle poche migliaia
d'onze, voleva arricchire per davvero, studiava il modo
di batter moneta. Per tanto voleva assaggiare i beni
delle Cappellanie e dei Benefizii ; e vedendo che Gia-
como gli dava erba trastulla e nonostante le promesse
iniziava la causa per conto proprio, era stato l'anima
della lega ordita contro di lui, mettendo in opera il
sistema da lui adoperato contro i fratelli. Chi la fa
r aspetta, dice un altro proverbio, e il principe che
s'era fatto pagare da Raimondo e da Lucrezia p>er dar
loro il suo appoggio, ave\ a dovuto chiuder la bocca allo
zio perchè questi, che non aveva mai avuto peli sulla
lingua, s'era messo a cantare che la faccenda della
morte della principessa non era tanto liscia, e che aver
costretto la « povera Margherita » a scappare a Cassone
mentre stava cosi male ed aveva anzi i primi sintomi
del colera, era stato un voler sbarazzarsi di lei, dopo
averle dettato un testamento nel quale s' era fatto lascia-
re ogni cosa, e niente ai figli ; e che la freddezza di
Consalvo non era poi senza ragioni, e che — e che —
Allora il principe aveva riconosciuti i diritti della paren-
tela alla spartizione dei beni, e tutti s' eran placati.
Placati in apparenza, perchè i rancori ribollivano sor-
damente. Giacomo non se la poteva prendere col
monaco, iper non disgustarselo, adesso che aveva
quattrini ; né, per la stessa ragione, con la zia Ferdi-
nanda ; tanto meno col duca alla cui autorità di deputato
ricorreva per essere assistito contro il fisco rapace.
-Ma sfogava contro tutti gli altri, incagnato, una furia.
L' ag^ente delle tasse, specialmente, un certo Stravuso,
era il suo incubo : oltre che di ingordo, costui aveva
la fama di terribile iettatore, e il principe, pigliandosela
con lui, non lo poteva neppur nominare dalla paura;
non lo chiamava altrimenti che « Salut' a noi! »,
tenendo nel pugno un amuleto, un ignobile pezzo di
ferro a fog'gia di mano che fa il segno delle corna.
— ^'Che io parli con Salut' a noi?... — diceva allo
zìo, quella sera degli sponsali. — Fossi pazzo !... Fa-
telo andar via ! Fatelo traslocare, cotesto ladro imbo-
scato per spogliar la gente!... Non gli basta farmi
pagare il 20 per cento sugli svincoli, la doppia tassa di
succes'sionc fra estranei ! Ma se fossimo estranei non
erediteremmo ! I beni vengono a noi appunto perchè i
fondatori furono nostri antenati !
Il duca, che portava al cielo le nuove leggi, gli con-
sigliava di non lagnarsi : anche dedotto il 20 per cento,
il resto era tanto di guadagnato. L' importante in tutto
questo, per il legislatore, era che tante proprietà e tante
rendite fossero sottratte ai monaci e destinate ad im-
pinguare la fortuna dei privati cittadini, quindi ad au-
mentare la pubblica prosperità. Perciò, aspettando di
prender la sua parte nella divisione dei beni svinco-
lati, egli era rimasto aggiudicatario del Carrubo e di
Fontana Rossa, due feudi della Badia di San Giuliano,
dei quali a giorni sarebbe entrato in possesso, e incitava
il nipote a fare altrettanto, a scegliere qualche bel te-
nimento di terre da pagare a tanto 1' anno con gli stessi
frutti e da migliorare in modo da moltiplicarne il va-
lore ; ma il principe :
— ■ Eccellenza, non posso. Il confessore non vuole.
Me r ha messo a scrupolo di coscienza ; e giusto in
questa circostanza solenne del mio matrimonio intendo
rispettarlo. Ciò non vuol dire che \'ostra Eccellenza
abbia fatto male; ma i nostri casi sono diversi
Il duca lo guardò un poco nel bianco degli occhi,
come per sincerarsi se diceva sul seria o se scherzava ;
- 56 —
poi usci nella stessa obbiezione che il principe aveva
rivolta a don Blasco :
— O allora perchè rivendichi i beni delle Cappellanie?
Non sono della Chiesa anche quelli ?
— Eccellenza no, — rispose il principe, — La Chiesa
ne era semplice amministratrice, secondo l'intenzione
dei fondatori. Le sole rendite debbono essere convertite
a scopi sacri, e di ciò siamo responsabili tutti
Mentre essi tenevano questi discorsi, l' assenza del
principino continuava a far ciarlare gli altri parenti,
di nascosto alla nuova principessa, la quale si mostrava
sovrappensieri, temendo, come il marito, non fosse ca-
pitato un accidente al giovanotto, e parlava di spedir
messi alla Piana per appurare che cos'era successo.
Nonostante l'inquietudine, ella badava al servizio, dava
ordini sottovoce a Baldassarre, insisteva perchè gì' invi-
tati riprendessero dolci e sgelati, esercitando così per la
prima volta l'ufficio di padrona dì casa. Don Blasco non
si facea pregar molto : adesso che a San Nicola e' era
tanto di catenaccio, egli poteva far tardi quanto gli pia-
ceva ; e mentre masticava a due palmenti, utilizzava il
suo tempo chiedendo informazioni alla gente sulle firme
solvibili, giacché anch' egli s'era messo a dar quattrini
in piazza. Di tanto in tanto s'avvicinava anche al
crocchio d'uomini in mezzo al quale il duca, finito di
discorrere col nipote, parlava delle pubbliche faccende.
La quistione che impensieriva pel momento il deputato
era quella del Municipio. Le cose vi andavano male,
gli amici del grand' uomo lo pregavano con insistenza
di prenderne le redini, di dare questa nuova prova di
affetto al paese ; ma egli dichiarava che non la volontà
ma la forza gli faceva difetto. Era già deputato, consi-
gliere comunale e provinciale, membro ddla Camera di
cornmercio, del Comizio agrario, presidente del consiglio
d' amministrazione della Banca di Credito, consigliere
di sconto alla Banca Nazionale e al Banco di Sicilia,
e come se non fosse 'Abbastanza, lo mettevano in tutte
le giunte di vigilanza, in tutte le commissioni d'inchie-
sta. Ad ogni nuova nomina, egli protestava che era
troppo, che non aveva tempo di grattarsi il capo, che
bisognava dar luogo ad altri, ma dopo una lunga e
cortese discussione doveva finalmente arrendersi alle
insistenze degli amici. Gli avversarli, i repubblicani, i
malcontenti gridavano contro questo accentramento di
tanti ufficii in una stessa persona; è giusto il duca s'era
fatto forte di tale ragione per rifiutare la sindacatura.
Benedetto, dopo il gran dolore delle disgrazie sofferte,
ricominciava allora ad occuparsi degli affari pubblici,
e insisteva presso lo zio, gli ripeteva 1' invito a nome
del Consiglio comunale, adducendo la mancanza di
persone capaci.
— Non mi darai a intendere, — rispose il deputato,
— che io solo posaa fare il sindaco! Perchè non lo
fai tu?
— Perchè io non ho i titoli di Vostra Eccellenza !
— Dimmi che accetti, e fra quindici giorni avrai la
nomina.
Benedetto continuava a schermirsi, sorridendo, fin-
gendo di non credere alla serietà deiroiTerta; in cuor
suo, egli non desiderava di meglio; ma una grande diffi-
coltà lo arrestava : l'opposizione di sua moglie. Costei
dijnostravasi sempre più irascibile quando udiva parlare
di cariche pubbliche, di ufificii elettivi, di politica liberale;
minacciava di far mandare ruzzoloni giìi per le scale
le persone che venivano a cercar di lui nella sua qualità
di consigliere comunale o di presidente del Circolo Na-
zionale ; di lacerare, prima che egli le leggesse, le
carte indirizzate a suo marito. Se gli moveva tanta
guerra per cosi poco, che avrebbe fatto sapendolo sin-
daco ? E Benedetto, soggiogato dal timore, sì schermiva
contro le rinnovate offerte dello zio, il quale, come
argomento irresistibile, riserbato per il colpo di grazia,
gli diceva : « Il giorno che io mi ritirerò, troverai
preparato il terreno — »
Mentre il deputato insisteva, e Lucrezia sparlava di
suo marito con Chiara, e donna Ferdinanda sparlava
- 58 -
del principe col marchese, e i lavapiatti facevano la corte
alla nuova principessa, e don Blasco ciarainellava da
un g-ruppo all'altro, s' udi il fracasso d'una carrozza
che arrivava di carriera e tutti esclamarono :
— Consalvo!... Il principino!...
Baldassarre erasi precipitato ad incontrarlo. Il giova-
notto aveva l' abito in assetto e gli stivaloni puliti
come sul punto di andar fuori ; ma al maestro di casa
che g;li domandava ansiosamente che cosa fosse suc-
cesso :
— Sono vivo per miracolo, — rispose.
Entrato nel salone, mentre tutti gli si affolkivano
intorno, cominciò a narrare la storia d'un accidente
complicatissimo, il suo smarrimento nel Riviere, la fame
sofferta per dodici ore, il naufragio della barca che lo
portava. « Gesù !... Gesù !... Santo Dio d'amore !... »
esclamavano tutt'intorno ; la principessa, specialmente,
ripeteva ogni momento: « Ah, questa caccia!... Figlio
mio!... Che paura!... » lo stesso principe mostrava di
credere quella storia, e tutti, per prudenza, fìngevano
di rallegrarsi dello scampato pericolo ; solo donna Fer-
dinanda increspava le labbra sottili ad un ironico sor-
riso, sapendo bene che il suo protetto non aveva corso
pericolo di sorta Benedetto, frattanto, riferiva sotto
voce alla moglie 1' offerta della sindacatura fattagli dallo
zio e il proprio rifiuto. Lucrezia si voltò a goiardarlo
in faccia e gli disse sul muso :
— Sempre bestia sarai ?
Le era parso che quel titolo di sindaco avrebbe no-
bilitato in qualche modo il marito, conferendogli 1' au-
torità, il lustro, l'importanza che non aveva; invece,
dopo che il duca ottenne per Giulente la nomina, s' ac-
corse che egli restava più Giulente di prima, una specie
d'impiegato, un miserabile passacarte, un servitore del
pubblico. E quando le diedero della sindachessa, arrossi
come un papavero, quasi 1' insultassero, quasi le into-
nazioni più complimentose fossero studiate e jiascon-
— 59 —
dessero un ironico dileggio. Ella non diede più quartiere
a Benedetto ; dopo averlo spinto ad accettar 1' ufficio,
gliene rinfacciò l'inutilità, le noie, i pericoli; se per
la moltitudine degli affari egli tornava a casa più tardi
del consueto, stanco, affamato, l'accoglieva con tanto
di muso, gli faceva trovare la tavola mezza sparecchiata
e il desinare freddo ; se veniva gente a chieder del
sindaco, ella gridava alla cameriera : « Non c'è ! Non
c'è nessuno! iMandate via cotesti seccatori!... » hn
modo che i seccatori udissero e che passasse loro la
voglia di mai più tornarci; se Giulente, ciò nonostante,
riceveva quella gente, per prudenza, per necessità, ella
si metteva lo scialle in testa e se andava dalle parenti,
o dalle amiche, e cominciava a sfogarsi :
— Xon ci posso più reggere ! Mi par d' impazzire !
Che vita d'inferno! Se avessi saputo!...
Secondo che le dimostravano il suo torto e l'affezione
e il rispetto di cui Benedetto la circondava, la sua av-
versione cresceva : ella imaginavasi d'esser maltrattata,
attribuiva al marito ogni specie di torti. Poiché i Giu-
lente non avevano avuto concessione di feudi, lo giudi-
cava miserabile ; ma non potendo ragionevolmente dare
a intender questo, 1' accusava d' avarizia. Egli la
lasciava libera di spendere ciò che voleva ; ma fittosi in
capo che fosse avaro, la fissazione ftrendeva nel cervello
di lei più consistenza di un fatto; e con l'aria d'una
vittima rassegnata al suo destino, quasi piangendo, ri-
fiutava di comperar nulla per sé, rinunziava agli abiti,
ai cappelli, ai gioielli, andava attorno come una came-
riera. Suo marito non riusciva a strapparle la spiega-
zione di quella sciatteria; ma- al palazzo ella si nettava
la bocca contro di lui, e se il principe o donna Ferdi-
nanda le rammentavano che smania aveva avuto di
sposarlo, se la prendeva con loro :
— Perchè non mi apriste gli occhi ? Che ne sapevo !
Toccava a voialtri avvertirmi !
— Oh ! Oh ! Hai dunque dimenticato tutto quello che
facesti ?
— 6o —
— Che ne sapevo! Colpa vostra che non v'osUnaste
a impedirmi di commettere una pazzia !
E <juesta nuova idea le s' inchiodava talmente in
testa, che sfogandosi coi primi venuti, lagnandosi della
propria infelicità con gente a cui aveva parlato appena
una volta, ella l' adduceva a propria discolpa :
— La inia famiglia m' ha fatto un tradimento.
Questo marito non faceva per me : me 1' hanno dato
per forza — sono stata sacrificata !...
Poi denigrava in altro modo Giulente, mettcA'a in ri-
dicolo il suo patriottismo, lo attribuiva all'ambizione o
lo negava del tutto.
— Cotesto sciocco ha fatto il liberale per essere
qualche cosa. Ma non è divenuto niente, ed ha fatto
meno che niente. Il ferito del \'olturno ? Guardategli la
coscia : 1' ha più sana delle mie !
Diceva spesso cose più enormi, senza pudore, un poco
perchè non ne comprendeva la sconvenienza, un poco
perchè credeva le fosse lecito tutto. Non si levava mai
prima di mezzogiorno, e per due buone ore restava di-
scinta, con una gonna sulla camicia, il collo e le braccia
nude, i piedi nudi nello pantofole ; si mostrava così al
cameriere ed al cuoco, era capace di ricevere anche
qualche visita; e se Benedetto, presente, esclamava,
giungendo le mani; «Ma Lucrezia! Per carità!... »
ella lo guardava stupita, spalancando tanto d'occhi :
«Che c'è? Sono visite di confidenza! Ho da mettermi
gli abiti da ballo? Quelli che m'hai fatto venire da
Parigi?... » E se egli le diceva di ordinarli pure, di spen-
dere tutto quel che voleva, ella si stringeva nelle -spalle :
«Io? A che prò? Per qual Santo? Non vado più a
nessuna parte; non conosco più nessuno della mia so-
cietà! Risparmia, risparimia i tuoi quattrini!... »
Messo con le spalle al muro, egli perdeva talvolta
la pazienza; allora ella minacciava d'andarsene via.
— Ah, la prendi su questo tono ? Bada che ti
pianto !... Non mi far saltare il ticchio d'andar via,
perchè altrimenti non mi tratterrai neppur con gli ar-
gani !... Sai come siamo noi Uzeda, quando ci met-
tiamo una cosa in testa ! Raimondo ha posto il mondo
sottosopra per piantar sua moglie e prenderne un'altra !
Giacomo aveva giurato di sposar Graziella, ed ha fatto
morire quella disgraziata prima del tempo
— Taci !... Che dici !...
Egli sopportava pertanto le stramberie, i capricci, le
contraddizioni, i rimproveri, le ironie di lei. Ma la
sorda guerra della moglie non gli noccva meno della
protezione dello zio duca. Questi, che oramai non an-
dava più alla capitale, consacrava tutto il suo tempo
ai proprii affari, badava alle cose di campagna, miglio-
rava le proprietà comprate dalla manomorta, speculava
sugli appalti, si giovava del suo credito presso le am-
ministrazioni pubbliche per rifarsi di quel che gli co-
stava la rivoluzione. E con l'aria di consigliare Giulente,
lo persuadeva a fare ciò che voleva. Ufficialmente, il
sindaco era suo nipote; in fatto, era egli stesso. Non
si rimoveva una seggiola, al Municipio, senza la sua
approvazione ; ma specialmente nella nomina degli im-
piegati, nella concessione di lavori pubblici, nella di-
stribuzione di incarichi gratuiti ma indirettamente o
moralmente profittevoli, egli faceva prevalere la pro-
pria volontà, proteggeva i suoi fedeli, fossero anche
inetti, metteva avanti la gente da cui poteva sperare
qualcosa in cambio, non dava quartiere a quelli del
partito avverso, qualunque titolo possedessero, da qua-
lunque parte glieli raccomandassero. Aveva l' abilità
di fingersi assolutamente disinteressato, di spingere il
nipote a fare ciò che egli stesso voleva come se invece
non gì' importasse nulla di nulla, e il Municipio diven-
tava cosi, a costo di patenti ingiustizie, di manifeste
violazioni della legge, un'agenzia elettorale, una fab-
brica di clienti. Per rispetto e per soggezione, sopra
tutto per la speranza di raccogliere l'eredità politica
dello zio, Benedetto non osava contrariarlo; se, per
qualche fatto più grave degli altri, egli esitava un mo-
mento, il duca vinceva quegli scrupoli, o adducen-
— 62 —
cloi^^li le necessità della lotta politica, o impegnandosi
a riparare più lardi, o facendogli semplicemente com-
prendere che, in tìn dei conti, a Cjuel posto l'aveva
messo lui, perciò conveniva che facesse ciò che a lui
piaceva. Per compenso, gli garantiva l'appogg^io del
Governo e della Prefettura, lo sosteneva in Consiglio,
tesscA'a \ suoi elogi perfino in famiglia, tenendo fronte
a Lucrezia, che lo v'iipendeva dinanzi a tutti. Costei,
per far la corte allo zio, rispondeva che un po' di bene
suo marito lo faceva solo quando seguiva i consigli
di lui ; viceversa, da sola a solo con Benedetto, gli rin-
facciava la cieca obbedienza prestata al duca.
— Bestia ! Sciocco ! Stupido ! Xon capisci che ti
spreme come un limone ? Che vuoJ prendere la castagna
dal fuoco senza scottarci ?. .. Almeno, sapessi farti dare
la tua parte !
E gli consigliava di mettersi nei loschi ahari del de-
putato, di vendere la propria autorità, di farsi pagare
gli atti che era in dovere di compiere; e ciò senza scru-
poli, come una cosa naturalissima, come avevano fatto
i \'icerè al tempo della loro potenza. Così, un po' per
la moglie, un po' per lo zio, Giulente commetteva in-
giustizie d'ogni sorta rifiutandone il prezzo, metteva a
rischio la sua bella riputazione di liberale disinteres-
sato, di « ferito del X'olturno ». Ma l'ambizione lo ac-
cecava, egli voleva rappresentare una parte in poli-
tica, e il Parlamento era la mèta per la quale soppor-
tava il Municipio. Poiché presto o tardi il duca si
sarebbe ritirato, egli voleva sostituirlo; tutta la paren-
tela uccellava i quattrini messi assieme dal deputato,
egli aspirava all'eredità politica; il seggio alla Camera
sarebbe stata la conferma, il riconoscimento del suo
patriottismo, della sua capacità. Per tanto, il disprezzo
di sua moglie cresceva : ella non capiva che si potesse
esercitare un ufficio pubblico pel piacere di esercitarlo,
senza specularci sopra, perdendoci il tempo, trascurando
per esso ogni altra occupazione, non badando agli af-
fari proprii, non andando mai in campagna, lasciando
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fare ai castaidi e agii affittaiuoli. Quasi che potesse
permettersi questo lusso ! Quasi fosse il principino di
Mirabella !...
Consalvo, sì, poteva fare e faceva quel che gli pia-
ceva. Non solo egli non badava agli affari di casa —
che suo padre ci pensava per lui — • ma non stava in
casa se non per dormire — quando ci dormiva. La-
sciata la camera che aveva occupata al ritorno dal
convento, s'era accomodato un quartierino al primo
piano, dalla parte del secondo cortile, sfondando muri,
riiurando finestre, aprendo una nuova scala, disordi-
nando ancora un altro poco 'la pianta del palazzo. Il
principe l'aveva lasciato fare. Non contento di starsene
cosi jnteramente segregato dal resto della famiglia, con
persone di .servizio esclusivamente addette alla sua
persona, adesso desinava solo, dichiarando che le ore
di suo padre non gli convenivano. E il principe si pie-
gava 'anche a questo, con grande stupore di quanti co-
noscevano la sua prepotenza, il suo bisogno d'assoluto
comando. Il giovanotto faceva la bella vita; cavalli,
carrozze, caccia, scherma, giuoco ed il resto. Finito,
dopo r incendio del Sessantadue, il Casino dei Nobili,
egli aveva fondato, insieme con qualche dozzina di
compagni, un Club che era la risurrezione più elegante
e più ricca dell'antica istituzione : quantunque solo i
nobili autentici vi fossero amsmessi, Consalvo vi aveva
ficcato due o tre giovanotti che non appartenevano alla
casta, ma gli facevano da mezzani. Accordava la sua
protezione e la sua amicizia solo a quelli che lo servi-
vano, che lo ammiravano, che gli facevano la corte.
Come al Noviziato, anche adesso derideva i meno no-
bili e meno ricchi di lui : un motivo di cruccio contro
suo padre era appunto l'avarizia di costui che si la-
sciava prender la mano dai nuovi arricchiti. Il lusso
esteriore degli Uzeda, che prima del Sessanta pareva
straordinario, adesso cominciava ad essere agguagliato
se non superato dalla gente rifatta, e mentre al palazzo
i mobili di cinquant'anni addietro cadevano a pezzi e
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le livree del secolo passato servivano al pasto delle
tignole, c'era gente che spendeva un occhio del capo
a metter su case ed equipaggi col gusto moderno. Ma
agli occhi del principe la vecchiaia dei mobili e delle
livree era come un altro titolo di nobiltà ; e se tutti
tenevano adesso il guardaportone mentre vent'anni ad-
dietro c'era in città solo quello di casa Uzeda, chi
aveva nel vestibolo la rastrelliera?... Del resto, Con-
salvo lavorava per suo conto a distruggere gli effetti
della spilorceria paterna. Quajido, dall'alto di un breack
o d'uno stage, attillato negli abiti venuti apposta da
Firenze, guidava come il più esperto cocchiere un tiro
a quattro, fermandosi per far salire gli amici che in-
contrava lungo la via, avanzando poi tutti glj, altri
equipaggi, frustando come i suoi antenati i cocchieri
che osavano contrastargli il passo, la gente si fermava
ad ammirare, a ripetere il suo nome e il suo titolo con
un senso d'alterezza, quasi un poco del suo lustro si
riversasse su chi poteva salutarlo, su chi lo conosceva
almeno di nome, sulla stessa città che gli aveva dato
i natali. Se egli comperava o vendeva una pariglia di
cavìalli, se mandava via o riprendeva un servitore, se
vinceva o se perdeva al giuoco, le notizie di questi
avvenimenti facevano le spese delle conversazioni ; la
sua antipatia per la madrigna gli era ascritta general-
mente a lode, spiegata com'era col rispetto da lui por-
tato alla memoria della madre ; tutti avevano interesse
e premura di dargli moglie, e di tanto in tanto la voce
d'un possibile matrimonio circolava per ogni dove,
finché, ripetuta dinanzi a -lui, lo faceva scoppiare in una
risata. Per ora egli voleva divertirsi ; ci sarebbe poi
stato tempo ad incatenarsi. E le sue visite assidue a
questa od a quella signora, i vistosi regali che faceva
alle cantanti ed alle attrici spiegavano la sua risposta :
tornavano per Pasqualino Riso i bei tempi del contino
Raimondo : il padroncino gli faceva guadagnare il pane.
Le sue gesta avevano anche un altro campo, meno
elegante, ma altrettanto famoso. Insieme con gli amici
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più scapestrati, aveva combinato un;i compagnia che
era, la notte, il terrore di mezza città. Armati di stoc-
chi, di revolver o anche di semplici coltelli, portavano
a spasso le ciarpe d'infima classe, cantando a squar-
ciagola, spegnendo i fanali del gas, attaccando briga
coi passanti, facendo aprire per forza, a furia di schia-
mazzi e di sassate ai vetri, le taverne e le case pub-
bliche, giocando al tocco o a briscola coi bertoni, or-
dinando cene che _ finivano con la rottura di tutte le
stoviglie : i padroni li lasciavano sbizzarrire perchè, se
facevano danni, sapevano anche risarcirli. Certe volte,
però, per capriccio, pel gusto di commettere un so-
pruso, per esercitare l'ereditaria prepotenza dei Viceré,
il principino non voleva pagare lo scotto, o lo pagava
a legnate; e mentre profondeva i quattrini con le donne,
era capace di portar via a certe povere diavole, per
spasso, i pochi soldi che avevano in tasca — salvo a
compensarle un'altra volta — lasciandole intanto pian-
genti o vomitanti un sacco di sozzure che lo facevano
ridere a crepapelle.
Spesso scendeva con la sua comarca al porto, andava
a far baccano nelle taverne dove i marinai inglesi
s' ubbriacavano come bruti : egli saliva sopra una ta-
vola, prendeva la parola senza soggezione, predicava
la regola di San Benedetto, ripeteva le sentenze poli-
tiche dello zio duca e di Giulente ; senza sapere una
parola d' inglese teneva lunghi discorsi, serio serio, ai
marinai, foggiando per proprio uso e consumo una
lingua che nessuno intendeva ; la cosa spesso finiva
con una partita di box e relative ammaccature di co-
stole e rotture di stoviglie Se lo avesse visto Fra
Carmelo? Il Fratello appariva di tanto in tanto al pa-
lazzo, sempre più magro e stralunato, per ricantare il
consueto : « Me n' hanno cacciato !... Me n' hanno cac-
ciato!... » Non gli strappavano di bocca nient 'altro.
Quando nelle sue escursioni notturne Consalvo andava
dalle parti di San Nicola, lo incontrava immancabil-
mente, errante per le vie del quartiere come un'anima
De Roberto. / ì'icciè - II 5
— 66 —
In pena, o fermo a considerare la massa scura del con-
\cnto ; il principino, alterando la voce, ^li dava la baia,
lo chiamava: « Padre Priore !... Padre Abate!... Dove
sono i porci di Cristo?... » tra le risa della comitiva.
Eg'li ne era l'anima, il capo riconosciuto e obbedito.
Giovannino Radali veniva spesso con lui ; ma quan-
tunque ora fosse libero, ricco e barone, non aveva
Tumore costante : talvolta faceva pazzie straordinarie,
tal altra frenava i compagni ; più spesso, prendendo
parte ai bagordi, aveva la ciera funebre, un riso falso.
Di tanto in tanto scompariva, se ne andava ad Augu-
sta, nelle terre lasciategli dallo zio, donde nessuno riu-
sciva a scovarlo, se egli stesso, mutata fantasia, non
si decideva a tornare. Allora Consalvo lo trascinava
ai bagordi.
Una notte, per quistione di donne, la banda venne
alle mani co-n una comitiva di popolani, di barbieri, di
sensali : piovvero le legnate, luccicarono i coltelli, ma
per buona sorte, sopravvenute le guardie, tutti scom-
parvero. I bastonati, i mariti canzonati, le vittime della
loro prepotenza rnon osavano ricorrere : se qualcuno mi-
nacciava di querelarsi, la gente lo dissuadeva, consi-
derando chi erano quei signori : il barone Radali, il
principino di Mirabella, il marchesino Cugnò ! E la
polizia, se ricorrevano ad essa, faceva accomodar la
cosa : qualche biglietto di banca, e tutti lesti. Ma il
prestigio di quei nomi era tale che pochi osavano la-
gnarsi ; la più parte si stimavano onorati di competere
con quei signori, li ammiravano, parlavano di loro col
massimo rispetto. In carneA'ale, la mascherata favorita
dei monelli, dei facchini, era quella del Barone : sui
calzoni a sbrendoli e sulle camicie rattoppate, un vec-
chio abito a coda di rondine, un enorme colletto di
carta, una tuba di cartone alta quanto una canna di
camino : andavano cosi a crocchi chiamandosi scambie-
volmente, ad alta voce, fra le rise dei passanti, col
nome dei baroni per davvero : « Addio Francalanza !...
Radali, come stai?... Andiamo al teatro, marchese!... »
- 67 -
Senza cjLiei nobili -l'operaio ionie avrebbe l'alto? Il
loro lusso, i loro jjiaceri, le loro stesse pazzie erano
altrettante occasioni perchè la "ente minuta lavorasse
e buscasse qualcosa ! E il principino spendeva e span-
de-\a, regalmente, come se avesse le mani bucate. Suo
padre i^li pagava i cavalli e le carrozze, i fucili e i cani,
e pei minuti piaceri g-li passava cento lire il mese; ma
Consaho, alle volte, perdeva in una notte la pensione
dell'anno intero; e il domani ricorre\a a tutti gli usurai
della città, i quali, contro la firma d'una cambialina,
gli davano quel che voleva. Quanto ai parenti, essi o
lo incoraggiaA'ano a scialare, o non si occupavano di
lui, o erano disarmati dalla sua politica, giacché egli
sapeva prenderli pel loro verso, secondando le fisime
di ciascuno. Solo Benedetto comprendeva che quella
vita doveva costargli molto e sospettava qualcosa dei
debiti; ma il giovanotto Io tirava dalla sua, solletican-
dolo nella sua vanità di patriotta, dr ferito del Volturno,
di futuro deputato ; e del resto se Benedetto manife-
stava le proprie paure alla moglie perchè ciuesta met-
tesse sull'avviso il principe :
— • Di che ti mescoli ? ■ — saltava su Lucrezia. —
Lascialo fare ! Credi che mio nipote sia un pezzente,
da ,non potersi perméttere questo lusso? Può pagarli i
suoi debiti, se mai !
Donna Ferdinanda da canlo suo andava in estasi per
la riuscita del suo protetto e, dalla soddisfazione, gli
regalava di tanto in tanto qualche biglietto da cinque
lire che il giovanotto, dopo essersi profuso in ringra-
ziamenti, lasciava come mancia al cameriere del Caffè
di Sicilia. I! duca, ingolfato negli affari, aveva qualche
sentore dei pasticci del pronipote ; ma bastava a costui
dargli del salvatore del paese, del grande statista o
profetargli un posto al ministero, perchè il deputato si
chetasse. Più tardi, per ingraziarsi meglio donna Ferdi-
nanda, Consalvo le dava ragione se l'udiva gridare
contro il fedifrago ; e in questo era sincero, perchè,
senza mescolarsi nella politica, egli parteggiava pel go-
— 68 —
verno assoluto, proiettore dei siiJ^nori, sciabolatore
della canaglia. Questi sentimenti però non g;rimpedi-
vano di prender con le buone lo zio Giulente, al quale
non dava tuttavia .dell' Eccellenza, ma del semplice voi;
e più tardi conveniva con la zia Lucrezia se costei la-
gnavasi di quella bestia del marito. Così, ^nonostante
la freddezza col padre, segfiiiva l'esempio di lui, pi-
gliando ciascuno pel suo verso, secondando le fissa-
zioni di tutti oli L'zeda. La zia Chiara g-ià parlava
d'adottare il bastardo della cameriera : egli approvava
questa risoluzione. Lo zio Ferdinando, credutosi affetto
da tutte le malattie quando vendeva salute, adesso che
deperiva visibilmente credeva invece d'esser sanissimo
e non poteva soiTrire che la gente gli consigliasse di
chiamare un dottore : Consalvo si rallegrava con lui
per l'ottima ciera — Quanto a don Blasco, da un pezzo
non si faceva più vedere al palazzo. Dacché stava per
casa sua, amministrando i proprii capitali, la sua
smania di criticar tutto e tutti, in famiglia, era finita :
quando capitava tra i parenti, discorreva un poco del
più e del meno e andava via presto. Per non star solo,
in casa, s'era messo dentro la Sigaraia, suo marito e
le sue figlie ; talchò era servito di tutto punto, non
aveva più bisogno di nulla. E, da un certo tempo,
era diventato addirittura irreperibile. « Che cosa fa lo
zio?... Che cosa fa don Blasco ?... » ma nessuno ne
sapeva niente. Il principe, il marchese, Lucrezia, un
po' anche Benedetto, cercavano d' ingraziarselò, per
via dei quattrini che doveva aver da parte; ma egli li
sfuggiva tutti, e se li udiva alludere, sorridendo, alla
sua ricchezza, ripigliava a vociare come un tempo :
((Che ricchezze e povertà?... Che » e giù male pa-
role di jiuo\T) conio.
Un bel giorno, però, Benedetto, leggendo sul Foglio
d'Annunzii della prefettura l'elenco degli ultimi aggiu-
dicatarii dei beni ecclesiastici, trovò il nome di Matteo
Carino.
— Non si chiama così il marito della Sigaraia ? —
domandò alla moglie.
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— Credo.... Percliè ?
— Ha comprato il Cavaliere, una delle migHori terre
dei Benedettini.
Senza esitare un istante, Lucrezia esclamò :
— Garino ? Questo è lo zio don Blasco che l'ha
comprato !...
Infatti di lì a poco la \erità si seppe; Garino era il
prestanome di don Blasco ; questi aveva messo fuori i
quattrini ed era ,g-ià entrato in possesso del latifondo...
Un monaco, ,un monaco benedettino, uno che aveva
fatto voto di povertà, comprare una terra del suo stesso
convento, calpestare in tal modo la legg'e divina?... Lo
scandalo fu straordinario : donna Ferdinanda disse vi-
tuperii del fratello; il duca sorrise scetticamente, ram-
mentando le furibonde minacce di dannazione eterna
eruttate dal Cassinese ; lo stesso principe, quantunque
non volesse inimicarsi uno zio che comprava di tal
poderi, scrollava il capo; e tutti i cattolici zelanti,
partig-iani della Curia, i monaci a spasso, i borbonic
un tempo amicissimi di don Blasco gli si misero con-
tro ; ma a chi gli riferiva le voci malevole egli gridava :
— • Sissignore, il Cavaliere è stato comprato per mio
conto : e poi ? chi ci trova da ridire ? Mia sorella che
ha fatto l'usuraia per cinquant'annl ? Mio nipote che
ha rubato tutti i suoi ? Sono questi gli scrupolosi e i
timorati?... Io non ho scrupoli di sorta! Se non avessi
comprato io il Cavaliere, l'avrebbe preso un altro : al
convento non restava di sicuro, per la buona ragione
che il convento non c'è più!... Anzi, in mano mia, è
come se fosse ancora di San Nicola; a segno che ho
fatto restaurare la cappella, e ci dico la messa tutti i
giorni, quando salgo lassù : che se andava in mano
d'altri, a quest'ora l'avrebbero ridotta a uso di por-
cile !...
La messa, veramente, egli la diceva di tanto in
tanto, perchè aveva molto da fare : dissodava la chiusa,
strappava vecchie piante, scavava mi pozzo, ingrandiva
la fattoria trasformandola in Casina di villeggiatura,
spostava il muro di cinta arrotondando a modo suo i
confini ; doveva quindi stare con tanto d'occhi aperti
sugli (Zappatori e sui muratori perchè non lo rubas-
sero. In campagna, per esser pronto ad esporsi al-
l'acqua ed al vento, indossava una giacca corta da cac-
ciatore e portava gli stivaloni fino a mezza gamba;
tornato in città, smise la tonaca e lo scapolare, ma
si compose un abito nero, da ministro protestante, col
panciotto abbottonato fino in cima e il colletto cleri-
cale. Per tanto disapprovava quei due o tre antichi
suoi compagni che s'erano spogliati del tutto, dandosi
senza riguardo alla vita del secolo, come il sanculotto
Padre Rocca; o quelli che, senza smetter l'abito, da-
vano da ciarlare alla gente con la loro condotta, come
padre Agatino Renda che stava tutto il giorno in casa
della vedova Roccasciano, .giocando mattina e sera.
Padre Gerbini se n'era andato a Parigi, dov'era stato
creato rettore della Maddalena ; altri, rimasti in città,
facevano la vita dei preti ; ma don Blasco proponeva
a tutti sé stesso come modello. Fra Carmelo che, come
dal principe, veniva spesso anche da lui, pareva non si
fosse accorto del mutamento di Sua Paternità, e ri-
peteva con gesti disperati il suo eterno ritornello : « Me
n' hanno cacciato!... Me n' hanno cacciato!... » Don
Blasco gli dava qualche soldo e gli offriva da bere,
confortandolo con belle parole ; ma il maniaco, dopo
bevuto, ragionava meno, cominciava a prendersela con
gli indiavolati che avevano spogliato il convento :
— Assassini e iladri ! Ladri e assassini ! Il più gran
convento del reg-no!... E quegli altri ladri che si son
prese le sue proprietà ! All' inferno ! All' inferno, sco-
municati
Una volta, delirante più del solito, si mise in ginoc-
chio, declamando, con gran gesti di croce :
— In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo! \'i scongiuro per parte di Dio!... Restituite il
maltolto a San Nicola !... Ladri !... Schifosi !... Siete
cristiani o turchi ?... Pensale all'anima! ... l-'\ioco d' in-
ferno !..,
— 71 —
Don Blasco, perdendo finalmente la pazienza, lo prese
per una spalla e lo spinse fuori :
— \'a bene, va bene, abbiamo inteso.... ma per
adesso vattene, che ho da fare —
E sbattutogli l'uscio sul muso mentre sopravveniva
donna Lucia :
— Comincia a rompermi la divozione, questo vecchio
pazzo !... Se torna un'altra volta, buttatelo giù dalle
scale, avete capito?...
Vili.
Una notte, mentre Lucrezia, a letto, russava profon-
damente, e Benedetto studiava a tavolino il bilancio
comunale, una scampanellata improvvisa fece sussul-
tare il marito e destò la moglie. Andato ad aprire. Be-
nedetto si vide dinanzi il principino bianco in viso come
un foglio di carta.
— Datemi da lavare, — disse allo zio, traendo dalla
lasca della giacchetta la destra rossa di sangue.
— ■ Consalvo!... Che è stato?... Che hai?...
— Nulla, non gridate Per aprire una finestra
ho rotto un vetro, mi sono tag'liato Datemi da la-
vare !... E' una cosa da nulla....
La ferita era invece profonda ; cominciava dal dorso
della mano, girava sotto la giuntura del pollice e finiva
sul polso. Medicata con taffettà, doveva essersi riaperta,
perchè del fazzoletto che fasciava la mano non restava
neppure un angolo bianco, e il sangue gocciolava, mac-
chiando l'abito e la camicia.
— Non potevo andare a casa, conciato in questo
modo — ■ spiegava il giovinotto, mentre teneva im-
mersa la mano in una catinella, l'acqua della quale s'ar-
rossava ; ma ad un tratto, perduta la sicurezza che l'a-
veva fin li sostenuto, cominciò a tremare, con la fronte
madida di sudor freddo, girando intorno lo sguardo
stravolto, dove Giulente leggeva adesso lo sbigottimento
di un' improvvisa aggressione, la paura della morte
intravista nel balenio d'una lama.
— Di' la verità: com'è stato?...
— Ancora?... La vetrata rotta, v'ho detto Chia-
mate piuttosto Giovannino che m'accompagnò dal far-
macista e aspetta giù —
L'amico, più pallido di Consalvo, confermò la narra-
zione. La verità si seppe il domani. Da un pezzo Con-
salvo andava dietro alla figlia del barbiere del Belve-
dere, Gesualdo Marotta : una ragazza che si tirava su
per pettinatrice e, quantunque girasse sempre per le
vie, non dava retta a nessuno, con una gran paura dei
fratelli poco disposti, articolo onore, a scherzare. Ma M
principino, quando concepiva un capriccio, non si che-
tava se 'non dopo averlo soddisfatto ; e nonostante le
preghiere, gli avvertimenti e le minacce dei Marotta,
aveva messo in moto tutte le 'mezzane della città per
vincere la resistenza della giovane e della famiglia,
promettendo di toglierla dalle strade, da quel mestiere
penoso e pericoloso ; di metterle su una bella bottega di
modista, assicurandole anche la clientela di tutte le sue
parenti ed amiche. Tutto era stato inutile. Allora, ve-
dendo che con le buone non otteneva nulla, egli fece un
bel giorno rapire la ragazza e la tenne tre giorni con sé
al Belvedere. I fratelli, per un certo tempo, stettero
zitti, quasi fossero ài buio; solo quella brutta notte,
mentre il principino usciva dal Caffè di Sicilia, in com-
pagnia di Giovannino Radali, s'era sentito urtare e
squarciare da una lama tagliente la mano distesa istin-
tivamente per difendersi. «Ci rivedremo!...» aveva
detto l'aggressore, scappando alle grida di Radali.
Il principe non disse nulla quando vide il figliuolo
con la mano fasciata : mostrò di credere alla storia della
vetrata rotta e si mise a vegliarlo insieme con la prin-
cipessa, la quale stette al cape2/'-ale di Consalvo premu-
rosa ed inquieta come una vera madre. Il giovane dissi-
mulava imale il suo fastidio per quelle cure antipatiche
e accoglieva come altrettanti liberatori gli amici che ve-
nivano a fargli visita mattina e sera. Il pericolo corso,
il sangue perduto, gli procuravano l'ammirazione di quei
suoi compagni di bagordo ; però, guarito, egli non mise
il naso fuori dell'uscio. I Marotta avevano fatto sapere
che erano pronti a ricominciare appena lo avrebbero
rivisto, di notte o di giorno, e che la seconda volta non
se la sarebbe cavata con una semplice graffiatura, e che
aspettando di farsi giustizia da loro, denunziavano in-
tanto la cosa ai giudici. Tutti gli Uzeda, inquieti per la
vita dell'erede del nome, ricorsero al duca : e^li solo, con
r autorità che gli veniva dalla posizione politica, po-
teva ottenere dal prefetto, dal questore, dai magistrati
che quei malviventi lasciassero quieto il giovanotto. Il
duca, udito il fatto e quel che volevano da lui, in-
\ ece di dar ragione al pronipote, fece inaspettatamente
una gran sfuriata, tanto più strana, quanto che non era
nel suo carattere.
— Bene gli sta ! Queste sono le conseguenze della
sua vitaccia ! E voialtri che non lo chiudete a chiave !
Che vi rallegrate delle sue prodezze ! Adesso che volete
da me ?
Nessuno lo aveva mai visto cosi rabbuffato ; un altro
poco e pareva suo fratello don Blasco. La quistione era
che i suoi avversarii tentavano con accanimento un
nuovo assalto alla sua reputazione e che l'imbroglio di
Consalvo dava loro buono in mano. Il deputato non an-
dava da due anni alla capitale, dimenticava interamente
gli affari pubblici per badare ai proprii. Che' gran pa-
triotta, eh? Di quanto disinteresse, di quanto amor pa-
trio non dava prova? Quando aveva avuto da imbroglia-
re a Torino e a Firenze, se n'era stato sempre lontano,
col pretesto degli affari pubblici, anche se la Camera era
chiusa a catenaccio e il ministero disperso /di qua e di
Hi ; pei fatti del Sessantadue nessuno lo aveva strappato
— 74 —
(la Torino; in patria era \enulo solo per essere rieletto;
r ultima volta neppur s' era data questa pena, conside-
rando il collegio come un feudo elettorale la cui pro-
prietà nessuno poteva contrastargli; adesso che gli con-
\eniva accomodare le sue faccende, avevano un bel di-
scutere/delle più gravi quistioni, in Parlamento : egli non
si moveva. Ma quando pure ci fosse andato ? Che cosa
avrebbe fatto, li dentro ? Che cosa aveva-fatto in otto
anni 'di deputazione ? Come un burattino, aveva alzato
ed abbassato il capo, per dire sì o no, '^fcondo gì' im-
beccavano ! E avesse una volta, una sola volta aperto
la bocca ! Si scusava col dire che il pubblico lo sgomen-
tava ; ma la verità era che non aveva neppur l'ombra
(fi un' idea in fondo alla zucca, che non sapeva scrivere
un rigo senza fare sette spropositi ; e credeva di poter
nascondere la sua supina ignoranza con l'aria di pre-
sunzione e 'di sufHcienza ! E ad una bestia di quella
cubatura affidavano tutti gli affari della città e della
provincia, lasciavano dettar sentenze intorno a ogni
sorte di quistioni : d' istruzione pubblica, di ingegneria,
di musica, di marina!... Xon contento di esercitare
personalmente tanto potere, ficcava i suoi aderenti da
per tutto perchè facessero il suo giuoco : cosi Giulente
zio aveva avuto la direzione della Banca, così Giulente
nipote era stato fatto sindaco!...
Tutte quelle accuse, dei suoi nemici giravano per il
paese, trovavano credito, erano una minaccia. Giulente
prendeva le sue difese, ma ades.so non lo ascoltavano
più come un tempo; il discredito del deputato si esten-
deva un poco su lui. Gli davano dell' ipocrita perchè
pretendeva conservare le antiche amicizie mentre era
diventato settario, 1' esecutore delle partigianerie, delle
ingiustizie 'del duca. Ipocrita soltanto? I più accaniti
assicuravano che teneva anzi il sacco all' Onorevole, per-
chè qualcosa doveva entrargliene, perchè spartivano gli
illeciti profitti, il frutto dei loschi affari !... E più di
ogni altro argomento, questo dei guadagni del deputato
aveva la \irtù d' infiajnmare i suoi nemici. Delle cariche
— 75 —
pubbliche s'era servito per accomodar le sue co-se; i
denari impiegati jiella rivoluzione gfli fruttavano il mille
per cento! Cosi spiegavasi il suo patriottismo, la com-
media della sua conversione alla libertà, mentre Casa
L'zeda era astata sempre covo di borbonici e di reazio-
narii, mentre egfli stesso, al Quarantotto, aveva goduto
col cannoc-chiale, come al teatro, lo spettacolo della città
agonizzante ! Spiegavasi un poco con la paura, col
bisogno di dar prova di liberalismo e di democrazia
per non esser fucilato — e 1 gonzi s' eran lasciati pren-
dere dalla famosa abolizione del pane di lusso, durata
quindici giorni ! — ma la cupidigia era stata più grande
della paura; e certuni bene informati assicuravano che
una volta, nei primi tempi del nuovo governo, egli aveva
pronunziato una frase molto significativa, rivelatrice del-
l'ereditaria cupidigia viceregale, della rapacità degli
antichi Uzeda : « Ora che 1' Italia è fatta, dobbiamo
fare gli affari nostri — » Se non aveva pronunziato
le parole, aveva certo messo in atto l'idea; per ciò
\antava 1' eccellenza del nuovo regime, i benefici effetti
del nuovo ordine di cose ! Le leggi eran provvide quando
gli giocavano ; per esempio, la famosa soppressione delle
comunità religiose ! A darg-li retta, i beni tolti alla
Chiesa dovevano permettere di alleggerir le tasse, e
far divenire tutti proprietarii. Invece, le gravezze pub-
bliche crescevano sempre più, e chi aveva ottenuto quei
beni? Il duca d'Oragua, la gente più ricca, i capitalisti,
lutti coloro che erano dalla parte del mestolo!...
L' apposizione al deputato si dbnfondeva cosi, a poco
a poco, nell'universale malcontento, nel disinganno suc-
ceduto alle speranze suscitate dalla mutazione politica.
Prima, se le cose andavano male, se il commercio lan-
guiva, se i quattrini scarseggiavano, la colpa era tutta
di Ferdinando II : bisognava mandar via i Borboni, far
r Italia una, perchè di botto tutti nuotassero nell' oro.
.adesso, dopo dieci anni di libertà, la gente non sapeva
più come tirare innanzi. Avevano promesso il regno
della giustizia e della moralità; e le parzialità, le birbo-
- 76-
nate, le ladrerie conlinuavano come prima : i potenti e i
prepotenti d'un tempo erano tuttavia al loro posto ! Chi
batteva la solfa, sotto l'antico governo? Gli Uzeda, i
ricchi e i nobili loro pari, con tutte le relative clientele :
quelli stessi che la battevano adesso !
Per combattere queste idee che facevansi strada e
•che nocevano anche a lui, Giulente le attribuiva all' in-
vidia degli inetti, alla mala fede dei nemici, segnata-
mente alla propaganda dei suoi antichi amici rivoluzio-
narii. II. gran torto del duca era quello di sostenere la
causa dell'ordine, della moderazione, della prudenza ! Se
invece di appoggiare il governo, si fosse gettato tra gli
esaltati della Sinistra, gli avrebbero battuto le mani !
Ma predicava ai Turchi; per essere ascoltato, per ri-
scuotere approvazioni ed incoraggiamenti, non gli
restava altro che rivolgersi ai partigiani del duca. Questi
erano sempre numerosi, ma soprattutto più autorevoli,
più influenti della folla anonima degli accusatori, tra la
quale gli elettori si contavano sulla punta delle dita.
Fedeli, anche; e sordi a quelle accuse, e tanto più ligi
al deputato quanto che la sua caduta li avrebbe rovi-
nati Ora, in queste condizioni dell' opinione pubblica,
il pasticcio del nipote dava molta noia a don Gaspare.
Non già che gì' importasse del pericolo a cui il giova-
notto era esposto : egli non provava le tenerezze di
donna Ferdinanda o 1' interesse degli altri parenti per
l'erede del principato; né che temesse veramente di
rimaner neUa tromba a un prossimo scioglimento della
Camera, di non poter continuare a spadroneggiare in
paese ; ma non voleva esser discusso, presumeva serbare
intatto il prestigio dei primi tempi ; e giusto per questo
la sventataggine di Consalvo lo metteva in un beli' im-
piccio : poiché, dando mano ad un sopruso, persegui-
tando i parenti della ragazza rapita, avrebbe .sollevato
più forti clamori contro sé stesso; mentre la rinunzia
a difendere il nipote sarebbe stata attribuita appunto
alla paura di attirarsi nuove opposizioni. Dopo avere
esitato un poco fra i due partiti, facendo sentire a
— 77 —
Consalvo il peso del proprio sdegno, ma dilcndendolo
dinanzi ag'li estranei, egli si apprese al più audace. Il
più facinoroso fratello della pettinatrice fu chiamato un
giorno da un ispettore di polizia, il quale .gli consigMò
pel suo meglio di desistere dalle bravate altrimenti
lo a\"rebbero denunziato per 1' ammonizione; nello stesso
tempo i testimonii del ratto voltarono casacca, dichia-
rarono invece che la giovane era andata liberamente
a'ila villa Lzeda ; e si troA'arono poi due contadini che
dissero di avercela veduta altre volte, e parecchi altri
i quali affermarono che in paese si diceva non esser
quella la prima scappata della ragazza. I parenti gri-
davano vendetta, ma i vicini li persuadevano a desistere,
ad accomodarsi con le buone ; il principino, quantunque
le migliori testimonianze ilo sollevassero da ogni respon-
sabilità, pure, per evitar altre noie, era pronto a
sborsare tremila lire per la bottega di modista.
Ora un 'bel giorno, 'mentre s'aspettava da un momento
all' alltro la notizia che 1' imbroglio, un po' con le
minacce, un p.o' con le promesse, era accomodato e
che il giovanotto non correva più alcun pericolo, il
principe che non aveva ancora mosso un solo rimpro-
vero al figliuolo, entrò nella camera di quest' ultimo
rosso in \iso come un pomodoro, spiegazzando un
foglio di carta :
— A te !... Che significa questa lettera ?
Si riferiva a un debito di seimila lire che Consalvo
aveva garentito con una cambiale rinnovata parecchie
volte di quattro in quattro mesi ; iil creditore, volendo
esser soddisfatto e profittando della clausura del gio-
vanotto, scriveva al padre avvertendolo della scadenza e
invitandolo ail ,pagam.ento.
Consalvo, nel primo momento, rimase ; ma poiché suo
padre, animato da quel silenzio, chiedeva spiegazioni
gridando più forte, egli rispose freddo e calmo :
— Xon c'è bisogno d'alzar la voce. Che cosa le
hanno scritto ?
— Sai leggere, sì o no ? — esclamò il padre, met-
tendogli il foglio sotto il naso.
- 78 -
Ma il principino si trasse vivamente indietro, conìe
se fosse minacciato da un contaLto impuro. Durante i
lunghi g-iorni che aveva passati sopra una poltrona,
tAiendo il] braccio appeso al collo, nell'inerzia forzata,
con r impossibilità di servirsi della mano destra, rab-
brividendo alla vista del sangue che ancora trapelava
d'ella ferita e macchiava la fasciatura, a poco a poco
s'era sxegliato in lui ed era cresciuto e s'era fatto
irresistibile lo stesso senso di ribrezzo che era stato il
tormento di sua madre, la stessa repulsione per tutti i
toccamenti, lo stesso schifo per le cose che altri avevano
maneggiate, la stessa paura dei sudiciumi contagiosi.
Come suo padre più gli s' avvicinava, porgendo la
lettera, più egli si scostava, con le mani dietro la schie-
na, per evitare di prenderla.
— Va. bene — va bene.... — diceva, schermendosi e
guardando di sbieco i caratteri; — ho visto è don
Antonio Sciacca.
— Ah, don Antonio? — gridò il principe.' — Dunque
è vero? Non ti dai neppur la pena di fingere?... Ed
hai il coraggio
Consalvo piantò a un tratto gli occhi negli occhi del
padre, guardandolo fisso, con un'espressione dura, come
di sfida, e lasciato improvvisamente il lei:
— Che cosa volete ?... — gli disse. — Avevo bisogno
di danari Me ne date tanti !... I.i lio presi : voi che
ne avete li /pagherete
Il principe pareva sul punto di cader fulminato. Ri-
volgendo al figliuolo uno sguardo non meno fisso né
meno duro :
- — Pagherò un cavolo.... pagherò !... — articoilava. —
I miei quattrini?... Ti lascerò condannare e legare, be-
stione ! Capisci, bestione?
Più freddo di prima, Consalvo rispose :
— Va benissimo. Dunque non mi seccate...
— Ah, ti secco?... Ti secco?...
E di repente, come uno che riesce a vomitare dopo
vani conati, cominciò a sfogarsi. Gonfiava da due anni,
— 79 —
per due lung-hi anni aveva consentite tutte' le libertà
al tigliuolo; durante tutto quel temipo aveva compresso,
soffocato, vi'ito r imperioso bisog'no che era in lui di
comandTire, di veder tutii piegare dinanzi alla propria
volontà di capo della cas'a, di padrone, di arbitro asso-
luto del destino della, famiglia; egi'i che aveva marto-
riato tutti i suoi, fatto di loro ciò che g"li era piaciuto,
s'era pieg'ato a lasciar la brig-lia sul collo al fig'liuolo,
a colui sul quale più leg-ittimamente avrebbe potuto
esercitare la propria potestà. Per due anni, fing-endo
la tolleranza, I' indulgenza, ratTezione, s'era arrovel-
lato sordamente, covando l'antipatia e l'avversione
contro Consalvo, ricambiando l'odio che si sentiva por-
tato; adesso finalmente scoi>piava. Finché s'era trat-
tato de'lla mala vita del g'iovane, della sua freddezza
verso la madrig-na, egli /era riuscito a frenarsi ; ora
invece Consalvo lo feriva nel sentimento più forte di
tutti gli alitri, attentava non più alla sua autorità mo-
rale m>a alla sua borsa. Il principe aveva lottato tutta
la vita, fin dall'età della ragione, per accumulare nelle
preprie mani quanto più denaro gli era stato possibile,
per togdierlo alla madre, ai fratelli, alle sorelle, alla
moglie; meglio che tutti gli altri Uzeda, egli era il
rappresentante degli ingordi vSpagnuoli unicamente in-
tenti ad 'arricchirsi, incapaci di comprendere una po-
tenza, un valore, una virtù più grande di quella dei
quattrini ; e adesso che era riuscito nel proprio intento,
che vedeva arrivato il tempo di godere serenamente
i'I frutto delle lunghe e pazienti fatiche, ecco suo figlio
cominciare a disporre di quella sostanza come di cosa
propria! Se Consalvo gli avesse chieste le seimila lire,
egli le avrebbe date; ma l'idea del debito contratto,
della cambiale firmata, degli interessi rilasciati antici-
patamente agli usurai, produceva una rivoluzione nella
testa del padre, gli faceva vedere irreparabilmente
pericolante la prqpria ricchezza, giacché quella cam-
biale non doveva esser sola, giacché la naturale incli-
nazione del figlio allo sperpero gli riusciva adesso evi-
dente, giiacchè quello sciagurato osava fKirlare altera-
mente, quasi non avesse fatto se non esercitare un
proprio diritto ! E non voleva esser seccato per giunta !
E ris'pondeva con quel tono a suo padre !
— Ah, ti farò veder io se ti secco 1 Come t'acco-
moderò !... Qui il padrone sono io : cacciati bene questa
idea nel cervellaccio pazzo ! Qui s' ha da far sempre,
unicamente, in tutto e per tutto, la mia volontà ! Per-
chè sono stato troppo buono finora?... Ti farò veder io,
pezzo <!' imbecille !... E la g-ente, i miei parenti, tutto
il paese che imi rinfaccia ad una voce la vitaccia di
quest'animale! la vita delle taverne e dei lupanari!...
Credi forse che non sappia le tue 'SipK)rche prodezze?...
Come non arrossisci dalla vergogna ? Come non vai a
nasconderti lontano dalle persone a modo ? La dignità
del tuo nome calpestata in compagnia dei piia schifosi
bagordieri ! E non parlo dei denari scialacquati, but-
tati via come fossero sassi ! Chi spende per capricci,
per divertimenti pazzi quanto questa bestia?... E non
basta lasciarlo fare, non dirgli nulla, metter mano tutti
i giorni al portafoglio!... E ardisce lagnarsi che non
ha abbastanza ! E invece di scusarsi, di chieder per-
dono, vuol rifatto il resto ! O con chi credi di trattare,
imbecille?... Io non pagherò un soldo! Ed è tempo
d' intendersi, sai ! Giacché ci siamo, una volta per
tutte!... Qui bisogna mutar registro!... Fin a quando
starai in casa mia, hai da fare quel che piace a me,
comportarti come tra la gente civile !... Questa non è
una locanda, da venirci solo per mangiare e dormire !
Io non ti posso imporre l'affezione, e non m' importa
che me ne voglia : ma esigo il rispetto che m'è dovuto;
esigo il rispetto che devi a tua madre
Consalvo non aveva detto una sola parola, non aveva
fatto un gesto durante la sfuriata del principe. Questi
aveva un bel" arrestarsi, dopo un' interrogazione o una
esclamazione, quasi per dargli il tempo di rispondere
qualcosa,, di giustificarsi : in piedi presso la finestra, il
giovanotto guardava nel cortile di servizio le carrozze
^ 8i — .
tirate fuori dalle rimesse e i famìgli intenti a ripulirle :
se fosse stato solo nel suo salottino non sarebbe rimasto
più impassibile. Ma alle ultime parole del principe, si
voltò lentamente.
— Mia madre ?...
Aveva sul volto un'espressione indefinibile, di curio-
sità, di stupore, di dubbio, dominata da un sorriso te-
nuissimo, di isoli occhi.
— Mia madre?... Mia madre è morta. Lei lo sa me-
glio di tutti.
Il principe tacque, guardandolo. A un tratto s' udì
vm fruscio di gonne, e la principessa Graziella, avver-
tita dalla cameriera che aveva udito le voci, entrò :
— Che c'è? Che cosa avete?...
Consalvo si mise le mani in tasca e senza dir nulla
passò nella camera attigua. Il principe si lasciò condurre
via dalla moglie.
Per molte settimane padre e tìglio non scambiarono
più una parola. L'affare del debito, risaputo dai parenti,
divise in due campi la famiglia. Il duca, che non per-
donava ancora al pronipote 1' imbarazzo in cui l'aveva
messo, sosteneva il principe, l' incitava a non cedere, a
lasciar protestare la cambiale; Giulente anche lui giu-
dicava necessario dare un po' di paura al giovanotto,
perchè niente avrebbe poi potuto arrestarlo nella via
dei debiti, se il principe decidevasi a pagare il primo;
ma Lucrezia, pel gusto di contraddire al miarito, per
dare una lezione di munificenza a quel pezzente che
giudicava tutti alla sua stregua, esclamava che Con-
salvo aveva il diritto di svagarsi ; che seimila lire
per il princiipe di Francalanza erano come dieci lire
pei Giulente, e che in casa Uzeda per nessuna ragione
al mondo poteva darsi lo scandalo d' un protesto. Donna
Ferdinanda, manco a dirlo, se la prendeva con l'ava-
rizia del principe, che non dando abbastanza al figliuolo
lo costringeva a ricorrere al credito, e Chiara dava un
poco ragione agli uni e un poco .agli altri, secondo
l'umore di Federico. Quanto a don Blasco, che da vm
D» Roberto. / 11,, ■ri- - lì B
— 82 —
pezzo era diventato invisibile, un bel giorno, venuto al
palazzo, cominciò a prendersela non solo contro Con-
saho pei debiti e per la condotta scandalosa, ma anche
contro il principe e la principessa, alla cui debolezza
attribuiva lo sfrenamento di Consalvo.
— La colpa è tutta vostra ! Questo non è il modo
d'educarlo ! Pagargli i debiti ? Alzargli la mangiatoia,
bisogna !... — E senza nominarla, si scagliò contro
donna Ferdinanda, dandole della bestia a tutto spiano,
perchè coi vezzi che gli aveva fatti ella era l'origine
prima della mala creanza, del principino.
Donna Ferdinanda riseppe il discorso tenuto dal mo-
naco nello stesso tempo che il suo sensale le dava una
notizia strepitosa : don Blasco, non contento d'aver com-
prato la tenuta di San Nicola, aveva preso dal Demanio,
giusto in quei giorni, una delle case appartenenti al
convento : il palazzotto di mezzogiorno, l'a-ntica abita-
zione della Sigaraia ; armeggiando così bene, da far-
selo aggiudicare per un boccon di pane. Allora, apriti
cielo :
— Anche la casa? — gridò la zitellona. — ■ Io l'ho
sempre detto che è un porco, un vero maiale ! E fa la
voce grossa con gli altri, dopo quello che ha sulla co-
scienza!... Che gli estranei comprino i beni del con-
vento, si capisce : non hanno nessun obbligo ; ma lui ?
che se non l'avesrsero fatto monaco sarebbe morto di
fame? che s'è ingrassato a spese della comunità?...
— • O non era quello, — rincaravano nella farmacia
di Timpa, — che voleva mangiarsi i liberi pensatori
e bandire una nuova crociata addosso agli usurpatori
scomunicati e ridare la roba loro al Papa ed a Fran-
cesco II ?
Ma a don Blasco importava adesso un fico secco se
il Re chiamavasi Francesco o Vittorio ; che, entrato
nella casa di San Nicola, ci stava da papa : le botteghe
le aveva affittate a buoni patti, ed il primo piano anche,
a un professore che dava lezioni nella scuola tecnica
istituita nel convento. Scrupoli egli non ne provava ;
^)erchè anzi, se tutti i monaci avessero imi tato il suo
esempio, accaparrando le proprietà del monastero invece
di sciupare i quattrini che ne avevano portato via, i
beni di San Nicola non sarebbero andati in mano di
estranei.
— Questo era il vero modo di riparare all'abolizione,
e non le vociate inutili e ridicole. Ricomprati i beni
da tutti i monaci, l'avremmo fatta in barba al Governo !
Egli se la pigliava ancora con questo Governo, spe-
cialmente per via delle tasse che gli faceva pagare ; però,
siccome i fedeli alla causa della reazione predicevano
la fine della baldoria e il ritorno allo stato antico e la
restituzione del maltolto alla Chiesa, il monaco prote-
stava :
— Come, il maltolto ? lo ho pagato il. Cavaliere e
la casa con bei quattrini sonanti ; ho affrancato il censo,
avete capito?... Me li hanno regalati, o li ho rubati,
perchè possano riprenderli ?
— • Non dovevate comprarli, sapendone la prove-
nienza ! E arriverà .il giorno della resa dei conti, del
Dies ircB : non du'bitate !...
— • Chi? Che? Chi ha da venire?... — gridava allora
il monaco. — Verrà un cavolo!...
— La mano di Dio arriva da per tutto !... Le vie della
Provvidenza sono infinite!...
Le liti ricominciavano ogni dopo pranzo : quei borbo-
nici e clericali ricevevano certi fogliacci dove la fine
della rivoluzione era data come certa ed imminente : gli
articoli letti ad alta voce, ascoltati come il \'angelo, ap-
plauditi ad ogni periodo, facevano andare in bestia il
Cassinese. Un giorno che la brigata, dopo una di quelle
letture, gli diede addosso con maggior vivacità del so-
lito, don Blasco s'alzò, fece un gesto molto espressivo,
gridò un : « Andate a farvi !...», e se ne usci per non
metter più piede dallo speziale. 11 pomeriggio, passando
dinanzi alla bottega, affrettava il passo, guardando
dritto dinanzi a sé, e se c'era gente seduta sul limitare,
traversava la strada, per passare dal marciapiedi op-
- 84-
posto. Egli non metteva neppur piede al palazzo, dove,
quell'usuraia della sorella gracidava anche lei contro
i compratori dei beni ecclesiastici come se fossero al-
trettanti ladri, e dove quell'altro pezzo di gesuita di
Giacomo gli faceva la corte, adesso che lo sapeva ricco,
ma non dava torto alla zia.
-— \'orrebbe che lasciassi a lui il Cavaliere ! — gri-
dava in casa alla Sig'araia, a Carino e alle figliuole. —
A prenderlo da me, di seconda mano, non avrebbe
scrupoli ! Ma gli vorrò lasciare trentasette mazzi di
cavoli, a cotesto gesuita e ladro !
La Sigaraia, Carino e le ragazze approvavano, rin-
caravano la dose, parlavan male al monaco di tutta
la parentela, affinchè egli lasciasse loro ogni cosa. E lo
servivano come un Dio, si precipitavano ad un suo
cenno, camminavano in punta di piedi quand'egli ripo-
sava, gli tenevano compagnia fino a tarda notte se non
aveva sonno, lo accompagnavano al Cavaliere, gli lo-
davano le sue culture, le sue fabbriche, la riuscita di
tutte le sue speculazioni.
Una di queste, però, era venuta corta al Cassinese.
Il Cavaliere era attaccato, da levante, a un altro fondo
del Demanio ancora invenduto, e la linea del confine,
consistente in un'antica siepe di fichi d' India, in molti
punti aA"eva soluzioni di continuità. Don Blasco, fa-
cendo costruire un bel muro sodo e alto, irto di rovi
e di cocci di bottiglie, s'era appropriato qua e là molti
ritagli di terra ; a un certo angolo, dove non restavano
più tracce della siepe, aveva annesso al Cavaliere un
bel tratto dell'altro fondo. Ora la cosa, venuta in chiaro
all' Intendenza di Finanza, gli aveva fatto piovere in
casa certa carta bollata, per cui il monaco s'era messo
a sbraitare come ai bei tempi contro i ladri Italiani,
e quasi quasi voleva riconciliarsi coi reazionarii della
farjnacia.
— A me r accusa d' usurpazione? Se la proprietà di
San Nicola arrivava fino alle vigne ? Vogliono inse-
gnare a me qual era la proprietà del convento, cotesti
ladri che hanno spogliato un regTio ?
- 85 -
Carino aggiungeva il resto ; ma poiché le cliiaochiere
non facevano andare indietro i reclami del Demanio, e
una perizia avrebbe p>otuto legittimarli, l'ex-confidente
di polizia, vedendo che il monaco ci s'arrabbiava, gli
disse un giorno :
— Vostra Eccellenza perchè non ne dice una parola
a suo fratello il deputato ?
Don Blasco non rispose. Era già stato dal duca.
Da anni ed anni non rivolgeva più la parola al fra-
tello, da un tempo piii lungo ancora lo vituperava in
pubblico e in privato ; don Gaspare dunque rimase,
vedendoselo apparire dinanzi. Il monaco entrò nello
scrittoio del fratello col cappello in testa, come a casa
propria ; ^li disse : « Ti saluto », col tono di chi vede una
persona lasciata il giorno innanzi, e si mise a sedere,
li duca, passato il primo momento di stupore, sorrise
finemente, dicendogli con lo stesso tono : « Che abbia-
mo ? )) e i'I monaco entrò subito in argomento.
— ■ Sai che ho comprato il Cavaliere da San Nicola?
Xon c'era più la linea del confine, e feci alzare un
muro. Per questo il Demanio m'accusa d' usurpa-
zione !...
Il duca continuava a sorridere in pelle in pelle, go-
dendosela, e poiché il monaco taceva, credendo di non
aver bisogno d'aggiunger altro, egli che voleva avere
la soddisfazione di sentirsi richiedere d'aiuto da quel-
l'arrabbiato che gli aveva mossa tanta guerra, fece :
— E...?
— Non si potrebbe parlare a qualcuno ?
Non era precisamente quel che s'aspettava; ma il
duca, in« fondo, era buon diavolo, non aveva il fiele del
principe e del Priore, e se ne contentò.
— • Va. bene. Torna doimani con le carte.
Cosi, con iiTUmenso stupore di tutta la parentela, furon
visti i due fratelli andare insieme su e giù per le scale
dell' Intendenza, della Prefettura, del Genio civile e del
Cataisto. In pochi giorni la cosa fu avviata bene ; ma
il duca suggerì al Casisinesc una soluzione piìi radicale ;
— Perchè non compri adtlirittura l'altro fondo?
— 86 —
— E i danari ?
— I danari si trovano !
Eg-li li prendeva dalle Banche delle quali era ammi-
nistratore : con essi speculava sui fondi pubblici, riscat-
tava le proprietà prese dalla manomorta, ne comperava
dì nuove ; adesso, per stare anche lui da sé, faceva
fabbricare una grande e bella casa in via del Plebi -
-scito Per suo mezzo, don Blasco fu amjnesso allo
sconto- alla Banca di Depositi e Crediti, e una cam-
biale di venticinque mila lire del monaco passò. Il Ca-
valiere, ingrandito di quasi 11 doppio, divenne cosi una
proprietà ragguardevolissima, « un vero feudo ! » diceva
Carino, il ,quale adesso esaltava il duca, i suoi talenti,
la potenza a cui aveva saputo arrivare : ma quei ciar-
latani della farmacia borbonica sbraitavano peggio di
prima e profetavano imminente il giorno in cui don
Blasco e gli altri sacrileghi avrebbero dovuto restituire
il maltolto, n monaco li la^sciava cuocere nel loro brodo
e non passava più nel tratto di strada dov'era la far-
macia, che solo a vederli da lontano gli facevano venir
da recere. Però, alla lunga, la mancanza della conver-
sazione gli pesava, e una- domenica, incontrato per le
scale il professore suo inquilino, lo invitò a venirlo a
trovare.
Il professore dicevii d'essere stato garil^nldino, nar-
rava il fatto d'Aspromonte, non parlava d'altro che di
cospirazioni e minacciava anche lui il finimondo, ma
solo nel caso cJie l'Italia non andasse a Roma.
— \"oi dunque dite che questo governo durerà ? —
domandava don Blasco, trepidante.
— Se farà il suo dovere ! Altrimenti lo majideremo
all'aria come gli altri I Gli sbirri non ci spaventano!
Abbiamo visto il fuoco ! Sappiamo come si fanno le ri-
voluzioni !
— C'è però gente che crede si possa tornare in-
dietro
— Tornare indietro ? Ma jjisogna andare avanti, in-
vece! integrare l'unità nazionale! .smantellare l'ultima
cittadella della teoci'azia, l'ultimo baluardo dell'osci}-
_ 87 -
rantismo !... L'umanità non torna indietro! Abbiamo
sepolto il medio Evo ! Lo Stato dev'esser laico e la
Chiesa tornare alle sue orig-ini, perchè come disse quel
i^rand' uomo di Gesù Cristo : « il mio regno non è di
questo 'mondo ! ».
La conversazione dell' inquilino, quantunque di tratto
in tratto .gli facesse passare qualche brivido per la
schiena, piaceva moltissimo a don Blasco, e un giorno
anzi, mentre passava dalla farmacia Cardarella, antico
ritrovo di liberali, il professore, che era lì dentro a di-
scutere calorosamente, lo chiamò. Parlavano delle sop-
presse corjxìrazioni religiose, e il professore non voleva
credere che le rendite di San Nicola toccassero certi
anni il milione di lire.
— Sissignore — confermò don Blasco. — Era il più
ricco di Sicilia e forse di tutto l'ex-regno.
Allora di (professore si .scagliò contro i monaci, i preti,
i parassiti d' Una società che per buona sorte s'era
finalmente « seduta sopra altre basi ».
Da quel giorno don Blasco .prese l'abituUine di fre-
quentare la nuova farmacia. Vi bazzicavano i liberali
più arrabbiati i quali gridavano contro il governo, come
quegli altri retrogradi, ma per una ragione diversa : per-
chè era un governo di conigli, di lacchè della Francia,
di lustrasti vali di Napoleone III : perchè perseguitava i
patriotti veri e faceva il gesuita nella questione romana.
Gli rinfacciavano Aspromonte e Mentana ; ma Roma
doveva essere italiana a dispetto di tutti, o sarebbero
scesi in piazza a ricominciar le schioppettate. « O Roma
o morte ! » vociferava il professore, il quale aveva sem-
pre notizie di guerre e di moti rivoluzionarli pronti a
scoppiare, e Don Blasco, tra le grida degli altri, senten-
ziava :
— Il Santo Padre dovrebbe pensarci a tempo, con
le buone, e rammentarsi del Quarantotto ; che se al-
lora non dava ascolto ai retrivi, oggi sarebbe il Pre-
sidente rispettato della Confederazione italiana !
— Con le buone? — gridava il professore. — Sante
— 88 —
cannonate vog'liono essere ! 11 sangue di Monti e To-
gn£tti è ancora fumante ! Ci vuol il cannone per ab-
battere l'antro del fanatismo !
Un giorno, entrò dal padron di casa con un'aria
gloriosa e trionfante :
— Questa volta ci siamo ! La guerra è pronta !
Don Blasco, turbato dalla notizia, poiché temeva
che d'una guerra fosse minacciata 1' Italia, si rassicurò
quando l' inquilino gli riferi che l'elezione d'un prin-
cipe tedesco al trono di Spagna era considerata dalla
Francia come un casus belli. « Il nostro dovere — »
Ma, mentre spiegava il dovere dell'Italia, venne un
servitore di casa Uzeda. Il principe mandava a chieder
notizie dello zio e nello stesso tempo l'avvertiva che
Ferdinando stava molto male, e che era bene fargli
una visita. Don Blasco, a cui premeva sopra ogni cosa
udire il. verbo del suo nuovo amico, rispose:
— Va bene, va bene; domani ci andrò....
IX,
Ferdinando deperiva da un anno. Xel viso emaciato,
negli occhi gialli, nelle labbra bianche, gli si leggeva
da un pezzo un malessere secreto, un' intima sofferenza;
ma, come s'era creduto affetto da tutti i mali quando
stava benissimo, cosi adesso che qualcosa si disfaceva
nel suo organismo, se gli domandavano che avesse,
rispondeva, seccato :
— Nulla! Che ho da avere? \'olete che m'ammali
apposta ?
E rispose una mala parola al principe il giorno che
questi gli consigliò d'andarsene un poco alle Ghiande
a respirare l'aria sana della campagna. Xon voleva più
sentire neppur nominare la sua terra. I libri che gli
erano costati tanti quattrini s' impolveravano e tarm;i-
— 8q —
vano negli scaffali, gli strumenti s'arrugginivano e si
rompevano ; solo il podere prosperava, adesso che egli
non sperimentava più novità. Incaponitosi a negare le
sue sofferenze, i dolori di stomaco, i disturbi visce-
rali, li attribuiva a cause fantastiche : alla poca cot-
tura del pane, allo spirare dello scirocco, al fresco
della sera; ma egli cadeva in una tristezza lugubre, in
una funebre ipocondria. Per lunghe e lunghe giornate
non diceva una parola, non vedeva anima viva : chiuso
nella sua camera, buttato sul letto, se ne stava immo-
bile a seguire il volo delle mosche; quando la crisi
passava, faceva grandi scorpacciate di roba indige-
ribile. Una notte d'estate, il cameriere spaventato da
un vomito nerastro e da una diarrea sanguinolenta,
mandò il figliuolo al palazzo, per avvertir la famiglia.
All'arrivo del principe e alla proposta di mandare a
chiamare un medico, l' infermo gridò che non voleva
nessuno, che s'era rimesso interamente. Ma adesso
tutti comprendevano che il caso era grave. Lucrezia,
la compagna della sua fanciullezza, ebbe un beli' in-
sistere per dimostrargli la convenienza di una visita
medica; egli minacciò di chiudersi in camera e di non
ricevere più nessuno. Ma il suo polso scottava dalla
febbre. Per vincere quell'ostinazione, dovettero ricor-
rere a un artifizio, come con un fanciullo o con un
pazzo : finsero che un ingegnere dovesse rilevar la
pianta della casa e introdussero cosi un dottore in ca-
mera sua. Il dottore scrollò il capo : la condizione
dell'ammalato era molto più grave che non credessero.
A trentanove anni egli se ne moriva : il sangue vec-
chio e impoverito dei Viceré si corrompeva, non nutriva
più le flaccide fibre. Per tentar di combattere la di-
scrasi, una cura e una dieta severissima erano neces-
sarie ; ma il maniaco non ascoltava nessuno, tanto
meno i parenti. Se essi insistevano, egli gridava : « Non
la volete finire ? » Fittosi in capo che stava benissimo,
se coloro pretendevano per forza che fosse ammalato
voleva dire che desideravano, che aspettavano la sua
— 90 —
morte. Perchè? Per raccog^liere rercdità ! Egli confi-
dava la cosa al cameriere; g-li diceva, quando gli Uzeda
andavano via :
— Credi che costoro vengano qui per amor mio?
Vengono per la roba ! Un'altra volta dirai loro che
non ci sono.
Ma la sua roba era già bell'e andata. Dapprima per
le speculazioni stravaganti che avevano rovinato la
terra, poi per le spese matte di libri e d'ordegni, più
tardi per le ruberie del fattore, quand'egli non aveva
voluto veder le Ghiande neppure da lontano, s'era
messo a fare qualche debituccio. Senza stupirsene,
senza indagarne la ragione, si vedeva attorno gente
che gli offriva denaro, dentro ima certa misura, be-
ninteso. Ed egli firmava, firmava cambialine, e le
camlbialine andavano a finire in mano del principe,
il quale, adocchiando le Ghiande e comprendendo che
quel matto ,non avrebbe fatto testamento, se le acca-
parrava a quel modo. Il maniaco, incapace di calco-
lare a qual tasso prendeva quei quattrini, credendosi
ancora padrone della roba, era persuaso che i parenti
gli stessero attorno aspettando la sua morte ; appena
li vedeva apparire, pertanto, voltava loro le spalle,
tranne che al nipote Consalvo.
Il debito di costui era stato finalmente pagato, e
tutti attribuivano a donna Ferdinanda la largizione.
Ala la zitellona non aveva dato un soldo. Sarebbe cre-
pata d'accidente se avesse dovuto metter fuori non
seimila lire, ma seicento, ma sessanta !... I quattrini
erano stati realmente sborsati dal principe, al quale,
con una generosità che edificò tutti, la principessa
Graziella persuase di perdonare il figliastro. Era mai
possibile che la firma del principino di Mirabella fosse
protestata ? Lei vivente, questo non sarebbe accaduto ;
piuttosto, se Giacomo si fosse ostinato a dir di no,
avrebbe pagato lei del suo ! Per Consalvo, come anche
por Tcresina, ella sentiva l'aftezionc d'una vera ma-
dre, quantunque non lo ;n'esse jjoitato in grembo e
— 91 —
il figliastro la ripagasse così male. « Ma che ci posso
fare ? Non si comanda al cuore ! Basta, un giorno o
l'altro egli s'accorgerà che non merito simile tratta-
mento » Così ella aveva indotto il principe a pagar
la cambiale, ma aveva pure trovato l'espediente di
far credere alla generosità della zitellona, perchè Con-
salvo non facesse assegnamento in avvenire sulla de-
bolezza paterna. Tra padre e figlio l'avversione era cre-
sciuta frattanto di giorno in giorno ; Consalvo, per
fuggire la compagnia del principe e per darsi contem-
poraneamente l'aria d'un sacrificato, disertava la casa
paterna; ma invece di andarsene con gli amici al caffè,
al club, andava dallo zio, al quale portava i giornali
e leggeva le notizie politiche. L' infermo s'appassio-
nava moltissimo alla guerra minacciata, era quello
anzi l'unico tema che avesse la virtij di sciogliergli la
lingua. Don Blasco, venuto finalmente a visitare il
nipote, discuteva anche lui con passione intorno a
quel soggetto, ripetendo gli argomenti del professore;
ma il duca assicurava a tutti che si trattava d'un falso
allarme e che guerra non ci sarebbe stata, con un'aria
cosi convinta come se Napoleone gliel'avesse confidato
in gran secreto.
Scoppiò finalmente la notizia della dichiarazione, e il
grand' uomo esclamo allora che Bismarck e Guglielmo
dovevano aver perduto la testa. O scherzavano ? At-
taccar Napoleone?. L'esercito francese, il primo del
mondo, avrebbe sbaragliato, tritalo, polverizzato il
prussiano, e preso Berlino fra due settimane al più
lardi !... Invece, .arrivarono i telegrammi annunzianti
le vittorie tedesche ; e allora gli avversarli del depu-
tato ripresero a sbertarlo con maggior lena. Quella
bestia con la prosopopea d' un Cavour redivivo non
era neppur buono di capire le cose più evidenti ; smen-
tito dai fatti, ostinavasi nella sua sciocchezza, annun-
ziava i nuovi piani dei Francesi, la loro imminente
rivincita, l'intervento delle potenze!... Ferdinando,
dal fondo della poltrona che adesso non lasciava più
— 92 —
percJiè le gambe non lo reggevano, slava a udire quel
discorsi con tanta ansietà quasi ne dipendesse la sua
salute. Tremante dalla febbre, con la fronte in fiamme,
una nuova fissazione sconvolgeva il suo cervello esan-
gue : quella delle vittorie napoleoniche che egli voleva
a qualunque costo. Comprata una carta del Reno, pas-
sava Je sue giornate a piantar spilloni in tutti i posti
francesi e spille piccole nei prussiani : col bollettino
della guerra alla mano, studiava le operazioni dei due
eserciti, mutava di posto i segni secondo i mutamenti
reali, e a misura che le spilje s'avanzavano e gli spil-
loni retrocedevano, la sua malattia s' inaspriva. Con
voce rauca, cavernosa, spiegava quel che i Francesi
avrebbero dovuto fare per riottenere le p>osizioni per-
dute : improvvisava piani strategici, disegnava ogni
giorno parecchi teatri delia guerra, disponeva a modo
suo delle divisioni e dei reggimenti, esclamando : « Que-
sto di qua va là, quello di là va qua.... » finché, stanco,
abbattuto, con le mani penzoloni e la testa rovesciata,
chiudeva gli occhi e schiudeva la bocca quasi fosse
sul punto di spirare.
Frattanto il duca, sentendo crescere l'opposizione e
venirgli meno il terreno sotto i piedi, comprendendo
la necessità di far qualche cosa per rialzare il proprio
prestigio, preparava un colpo di mano. Le inquietudini
della guerra accrescevano il malcontento comune, gli
avversarli del governo se ne giovavano per gridare e
minacciare più forte. L'opposizione, che nei diversi
partiti e nei diversi ordini sociali procedeva da diversi
motivi e tendeva ad opposti scopi, s'accordava pel mo-
mento nel chiedere a una voce Roma. Come più la
fortuna della Francia precipitava, le accuse di fiac-
chezza e di vigliaccheria al governo fioccavano da
ogni parte ; le minacce di prendergli la mano parevano
dovessero tradursi in atto da un moinento all'altro.
Ora, mentre quasi tutti i soddisfatti tenevano a bada
i rnalcontenti e consigliavano la prudenz,a e naviga-
— ^.1 —
vano tra due acque, una sera il duca, che se n'era
stato nelle sue terre, si recò al Circolo Nazionale dove
battagliavasi giorno e notte, ed espresse senza esita-
zioni il proprio pensiero : era venuto il momento d'agire !
Se il Governo si lasciava scappare quest'occasione,
non avrebbe più avuto nessuna scusa agli occhi della
nazione ! Egli aveva sempre combattuto le impazienze
del partito avanzato, perchè, se erano generose, pote-
vano far male al paese. Oggi però i tempi erano ma-
turi, qualunque indugio sarebbe stato una colpa ine-
scusabile. Se a Firenze non facevano il loro dovere,
egli minacciava « di scendere in piazza con le cara-
bine, come nel Sessanta. »
«Ah, buffone!... Ah, vecchia volpe!...» esclama-
vano nel campo avversario; ma, a dispetto dei suoi
denigratori, quelle opinioni francamente professate e
ripetute ogni giorno a chi voleva e a chi non voleva
udirle, sostenevano il pericolante credito del duca.
Benedetto Giulente era rimasto, udendole ; poiché, pre-
vedendo che lo zio avrebbe seguito fino all'ultimo la
politica dei temporeggiatori, s'era messo con quelli.
Rimase ancora peggio, quando il duca venne a tro-
varlo, dicendogli che bisognava ricominciare a pub-
blicare l'Italia Risorta, per spingere il governo sulla
via di Roma : i tempi erano maturi e a non secondare
la corrente si rischiava d'esserne travolti
Benedetto, quantunque spendesse tuitto il suo tempo
al Municipio, mise insieme una redazione d' impiegati
comunali e di maestri elementari, e pubblicò il foglio.
Lucrezia fece cose dell'altro mondo contro quella bestia
che voleva Roma, adesso, « quasi potesse mettersela
in tasca o portarla a vendere alla fiera ! » ma gì' in-
fiammati articoli di Benedetto, il quale diceva che il
duca era col popolo, pronto a partire per Firenze se
i governanti non volevano udire la voce del paese,
procuravano all' Onorevole nuova aura di popolarità.
.11 giorno che arrivò la notizia della lettera di Vit-
torio Emanuele al Papa, arrivò pure da Roma, inaspet-
— 54 —
lato ospite, don Lodovico. Egli aveva dato appena unii
volta l'anno notizie di se alla famiglia, tutto intento
ai doveri del suo uificio, alla preparazione della sua
fortuna che oramai era avviata. In poco più di tre
anni era già segretario a Propaganda ed arcivescovo
di Nicea ; Pio Nono aveva molta stima di lui. Al prin-
cipe, che nel primo momento lo guardò come uno pio-
vuto dalla luna, egli disse, con tono di dolce rimpro-
vero :
— Ferdinando è in fin di vita, e mi scrivete appena
che sta poco bene ? Se non fosse stato per Monsignor
\'escovo, non avrei saputo la verità !
E andò a mettersi al capezzale del fratello infermo.
Questi non lasciava più il letto ; quando chiudeva gli
occhi, il suo viso verde e affilato pareva d'un morto;
ma rifiutava i rimedii con più ostinazione di prima.
Come più il suo corpo si disfaceva, gli ultimi bar-
lumi dell'offuscata ragione si spegnevano : adesso
mandava a comprare ogni giorno dozzine e dozzine di
scatolini di spilloni e risme di carta e pacchi di matite.
Quella roba avrebbe dovuto servirgli per tracciar piani
di campagna, per infigger segnali di piazzeforti, di
accampamenti e di quartieri generali ; ma egli dimen-
ticava lo scopo degli acquisti e ne ordinava sempre
nuovi e gridava e smaniava se non l'obbedivano. Con
evangelica pazienza, con zelo indefesso, con ammira-
bile abnegazione, don Lodovico vegliava 1' infermo, se-
condava le sue manie; e frattanto — Baldassarre n'era
disperato — le male lingue andavano spargendo che
egli era tornato in Sicilia non per amore del Babbeo
al quale non aveva mai pensato, ma per evitare di
trovarsi a Roma in quei momenti critici, per poi
prender consiglio dagli avvenimenti !...
Gli avvenimenti incalzavano. I soldati italiani ave-
vano ricevuto l'ordine d'avanzarsi nello Stato romano.
L'attesa delle notizie era febbrile; il duca, domiciliato
alla Prefettura, apriva i telegrammi del prefetto e an-
— 95 —
clava poi a ditfonderli, quasi li avesse ricevuti diretta-
inente da Lanza.
— • È arrivata la fine del mondo ! — gridava la zi-
tellona da Ferdinando, presso al quale la famiglia
adesso si riuniva, in una stanza lontana da quella del
moribondo, che non voleva attorno nessuno. E il prin-
cipe scrollava il capo, e la principessa Graziella si fa-
ceva il segno della croce, intanto che Monsignor don
Lodovico mormorava, con gli occhi a terra :
— • Bisogna perdonar loro, perchè non sanno quel
che si fanno
Lucrezia pareva una vipera contro il marito, e nes-
suno parlava del duca, Ja cui condotta era una ver-
gog^na ; ma donna Ferdinanda, incrollabile nella sua
fede, si scagliava peggio che mai contro don Blasco, il
quale andava anche lui predicando per le farmacie :
— Io r ho sempre detto. Pio. Nono, — non gli dava
più del Santo Padre, — doveva pensarci a tempo e a
luogo, quando era l'arbitro della situazione. Adesso
che vuole ? Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso !...
E fattosi socio del Gabinetto di lettura, ci andava
tutti i giorni col professore per saper le notizie e assi-
curarsi contro il timore di dover restituire la roba di
San Nicola : pertanto vociava contro i tiepidi, soste-
neva a .spada tratta il fratello, leggeva ad alta voce
gli articoli di fuoco di Giulente, approvandoli, ammi-
randoli :
— Eh ? Come scrive mio nipote ! Questo si chiama
scrivere !
Ma la recente apostasia di don Blasco, l'antico tra-
dimento del duca, non toglievano al resto degli Uzeda
la stima dei puri ; presso la Curia, specialmente, la
loro condotta, la fedeltà prestata ai sani principii, la
costante devozione alla buona causa li faceva conside
rare come figli prediletti. Un giorno, nonostante la
tristizia dei tempi, Monsignor \'escovo si recò da Fer-
dinando per restituire la visita fattagli da don Lodo-
vico, per aver notizie dell' infermo e consolare 1' afflitta
^96-
famiglia. Tutti andarono incontro al prelato e gli ba-
ciarono la mano ; la principyessa, dalla commozione,
aveva le lacrime agli occhi.
— Che notizie del nostro caro ammalato ?
— Non va bene, Monsignore, — rispose Lodovico,
sospirando di tristezza. — Abbiamo persino dovuto
disp'acciare a nostro fratello Raimondo....
— • Ma non ci ha da esser proprio rimedio ?
— Abbiamo provato tutto : l'acqua di Lourdes, le
medaglie di Loreto....
— Bene, bene — ma avete chiamato un dottore?
Che farmaci gli avete dato ?
— • Oramai !... — parve voler dire Lodovico,, aprendo
le braccia. — La vita del nostro povero fratello non
è più nelle mani degli uomini
Egli non disse che Ferdinando era impazzito del
tutto. La sorda diffidenza destatasi in lui contro i fra-
telli, il secreto sospetto che non gli aveva consentito
di attribuire all'affezione le loro premure fastidiose,
erano cresciuti di giorno in giorno e invaso talmente
il suo cervello, che non capiva più nessun'altra idea.
Egli che per trentanove anni aveva dato prova di tanto
disinteresse da meritar dalla madre iJ nome di Babbeo,
da lasciarsi rubar da tutti, si rivelava a un tratto dei
Viceré con quel sospetto buffo e pazzo, adesso che non
aveva più nulla da lasciare. Come la sua fibra s'in-
fiacchiva e il suo cervello si scombuiava, il sospetto
cresceva, finché diventò furiosa certezza all'arrivo del
fratello Raimondo.
Il conte arrivò insieme con la moglie ed il figliuolo.
Invecchiata di trent'anni, la povera donna Isabella ;
irriconoscibile come un giorno era stata irriconosci-
bile la Palmi. In quei cinque anni che erano stati fuori,
a Palermo, a Milano, a Parigi, come il capriccio del
marito aveva voluto, certe voci di tanto in tanto arri-
vate in Sicilia dicevano che ella pagasse amaramente
il male fatto alla prima contessa ; che Raimondo, stufo
finalmente di quella donna, l'acquisto della quale gli
— 9/" --
costava cosi caro, non potendo pensare ad infrangere
la seconda catena scioccamente postasi al collo, avesse
ricominciato a correre la cavallina molto peggio di
prima, a portar le ganze fresche nel mutato letto co-
niugale, a maltrattare in ogni modo la nuova moglie,
cui non giovava mostrar prudenza, pazienza, sommes-
sione ed urriiltà per schivar l'astio, il rancore, quasi
l'odio del marito. Ma quantunque le voci non fossero
incredibili, dato il carattere di Raimondo, non avevano
trovato tuttavia molto credito, potendo esser messe
in giro dagli invidiosi di donna Isabella, dai nemici
del conte, dalle eterne male lingue. All'arrivo di Rai-
mondo non fu possibile persistere nel dubbio. Egli
scese all'albergo, come sette anni innanzi, quando
aveva definitivamente abbandonata la prima famiglia ;
ma questa volta accompagnato da quattro o cinque
tra governanti, honnes e cameriere : giovani tutte,
una più bella dell'altra, svizzere, lombarde, inglesi,
un vero harem internazionale. Aveva una camera se-
parata da quella della moglie, e quando i parenti an-
darono a fargli visita, udirono che dava a costei del
voi, lessero in viso a donna Isabella le sofferenze
espiatorie. Ella era mutata oltre che nelle fattezze
anche nel modi : parlava adagio, evitava di guardare
il marito, pareva timorosa di spiacergli perfino con la
sola presenza. E Raimondo non nascondeva i proprii
sentimenti verso di lei : quel voi era già molto elo-
quente, ma egli affettava di non rivolgerle la parola,
di non udire quel che ella diceva : quando andò a
vedere il . fratello infermo le disse, in presenza dei
parenti :
— Non occorre che veniate anche voi.
Ora il Babbeo, che non ragionava più, alla vista del
fratello ebbe un assalto di mania furiosa. Con gli occhi
stravolti, coi capelli arruffati sul viso scarno e pauroso,
si mise a gridare :
— Assassini ! Assassini !... .Muto !... I Prussiani !...
^'ogliono avvelenarmi!...
n» EoUrto. I Viceré ■ Il 1
Gridò cosi tutta la notte, delirante ; ma, cessata la
crisi, r idea rimase fissa, incrollabile. E per paura del
veleno, colla mania della persecuzione, non schiuse più
bocca : tutte le volte che ti"li si appressavano per dargli
del cibo stringeva i denti, urlava, trovava nelle braccia
spaventosamente magre la forza di respingere i tenta-
1i\i di fargli ingoiare un sorso di brodo o di latte.
— Aiuto!... Bismarck ! Assassino!..,
Lucrezia gli si metteva accanto, lo prendeva per
mano, gli domandava :
— Ma di ohi hai paura? Non ci riconosci?... Credi
che ti voglia avvelenare io? O Giacomo? O Rai-
mondo ?...
Il pazzo sorrideva d' incredulità, ma quando riten-
tavano di fargli prendere un boccone, per prolungargli
di qualche giorno la vita, perchè non morisse di fame,
ricominciax a a urlare': — Assassino!... Aiuto!... As-
sassino !...
Una sera, mentre don Blasco stava per uscir di
casa insieme col professore, il cocchiere del principe
venne a dirgli, col fiato ai denti :
— Eccellenza, l'aspettano dal Cavaliere Sono
tutti lì Portano il viatico al signorino Ferdinando —
II monaco aveva una gran fretta di andare al Ga-
binetto per sapere che c'era di nuovo. Le ultime no-
tizie dicevano che le truppe italiane erano dinanzi a
Roma ; e se la curiosità universale era vivamente ecci-
tata, don Blasco smaniava addirittura. Nondimeno, a
quell'annunzio di morte, stava per rispondere che sa-
rebbe subito andato, quando arrivò a precipizio un
altro messo da parte del duca.
— Sua Eccellenza l'aspetta subito a casa È af-
fare urgentissimo
— Vengo.
Il professore, declamando contro il tribunale del
Sant'Uffìzio, lo accompagnò fino alla nuova casa del
duca, dove questi s'era domiciliato dal primo del mese.
Giunto dinanzi al portone, il monaco chiese permesso
— 99 -
al compagno, il quale restò ad aspettarlo passeggiando
su e giù. Dopo due o tre minuti riapparve don Blasco,
pallido in viso, correndo e agitando un pezzo di carta :
— È nostra!... È nostra!...
■ — Chi?... Che cosa?...
— Venite!... — esclamava il Cassinese allungando
il passo e ansimando forte. •— Al Gabinetto!... Roma è
nostra!... La breccia è aperta!...
— • Come?... Aspettate!... Fatemi vedere
— Avanti !... Avanti !... Mio fratello ha ricevuto il
dispaccio — Le truppe sono entrate .andiamo al Ga-
binetto !...
Piovve li, tra la gente seduta sul marciapiedi al
fresco, come una bomba :
— • f". nostra ! È nostra ! K nostra !... Roma è no-
stra !...
Tutti s'alzarono, circondandolo, parlando insieme,
levando le braccia. Egli spiegava il pezzo di carta
dove il duca aveva riadattato il telegramma ricevuto
dal Prefetto 'per togliergli il carattere ufìficiale, mutando
l'indirizzo per far credere che fosse venuto a lui; e
la gente accorreva dal fondo delle sale, i passanti si
fermavano, la folla ingrossava da un momento al-
l'altro. Tutti volevano leggere la notizia, ma don
Blasco non dava a nessuno il dispaccio che nella ressa
correva pericolo d'essere stracciato in mille pezzi.
— Leggete!... Leggete!... Vogliamo sentirlo!...
Salito allora sopra una seggiola, il monaco lesse col
suo vocione : « Firenze, ore 5 pomeridiane: Onorevole
d'Oragua, Catania. Oggi alle ore dieci antimeridiane,
dopo cinque ore di cannoneggiamento, truppe nazio-
nali aprirono breccia cinta di Porta Pia Bandiera
bianca alzata su Castel Santangelo segnò fine ostilità! —
Nostre perdite venti morti, circa cento feriti —
E un urlo si levò tutt' intorno. Ma don Blasco, do-
minando le grida, tonò :
— -MI' Ospizio. .. . per la musica — Fermi !... le ban-
diere....
In un attimo tutte le bandiere del Gabinetto furono
recate dai camerieri storditi dalle grida. Don Blasco
ne agguantò una, s'apri un varco tra la folla e vociò
novamente :
— ■ Air Ospizio !... Air Ospizio !...
. Per via, le grida di Viva V Italia ! Viva Roma !
echeggiavano d'ogni intorno, la dimostrazione s' in-
grossava ; quelli che ignoravano ancora di che si trat-
tasse gridavano per sapere che cos'era successo, e
tutti rispondevano :
— I^a truppa ha preso Roma !... È venuto il di-
spaccio al deputato, al duca d'Oragua!...
Quando la banda dell'Ospizio, riimita in fretta e in
furia, cominciò a sonare, il clamore divenne assor-
dante. E mentre i sonatori e il capo musica doman-
davano :
— Da che parte?... Dove si va?...
-^ Dal deputato — risposero dieci, cento voci; —
dal duca
Tutte le finestre illuminate, in casa dell'Onorevole;
una bandiera che pareva una vela di bastimento sven-
tolante al balcone di mezzo, il deputato che in persona
rispondeva salutando col fazzoletto alle grida di :
— \'iva Roma capitale!... \'iva. Oragua !... \'iva il
deputato !...
A un tratto, mentre alcuni gridavano per ottener
silenzio, aspettando un discorso d'occasione, il duca
scomparve. Per evitare il pericolo di dover parlare,
poiché Giulente non lo poteva aiutare essendo con
la moglie al letto dell'agonizzante Ferdinando, egli
scendeva incontro ai dimostranti, veniva a mescolarsi
tra la folla.
— EvA'iva !... Evviva!... .Alla Prefettura!...
E la marcia ricominciò. Don Blasco, con la ban-
diera a spall'arme, la tuba im poco di traverso, il col-
letto monacale madido di sudore, andava in mezzo
alla dimostrazione a braccio del professore che lo
aveva ripescato e non lo lasciava più.
— Fuori i lumi !... — gridavano i suoi seguaci a
ogni passo, e applausi e fischi s'alternavano secondo
che le finestre illuminavansi o restavano serrate e buie
com'erano. Dinanzi a una bottega di mereiaio, la fiu-
mana dei manifestanti s'arrestò un momento : « Le
torce!... Le torce a vento!... » E tutte quelle che si
trovarono furono distribuite e accese immediatamente.
La luce fosca, fumosa, si rifletteva contro le case, illumi-
nandole, strappando vivi bagliori ai vetri delle finestre ;
sul mare delle teste fazzoletti e cappelli s'agitavano;
la banda eccitava l'entusiasmo sonando a tutto andare
la marcia reale e 1' inno di Garibaldi ; e le grida echeg-
giavano più forte, più alte, più spesse intorno all' Ono-
revole :
— \'iva Roma!... Viva l'Italia!... Viva Oragua !...
A un tratto la dimostrazione s'arrestò nuovamente
come se qualcuno le contrastasse il passo, e un vario
vocio si levò :
— Ancora!... Avanti!... Abbasso!... Morte!.., Chi
è?... Che c'è?...
Da un vicolo, era sbucato un frate ; alla vista della
tonaca i dimostranti che andavano innanzi s'erano fer-
mati e gridavano sul muso aJ malcapitato :
— Abbasso i preti !... Abbasso le tonache ! \'iva
Roma nostra !...
Il frate, livido in volto, con gli occhi spalancati,
guardò un momento la folla minacciosa e urlante ; di
repente, alzò le braccia, gridando anche lui, scompo-
stamente :
— Eh !... Eh !...
— È il matto — lasciatelo andare!... — esclamarono
alcuni; ma pochi udirono l'avvertimento, e la folla si
mise in moto gridando :
— Morte ai preti !... Abbasso il temporale !... Ab-
basso !... Morte !...
Don Blasco, allungato il collo, riconobbe Fra Car-
melo, un altro degli Uzeda ammattito, il bastardo che
a dispetto della fede di battesimo si rivelava anch'egU
della famiglia. E il professore, alla vista della tonaca,
se era un energ^umeno, inferocì come un torello al
rosso :
— Morte ai corvi !... Giù i tricorni : viva il pensiero
laico!... .\bbasso l'ultramontanismo !...
Il pazzo, alla luce fantastica delle torce, continuava
a gestire scompostamente, a gridare : « Eh !... Eh !... »
senza riconoscere l'ex-paternità di don Blasco, il quale,
per non esser da meno del professore che gì' intronava
le orecchie, vociava anche lui :
— .Abbasso!... Morte!... Abbasso!
I
I03 —
PARTE TERZA.
« Signore otiurcnuìissinio,
« L'origini' nommenchè 1' istoria della patria nobiltà
sapere, tornar' in niente non dev'a ciascuni, specie in
ta' tempi che la vengon stimando da sezzo, in quella
vece che tuttosì dagli esteri ammirando si viene. Da ri-
cajx) narrarla, dopocchè il Mugnos, il \'illabianca ed
altri famosi a sé recarono immortalità sbrancandone
quel denso velo, chiarirsi potrebbe un fuor'opera; se
quei valentuomini, per legge di natura, arrestati non
fossers'ai tempi che vissero. Ma, senzachè il prose-
guimene' insin'a nostri ultimi giorni, un altr'oggetto
ne rischiara la convenienza ; vogliam dir la rarezza di
quell'oper' insigni, cui non a tutt'è dat'acquistare.
Quind'e perciò, all'oggettocchè tra le mani dell'uni-
versale una nuov'opera messa in giornata ne gisse,
abbiam divisato dettarla. E altaiche non ci s' imputi
in superbia a tant' impres' azzar darci, non vogliamo
far senza di porre qui bocca sulla scienza che del-
l'araldiche discipline noi succhiammo una col latte,
si come quelle eh 'a discendente di non ultima, tra le
sicole blasonate famiglie, famiglia, piij convenissero.
Lusingarci da indi possiamo che, la mercè d'uno studio
indefesso, nommenchè la paziente compulsione d'ar-
chivii importanti e zeppati di documenti solo noi dato
esaminare, saracci dato fornire l'assunto come disse il
Poeta, senza infamia sicuro, forse con lode.
« Comecché cultore d'istoric'istudii ed amante delle
patrie glorie, Vostra .Signoria Onorandissima, echeg-
— I04 — •
giando al nostro proposito, negar non vorrane il suo
ambito concorso; laonde viviamo fidenti della sua firma
nella scheda dove le soscrizioni si ammozzolano. Bassa
idea di guadagno non spronaci, laddiomercè not' es-
sendo non averne noi uopo ; nonperoddimanco onde
coprire .in parte le pure semplici spese, abbisognamo il
suo appoggio. Delchè dormiam' in guanciali.
« Scheda di soscrizione
« all' opera
« del cavaliere don Eugenio Uzeda dei principi di Fran-
calanza e Mirabella, duchi d'Oragua, conti della Lu-
mera, etc, etc. ; già Gentiluomo di Camera (con eser-
cizio) di Sua Maestà il Re Ferdinando II ; medagliaio
dell'ordine ottomano del Nisciam-Ifitkar da Sua Al-
tezza il Bey di Tunisi, membro di varie Accademie,
etc, etc, intitolata:
« L'Araldo sicolo
« consistente nell'istoria documentata dell'origini, sor-
t' e vicende delle Nobili Famiglie Siciliane da' tempi
più oscuri infino al giorno d'oggi : ben tre volumi, di
cui il primo testo, il secondo alberi genealogici, il
terzo stemmi. Usciranno una dispensa ogni mese.
Prezzo d'ogni dispensa : lire due. Associazione all'o-
pera completa, lire cinquanta. — NB. Chi procura sei
soscrizioni avrà diritto a pubblicare il proprio albero
genealogico. Chi ne procura dodici avrà tuttosi lo
stemma colorato. »
Questa circolare, diffusa a centinaia e centinaia di
copie, provò ai concittadini del cavaliere don Eugenio
che egli era ancora tra i vivi. Nessuna notizia di lui
arrivava da più anni ; sulle prime, aveva scritto ai pa-
renti chiedendo quattrini in prestito per grandi e si-
cure speculazioni; ma poiché gli rispondevano picche,
aveva finalmente smesso. Che cosa avesse fatto tanto
tempo, dove fosse stato, non seppe nessuno. Nessuno
di quelli che andavano a Palermo lo vide mai, nessuno
udi parlare di lui, e insomma l'ignoranza dei fatti
suoi fu cosi grande, che molti avevano supposto fosse
passato zitto zitto al mondo di là. La posta non aveva
finito 'di distribuire il manifesto deW Araldo Sicolo,
che arrivò l'autore in persona.
Mancava da tanti anni, ed era naturalmente invec-
chiato, toccando ormai la sessantina ; ma stranamente
imbruttito, anche, e quasi irriconoscibile. Sul viso di-
magrito ed emaciato il naso sembrava essersi allun-
gato, come una tromba, una proboscide, un'appendice
flessibile atta a frugare in mezzo al letame ; la caduta
dei denti, affossando la bocca, aveva contribuito an-
ch'essa a quell'apparente crescenza che dava a tutto
il viso un aspetto basso, ignobile e quasi animalesco.
Indosso, la sordidezza della camicia e dell'abito a coda,
troppo lungo e troppo largo, con un panciotto che era
stato bianco e l'untume del cappello che pareva su-
dasse dal troppo caldo, lo facevano prendere per un
servitore di trattoria o per un bigliardiere di bisca ;
la gotta che gli tormentava i piedi lo costringeva ad
un'andatura storta e strisciante. Prese alloggio in un
albergo d'infimo ordine; ma alle prime persone alle
quali si diede a conoscere — giacché nessuno lo rico-
nosceva — egli disse che non aveva trovato camere di-
sponibili al Grand Hotel e che, partito improvvisa-
mente da Palermo, non aveva potuto portare con sé i
bauli — i bauli, come pronunziava.
La sua prima visita fu pel capo della famiglia ; ma,
giunto dinanzi al portone del palazzo, vide con stupore
che era chiuso, col solo sportello aperto. Datosi a
conoscere come zio del padrone al nuovo portinaio che
lo squadrava da capo a piedi, senti rispondersi che non
c'era, nessuno : né il principe, né la principessa, né
Consalvo: partiti tutti : il signorino in viaggio da quasi
un anno, i padroni per togliere dal collegio la signorina
e farle vedere un po' di mondo. Non bene persuaso,
come uno avvezzo ad esser mandato via, il cavaliere
alzava gli occhi alle finestre, pareva voler guardare a
traverso i muri, quando s'udì salutare :
— io6 —
— Eccellenza?... \'ostra Eccellenza qui?
Era Pasqualino Riso, il cocchiere. Anche lui era
andato giù, non sfoggiava gli abiti eleganti, gli anelli
e le catene d'oro d'un tempo.
— Tutti partiti, Eccellenza.... La casa è vuota!
— ^- Quando torneranno?
— Xon sappiamo, Eccellenza ; forse per le vendem-
mie, i padroni
— ■ E il principino ?
— Ah, il principino. non per ora
Don Eugenio, i cui occhietti luccicavano di curiosità
sul viso affamato, s'accomodò sulla seggiola senza
spalliera che il portinaio teneva dinanzi all'uscio del
suo stanzino, domandando :
— Perchè ? Che c'è di nuovo ?
E a poco a poco, Pasqualino rivelò la verità. Il si-
gnorino non poteva più stare in casa, almeno per un
certo tempo, a cagione dell'urto continuo col padre.
Dai tanti dispiaceri, il signor principe era caduto am-
malato. Quanto a don Consalvo, non si poteva dire che
s'affliggesse tanto da farne una malattia, ma neanche
lui doveva ingrassare a furia di dissapori e di diverbii ;
il meglio perciò era che se ne stesse un pezzo lontano
Così il principe avrebbe trovato tempo di placarsi, di
persuadersi che, in fin dei conti, il figliuolo non aveva
ammazzato nessuno ! L'accusavano di non interessarsi
alle faccende dell'amministrazione, di trattar male la
madrigna ? « Ma \''ostra Eccellenza sa com' è fatto il
signor principe : piuttosto che dare ad altri i registri
dei conti o le chiavi della cassa, si lascerebbe tagliare
tutt'e due le mani!... Alla principessa il signorino non
vuol bene come una madre, questo è vero : madre però
ce n'è una sola: dico bene. Cavaliere? La madrigna,
basta che la rispetti; e rispettarla, la rispetta.... » La
ragione vera del dissenso era pertanto un'altra : che il
signor principe non voleva metter fuori quattrini, e il
principino invece spendeva da signore.... Perciò il si-
gnorino aveva firmato qualche cambialetta ; e ogni
— I07 —
volta che i creditori ne presentavano una al signor
principe, pareva, Dio ne scampi e liberi tutti quanti,
che gli pigliasse un accidente secco. E voleva perfino
farlo arrestare, come se una cosa simile potesse dirsi
per puro e semplice scherzo, in casa Francalanza !
Fatto un gesto d' indignazione, Pasqualino prese
un'altra seggiola nel bugigattolo, e sedette accanto al
cavaliere, il quale, scrollando gravemente il capo,
trasse di tasca mezzo sigaro spento e chiese un cerino
al cocchiere. « Allora, \'ostra Eccellenza permette?...»
E accesa la sua pipa, riprese il filo del discorso. Per
chi dunque aveva ammassato tante ricchezze, il signor
principe? Per se stesso, no; giacché non ne godeva;
per la figlia, neppure ; perchè, una volta maritata, la
signorina Teresa avrebbe preso la sua dote e buona
notte; dunque, pel figlio ! Allora, perchè tenerlo a corto
di quattrini? Un giovanotto come il principino di Mi-
rabella aveva bisogno di tante cose; doveva, per neces-
sità, far tante spese!... Il padrone non lo capiva,
lui che, giovane, era vissuto da monaco. « Ma siamo
tutti fatti ad un modo? » E poi, i tempi erano mutati :
i signori dovevano spendere, se volevano essere consi-
derati ; se no, il primo ciabattino arricchito si repu-
tava da più di loro !... E nel rammarico di non poter più
guadagnare come un tempo sulle spese intime del pa-
droncino, Pasqualino qualificava arditamente di por-
cherie le lesinerie del principe : diceva che per una
lira colui avrebbe rinnegato il figliuolo ; lasciava inten-
dere, per trarre dalla sua il cavaliere, che il capo della
casa, se fosse stato un altro, avrebbe dovuto aiutare i
parenti che non erano ricchi quanto lui... Don Euge-
nio, fumando e sputando, con le gambe magre da don
Chisciotte accavalciate, chinava il capo, dava ragione
al cocchiere, si dava ragione da sé : «Io l'avevo detto
così non poteva durare — mio nipote ha un certo
modo!... »
Al fresco del vestibolo la conversazione si prolun-
gava : padrone e servo discorrevano intimamente, da
— io8 —
pari a pari, mescolando il fumo della pipa e del sigaro;
anzi, quantunque Pasqualino non fosse elegante come
un tempo, pure sembrava il padrone, e don Eugenio
il creato. Il guardaportone, tra scandalizzato ed invi-
dioso della confidenza che il cavaliere accordava al
cocchiere, spasseggiava dignitosamente dinanzi all'en-
trata, con le mani sul dorso del soprabitone gallonato.
— Chi è quel pezzo di straccione ? — gli domanda-
vano i commessi dell'amministrazione, uscendo dopo
il lavoro.
— Uno zio del sig'nor principe, dice !
E, tutto sommato, fu la miglior accoglienza che
ebbe il povero don Eugenio. Il domani egli cominciò
il giro dei parenti che erano in città : andò prima di
tutti dal fratello don Blasco.
Il monaco pareva sul punto di scoppiare : il pancione
gli s'era imbottito di lardo e la testa ingrossata ; il
mento si confondeva con la massa gelatinosa del collo.
Non poteva muoversi, per l'enormezza della persona,
per la fiacchezza delle gambe ; e accanto a lui donna
Lucia, la moglie di Carino, sembrava svelta e leggiera.
— Perchè sei tornato ? — disse al fratello, appena
lo vide entrare ed a modo di saluto. Aveva infatti ri-
cevuto la circolare deW Amido Sicolo, e comprendendo
da quella che l'autore doveva aver l'acqua alla gola,
metteva le mani avanti, per evitare richieste di sus-
sidi!.
— Sono venuto per poco, - — rispose don Eugenio ; —
prima di tutto per rivedervi, e poi per fare associati
all'opera di cui ti ho mandato il manifesto....
E cominciò a enumerare gì' insigni sottoscrittori :
Sua Altezza il Bey di Tunisi, i vizir della reggenza, i
più gran signori palermitani; il principe d'Ali, il mar-
chese di Lojacomo, ii duca tale e -il conte tal altro.
— E?... — fece il monaco, quasi a dire: «Perchè
vieni a contarmi queste storie ? » senza neppur doman-
dare al fratello : « Sei stato a Tunisi ? Che sei stato a
farci ? »
— Ho pure le firme di venti Miinicipii, di trenta
Società, di otto Biblioteche. L'affare è magnifico. A
conti fatti, dedottele spese di stampa, carta, posta, etc.
con le 'sole soscrizioni sinora raccolte il guadagno è
assicurato. Ma debbo ancora girare mezza Sicilia per
fare associati. Se arriveremo a trecento, resteranno
diecimila lire nette.
-^ E?...
— Io ti vorrei proporre di stampare insieme il libro.
II monaco lo guardò fisso nel bianco degli occhi.
— • Sei pazzo ?
— Perchè ? O non credi forse che ci sia da guada-
gnare ? Ti faccio i conti in quattro e quattr'otto, ti
faccio vedere le firme raccolte....
— Xon voglio veder niente ! Credo benissimo e ti
ringrazio tanto. Tieni per te le diecimila lire.
Il cavaliere ebbe un beli' insistere, col tono persua-
sivo e insinuante d' un sensale o d' uin mezzano, e un
bello sgolarsi per dimostrare a luce meridiana l'eccel-
lenza della sua proposta; don Blasco continuava a ri-
fiutare, dapprima seccamente, poi alzando la voce, poi
gridando perchè quel seccatore gli si togliesse dai piedi.
— Allora — se non vuoi correre i rischi dell'affare
fammi un favore.... I soscrittori non pagano anticipata-
mente; m'occorre una somma per cominciare la stam-
pa. Prestami un migliaio di lire
— Non le ho.
— Ti cederò le firme più sicure, le sceglierai tu
stesso
— • Non le ho.
Il cavaliere non si scoraggiava neppure adesso. Ri-
dusse la domanda da mille a ottocento e poi a cinque-
cento lire; e poiché il monaco continuava a rispondere,
cantilenando dall'impazienza; « Non le ho, non-ho-de-
na-ri.... come debbo dirtelo?... » don Eugenio con-
cluse, pacatamente :
— Allora aspetterò finché sarai comodo Non ho
fretta: prima debbo compire la soscrizione.... poi ti
porterò a veder le schede, le domande, i manifesti
Sperando di riuscir meglio con la sorella, il cavaliere
andò a rinnovare il tentativo con donna Ferdinanda.
Asciutta e verde come un ag-lio, la zitellona pareva
sfidare il tempo, g-li anni le passavano addosso senza
mutarla : ne aveva oramai sessantadue e non ne mo-
straxa piìi di cinquanta. Solo le mani le si coprivano
di rughe e si spolpavano e s'irruvidivano a contar de-
nari, come a lavorare il ferro od a zappar la terra.
Anche lei aveva ricevuto la circolare deW Araldo Si-
colo : ma, vedendo il fratello, cominciò a chiedergli no-
tizie della sua salute, di Palermo, delle persone che
conosceva in quella città ; ascoltando con interesse i
discorsi interminabili del cavaliere che, incoraggiato
da quelle buone disposizioni, nominava un mondo di
persone colle quali era come « fratello », ne narrava i
casi con tanto interesse come se fossero occorsi a lui
in persona : « la separazione del duca Proti, tanto
amico mio — quella pazza della baronessa non mi volle
dar retta — io al principe l'avevo detto : Caro Ema-
nuele, pensaci bene » Le chiacchiere tiravano in
lungo, perchè donna Ferdinanda gli dava la corda, ed
il cavaliere non ne aveva neppur bisogno, felice di men-
tovare le sue grandi relazioni palermitane.
— E non sai la più bella notizia ? La figlia della
Palmi è sposa !
— Sì ? E con chi ?
— Col mio amico Memmo Duffredi, Duffredi di Ca-
saura, il nipote di Ciccio Lojacomo : la prima nobiltà
di Palermo e parecchi milioncini di proprietà —
— Ma davvero ?
— Una gran fortuna per la ragazza ! Quell'intri-
gante del barone ha combinato ogni cosa ed ha preso
Memmo in trappola — Naturalmente, come parente,
non potevo dir questo, altrimenti sarei andato da Ciccio
per avvertirlo : « Tuo figlio può trovare un partito mi-
gliore.... » E poi, quella ragazza ha un certo fare....
Basta ; io non ho parlato, tanto più che giusto quando
si combinava la cosa, ero a Tunisi —
— Ah, .sei stato a Tunisi? E per far che cosa?
— Che cosa?... Niente!... Per eliporto.... — egli
tossicchiava un poco, tuttavia, imbarazzato, quasi con-
fuso. E poiché donna Ferdinanda continuava a fargli
domande, per sapere se Tunisi era una bella città,
quanto tempo c'era stato e \ia discorrendo, il cava-
liere, quasi risolvendosi, disse finalmente —
— Ci fui anche per raccogliere soscrizioni alla mia
opera, sai
— Opera? — fece la zitellona, con atto di mera-
viglia. — Qual opera ?
— Come, non hai ricevuto il manifesto?
— - Io non ho ricevuto niente —
— • h'Araldo Sicolo?... la storia della nobiltà?...
— Tu?... Tu stampi un'opera?... Ah! ah! ah!...
E scoppiò in una di quelle sue rare risate che punge-
vano nel vivo. Don Eugenio che aveva sostenuto im-
perterrito tutti i rifiuti del monaco, si sconcertò all'ila-
rità della sorella.
— Perché ? — domandò, tentando di rialzare la
propria dignità di cui donna Ferdinanda faceva ludi-
brio con quelle risa indecenti. — Xon sono forse buono
a scriverla, come tanti altri?...
— Ah ! ah! ah !...
E la risata non finiva. Quando il vecchio spiegò che
libro aveva scritto, essa divenne piij fine, più ironica,
più tagliente. Una storia della nobiltà dopo il Mugnos
e il \nilabianca ? Per ficcare' dentro gli arricchiti che
si facevano dare del cavaliere e del marchese ? La no-
biltà autentica era tutta scritta nei libri antichi !... E
il cavaliere tentava almeno di dimostrare la bontà della
speculazione : ma la zitellona non gli dava quartiere :
guadagnare con la carta sporca ? Per chi mai la carta
sporca ha avuto valore, fuorché pei pizzicagnoli ? E chi
avrebbe comprato un libro di lui ? Si sarebbero messi
a ridere, come rideva lei ! Le firme ? Le avevano date
per levarselo di torno ! Bisognava vedere quanti avreb-
bero poi pag;ato !...
112 —
• — ■ Almeno, mi presti -qualche centinaio di lire?
— No, perchè non me le restituiresti.
E ogni altra insistenza fu inutile.
Andato a ripetere il tentativo dalla nipHDte Chiara,
don, Eugenio non potè neppure vederla: la cameriera
gli disse che il marchese era fuori e la marchesa chiusa
in camera col dolor di capo.
— Digli che c'è suo zio.
— Vostra Eccellenza scusi ; ma quando ha il dolor
di capo, nessuno può parlare alla signora marchesa.
E facendo il cavaliere un atto d' impazienza, la donna
mormorò, guardandosi attorno :
— • Eccellenza, c'è guai !
— . Che guai ?
— La marchesa.... ma signor cavaliere, per carità,
non mi faccia perdere il pane !... Pazza pel marito, è
vero, • Eccellenza ? Tutt'una cosa; quello che voleva il
signor marchese era legge per lei Né il padrone ne
abusava : d'amore e d'accordo in tutto e .per tutto —
Adesso? Adesso non c'è più pace, per quel figlio di —
chi so io! Un diavolo dell'inferno, Eccellenza; e la
padrona, che non ci vede dagli occhi, dal tanto bene
che gli vuole, lo lascia fare, lo difende contro il pa-
drone Litigano tutti i giorni, perchè il signor mar-
chese vorrebbe correggerlo, insegnargli l'educazione,
obbligarlo a studiare ; e invece la nipote di Vostra
Eccellenza Se la prende col padrone perchè gli mal-
tratta il ragazzo.... Ieri vennero alle grosse; non si
parlano da ventiquattr'ore Il signor marchese è
uscito di casa all'alba chi sa se torna!
E per quanto insistesse, don Eugenio non potè per-
suadere la cameriera ad affrontare il malumore della
padrona portandole l'ambasciata.
Allora egli andò a battere alla porta dei Giulente.
Arrivò da loro sull 'annottare, dopo una giornata di
corse. Benedetto non c'era e Lucrezia non si ricono-
sceva più, tanto s'era trasformata ed imbruttita. Il
corpo era diventato un sacco di carne, dove non si
. — rr3 —
distinguevano più né seno, né vita, né fianchi ; il viso,
dalla continua acrimonia che la animava, dall'ingua-
ribile scontento della propria condizione, era divenuto
duro, arcigno, inaspettatamente rassomigliante a quello
del principe. E il primo discorso che tenne allo zio,
rivedendolo dopo tanti anni, fu giusto contro Bene-
detto.
— Non c'è; non sta mai in casa. Adesso che non è
piij sindaco, s'è fatto nominare presidente del Consiglio
provinciale. Per amor della patria, Vostra Eccellenza
mi capisce !... Piia invecchia, e piìi bestia diventa. È un
pazzo ! Ma la disgrazia è che fa impazzire anche me.
Dopo vent'anni, — ella calcolava il tempo a modo suo,
— un altro che non fosse tanto bestia, avrebbe capito
r inutilità di fare il servitore a questo e a quello. In-
vece, pare l'uovo ai fuoco: più sta e più indurisce!
Vuol essere deputato; per che cosa, domando io? Dopo
che sarà deputato, che cosa avrà buscato? A fare il
sindaco ha guadagnato questo : che nessuno lo può
vedere, neppur quelli ai quali ebbe la stupidaggine di
rendere servizio! Bene gli sta!...
Verso la propria famiglia ella aveva ancora quel mi-
sto d'astio, d' invidia e di premura, secondo che il
vanto di farne parte, M dolore d'averla lasciata o il so-
spetto d'esserne ripudiata predominavano nel suo cer-
vello. Anche ora, parlando del viaggio del principe, ella
ripeteva con insistenza che il fratello e la cognata le
scrivevano ogni due giorni, e riferiva il contenuto
delle loro lettere, annunziava il loro ritorno per l'au-
tunno ; poi cominciava a criticare ed a malignare :
— ■ Hanno fatto bene a prender essi stessi Teresina
dal collegio, e a farla viaggiare — Mia cognata è un'al-
tra madre per questa figliastra!... Dal tanto amore,
r ha tenuta due anni più del bisogno in collegio, per
farne una letterata. Graziella s' intende molto di lette-
ratura !...
Però, subito dopo soggiunse :
— Vostra Eccellenza non ha visto l'ultimo ritratto
Do Roberto. / yiceri- - Il i
— 114 —
di Teresina?... No?... Aspetti.... vedrà che bellezza;
me l'hanno mandato due mesi addietro Di Con-
salvo però, — riprese dopo che ebbe mostrato il ri-
tratto allo zio, — né nuova né vecchia come se non
fosse loro figlio anche lui — Senza le lettere che scrive
alla zia, non sapremmo se é vivo o se é morto
Adesso dice che è a Parigi. È stato a Berlino, a Lon-
dra, a Menna
Il cavaliere non l'udiva, rimuginando il discorso da
tenerle. Appena la nipote fece una pausa, egli espose
la speculazione ideata, che riuniva l'immancabile riu-
scita finanziaria alla nobiltà dello scopo. Ma Lucrezia :
— • Storia della nobiltà ? — replicò — Dov' é più la
nobiltà ? Che storia vuole scrivere Vostra Eccellenza ?
Adesso sono in favore i lustrascarpe, non i nobili ! Per
esser considerati, bisogna venire dal niente ! Scriva
piuttosto la storia dei villani e dei mastri notari ; quella
sì, che c'è da guadagnare!...
Imperturbabile, don Eugenio ricominciò il giorno se-
guente. Dai Radall-Uzeda trovò il duca Michele e il
barone Giovannino; la duchessa era fuori di casa. Mi-
chele, a venticinque anni, perdeva i capelli e pareva
vecchio del doppio ; Giovannino era invece più gra-
zioso di prima, fine, elegante. Udita la richiesta del
parente, entranrbi risposero che solo la madre gli
avrebbe potuto dare risposta. Il giorno dopo il cava-
liere tornò a parlare con la duchessa, e questa cadde
dalle nuvole :
— Io stampar libri ? E come mai vi viene in testa
una cosa simile ? So molto di queste cose, io !
E don Eugenio ci rimise le pedate.
Ma egli non si perdette d'animo. Dai lontani pa-
renti passò agli amici, ai semplici conoscenti, alle per-
sone che incontrava per istrada e che fermava col pre-
testo di rivederle e salutarle. Cominciava a riferire,
come se le avesse avute direttamente, le notizie del
principe e di Consalvo apprese da Lucrezia, s'addolo-
-^ 115 —
rava per Ja lite tra padre e figfliuolo, annunciava il ri-
torno della princip>essina, che diceva d'aver visto a Fi-
renze : «una bellezza da sbalordire!... » e poi parlava
del suo sogg-iorno di Palermo, descriveva l'apparta-
mento di dieci stanze che aveva abitato sul Cassaro,
drappeggiandosi maestosamente nell' abito lercio e
sdruscito che diceva la miseria, la fame, le ignobili
promiscuità; riferiva ancora il viaggio di Tunisi, l'ono-
rificenza beilicale, ma senza spiegare a qual titolo l'a-
vesse ottenuta, che cosa avesse precisamente fatto alla
corte di Sua Altezza ; e quando aveva bene intontito la
gente con tutti questi discorsi, domandava a brucia-
pelo :
— Avete ricevuto il mio manifesto ?
E riesponeva il concetto dell'opera, enumerava le
adesioni ricevute : ogni volta, queste crescevano di nu-
mero : le firme dei privati salivano da duecento a tre-
cento, a quattro, a cinquecento; quelle dei Municipii
sommavano a cinquanta, a settanta, a novanta ; le Bi-
blioteche si moltiplicavano da un momento all'altro.
Mille sottoscrittori erano già sicuri, un altro migliaio
non potevano mancare. E offriva la compartecipazione,
si restringeva all'anticipo, da ultimo dichiarava di con-
tentarsi di dodici firme, di sei, anche di una. Per le-
varselo di torno, la gente prometteva ambiguamente ;
ma egli prendeva nota dei nomi in un suo portafogli
unto e squarciato, unicamente imbottito di circolari e
di schede, delle quali faceva nuove distribuzioni, fic-
candole in tasca a chi rifiutava col gesto, raccoman-
dando di diffonderle, di riempirle al più presto Dopo
una giornata di lavoro, nel momento che stava per
rientrare all'albergo, incontrò Benedetto che ne usciva.
— Eccellenza!... Come sta?... Ero venuto a tro-
varla; mi dispiacque tanto, ieri, di non essere in casa
Un poco imbarazzato, don Eugenio lo invitò a salir
su in camera. Una camera col pavimento affossato,
due strisce di tela bianca a guisa di tendine dinanzi
alla finestra, una catinella sopra una seggiola e una
brocca per terra.
^ tx6 -^
— Ho dovuto venir qui perchè al Grand Hotel era
lutto pieno. Come si sta male in questa città ! A Pa-
lermo avevo un appartamento di dodici stanze... biso-
g-nava vedere che scala!...
E nonostante il rifiuto oppostogli da Lucrezia, eg'li
cavò di tasca le circolari ed entrò subito in materia.
— Tua moglie non t'ha detto?... Sono venuto per
stampare la mia opera Per ventimila lire non la
cederei a nessuno Ma non ho quattrini da comin-
ciare la stampa. Vogliamo farla insieme ? Spartiremo
i guadagni, da buoni parenti ed amici.
Giulente esitò un poco, poi domandò :
— Che ha detto Lucrezia ?
— Tua moglie? Ha detto di sì, solo che tu ti per-
suada della convenienza della cosa Guarda un po' —
— E non capendo nei panni dalla gioia d'aver trovato
finalmente uno che non rifiutava, gli sciorinò dinanzi
alcune, schede con qualche firma.
— Va bene, va bene, giacché Lucrezia approva —
— Se anche mutasse parere', in fin dei conti, po-
tremmo fare a meno del suo consenso!...
Benedetto esitò un poco, poi disse :
— Nossignore, è necessario.... perchè adesso i de-
nari li tiene lei
— Come ! I denari ? Tu non puoi disporre di qualche
migliaio di lire ?
— Eccellenza no.... Gli affari pubblici mi portavano
via molto tempo Ho ceduto a lei l'amministra-
zione
IL
Il ritorno del principe, con lo zio duca, la moglie e
la figlia, al principio dell' inverno, diede nuovo alimento
alla pubblica curiosità. Aspettavano tutti di vedere in
viso questa famosa principessina della cui bellezza si
parlava tanto; ma quantunque l'esagerazione delle lodi
— 117 —
anticipate avesse disposto la g-ente alla diffidenza, pure
la realtà lasciò molto indietro ogni imaginazione. La
bellezza bianca e bionda, fine, delicata, quasi vaporosa
della fanciulla non aveva riscontri nella famiglia dei
Viceré. La vecchia razza spagnuola mescolatasi nel
corso dei secoli con gli elementi isolani, mezzo greci,
mezzo saracini, era venuta a poco a poco perdendo di
purezza e di nobiltà corporea : chi avrebbe potuto di-
stinguere, per esempio, don Blasco da un fratacchione
uscito da lavoratori della gleba, o donna Ferdinanda
da una vecchia tessitrice ? Ma come, nella generazione
precedente, s'era vista l'eccezione del conte Raimondo,
cosi adesso anche Teresa pareva fosse venuta fuori da
una vecchia cellula intatta del puro sangue castigliano.
Alta, magra di spalle, con una vita che le sue due
mani quasi arrivavano ad accerchiare e che rendeva
più vistosa la curva dei fianchi. Teresa possedeva una
istintiva eleganza, una nobile grazia di portamento,
ancora non del tutto liberata dall' impaccio della col-
legiale, fino a qualche mese addietro costretta nella
goffa uniforme. Nei primi g-iorni, quando cominciò
ad uscire in carrozza, accanto alla madrigna, la gente
si fermava sui marciapiedi, l'aspettava al varco, di-
nanzi al portone del palazzo, per figgerle gli occhi ad-
dosso, a bocca aperta : ella pareva non accorgersi di
quella curiosità indiscreta, non guardare anzi nessuno.
In casa, naturalmente, erano venute a trovarla prima
di tutte le zie, e Lucrezia s'era quasi attaccata alle
gonne della nipote, l'accompagnava per ogni dove, le
dava consigli, non parendole vero di poter esercitare
su qualcuno la sua smania d'autorità. La principessa la
lasciava fare ; ma a Chiara non restituì neppure la
visita, per via del bastardello. Una ragazza come Te-
resa, appena uscita di collegio, poteva andare in una
casa dove c'erano di quei pasticci ? Ella diceva a tutti,
cameriere, parenti e conoscenze, con grandi gesti e tor-
cimenti di sguardo : « Posso permettere che mia figlia
sappia di queste cose, eh ? Tanto peggio se Chiara se
~ ii8 —
ne adunla );. K Chiara se ne adontò in malo modo.
Aveva rotto con tutti i parenti, oramai, per amore del
fig"lio della cameriera, il quale, guastato dai tanti vizH,
la comandava a -bacchetta, le dava del tu, all'occor-
renza le alzava le mani addosso. Ma ella lo lasciava
fare, e se il marchese diceva mezza parola, grida, mi-
nacce, un inferno. Uditi gli scrupoli della cognata-
cugina, si nettò la bocca contro di lei, tanto più che,
per ordine di Giacomo, donna Graziella condusse Te-
resa a baciar la mano allo zio don Blasco. Dal mo-
naco si, che teneva la Sigaraia e le tre figlie in casa,
e da lei no ? « Sicuro, perchè dal monaco aspettano
l'eredità »
Don Blasco, adesso, era un signore : oltre la casa e
i due poderi, aveva messo di bei quattrini da canto; il
principe gli faceva la corte per questo. 11 Cassinese se
la lasciava fare da lui come da Lucrezia e da Chiara ;
non andava piij in casa di nessuno, non potendo più
salire scale; ma dettava legge ai nipoti, se ne serviva
in tutti i modi, e se qualcuno di costoro lo faceva an-
dare in collera, egli cavava fuori, come donna Ferdi-
nanda, un suo foglio di carta e lo stracciava in mille
pezzi : « Neanche un soldo da me !... » La visita della
nipote Teresa gli fece piacere ; le figliuole non si la-
sciarono vedere, e la principessa spiegò alla ragazza che
donna Lucia era « governante » dello zio.
Del resto, queste precauzioni erano inutili per Te-
resa. Ella non aveva curiosità sconvenienti, e quando
comprendeva che le più grandi avevano da dirsi qual-
cosa, s'allontanava, andava ad ordinare la sua came-
retta o a badare alle sue cosucce. Non era soltanto
bella da far strabiliare, ma piena d'ingegno, istruita
da dar punti a tanti uomini. Disegnava e dipingeva,
parla\a il francese e 1' inglese come la sua propria lin-
gua, sapeva far versi e comporre musica; e modesta,
con questo, semplice, buona, affettuosa da non si dire.
Rientrando nella casa dove, bambina, aveva lasciata
];i sua mamma, e adesso non la trovava più, avevano
— 119 —
dovuto sorreg^gerla e i suoi occhi eran parsi due vive
fonti, dal tanto pianto; ma il culto per la santa me-
moria non le impediva di rispettare e di amare il padre
e la madrigna. E timorata di Dio, sempre con qualche
libro di preghiere tra le mani, quando non lavorava
ai suoi ricami, ai suoi disegni, alla sua musica : certi
libri dorati, ricoperti di velluto o di pelle odorosa :
mesi di Maria, coroncine della Beata \^ergine, vite di
Santi, pieni ad ogni pagina d' imagini divine, tutti
premii riportati quand'era all'Annunziata. Ma questi
sentimenti pii, questo timor di Dio non le impedivano
di amare, come conveniva ad una fanciulla della sua
età, gli svaghi mondani, le eleganze della moda.
Quando aveva da vestirsi per far visite o per rice-
verne, o per andare al passeggio o al teatro, ella s' in-
dugiava, come le altre, dinanzi allo specchio ; e aveva
un certo modo tutto suo di portare gli abitini più sem-
plici che la faceva parer vestita come per andare a un
ballo. Quando passavano dalla modista o dalla sarta,
se dovevano sceglier stoffe o guarnizioni o minuti og-
getti d'ornamento, ella dava prova di gran gusto, sce-
gliendo le cose più belle e più eleganti, persuadendo
con buone maniere la zia Lucrezia, la quale, dacché
teneva le chiavi della cassa, si faceva un abito ogni
quindici giorni preferendo ogni volta quel che c'era
di più disgraziato, ed imbronciandosi se non lodavano
la sua scelta. Invece la principessa lasciava che la fi-
gliastra facesse a modo suo e scegliesse quel che le
piaceva; anzi, si rimetteva a lei per le cose sue proprie.
« Che gusto, quello della mia figliuola !... Che figliuola
modello !... » La lodava specialmente per la dolcezza
del carattere e la bontà del cuore; la baciava e l'ab-
bracciava dinanzi a tutti, anche in conversazione; ve-
gliava su lei come una vera mamma.
Era gelosa e scrupolosissima ; non permetteva che
oltre i libri di religione la figliastra leggesse cose ca-
paci di guastarle la testa; né che, dinanzi alla giovane,
tenessero certi discorsi, per paura che le stesse pa-
iole le contaminassero il pensiero. Stava perciò sulle
spine quando la cognata Lucrezia narrava certe storie
di concubinagg-i, di separazioni coniugali, di nascite
illegittime. Cominciava allora a tossire per dar sulla
voce a quella stravagante malaccorta ; e se la tosse
non bastava, mutava discorso bruscamente, con un
certo modo tutto suo, fatto apposta per richiamare
l'attenzione sulle cose dalle quali voleva invece stor-
narla. Ma Lucrezia non si accorgeva di nulla, e non
commetteva anzi la sconvenienza di dire spesso alla
nipotina, a proposito ed a sproposito, ma più spesso
quando si lagnava di Benedetto : « Bada a chi piglierai
per marito?...» oppure: «Apri gli occhi, quanto sa-
rai maritata?... » La principessa diventava di mille
colori, alzava gli occhi al soffitto, facendo sforzi straor-
dinarii per contenersi, per non dire il fatto suo a quella
matta a cui il Signore aveva fatto bene di non dar
figlie, se intendeva così l' educazione delle ragazze.
<c Cognata !... Lucrezia !... » ma nulla serviva, tanto
che una volta la principessa mise carte in tavola :
— i Scusa, cugina; ma questi discorsi mi sembrano
fuor di luogo. Teresa si mariterà quando sarà tempo,
e ci penserà suo padre, non dubitare : a me non piace
la moda d'oggi, di parlar di queste cose alle signorine....
Teresa, con gli occhi bassi e le mani in grembo,
pareva non ascoltare ; Lucrezi,a ammutolì e andò via
dopo un poco, senza salutar nessuno. Ma un altro par-
lava spesso di cose scabrose e la principessa doveva
tenerlo in riga : il cavaliere don Eugenio. Appena sa-
puto l'arrivo del fratello e del nipote, era corso da
loro per ricorninciare il discorso deWAraldo Sicolo. 11
duca, senza le grida di don Blasco e le commedie di
donna Ferdinanda, gli aveva risposto chiaro : « Coi
libri, caro mio, nessuno ha mai fatto quattrini ; tu ne
farai meno degli altri perchè non hai saputo far nulla
mai. Se vuoi stampar l'opera, nessuno te lo impedisce;
ma io non ho denari da buttar via in queste imprese. »
Don Eugenio accettava a capo chino il predicozzo,
121
come riconusceudo di meritarlo, ossequente ed umile
dinanzi a quell'imbroglione che sputava sentenze, e
come s'era arricchito ? a spese delle casse pubbliche,
manipolando gli appalti, facendo ogni sorta d'im-
brogli !... «Almeno,» don Eugenio insisteva, «farai
comprare il libro alle biblioteche dello Stato? A te non
costa nulla, sei tanto influente!... Basterà che tu dica
una parola.... » Il deputato ascoltava la lode a occhi
socchiusi, beatamente. Infatti i bei giorni erano tor-
nati per lui; dopo l'atteggiamento preso nella qui-
stione romàna aveva rimesso il tallo ; l'elezione del no-
vembre Settanta era stata un altro trionfo. Si, gli sa-
rebbe bastato dire una parola per aiutare il fratello ;
tuttavia, alle insistenze di costui, rispondeva che avreb-
be visto, che ci avrebbe pensato, preso da uno scru-
polo : « Che cosa si potrà dire ? Che mi giovo del mio
credito per procurar favori alla mia famiglia?... »
Don Eugenio allora s'era rivolto al principe. Questi
aveva negato sulle prime, come meglio aveva potuto,
ma in fin dei conti gli riusciva difficile insistere in un
rifiuto crudo crudo, poiché egli non avea tanta confi-
denza con lo zio da mandarlo a spasso, e nemmeno
poteva addurre ragionevolmente la mancanza di quat-
trini ; perciò s'era lasciata strappar la promessa d'una
anticipazione d'un par di migliaia di lire, aspettando a
sborsarle che la sottoscrizione fosse a buon punto.
Frattanto don Eugenio, allettato dalla promessa, ve-
niva al palazzo quasi ogni sera, con grande mortifica-
zione della principessa che non poteva soffrire la vista
della famelica faccia e dei miserabili indumenti del ca-
valiere e stava poi sui carboni ardenti, come un'anima
del Purgatorio, quando egli cominciava a raccontare
tutti i fatti della società palermitana : « vSasà marita
le sue fighe.... La moglie di Cocò ne ha fatta un'altra
delle sue.... Il figlio di Nenè è scappato con una balle-
rina.... » Cocò era il principe di Ali, Sasà il duca di
Realcastro, Nenè il barone Mortara ; e nessuno nomi-
nava qualche persona di Palermo senz,a che egli assi-
curasse d'essere con questa persona « come fratello — »
Tutte le volte che descriveva il suo appartamento il
numero delle stanze cresceva : adesso era arrivato a
quindici, e non potendolo più ragionevolmente aumen-
tare, aggiungeva: «oltre la stalla e la rimessa — » Il
principe lo lasciava dire, ma gli faceva pagare l'atten-
zione prestatagli e la promessa dei quattrini, giovan-
dosi di lui come di un servo, mandandolo di qua e di là
a portar lettere od ambasciate, che gli affidava dan-
dogli tuttavia, per un certo rispetto umano, delVEccel-
ìenza. Neppure lo metteva a giorno dei proprii affari,
né gli faceva confidenze di sorta ; curioso, il cavaliere
voleva sapere a chi pensavano di dare in moglie Teresa,
che cosa faceva Consalvo, quando sarebbe tornato ;
ma non riusciva ad appurar nulla, specialmente circa
il principino, il quale non scriveva se non a donna
Ferdinanda. Le notizie del giovane, al palazzo, veni-
vano per mezzo di Baldassarre, il quale ogni due
giorni scriveva al signor principe per riferirgli minu-
tamente la vita del padroncino. Quelle lettere facevano
fare schiette risate a Teresina, scritte com'erano in una
lingua fantastica, di particolare composizione del mae-
stro di casa. « So Eccellenza sta bene e s'addiverte....
Oggi abbiamo stato al Bua di Bologna, che ci era
grande passeggio di carrozze e cavalli e signori e si-
gnore accavallo » Il maestro di casa annunziava
Ogni giorno il programma del successivo : « Domani
andiamo all' Ussaburgo domani partiamo per Fon-
tana Bu, vedere il palazzo reale.... » ma donna Ferdi-
nanda aspettava la narrazione d'una visita ben altri-
menti importante: quella a Sua Maestà Francesco II.
Prima che Consalvo partisse, ella gli aveva fatto un
obbligo, quando sarebbe passato da Parigi, di « ba-
ciare la mano al Re », e appena saputo il nipote nella
metropoli francese, gli aveva rammentato di mantener
subito la promessa. Padre Gerbini, che a Parigi era
(appellano della Maddalena e andava in casa di tutta
la nobiltà legittimista, ed era ammesso, insieme con gli
123 —
intimi, presso l'ex-Re, aveva chiesto l'udienza pel g^io-
vanotto siciliano, facendo opportunamente valere la fede
serbata dalla più gran parte degli Uzeda alla causa
borbonica. In una lunga lettera, della quale donna Fer-
dinanda diede lettura in mezzo al circolo dei parenti,
Consalvo riferiva 1' accoglienza affettuosa dell' antico
sovrano, la premura con la quale s'era informato di
tutta la famiglia e il dono che g'ii aveva fatto, prima
di congedarlo, dopo un lungo colloquio : il proprio ri-
tratto con dedica autografa. « Sua Maestà la Regina »
era sofferente, e perciò non aveva potuto riceverlo anche
lei ; ma il « Re » gli aveva detto che voleva rivederlo
prima della sua partenza !... Venne anche la lettera di
Baldassarre che riferiva la visita «a So Maistà Francisco
secundo, inseme con So Paternità don Placito Gerbini.
So Maistà abbia parlato a So Eccellenza della Siggilia
e dei signori sigiliani che abbia conosciuto in Napoli
e in Pariggi. So Eccellenza ci ha baciato le mani, e So
Maistà gli arregalato il suo ritratto, dicendoci che ci
deve tornare un' altra volta, per appresentarlo a So
Maistà la Regina. » Infatti prima che padrone e servo
partissero da Parigi, tutt'c due annunziarono la seconda
udienza, ma questa volta la lettera del maestro di casa
al padrone conteneva un particolare del quale non era
parola in quella di Consalvo alla zia. « So Maistà abbia
fatto una grande festa a So Eccellenza, e quando ci
abbia stretto la mano ci ha addomandato chi sa quando
ci arrivedremo ; e So Eccellenza mi ha contato So Pa-
ternità che ci abbia risposto : « Maistà, ci arrivedremo
in Xapoli, nel palazzo reale di Vostra Maistà !... »
Da Parigi, il giovanotto tornò finalmente in Italia,
e fermatosi un poco a Torino e a Milano passò a Roma,
che era l'ultima tappa del suo viaggio. Lì si fermò un
pezzo ; ma dopo aver scritto un paio di lettere alla zia,
non si fece più vivo. Donna Ferdinanda gli aveva anche
raccomandato di « baciare il piede al Papa » e Baldas-
sarre infatti, da principio, annunziava che « Monsignori
— 124 —
don Lotovico » doveva condurre in \'aticano il nipote,
ma poi non disse se la visita era stata fatta; anzi un
giorno, inaspettatamente, annunziò per telegrafo l'immi-
nente ritorno. Aspettato alla stazione da donna Ferdi-
nanda e* da Teresa — perchè il principe era rimasto
ed aveva ordinato alla moglie di rimanere al palazzo, —
Consalvo fece una specie d'ingresso trionfale, tra le
persone di servizio e gì' impiegati dell'amministrazione
schierati su due file, che ammiravano la bellissima ciera
del signorino, e gli davano il bentornato e si facevano
in quattro per aiutare Baldassarre a scaricare la gran
quantità di bauli, valige, portamantelli e cappelliere di
cui era piena la carrozza e un carrozzino da nolo. Il
principe, con aria tra dignitosa ed affabile, si fece tro-
vare nella Sala Rossa e gli dette la mano a baciare ;
altrettanto fece la principessa, ma con maggiori dimo-
strazioni d'affettuosa premura: «Ti sei divertito?...
Avesti buon tempo di mare ?... C'è tutta la tua roba ?...
Le tue camere sono già pronte !... »
La stanchezza del viaggio, lo stordimento dell'arrivo
spiegavano naturalmente la poca loquacità di Consalvo
in quelle prime ore ; infatti la sera, dopo aver mandato
in camera del padre, della sorella e della madrigna una
quantità di regali, egli cicalò moltissimo, riferì una
quantità d'impressioni, narrò certi aneddoti comici su
Baldassarre che, all'estero, sconoscendo le lingue, s'era
spesso smarrito, aveva attaccato lite con gente alla quale
diceva male parole siciliane ; e una volta, anzi, a Vienna,
aveva corso rischio di dormire al posto di guardia. Il
giorno dopo continuò il discorso del viaggio, special-
mente di Parigi ; ma a poco a poco, e secondo che
quell'argomento si esauriva, il giovanotto non prendeva
più parte alla conversazione. Se la principessa narrava
qualche cosa, o se il principe discorreva degli affari di
casa, si contentava di stare a sentire e rispondeva
qualche Eccellenza sì o qualche Eccellenza no di tanto
in tanto. A tavola, col muso sul piatto, non guardava
.nessuno e spesso non pronunziava due parole una dopo
— ^25 -
l'altra. Il principe cominciava a soffiare e ammutoliva
anche lui, facendo però certi versacci che non annun-
ziavano niente di buono ; la principessa alzava gli occhi
al soffitto dalla costernazione, e Teresa, angustiata da
quella freddezza, perdeva sin l'appetito. Levandosi di
tavola, quando il figlio andava via :
— Cominciamo da capo ! — sfogavasi il principe. —
State a vedere che cominciamo da capo ! Che gli hanno
fatto, a cotesta bestia? S'è divertito più d'un anno a
viaggiare, non gli è mancato niente, e mi ringrazia così,
tenendomi il broncio, av^'elenandomi tutti i giorni il
desinare !...
Né era da dire che quella bestia stesse muto per poca
voglia di parlare; giacché, in presenza di estranei, non
la finiva più di narrare le sue avventure di viaggio, le
grandi cose che aveva viste, le novità di cui in Sicilia
non v'era neppur sentore. Con Benedetto Giulente, spe-
cialmente, e con la gente più o meno mescolata nelle
cose pubbliche, teneva certi discorsi stupefacenti in
bocca sua, sull'ordinamento delle guardie di città, sulla
manutenzione dei giardini, intorno ai sistemi d'inaffia-
mento delle vie o d'illuminazione dei teatri. Perchè
diamine s'occupava di quelle cose? Per far sapere che
era stato fuori via?... Ma nossignore; non solo teneva
discorsi diversi dagli usati, mutava anche sistema di
vita. Riveduti appena gli antichi compagni di ,ba-
gordo, non li aveva più cercati, anzi li evitava ; la pas-
sione dei cavalli pareva gli fosse interamente passata ;
non scendeva più nelle stalle, non teneva conversazione
coi cocchieri. Non più donne, non più giuoco ; passava
il suo tempo chiuso nella propria stanza, dove non si
sapeva che diamine ordisse. Quando andava fuori,
faceva frequenti visite allo zio duca, col quale parlava
di cose serie, o si vedeva in compagnia di gente che
prima soleva evitare come la peste : parrucconi, poli-
ticanti del Gabinetto di lettura, sorci di farmacie, per-
sone occupanti pubbliche cariche, tutto il codazzo del
deputato. La posta gli portava ogni giorno una quantità
— 126
di giornali italiani e francesi, e il libraio, ogni settimana,
gli mandava grossi pacchi di libri che egli stesso anda\'a
a scegliere e ad ordinare.
— Qual altra pazzia adesso gli salta in capo ? —
diceva il principe, con tono sempre più acre, alla
moglie ; ma questa :
— Di che ti lagni ? — rispondeva, conciliante. —
Non si riconosce più ; pare davvero un altro : benedetto
questo viaggio, se lo ha fatto cambiare di nero in
bianco !
Certi giorni. Consalvo non veniva a tavola; al came-
riere che andava a chiamarlo, rispondeva, dietro l'uscio,
che aveva da fare ; e allora il principe buttava via il
tovagliolo, stringeva i denti, quasi scoppiava dinanzi ai
lavapia-tti che assistevano al pranzo. Teresa, a un segno
della principessa, andava a cercare il fratello e insisteva
tanto, con voce dolce, con persuasioni amorevoli, finché
egli apriva.
— Perchè non vieni? Sai che al babbo dispiace —
— Perchè ho da fare, sto scrivendo, non posso per-
dere il filo
— ■ Lascia di scrivere, contentalo, fratellino !... Hai
tanto tempo per studiare ! Altrimenti, potrebbe parere
che tu lo faccia apposta, che tu l'abbia con lui.... o con
la mamma —
— Io non l'ho con nessuno. Vedi che sto scrivendo ?...
— • infatti la scrivania era piena di carte e di libri aperti.
E quando finalmente veniva a tavola, il principe
gonfiava, gonfiava, gonfiava, vedendo il figliuolo taci-
turno e ponzante come un nuovo Archimede.
— Mangerò solo, se debbo vedere quella faccia da
funerale ! Tutto il giorno quella faccia ingrugnita ! È una
iettatura ! Il cibo non mi fa buon sangue ! Piglierò una
malattia
Allora Teresa, come la sola capace d'esercitare un' in-
fluenza sull'animo del fratello, tornava da lui, gli pren-
deva le mani, lo scongiurava d'esser buono, gli parlava
dei suoi doveri di figlio; e Consalvo la lasciava dire.
— 127 —
muto ed immobile. Ma una volta che ella, fra gli altri
argomenti, addusse quello della gratitudine che dove-
vano al padre e alla madrigna, egli rispose, con ironia
fredda e tagliente :
— Molta, in verità — Mio padre m' ha voluto sempre
bene, fin da quando mi tenne dieci anni chiuso al No-
viziato, come ha tenuto in collegio sei anni te ! Gli
dobbiamo essere molto grati entrambi, perchè non lasciò
passare sei mesi dalla morte di nostra madre, che mise
un'altra al posto di lei — Anche lei, dal paradiso, deve
essergli grata pel rispetto, per l'amore, per le cure di
cui la circondò —
— Taci ! Taci !... — esclamò Teresa.
— Ho da tacere?... Lo sai dunque, quel che fecero
soffrire a quella poveretta?... Ma tu eri a Firenze, tu
non puoi saper niente —
— Taci, Consalvo !
— Allora, che vuoi ? Dimmi tu che debbo fare per
contentarlo! Quando stavo tutto il giorno fuori casa, a
divertirmi a modo mio, spendendo quattrini : nossignore,
bisognava cambiar vita ! Adesso che sto sempre dentro,
a studiare, continua a rompermi la testa ?
Consalvo studiava economia politica, diritto costitu-
zionale, scienza dell'amministrazione. La gente che non
sapeva di che cosa s'occupasse, ma che vedeva il radi-
cale mutamento operatosi in lui, lo attribuiva al lungo
viaggio, al senno che tutti i giovani, o presto o tardi,
hanno pure da mettere. E il viaggio, infatti, era stato
l'origine della conversione del principino, la sua grande
lezione.
La lotta col padre lo aveva disgustato della sua casa
ed anche del suo paese, dove la mancanza di quattrini
e la pesante autorità paterna non gli consentivano di
fare tutto ciò che voleva; pertanto egli aveva accettato
con gioia di andar via, di girare un poco il mondo; ma
la prima impressione da lui provata, appena fuori di
Sicilia, fu quella che proverebbe un vero Re in cammino
— 128 —
per l'esilio. Il giorno prima, quantunque non potesse
sbizzarrirsi a modo suo, era nondimeno un pezzo grosso,
il pezzo più grosso del suo paese, dove tutta la gente,
in alto e in basso, gli faceva di cappello e s'occupava
di lui e delle cose sue ; a un tratto egli si svegliava
uno qualunque in mezzo alla folla che non gli badava.
E se neppur egli avesse visto nessuno, meno male : ma
le lettere di presentazione di cui era fornito lo avevano
messo in rapporto, a Napoli, a Roma, a Firenze, a
Torino, con altra gente, coi signori di lassù ; e allora
aveva compreso che c'eran pezzi grossi più grossi di lui.
Il nome di principino di Mirabella aveva perduto la
sua virtù, .era diventato quello di un signore come ce
n'erano a migliaia. Il lusso vero, e non quello mediocre
di suo padre, il gusto fastoso, lo sfarzo elegante di
cui non s'aveva idea in quell'angolo di Sicilia, fuori delle
grandi vie del mondo, dov'egli era vissuto, lo costrin-
gevano a riconoscere la propria inferiorità. Al Club di
Catania erano quasi in famiglia ed egli troneggiava ; a
Napoli e a Firenze otteneva per favore un biglietto per
pochi giorni ; se fosse rimasto a lungo avrebbe dovuto
esporsi ad una votazione, farsi raccomandare, correre,
chi sa, il rischio d'essere respinto!... Nella sua testa
avveniva una rivoluzione. Soffrendo realmente nell'or-
goglio, nella vanità di « Viceré » quando andava a fare
qualche visita in certi palazzi grandi quattro volle
l'avito, nei quali invece di botteghe da affittare c'erano
gallerie vaste quanto musei, con dentro tesori d'arte,
egli smise di frequentare le sue conoscenze, rinunziò a
farne di nuove. Per affermare in qualche modo la
propria ricchezza, buttava via i quattrini a carrozze di
rimessa, o nei caffè, nei teatri, nei negozii dove com-
prava una quantità di cose inutili, col solo scopo di
lasciare il suo indirizzo : Principe di Mirabella, albergo
tale — il più caro della città. E meno male ancora a
Napoli, dove le tradizioni d'uno spagnolismo in tutto
eguale al siciliano gli facevano dare deU' Eccellenza dagli
sconosciuti che gli si professavano servi ; ma a Firenze,
— i2g — •
a Milano, yli toccava il setnplice signore ; e in\ano Bal-
dassarre, che gli stava sempre a fianco, prodigava il
Sua Eccellenza e il Voscoiza paesano : la gente sorri-
deva o restava a bocca aperta alle espressioni strava-
ganti del maestro di casa.
Cosi, per evitare queste mortificazioni, il principino
passò all'estero piili presto del tempo stabilito. In paesi
stranieri, la maggior ricchezza e autorità della gente
della sua casta non lo feriva tanto, ma un altro im-
paccio lo aspettava : col suo povero e mal digerito
francese, si senti come fuor del mondo a Menna, a
Berlino, a Londra : a Parigi fece sorridere come in
Italia Baldassarre. Ma frattanto la Sicilia, il suo paese
nativo, la sua casa dove la considerazione ed il primato
d'un tempo lo aspettavano, erano divenuti per lui
sempre più piccoli e meschini. Come rassegnarsi a tor-
nare laggii^i, dopo aver visto la gran vita delle grandi
città ? E come tenere un posto mediocre in una capitale ?
Bisognava dunque essere il primo tra i primi !... E una
volta entratagli in testa quest' idea, Consalvo si mise
a considerare il m.odo di attuarla. Suo padre avrebbe
consentito a lasciarlo andar via per sempre ? La cosa
era dubbia, ma immancabilmente, articolo quattrini, ne
avrebbe assegnati il meno possibile; e con vincoli umi-
lianti, come durante quel viaggio, tutte le spese del
quale dovevano esser fatte personalmente dal maestro
di casa ! \'ivendo il padre, egli non avrebbe dunque
potuto conseguire il suo scopo; e il principe poteva
vivere cent' anni, come tanti di queg'li Uzeda che ave-
vano il cuoio duro, se il vecchio sangue non si scom-
poneva prima del tempo — E Consalvo che, ragio-
nando freddamente, mettendo a calcolo tutto, faceva i
suoi conti sulla morte del padre come sopra un avve-
nimento necessario alla propria felicità, considerava
anche un altro lato della quistione : l' insufficienza di
tutta la sostanza paterna, il giorno in cui egli ne sa-
rebbe stato unico padrone, a dargli le soddisfazioni che
andava cercando. Grande lagg-iù, e anche da per tutto,
D» Hob?rto. l Viceré - Il 9
per uno che non avesse voglie smodate, il patrimonio
del principe di Francalanza era per Consalvo poco più
che la mediocrità, a Roma. La morte del padre era
dunque inutile ; egli doveva cercare un altro mezzo.
E li, alla capitale, quando vi passò di ritorno, egli lo
trovò.
Lo zio duca, fra le altre lettere, gliene aveva date
parecchie per i colleghi del Parlamento. All' andata, egli
aveva visto un momento l'onorevole Mazzarini, giovane
avvocato della provincia di Messina, il quale faceva la
politica continuando ad esercitare la professione. Di ri-
torno, Consalvo pensava a tutti fuorché a costui, pel
quale sentiva un profondo disprezzo di razza, quando
una sera si vide accostato per via dall' Onorevole. « Di
nuovo a Roma, principino ? Di ritorno, naturalmente ?
Ma perchè non m'avete avvertito del vostro arrivo?
Sarei venuto a trovarvi, m' avreste fatto tanto piacere!
E vi siete divertito certamente, non c'è bisogno di do-
mandarlo I » Colui parlava a vapore, gestendo, dandogli
confidenzialmente del voi, mettendogli le mani addosso.
E Consalvo, che alle dimostrazioni d' intimità restava
freddissimo, si tirava indietro, schifando ogni contatto.
L' Onorevole però, quantunque accusasse un gran da
fare, e avesse infatti lasciato un crocchio di gente che
lo attorniava, lo trattenne un pezzo ; prima di lasciarlo
gli disse : « Ci vedremo domani ; verrò a trovarvi all' al-
bergo »
Consalvo fu tanto stupito che non ebbe tempo di le-
varselo dai piedi. Ed il domani Mazzarini, venuto a
prenderlo, lo invitò a desinare con lui, trascinandolo
ai Morteo. \' 'erano molti altri deputati, una quantità
di clienti li circondava ; Mazzarini stesso, prima di po-
tersi sedere a tavola, dovette sbarazzarsi di quattro o
cinque persone che lo aspettavano, e per tutta la du-
rata del pranzo parlò della moltitudine delle sue fac-
cende, delle combinazioni politiche, degli affari pubblici ;
un fattorino del telegrafo gli portò due dispacci, dei
quali egli firmò la ricevuta masticando a due palmenti,
— r3i —
niaccliianclo d'inchiostro il tovagliolo che teneva appeso
al collo. Le persone che traversavano il caffè lo saluta-
vano, egli rispondeva loro, interrompendosi con un « Ca-
\aliere !...)> o un « Caro commendatore !... » Alle frutta,
aveva una piccola corte d' intorno alla quale parlava,
con g-rande animazione, di Roma, di quel che biso-
g"nava fare per renderla degna dei suoi destini, per
affermarne l' italianità, per tenere a segno il Vaticano.
Finito il pranzo, un po' alticcio, prese a braccio Con-
salvo il quale fremè a quel contatto ; ma il deputato,
con un sorriso che voleva esser discreto ed era beato,
esclamò : « È dura la via della politica, specialmente
quando bisogna lavorare per \ivere; ma, in fin dei
conti, procura anch'essa qualche soddisfazione!... E
voi, principino, non pensate di mettervi nella vita pub-
blica ?...
Parole dette così, sbadatamente, per continuare a
parlare ; ma Consalvo ne fu abbagliato. Stanco, infa-
stidito, disgustato dalle chiacchiere dell' Onorevole,
dalla confidenza con la quale lo trattava, da queir igno-
bile pranzo che ave^■a dovuto ingozzare per forza, egli
si vide in un momento schiuder dinanzi, diritta ed age-
vole, la via che andava cercando, quella che d' un umile
faccendiere come Mazzarini faceva un uomo importante,
riverito e corteggiato ; quella che permetteva di rag-
giungere la notorietà e la supremazia non in una sola
regione o sopra una sola casta, ma in tutta la nazione
e su tutti. Deputato, ministro — Eccellenza ! — presi-
dente del Consiglio, Viceré per davvero ; che cosa oc-
correva per ottenere quei posti ? Nulla, o ben poco.
-Mazzarini aveva parlato delle aspre lotte sostenute nel
proprio collegio ; ma il duca di Oragua non possedeva
un feudo elettorale che, naturalmente, sarebbe passato
al nipote ? Per farsi conoscere, l'avvocato aveva do-
vuto crearsi pazientemente, accortamente, una clien-
tela : il principino di Mirabella 1' aveva già bell'e pronta.
Alla cultura, alla competenza, egli non pensava : se
aveva potuto fare il deputato un ignorante come suo
— 132 —
zio, egli si credeva capace di reggere i destini della
nazione. La forza della memoria, la facilità della pa-
rola, la sicurezza dinanzi alla folla che erano mancate
al duca e lo avevano tormentato per tutta -la vita accre-
scendo la sua miseria intellettuale. Consalvo le posse-
deva : a San Nicola, dinanzi ai monaci che s'empivano
il buzzo di cibo o al cospetto della folla che veniva ad
ascoltar le prediche di Natale ; più tardi nelle vie della
città, nelle taverne, attorniato da gente d'ogni risma,
egli aveva fatto sfoggio d'eloquenza : gli sguardi fissi
su lui, il silenzio dell'uditorio aspettante non lo ave-
vano mai sgomentato. Che altro occorreva ?
Aveva promesso alla zia di baciare, oltreché le mani
a Francesco II, anche i piedi al Santo Padre : egli sop-
presse questa seconda visita, poiché g'ii conveniva mu-
tare non solo le abitudini ma anche le idee. Fin a quel
momento era stato borbonico nell'anima e clericale per
conseguenza, quantunque non credente, anzi scettico
sulle cose della religione al punto di non andare a sen-
tire la messa: altro capo d'accusa mossogli da quel
bigotto di suo padre. Adesso, per mettersi e riuscire
nella nuova via, egli doveva esser liberale e mangia-
preti come Mazzarino Andò tuttavia a visitare lo zio
Lodovico. Monsignore l'accolse con l'untuosità con-
sueta, con le fredde espressioni d'un sentimento preso
ad imprestito per la circostanza. L'antico Priore di
San Nicola pareva conservato sott'aceto : asciutto, senza
un pelo bianco, con la faccia liscia, nessuno lo avrebbe
giudicato sulla cinquantina. Ed i suoi occhi sfavilla-
rono quando, richiesto dal nipote se sarebbe tornato
in Sicilia, rispose piano, modestamente :
— No, pel momento. E i miei nuovi doveri mi trat-
terranno ancora più a Roma
— Che doveri, zio?
Egli abbassò le ciglia, dicendo :
— ■ Il Beatissimo Padre vuole, senza merito mio,
destinarmi alla sacra porpora
Furbo, quello li : arrivato a furia di furberia !... Con-
— U3 —
salvo se Io propose a modello. Frattanto, invece di
fug-g-ire 3ilazzarini, lo andò cercando, si fece g^uidare
da lui alla Camera ed al Senato per esaminar subito
il campo della sua azione futura. Allora comprese che,
se ad occupare un posto di deputato gli mancava sol-
tanto l'età, g-li occorreva qualche altra cosa per salire
più in alto. Per tanto, tornato a casa, nessuno lo rico-
nosceva. Persuaso che gli conveniva studiare, co-
minciò a comprare libri su libri, d'ogni genere e d'ogni
grossezza : li divorava da cima a fondo o li spilluz-
zicava prendendo note, pieno di buoni propositi, sul
principio, disposto a fare sul serio. Tutte quelle ma-
terie erano tali che non occorreva l'opera del maestro :
bastava la preparazione superficiale che egli posse-
deva e la naturale intelligenza. Il latino dei monaci,
quello studio detestato, adesso gli giovava a qualche
cosa. Più tardi, col fervore d'un neofita, con la pre-
sunzione degli Uzeda che non conoscevano ostacoli,
comperò grammatiche e libri di lettura spagnuoli,
inglesi e tedeschi per apprender da sé quelle lingue.
La fama della sua conversione si diffuse subito. Stu-
piti, sospyettosi o rallegrati, i parenti, gli antichi amici,
gli stessi servi, dissero che stava tutto il giorno a
tavolino. Associatosi al Gabinetto di lettura, lui, il
fondatore del Club aristocratico, vi andava a discu-
tere di politica e d'amministrazione, a criticare o lo-
dare uomini e cose, a nominare autori e citar opere.
Una sera che Giulente e il duca, in casa di quest'ultimo,
discutevano a proposito dei dazii di consumo, se con-
venisse meglio al Comune appaltarli o riscuoterli per
conto proprio, Consalvo disse la sua, con grande sfog-
gio di erudizione. Uscendo di lì. Benedetto esclamò
con tono scherzoso di protezione :
— Ti faremo consigliere comunale, appena avrai
l'età!...
— Perchè? Xo !... — esclamò egli — E poi, come
si fa ?
— Perchè ? Per avere un posto nella rappresentanza
del tuo paese ! Quanto al modo, è semplicissimo.
— 134 —
Innaazi tutto lo presentò al Circolo Nazionale. Al-
cuni socii fecero qualche difficoltà. Era degli Uzeda
liberali o dei retrivi ? Più d'uno assicurò che era bor-
bonico come la zia Ferdinanda; che anzi, a Parigi,
era andato a far visita a Francesco II. .Ma Giulente
si portò garante dei liberi sensi del nipote : all'ex-Re
aveva fatto, era vero, una visita, ma costretto dai
parenti ; una visita di pura forma, del resto, che non
lo impegnava a niente. Fino a quel momento era stato
un ragazzo irresponsabile delle idee che aveva potuto
esprimere ; adesso, se chiedeva di far parte del Cir-
colo, significava che ne approvava il programma. Né
conveniva rifiutarlo, perchè altrimenti egli avrebbe
potuto gettarsi in braccio ai reazionarii Gli scru-
polosi si contentarono di quelle assicurazioni, mormo-
rando tuttavia che, secondo una certa versione, il
principino aveva augurato al Re spodestato di rivederlo
nella reggia di Napoli — Quando Consalvo seppe che
correva questa voce, protestò con tutte le sue forze
che era una menzogna sfacciata, della quale non ca-
piva l'origine. Ma, preso a quattr'occhi il maestro di
casa, che solo poteva averla messa in giro, gli gridò
sul muso :
— Tu, bestione, hai scritto che io ho detto a Fran-
cesco II che voglio rivederlo a Napoli e il diavolo che
ti porti ?
Imbarazzato e confuso, Baldassarre rispose :
— Eccellenza, si
— • E chi t'ha detto una simile bestialità?
— Me lo disse padre Gerbini, che l'udì dire a \'ostra
Eccellenza....
Alzato il braccio in atto di minaccia, Consalvo in-
giunse :
— Un'altra volta che ripeterai simili corbellerie, li
piglierò a scapaccioni, hai capito?
E fu ammesso al Circolo a pieni voti. Allora bisog^nò
sentire donna Ferdinanda ! Già ella, subodorato qual-
cosa dell'apostasia, aveva afferrato pel braccio il ni-
— 135 —
potè, gridandogli : « Bada che non li guarderò più in
faccia ! Bada che non avrai un soldo da me ! » E Con-
salvo le aveva risposto facendo l' indiano, protestando
la propria innocenza : « Che hanno dato a intendere
a Vostra Eccellenza ? » Ma Lucrezia le andò un bel
g-iorno a portar la notizia dell'ammissione del nipote
al Circolo. Schiumava anche lei dall' indig'nazione ; ma,
in fondo andava a denunziare Consalvo alla zia per
farglielo cader dal cuore, gliene parlava male per
entrar ella nelle sue buone grazie, per vendicarsi della
principessa.
— Ah, mala razza!... Ah, gesuiti!... Ed a me di-
ceva che non era vero!...
La vecchia non poteva tollerare singolarmente che
quel mariuolo avesse tentato d' infinocchiarla spudora-
tamente.
— Ma vorranno star freschi tutti quanti !... \*oglio
vederli crepare, tutti quanti !...
E andata a prendere, come dieci anni addietro, pel
matrimonio di Lucrezia, la solita carta che teneva
nell'armadio, la lacerò in mille pezzi dinanzi alla ni
potè.
— Neanche un soldo ! Cosi !
Anche Chiara, poiché suo marito s'era venuto a poco
a poco accostando alle idee liberali, fiottò contro il ni-
pote e contro il marito. Don Blasco, invece, liberale di
data oramai quasi aniica, approvò la conversione del
nipote; il quale, lasciando che ciascuno di quei pazzi
dicesse la sua, fece il suo esordio al Circolo, una sera
che l'assemblea discuteva intorno ai trattati di com-
mercio. Nella sala, angusta, la gente era stipata e le
seggiole si toccavano. Per evitare contatti. Consalvo
aveva tirato la sua fuori della fila, distruggendone
l'ordine ; e mordendosi i baffetti, stava a sentire con
aria di grave attenzione. Ma quando il presidente an-
nunziò : « Se nessuno domanda la parola, metto ai voli
le conclusioni della commissione, » il principino s'alzò.
— Domando la parola.
— 136 —
Immediatamente si fece un profondo silenzio, e tutti
gli sguardi si diressero su Consalvo. Rivolte le spalle
al muro, guardando da un lato l'assemblea, dall'altro
la presidenza, egli cominciò :
- — Signori, io vi debbo innanzi tutto chieder venia
dell'ardimento di cui potrete accusarmi vedendomi, ul-
timo arrivato fra voi, osare di prender la parola in-
torno a una grave materia, oggetto di cosi accurato
esame da parte di socii ai quali volendo ma non po-
tendo dare il nome di colleghi, debbo e voglio dare
quello di maestri.
ri laborioso periodo fu detto con tanta sicurezza,
uscì cosi ^filato, era cosi abile ed opportuno, solleticava
tanto l'amor proprio dei precedenti oratori, riusciva
cosi inaspettato sulla bocca d' un giovanotto conosciuto
fino a quel momento solo per le sue prodigalità ed i
suoi vizii, che molti mormorarono: «Bravo!...
Bene !... »
Egli continuò. Disse che se il suo ardimento poteva
giudicarsi grande, egli sapeva che non meno grande
era l' indulgenza del suo uditorio. Qualificò come « mo-
dello del genere » la relazione della commissione, la
disse « degna veramente d' un Parlamento ». Ne citò
due o tre paragrafi quasi letteralmente ; quel prodigio
di memoria sollevò un lungo mormorio ammirativo.
Ma forse l' indulgente assemblea aspettavasi che egli
esprimesse la propria opinione? E questa egli espri-
meva « con peritanza di discepolo ma saldezza di apo-
stolo ». Egli era per la libertà ; per la libertà « che è
la più grande conquista dei nostri tempi » ; della quale
« non si può mai abusare », perchè essa è « correttivo
di sé stessa ». I vantaggi del libero regime erano in-
finiti, perchè « come dice il celebre Adamo Smith nella
sua grande opera — » e infatti «opina anche il grande
Proudhon » ma quantunque « il famoso Bastiat non
ammetta », pure « la scuola inglese è del parere.... » Lo
stupore e il piacere erano propriamente grandi, tutt' in-
torno; Benedetto godeva come d'un personale trionfo,
— ^37 —
pareva dicesse: «Avete visto? E quando io vi garen-
tivo?... n Salve d'applausi interrompevano tratto tratto
quel discorso che tutti credevano improvvisato, con
tanta disinvoltura era detto ; ma un vero trionfo suc-
cesse all'argomentazione finale : la necessaria corri-
spondenza tra la libertà economica e la politica : « le
piij grandi garanzie di benessere e di felicità, le ra-
gioni d'essere di questa giovane Italia, ricomposta
ad unità di nazione libera e forte per virtù di popolo
e Re !... »
III.
Una notte, mentre al palazzo tutti dormi\ano tranne
Consalvo curvo sui volumi di Spencer, fu picchiato
con grande fracasso al portone : Carino, il marito della
Sigaraia, chiamava il principe a rotta di collo perchè
a don Blasco era venuto un accidente.
Il monaco, floscio come un otre sgonfiato, rantolava.
La vigilia aveva fatto una solenne scorpacciata e cion-
cato largamente : spogliato e messo a letto da donna
Lucia, s'era addormentato di botto; ma nel mezzo
della notte un sordo tonfo aveva fatto accorrere tutti
quanti, e allora s'era visto il Cassinese disteso quant'era
lungo in terra, $enza più sentimento. La Sigaraia, le
figliuole, la serva non la finivano di raccontar la di-
sgrazia; ma Carino, che lasciata l'ambasciata al prin-
cipe e chiamato un dottore, era tornato di corsa a casa,
aveva la ciera rannuvolata e non diceva verbo. Mentre
il medico dichiarava di non poter far nulla, perchè il
colpo era fulminante, e le donne ricominciavano a con-
tristarsi, e ad invocare la Bella Madre Maria e tutti
i Santi del paradiso. Carino prese per un braccio il
principe appena arrivato e lo trascinò in una stanza
remota.
— Eccellenza, siamo rovinati ! Ho frugato da per
- 138 -
lutto, e non c'è niente ! Rovinata Vostra Eccellenza e
rovinati noi ! Dopo tanti anni che l'abbiamo servito !
E quelle creature anch'esse ! Sua Paternità non doveva
farci un simile tradimento !
, — A\cte cercato bene?
— La casa sottosopra, Eccellenza; che appena suc-
cesse la disgrazia presi le chiavi e frugai da per
tutto.... neir interesse di Vostra Eccellenza Ma po-
tevo credere a una cosa simile ? Dopo che Sua Pa-
ternità aveva promesso dodici tari al giorno alle ra-
gazze ? È un tradimento ! Sono rovinato ! E \"ostra
Eccellenza pure.... Io credevo che il testamento fosse
scritto da anni, dall'altra volta che gli prese il capo-
giro....
— L' avrà forse dato al notaro ?
— Ala che notaro ! Sua Paternità non voleva sen-
tirne, e anzi quando il notaro Marco gli parlò in pro-
posito per amicizia a noi gli rispose brusco che
il testamento l'avrebbe fatto da sé e chiuso nella sua
cassa!... Ma non c'è niente in tutta la casa — Se
avessi saputo una cosa simile !... — E tacque, guar-
dando il principe.
— • Che avreste fatto ?
— Avrei scritto io il testamento, secondo le sue
intenzioni per darglielo a firmare — La firma ce
Pavrebbe messa in mezzo minuto — Potevo anche —
Ala in quel punto chiamarono di là. Il dottore, tanto
per contentare « la famiglia », aveva ordinato che si
cavasse sangue al fulminato e gli s'attaccasse qualche
mignatta alle tempie; Garino scappò per' eseguire gli
ordini del dottore, t' il principe si mise a girare per la
casa.
Faceva giorno quando Acnnc il salassatore. L'opera-
zione non giovò quasi a nulla ; solo gli occhi del mo-
ribondo s'aprirono un momento; ma né un muscolo si
scosse, né una parola uscì dalla bocca serrata. Col
giorno venne la principessa. Gli altri parenti non sa-
pevano ancora nulla, e cominciarono ad arrivare più
— 139 —
tardi, uno dopo l'altro; entravano un momento nella
camera dell'agonizzante e poi passavano nella stanza at-
tigua, girellonando, cercando il momento di prendere
a parte il principe, per dirgli in un orecchio :
— C'è testamento?
— Non so.... non credo.... — rispondeva il prin-
cipe. — Chi pensa a queste cose per ora ?
Invece non pensavano ad altro, divorati dalla curio-
sità, dalia cupidigia dei quattrini del monaco. Dopo la
vecchia principessa, don Blasco era il primo Uzeda da-
naroso che se ne andava; Ferdinando non era con-
tato : aveva poca roba e quella poca era stata carpita
dal principe. Il Cassinese, invece, tra i due poderi, la
casa e i risparmi! lasciava quasi trecentomila lire, e
tutti speravano di rasparne qualcosa. Se non c'era testa-
mento i due fratelli Gaspare ed Eugenio e la sorella
Ferdinanda avrebbero ereditato; e la zitellona, dopo
una vita d' inimicizia, aspettava d'arruffar la sua parte.
Tutti gli altri, al contrario, aspettavano un testamento
che li nominasse. Il principe dichiarava piano all'orec-
chio dello zio duca che non sperava nulla per sé, ma
qualcosa per Consalvo, e di mezz'ora in mezz'ora spe-
diva al palazzo qualcuno dei camerieri della paren-
tela, accorsi coi padroni, perchè chiamassero suo figlio.
Ma il principino dapprima aveva risposto che era a
letto, poi che dovevano dargli il tempo di vestirsi, poi
che stava per venire, e finalmente gli ultimi messi non
lo trovarono più. Se n'era andato al Circolo Nazionale
per assistere all'adunanza d'una commissione inca-
ricata di studiare il piano regolatore della città. Arrivò
finalmente quando attaccavano le mignatte all'agoniz-
zante. Il principe non gli rivolse neppure la parola e
prese invece in disparte Garino che in quel momento
tornava per la quarta o la quinta volta. Poi il ma-
rito della Sigaraia entrò nella camera del moribondo,
che sua moglie e le ragazze non lasciavano un mo-
mento. Invece di giovare, le sanguisughe affrettarono la
catastrofe; Garino affacciossi sull'uscio, annunziando:
— 140 —
— Il Signore i' ha chiamato con sé !
Tutti entrarono nella camera del morto. Era im-
mobile, stecchito, con gli occhi chiusi, con le tempie
butterate dai morsi delle mignatte. L'odore nauseante
del sangue appestava la camera, come una beccheria;
e c'era per terra e sui mobili una confusione straordi-
naria : panni disseminati qua e là, catinelle piene
d'acqua, caraffe di aceto. La Sigaraia, dischiusa im-
mediatamente la finestra perchè l'anima del Cassinese
potesse volarsene difilato in paradiso, disponeva, sin-
ghiozzando, due candele sul comodino. Le ragazze
piangevano come due fontane e Lucrezia pareva avesse
perduto il suo secondo padre ; ma i pianti e le preci
a poco a poco cessarono ; e allora, asciugatisi gli
occhi, Lucrezia disse, molto tranquillamente :
— Adesso che lo zio è in paradiso, potremmo ve-
dere se c'è testamento.
Nel silenzio di tutti, il principe, come capo della
casa, fece un gesto di consenso. Ma donna Lucia, che
finiva d'accendere le candele, si voltò e disse:
— C'è testamento, Eccellenza. La sant'anima, per
sua bontà, me lo diede a serbare. Vado a prenderlo
subito.
'Si potevano udir volare le mosche mentre la donna
consegnava al principe una busta aperta, e questi, per
deferenza, la passava allo zio duca. Il duca diede una
occhiata al foglio dove c'erano poche righe di scritto,
e senza leggere, annunziando il contenuto dei brevi
periodi a mano a mano che li scorreva, disse :
— Erede universale Giacomo.... esecutore testamen-
tario.... un legato di duecent'onze l'anno a don Matteo
Carino
— Nient'altro ?... E nient'altro ?... ^ — domanda-
rono tutt' intorno.
— Non c'è altro.
Donna Ferdinanda s'alzò e si mise a leggere il foglio
prendendolo dalle mani del principe a cui il duca
l'aveva passato; ma Lucrezia, venendo a metterglisi
al fianco, le disse :
— t4i —
— ■ \'ostra Eccellenza mi lasci vedere.
Il principe pareva del lutto disinteressato. Le due
donne che stavano chine sul documento scambiarono
sottovoce qualche parola ; poi Lucrezia annunziò, forte :
— Questo testamento è falso.
Tutti si voltarono. Il principe, con estremo stupore,
esclamò : ' •
— • Come falso ?
— Falso ? — saltò su Garino, che se ne stava nel
vano d'un uscio.
— Ho detto che è falso, — ripetè Lucrezia, dando
uno spintone a suo marito che voleva leggere anche
lui il foglio. — Questa non è scrittura dello zio; la
scrittura dello zio la conosco.
— Lasciami vedere !... — e Giacomo considerò atten-
tamente i caratteri, mentre tutti gli altri gli s'affol-
lavano intorno, esaminandoli anch'essi.
— T'inganni, — disse il principe freddamente; —
è scrittura dello zio.
Degli altri nessuno espresse un'opinione. Con tono
di fine ironia, Lucrezia replicò :
— Allora, vorrei sapere quando l' ha scritto. Sta-
notte ? C'è ancora la sabbia attaccata !
La Sigaraia intervenne :
— Eccellenza, Sua Paternità scrisse il testamento
ieri l'altro, perchè, poveretto, il cuore gli parlava e
gli diceva che la sua fine era prossima —
— • E perchè non ne avete detto nulla ? — domandò
allora donna Ferdinanda.
— Eccellenza
— Io ne fui avvertito, — * affermò il principe.
— Ma a noi dicesti che non credevi ci fosse testa-
mento
— Avresti potuto farcelo sapere, — ribattè donna
Ferdinanda.
— ■ Ma che ! — ■ riprese Lucrezia, dando un altro
spintone a Benedetto, il quale le faceva qualche osser-
vazione prudente all'orecchio: — È un testamento
— 142 —
falso, si vede dalla freschezza della scrittura e anche
dalla firma. Lo zio firmava Blasco Placido Uzechi, col
secondo nome preso in religione
Carino allora credette -di dover dire la sua :
^- Eccellenza, allora A'ostra Eccellenza crede....
— Voi state zitto ! — esclamò Lucrezia, sprezzan-
temente, superba di fare atto d'autorità dinanzi a
tutta la parentela.
— \'ostra Eccellenza è la padrona — continuava
nondimeno il Sigaraio, con aria dignitosa. — ma non
può offendere un galantuomo.^ Allora 1' ho fatto io, il
testamento falso ?
E a un tratto la Sigaraia scoppiò in pianto.
— Quest'affronto!... Maria Santissima!...
Il duca, il marchese, Benedetto intervennero tutti
insieme :
— Chi ha detto questo?... State zitta, in un mo-
mento simile — Silenzio, vi dico: che è questo modo?
— • Tu accetti il testamento? — insisteva Lucrezia,
rivolta al fratello.
— Sicuro che l'accetto !
— Allora ce la vedremo in tribunale ! Intanto chia-
mate l'autorità per mettere i suggelli....
E la Sigaraia che si strappava i capelli, di là, ingi-
nocchiata dinanzi al morto :
— Parlate voi !... Ditelo voi se è vero !... Una simile
ingiuria!... Dopo tant'anni che v'abbiamo servito!...
Parlate voi dal paradiso, con la bocca della verità !...
E la lite scoppiò, più feroce di tutte le precedenti.
Donna Ferdinanda non scherzava, all' idea che le ave-
vano tolto la sua parte della successione ; ma Lucrezia
era implacabile per la rivincita da prendere su Gra-
ziella che l'aveva trattata male e anche un po' perchè
sperava sull'eredità dello zio come un mezzo di met-
tere in piano l'amministrazione della propria casa :
dacché la teneva lei, non c'erano quattrini che bastas-
sero. Il marchese, bonaccione, voleva evitare lo scan-
<ialo ; ma Chiara, per fare il contrario di ciò che egli
\oIeva, si schierò contro Giacomo con la zia. A poco
a poco tutto l'amor suo pel marito s'era rivolto al ba-
stardo ; e poiché Federico era sempre vergognoso della
paternità clandestina e non voleva riconoscerla, l'odio
antico per il marito che le avevano imposto s'era ve-
nuto ridestando in lei. La sua testa di Uzeda sterile
aveva concepito e maturato un disegno : lasciare Fe-
derico, adottare il bastardello e portarselo via ; avendo
bisogno di quattrini, sperava nella sua parte dell'ere-
dità di don Blasco. Ella, Lucrezia e donna Ferdinanda
si nettavano quindi la bocca contro quel falsario di
Giacomo, contro quel ladro che voleva la roba del
monaco come aveva carpito le (Hiiande alla felice me-
moria di Ferdinando : contro quello sbirro di Garino,
anche, che aveva proposto ed eseguito il colpo, che al
tempo in cui esercitava l'onorato mestiere di spia s'era
provato ad imitare le scritture dei galantuomini, per
rovinarli dinanzi alla polizia. 'Ma il più bello che era ?
Che un ladro aveva rubato l'altro; giacché Garino, il
quale doveva farsi lasciare dodici tari al giorno, sol-
tanto, aveva calcato la mano, mentre c'era, portando il
legato a 200 onze l'anno I Né il principe poteva fiatare,
perchè altrimenti si sarebbe dato la zappa sui piedi!...
Garino e la Sigaraia giuravano e spergiuravano che
era tutta un'infamia inventata dalla parentela, la quale
non aveva mai potuto andare d'accordo. A chi vole-
vano dunque chela buon'anima lasciasse? Alla sorella
ed ai fratelli, che aveva amato come il cane i gatti?
L'erede naturale era il principe, il capo della casa !
Quanto ad essi, niente di più naturale che la sant'anima
si fosse disobbligato dei loro buoni servigi ; anzi, per
dire la verità, chi si sarebbe aspettata quella miseria
di 200 onze, dopo quanto avevano fatto per lui?...
O fatto o non fatto, donna Ferdinanda spedi la
prima carta bollata, in cui impugnava il testamento e
domandava una perizia al tribunale. Il principe si
strinse nelle spalle, ricevendola. Per lui, niente era più
.- M4 —
«doloroso» delle liti in famiglia; e a tutte le persone
che incontrava esprimeva il suo profondo rammarico
per la condotta della zia e delle sorelle. Ma che poteva
farci ? Poteva rinunziare all'eredità ? Erano esse le
os.tinate, le prepotenti e le pazze!... In casa, però,
egli era divenuto piia irascibile di prima. Contegnoso
in presenza di estranei, sfogava dinanzi alla moglie, ai
figli ed ai servi la contrarietà e l'acredine. Teresa,
veramente, non gli dava nessun appiglio, sempre do-
cile e obbediente ; la principessa anche lei chinava il
capo al soffio della bufera ; ma egli se la prendeva tutti
i momenti col figliuolo, attribuendo all'apostasia poli-
tica di costui r inasprimento di donna Ferdinanda.
— S'è messo in urto con sua zia che gli voleva
tanto bene, cotesto imbecille, cotesto buffone ! Perderà
l'eredità, per andare a dir buffonate al circolo e al
quadrato ! E mi fa piovere una lite sulle spalle ! Io
domando e dico se mi poteva capitare maggior di-
sgrazia d'avere un figlio cosi bestia e birbante!...
Ma, oltre quella, egli aveva tante altre ragioni di
cruccio. Più che mai infervorato nelle sue nuove idee,
deciso colla cocciutaggine di famiglia a percorrere la
strada prefissa, Consalvo spendeva adesso a libri un oc-
chio del capo.- Ne faceva venire ogni giorno, intorno
ad ogni soggetto, dietro una semplice indicazione del
libraio, senz'altro criterio fuorché quello della quan-
tità, con la stessa smania di sfoggiare e di far le cose
in grande che, prima, quando l'eleganza degli abiti
era il suo unico pensiero, gli faceva comperare i ba-
stoni a dozzine e le cravatte a casse. Era umanamente
impossibile, non che studiare, ma neppur leggere tutta
quella carta stampata che pioveva al palazzo, le opere
in associazione, le voluminose enciclopedie, i dizionarii
universali ; e ad ogni nuovo arrivo il principe montava
peggio in bestia.
— Vedi ?... — rispondeva Consalvo a Teresa, quando
la sorella andava a parlargli il linguaggio della pace
e dell'amore. — Vedi ? S'è proprio messo in capo di
~ 145 —
rontraiiarmi in tutto e per tutto. Che faccio di male?
C'è cosa che più raccomandano, oggi : lo studio ? il
sapere? No: neppur questo!...
E quando il principe se la pigliava direttamente con
lui, e gli rimproverava il dissidio con la zia e lo sciupio
dei quattrini :
— Io penso con la mia testa, — rispondeva fred-
damente il figlio. — Ciascuno è libero di pensarla
come crede. Mia zia non può impormi le sue idee
e se spendo qualche cosa a libri, domando altro?...
Ogni domenica c'era un'altra lite per la messa. Con-
salvo si seccava di andare a sentirla, sorrideva d'un
ambiguo sorriso allo zelo religioso del padre : costretto
a confessarsi, recitava al vecchio Domenicano una fila-
strocca di bislacchi peccati. Punzecchiava anche la
sorella pel fervore che ella metteva nelle devozioni ;
\oltava le spalle alle tonache nere che bazzicavano
per la casa. Il principe aveva fatto costruire, nel cam-
posanto del Milo, un monumento di marmo e bronzo
sulla sepoltura della prima moglie : negli anniversarii
della morte andava lassili con la principessa e Teresa,
faceva dire molte messe pel riposo dell'anima della de-
funta, portava grandi corone di fiori sulla tomba. Con-
salvo non andava mai insieme con la famiglia : o un
giorno prima, o un giorno dopo. Ad ogni pretesto ad-
dotto dal figlio, il principe lo guardava fisso; poi si-
lasciava condurre via dalla moglie, la quale lavorava a
metter pace, ad evitar liti. E adesso l'urto era piìi tra
figlio e padre che tra figliastro e madrigna ; Consalvo
si piegava piuttosto ad una buona parola della princi-
pessa che alle ingiunzioni del principe.
Un giorno annunziò che aveva preso un professore
di tedesco e d' inglese. Il padre, dopo averlo guardato
bene in viso, gli domandò :
— Mi spiegherai una volta che diamine vuoi fare ?
Consalvo, dopo averlo guardato anche lui :
— Quel che mi pare, — rispose.
A un tratto il principe diventò rosso come un gam-
De Roberto. 1 Viene - II 10
— 146 —
bere, e levatosi da sedere, quasi una nioUa lo avesse
spinto, si precipitò contro il figliuolo, gridando :
— Cosi rispondi, facchino ?
vSe la principessa e Teresa non si fossero slanciate
a trattenerlo, e se Consalvo non fosse andato subito
via, sarebbe finita male. Da quel momento la rottura
fu totale. Per ordine del principe, il giovanotto non
venne più a prender i pasti con la famiglia : cosa che
se dispiacque alla principessa, e più alla sorella, fece
a lui grandissimo piacere. Egli vide il padre un mo-
mento ogni giorno, per dargli il buon giorno o la
buona sera ; né costui lagnossi più del mutismo e della
solitudine in cui si chiudeva il figliuolo, anzi evitò
egli stesso d' incontrarlo. Prima del famoso viaggio,
quando i vizii e i debiti del giovanotto procuravano
al principe stravasi di bile, moti nervosi e vere ma-
lattie, un dubbio era sorto nella testa di quest'ultimo :
suo figlio era forse iettatore ? E il dubbio adesso fa-
cevasi strada, quantunque egli non osasse manife-
starlo. Ma perchè, dunque, tutte le volte che egli
affrontava una discussione col figliuolo, gli veniva il
mal di capo o gli si guastava lo stomaco ? Perchè, du-
rante la lunga assenza di Consalvo, egli era stato be-
nissimo? In un altro ordine d'idee, quella conver-
sione politica che aveva acceso il furore di donna
iFerdinanda e coonestata 1' impugnazione del testa-
mento, non era un'altra prova di malefico influsso?
Rivangando nella propria memoria, il principe trovava
altre ragioni di credere a quel funesto potere : una
vendita andatagli male quando il figliuolo aveva detto :
« Sarà diflìcile ottenere buoni prezzi » ; una scossa di
terremoto prodottasi dopo che il giovanotto aveva os-
servato : « L' Etna fuma !... » Pertanto egli era adesso
contento di rion averlo più vicino ; se lo incontrava
per le scale, o traversando le stanze, rispondeva con
un cenno del capo al suo saluto e tirava via; se c'era
una necessità qualunque di stargli da presso, in sa-
lotto, quando venivano visite, gli parlava il meno pos-
sibile, scappava appena poteva.
— t47 —
L'unico mezzo di rimetter la pace in famiglia era
elle il giovane prendesse moglie e andasse a far casa
da sé. Tanto e tanto, aveva ventitré anni, e tra gli
L^zeda gli eredi del principato s'ammogliavano presto.
I lavapiatti, i pettegoli, i curiosi, tutti coloro che s'oc-
cupavano dei fatti dei Francalanza come se fossero i
proprii, aspettavano con impazienza il matrimonio di
lui e di Teresa, discutevano i partiti possibili. Per
Consalvo c'era l' imbarazzo della scelta : il barone
Currera, il barone Requense, il marchese Corvitini, i
Cùrcuma, tanti altri avevano figliuole straricche in
età d'andare a marito; per Teresa la cosa era piìi
difficile. Giovani a un tempo ricchi e nobili tanto da
poterla sposare, non c'erano altri che i due figli della
duchessa Radali. La duchessa, sacrificati i suoi pii^i
begli anni per amor del primogenito, gelosa di lui,
non gli aveva ancora dato moglie, non trovando buono
nessun partito; e se lo teneva cucito alle gonne, quasi
potessero rubarglielo; invece lasciava libero Giovan-
nino, perchè al giovane non venisse voglia d'ammo-
gliarsi. L'eredità dello zio lo aveva fatto ricco quanto
il fratello maggiore, ma tra loro due c'erano differenze
che andavano considerate. Michele non era di fisico
molto vantaggioso, a ventisei anni aveva pochi ca-
pelli ed una corporatura troppo pingue ; ma era il pri-
mogenito, possedeva tutti i titoli della casa ; il se-
condo, che godeva solo di quello non trasmissibile di
barone, era fra i giovani più graziosi ed eleganti.
Quantunque andassero poco dagli Uzeda dacché c'era
una ragazza da marito, — anzi a causa di ciò, — le
voci d'un possibile matrimonio trovavano credito; ma
il principe, se gli domandavano che cosa ci fosse di
vero, dichiarava che prima doveva ammogliarsi Con-
salvo, e la princif)essa si guastava addirittura. « Queste
ciarle mi dispiacciono, non per niente, ma perchè po-
trebbero venire all'orecchio di Teresina, e io sono
molto gelosa : il mio sistema è che le ragazze non
debbano saper certe cose né udire certi discorsi !... »
— 148 —
Teresa pareva non udii'e nò questi né altri discorsi,
e sognare tuttodì ad occhi aperti. Divorava i pochi
libri di versi e i romanzi che la principessa le con-
sentiva di leggere, dipingeva quadretti dove si ve-
devano castelli merlati sorgenti in mezzo a laghi di
cobalto, trovatori con la chitarra ad armacollo, o
più spesso castellane inginocchiate ed oranti. Madonne
col divino Figimolo tra le braccia. Le composizioni
austere e più le sacre erano le preferite dalla princi-
pessa ; e la figliuola lasciava perciò da canto i sog-
getti futili. Questa costante remissione ai voleri altrui,
questo senso di doverosa obbedienza erano sempre vivi
in lei ; più Consalvo dava motivi di cruccio in famiglia,
più ella credeva suo obbligo di evitare ai parenti ogni
più piccolo dispiacere. Le finzioni poetiche dei libri
le accendevano la fantasia e le facevano battere il
cuore, ma se la principessa giudicava troppo lungo
il tempo da lei dedicato alle letture frivole, le smet-
teva addirittura. Spesso udiva lodare un romanzo, un
dramma, un volume di versi, e si struggeva di leg-
gerli, imaginando quanto dovevano esser belli, che
piacere le avrebbero procurato ; non ci pensava più
se la madrigna le diceva : « Xo, Teresina, non sono
per te ». Certe volte quei libri erano posseduti da
Consalvo, il quale, benché s'occupasse, solo di studii
positivi, pure comprava anche la roba amena per far
vedere che era a giorno di tutto ; e allora sarebbe
bastato a Teresa farsi prestare il volume dal fratello
per leggerlo di nascosto; ma quest'idea non le pas-
sava neppure pel capo, per la stessa ragione che, in
collegio, aveva rifiutato di leggere i libri che qualche
sua compagna era riuscita a procurarsi, e non aveva
dato ascolto ai discorsi proibiti delle amiche sven-
tate. Il confessore, la direttrice le avevan detto che
non bisognava neppur parlare di certe cose, ed ella
se ne asteneva, rigorosamente. Come quando era bam-
bina, r idea delle lodi e del premio da ottenere, l'am-
bizione di vedersi additata come esempio alle altre,
— 149 —
vincevano le tentazioni della curiosità, non le facevano
sentire le privazioni che s' infliggeva.
Adesso la conducevano spesso al teatro, d'estate alla
commedia, d'inverno al melodramma; ed ella non sa-
peva veramente dire quale dei due spettacoli le piacesse
di più. Ella stessa comtponeva di tanto in tanto un
valzer, una mazurca, oppure notturni, sinfonie, fan-
tasie senza parole che portavano per titolo : Vorrei !
Incanti, Storia mesta, Ognor e conoscenze, parenti,
amici, tutti andavano in visibilio udendole; lo stesso
maestro, un vecchietto scelto apposta dalla princi-
pessa per non mettere « l'esca accanto al fuoco », pro-
digava grandi lodi : don Cono, il vecchio lavapiatti, le
dava del « Bellini in gonne » ed anzi una volta escla-
mò : « Opino che al concerto bellico convenga appa-
rarle onde eseguirle in pubblico ! » Il concerto bellico
era la musica militare, che godeva la fama d'essere
una delle migliori d'Italia. Teresa si schermì; la prin-
cipessa, tra il piacere di far conoscere a tutti il talento
di « mia figlia » e la repulsione per la pubblicità, non
sapeva risolversi ; il principe, poiché non ne andavan
quattrini di mezzo, era del tutto indifferente ; ma don
Cono, incaponito nella sua idea, venne un giorno a
dire che aveva già parlato al capobanda.
Il maestro venne al palazzo, in compagnia del lava-
piatti : era un giovane cosi bello che pareva .San .Mi-
chele .\rcangelo : bruno di capelli, biondo di baffi,
roseo di carnagione. La principessa, appena lo vide,
cominciò a torcere il muso e a far segni a don Cono
per dirgli che non s'aspettava da lui quella parte :
condurle in casa un tipo simile?..! Intanto il maestro
eseguiva al pianoforte le composizioni della signorina,
con un colorito, un'espressione, un'anima da renderle
irriconoscibili alla stessa autrice; e ad ogni pezzo le
esprimeva una crescente ammirazione, e quando non
ce ne furono più, disse che non sceglieva perchè erano
uno pili bello dt-ll'altro : non potendoli prender tutti,
lasciava clic la stessa « principessa » scegliesse, Tere.sa
— 15° —
g"li diede Storia ìucsta ; ma quando, finito di cavar la
partitura, una settimana dopo, il maestro si presentò
al portone del palazzo, per far vedere il suo lavoro, il
portinaio gli disse che i padroni non ricevevano.
, — Condurmi in casa quel tipo? Non m'aspettavo
un simile tiro da voi ! Si vede bene che non avete
figliuole ! — aveva detto donna Graziella al vecchio
lavapiatti, non riuscendo a darsi pace; ma ella esage-
rava, come in ogni cosa : la principessina di Franca-
lanza poteva forse gettare gli occhi sopra un capo-
banda ?
Storia mesta fu eseguita una domenica, alla Marina,
dalla musica del reggimento : il concerto era veramente
uno dei migliori, e la composizione di Teresa parve un
vero pezzo d'opera, con certi cantabili affidati ad un
corno inglese dolce come una voce umana, e certi ef-
fetti d'organo da far credere alla gente d'essere a S.^n
Nicola, dinanzi allo strumento di Donato del Piano.
Teresa, in carrozza chiusa, sotto i platani, stava a
udire, col cuore che le batteva come se volesse schian-
tarsi, con un nodo di piamo alla gola e pallida in viso
come una rosa bianca, e poi a un tratto di porpora
quando, al finire del pezzo, s' udì uno scroscio d'ap-
plausi La musica sua, quella degli altri, i dramrii,
la poesia l'inebbriavano, la rapivano, la sollevavano m
alto, in cielo, nell'etere azzurro, dove ella non sentiva
più il suo corpo, dove aspirava e beveva, anche tr.\ le
lacrime, la pura felicità. Ma niente delle commozioni
ora dolci, ora ardenti, or tristi, or soavi, or disperate,
ineffabili sempre, che gonfiavano il suo cuore di gioia
o lo serravano dall'angoscia, era noto al mondo. Ella
non si tradiva : mentre l'anima sua era più turbata, al
pensiero dell'amore, nell'attesa dell'amore, dinanzi agli
uomini, ai giovani belli come il cugino Giovannino Ra-
dali ; mentre la fantasia le rappresentava con maggior
evidenza il proprio avvenire, piaceri e dolori, fortune
e sciagure, ella rimaneva tranquilla e composta e se-
rena. Non le costava farsi forza, disperdere quelle fan-
tasie per attendere alle minute o ingrate bisogne reali.
— 151 —
La conoscenza del maestro del reggimento, le sue
lodi, l'esecuzione della musica avevano scatenato una
tempesta in lei ; ma quando il giovane, per divieto della
principessa, non tornò più al palazzo, ella non pensò
più a lui. Don Cono, incaponito nella sua idea, inco-
raggiato dal lieto successo, parlò un giorno all'asses-
sore dei pubblici spettacoli, perchè desse ordine al di-
rettore della musica cittadina di concertare anche lui
le composizioni della principessina. Questo assessore
degli spettacoli era Giuliano Biancavilla, figliuolo di
don Antonio e dalla Bivona, un giovanotto sulla tren-
tina, bruno di carnagione e nero di capelli come un
Arabe, ma fine, elegante e con gli occhi dolcissimi.
Appena udi la proposta di don Cono, diede immedia-
tamente gli ordini opportuni, e la principessa acconsentì
che la figliuola avesse tutte le conferenze occorrenti
col maestro, che era sulla sessantina. Ma quando il
diavolo ha da ficcarci la coda ! Donna Graziella, con
tutte le sue precauzioni, non potè impedire che il gio-
vane assessore mettesse, da lontano, gli occhi addosso
a Teresa ! Al teatro la guardava fiso, senza lasciarla
un istante; al passeggio, la sua carrozza seguiva sem-
pre quella degli Uzeda ; perfino in chiesa si faceva
trovare sul loro passaggio. Appena accortasi di quella
commedia, la principessa riferi ogni cosa al principe,
il quale lasciò cadere tre sole parole :
— È pazzo, poveretto.
E la lingua della moglie cominciò a lavorare. Un
Biancavilla pretendere alla principessina di Franca-
lanza ? Forse perchè una Uzeda aveva sposato un Giu-
lente ? Poveretto, credeva d'avere a fare con un'altra
Lucrezia, quell'assessore!... Nobili, sissignori : i Bian-
cavilla erano nobili, ricchi anche ; ma la loro ricchezza
e la loro nobiltà non li faceva eguali ai Viceré. « Guar-
date frattanto che ardimento e che petulanza ! Far ciar-
lare la gente intorno alla mia figliuola !... » E con tutti
i suoi discorsi, non s'accorgeva di diffondere più rapi-
damente la nuova.
In breve non si parlò d' altro in città. « Gliela da-
ranno?... Non .gliela daranno?...» Ma tutti ricono-
scevano che Biancavilla aveva posto gli occhi troppo
in alto. Baldassarre, specialmente, non sapeva darsi
pace. Egli voleva naturalmente che la principessina
sposasse uno fatto per lei, un barone, a dir poco, ricco
da mantenerla come una Regina ; e pure aspettando
che il principe facesse la sua scelta, in cuor suo aveva
destinato alla padroncina il cugino don Giovannino.
Questo frattanto era per lui certo; che la signorina
non si sarebbe neppure accorta dell'esistenza di Bian-
cavilla.
Invece, alla lunga, gli sguardi del giovane avevano
attirato quelli di lei quasi per virtù magnetica, e le fa-
cevano adesso affrettare e mancare tutt' in una volta
il respiro. Anch'ella lo guardava, di tanto in tanto,
senza vederlo bene, dal turbamento ; ma tornava a
casa felice e ridente quando lo aveva scorto anche da
lontano, e si metteva a improvvisare al pianoforte, tre-
mando da capo a piedi, come se egli potesse udire tutti
i segreti pensieri d'amore confidati allo strumento,
le divine speranze d'eterna felicità In collegio, ella
aveva composto talvolta qualche verso, per le feste delle
maestre, per gli onomastici delle amiche : voleva
adesso scriverne per lui, metterli in musica unicamente
per lui —
Se fosse il pallido
raggio di luna
che a notte bruna
ti posa in fronte ;
se fossi il zeffiro ,
la lieve brezza
ohe t'aiccarezza...
Non riuscì ad andare più innanzi, ma si pose a
comporre una romanza su quel tema, intitolato Se!-..
piangendo di dolcezza, quando non la vede\ano, men-
tre le note appassionale s'in\ola\'ano dal pianoforte,
In inverno, il barone Cùrcuma diede alcuni balli.
Donna Graziella non aveva ancora condotto Teresa in
società, prima di tutto perchè non intendeva che i gio-
vanotti avvicinassero sua «figlia», e poi anche perchè
non aveva giudicato nessuna casa degna d'esser fre-
quentata dalla principessina. Quella dei Cùrcuma, ve-
ramente, poteva passare ; e poi il principe volle che
tutta la famiglia vi andasse. Ma il cuore le parlava, a
donna Graziella : giusto la prima sera, chi ci trovò :
Giu'iano Biancavilla !... Se quel petulante avesse cono-
sciuto un poco il mondo, sarebbe rimasto quieto al suo
posto; invece pensò di farsi presentare e di ballare con
la sua Teresa !... Costei tremava, nelle sue braccia; egli
non le disse altro che qualche parola: «È stanca?...
Grazie!... » ma pare\a a lei d'essere in cielo, mentre
la principessa stava sulle spine e faceva segni al ma-
rito per dargli segno del pericolo. Ma il principe era in
istretto colloquio col padrone di casa; e a un tratto
quel petulante si ripresentò per chiedere alla signorina
una mazurca. Allora donna Graziella intervenne :
— vScusate, cavaliere ; mia figlia è stanca.
Con una gran stretta al cuore Teresa s'accorse del-
l'opposizione della madre. Iniìammato per averla te-
nuta un momento fra le braccia, Biancavilla cominciò a
seguirla per le vie, come l'ombra : la principessa gon-
fiava, smaniava, soffiava : una volta, sulla porta della
chiesa dei Minoriti, passandogli innanzi, esclamò piano,
ma in modo che i vicini potessero udirla : « Che sec-
catore !... »
Teresa pianse a lungo, nascondendo le proprie la-
crime, prevedendo che tutte le sue speranze si sareb-
bero infrante, se i suoi non volevano. Anche i Bian-
cavilla sapevano che gli' Uzeda non avrebbero mai
consentito a- quel matrimonio; ma il giovane, che era
proprio cotto, insisteva giorno e notte presso la madre e
il padre perchè facessero la richiesta ; tanto che un
giorno Biancavilla padre prese il suo coraggio a due
mani e andò a parlare col duca. Onesti, con grande
— 154 —
consumo di « molto onorati » e di «figuratevi con
quanto piacere, per me ! » gii rispose che ne avrebbe
parlato al principe ; Giacomo ripetè allo zio le stesse
tre parole dette alla moglie, con una piccola variante :
«_Sono pazzi, poveretti ! » Quindi il duca rispose a don
Antonio, con molte belle parole, che non se ne poteva
far niente, « perchè il principe voleva prima accasare
Consalvo. »
Non era un 'pretesto. Il principe aveva iniziato pra-
tiche coi Cùrcuma ed era andato in casa loro per com-
binare il matrimonio della baronessina col figlio. Il
partito era stato accettato a occhi chiusi, e l'assiduità
di Consalvo ai balli del barone fu appresa come l'ini-
zio della sua corte alla signorina. Ma egli non sapeva
niente di quanto aveva ordito suo padre, e andava
ora in società per parlare di politica e di filosofia.
Tutto l'oro del mondo non lo avrebbe piegato a fare
un giro di valzer : teneva cattedra nel cerchio degli
uomini, e se avvicinava le signore o le signorine, le
metteva a parte del bilancio comunale, del regola-
mento scolastico e del gettito dei dazii consumo, con
molte citazioni statistiche e proverbii latini. Ripetuta di
bocca in bocca, la notizia del suo matrimonio arrivò
anche a lui ; e allora egli scoppiò in una risata cor-
diale, dicendo, più laconico del padre :
— Sono pazzi !
Prender moglie, sposare una bambola carica d'oro
come quella baronessina, legarsi ancora più stretta-
mente a quel paese dal quale voleva andar via, crearsi
gli avvincenti doveri della famiglia, quando aveva bi-
sogno d'essere libero come l'aria, di dedicare tutte le
proprie energie al conseguimento dello scopo prefis-
sosi ? Matti, davvero ! E la cosa gli parve tanto buffa,
che neppur volle smettere le visite al barone.
Giusto in quel torno, perduta ogni speranza. Giu-
liano Biancavilla parti. Chi diceva che sarebbe andato
a Roma, chi a Parigi, chi aggiungeva che non sarebbe
inai più tornato a casa, senza riguardo al dolore dei
— 155 —
suoi. Il duca, per incarico del principe che aveva paura
di parlare direttamente col figliuolo, annunziò a Con-
salvo che era tempo di prender moglie e che tutta la
famiglia era d'accordo per dargli la baronessina.
— Benissimo, Eccellenza, — rispose il giovane. —
C è però una difficoltà.
— Cioè ?
— Che io non la voglio !
— E perchè non la vuoi ?
— ■ Perchè no ! Si tratta di me o di \'ostra Eccel-
lenza ? Si tratta di me ! Dunque tocca a me manife-
stare la mia volontà. Io non la voglio.
Quando il duca riferi al principe questa risposta,
Giacomo era già fuori della grazia di Dio, per aver
saputo che il perito, incaricato dal tribunale di esami-
nare il testamento del fu don Blasco, s'era pronun-
ziato contro l'autenticità della scrittura. Udendo il de-
cisivo rifiuto del figlio, egli scoppiò, gridando con voce
rauca :
— Ah, iettatore ! Lo fa apposta ! Per farmi crepare !
Ma voglio far crepare lui, prima ! Ditegli dunque che
si scelga chi diavolo vuole : sposi, sposi la prima sgual-
drina che gli piace, una di quelle ciarpe con le quali
andava bagordando quando ancora non s'era fitto in
capo di divenire letterato ! Sposi chi gli piace e vada
al diavolo, perchè io non voglio più trovarmelo fra i
piedi, cotesto iettatore !
— Eccellenza, — rispose il principino allo zio che
gli riferiva la seconda ambasciata, — io non voglio
sposare né la Cùrcuma, né nessun 'altra. Sono ancora
giovane e ci sarà sempre tempo di mettermi la catena
al collo. La cosa certa è che per ora non bisogna par-
larmi di matrimonio. Non sono una donna come la zia
Chiara, che la nonna fece sposare per forza
E la nuova tempesta si veniva addensando sorda-
mente ; i lampi guizzavano negli sguardi irosi del prin-
cipe, i tuoni rumoreggiavano nella sua voce cupa.
— Santo Dio d'amore!.., — diceva la principessa q.
Teresa. — Che dispiacere, questa guerra; che scan-
dalo! E chi sa come e quando finirà.... Ma tu!... Tu
no, non hai dato a nessuno il minimo motivo di do-
lore!... Benedetta!... Sempre santa cosi!...
Teresa si lasciava abbracciare e baciare dalla ma-
drigna, assaporando la lode, dolendosi della guerra tra
il padre e il fratello, votandosi alla Madonna affinchè
la facesse cessare. Che cosa poteva offrire alla Vergine,
per ottenere tanta grazia? L'amor suo per Giuliano?...
Xo, era troppo, era la cosa che più le stava a cuore —
Ella non vedeva più il giovane, non aveva notizia della
richiesta e del rifiuto; sapeva nondimeno che i suoi
non vedevano bene quel partito ; ma la speranza era
in lei viva ancora : un giorno o l'altro il padre e la ma-
drigna avrebbero potuto ricredersi, consentire alla sua
felicità....
Un giorno, invece, scoppiò la tempesta tra il padre
e il fratello. Questi aveva ordinato, di suo capo, senza
dirne niente a nessuno, quattro grandi scaffali per di-
sporvi i suoi libri ; quando il principe vide arrivare
.quei mobili, fece chiamare Consalvo e gli domandò
concitato :
— Chi t'ha permesso d'ordinar nulla, in casa mia?
Il giovane rispose, con la studiata freddezza che fa-
ceva imbestialire suo padre :
— i\vevo bisogno di questi mobili.
— Qui comando io, t' ho detto molte volte, — ri-
battè l'altro, facendo sforzi violenti per contenersi. —
Non s' ha da piantare un chiodo senza mio permesso !
Se vuoi far da padrone, vattene via ! Nessuno ti trat-
tiene !... Prendi moglie e rompiti il collo.
• — Ho già detto, — rispose Consalvo più freddo che
mai, — ho già detto allo zìo che non voglio ammo-
gliarmi
— Ah, non vuoi?... Non vuoi?... Ed io ti butterò
via a pedate, bestione! facchino! animale!...
— Tanto meglio, — soggiunse il principino freddo
come la neve. — Mi farete piacere,..,
^ ^=;7 —
A un tratto il principe impallidi come se stesse per
svenire, poi diventò paonazzo come per un colpo apo-
plettico, e finalmente proruppe, abbaiando come un
cane :
— Fuori di qui !... Fuori di casa mia!... Ora, all'i-
stante, cacciatelo fuori !...
Accorsero, pallidi ed impauriti, la principessa. Te-
resa e Baldassarre ; con la bava alla bocca, il principe
fu trascinato via dalla moglie e dal servo.
Teresa, giunte le mani tremanti dinanzi al fratello,
esclamò con voce d'angosciosa rampogna :
— Consalvo!... Consalvo!... Come puoi fare cosi?
— Tu Io difendi? — rispose il giovane, sempre
calmo, ma con voce un po' stridula. — Difendilo, di-
fendili, gli assassini di nostra madre.
— Ah !
Ella nascose la faccia tra le mani. Quando si guardò
intorno, era sola. Un andirivieni di servi, per la
casa : chiamavano un dottore, applicavano vesciche di
ghiaccio alla fronte del principe. Ella andò a cadére
dinanzi all' imagine di Maria Santissima. Un rimorso,
dopo la scena disgustosa, dopo le terribili parole del
fratello, le serrava il cuore, per non aver voluto offrire
in olocausto l'amor suo, le sue speranze di gioia, pur
di evitare la lite violenta e la tremenda accusa. Ella
chiedeva perdono alla Vergine di tanto egoismo, le
chiedeva conforto ed aiuto, tremante di paura, mal-
ferma come se 11 suolo oscillasse sotto le sue ginoc-
chia. Ed era ancora in ginocchio, quando fu sorpresa
dalla principessa che la chiamava al capezzale del padre.
— Figlia mia ! Figlia mia!... Che cuore di figlia!...
Si, prega la Madonna santa che torni la pace : Ella
sola oramai può fare questo miracolo — Tuo padre non
vuole più vederlo, non lo vuole più in casa; ed egli
non cede!... Tu no! Tu no!...
E tra i baci e le lacrime, le parlò di qualcuno, di
lui , dandole la notizia che era partito :
— Era il meglio che potesse fare. Tu forse lo guar-
- '58 -
davi con simpatia : non te ne incolpo : siamo tutte state
ragazze e so come vanno queste cose. Ma non avresti
potuto esser felice con lui, e tuo padre, il cui unico
scopo è la tua felicità, non voleva.... Non ti avrei par-
lato di tutto ciò senza i dolori che soffriamo, e se
non sapessi che tu sei tanto buona, tanto giudiziosa da
comprendere che tuo padre non può voler altro che il
tuo bene. È vero, figlia mia?...
La prima volta, dopo quella scena, che il principe
udì nominare il figliuolo, gridò :
— • Non parlate più di cotesto iettatore ! Non lo no-
minate più ! O mando via tutti —
La rottura fu definitiva. Il duca, messo a giorno del-
l'accaduto, venne a prendersi Consalvo e lo condusse
per alcune settimane in campagna. Di ritorno, fu de-
ciso che il principino sarebbe andato ad abitare la casa
che il padre possedeva alla .Marina. Il giovane non
chiedeva di meglio. Arredò il quartiere a modo suo, e
passò a starci contento come una pasqua. Faceva
adesso da padrone, non andava più alla messa, rice-
veva chi voleva, invitava a casa sua i pezzi grossi del
Circolo, ai quali mostrava due stanzoni tutti pieni di
carta stampata. I vantaggi erano infiniti. Al palazzo,
non aveva ancora potuto significar bene i suoi senti-
menti liberali, mettendo fuori lumi e bandiere per le
feste patriottiche; qui il 14 marzo e il giorno dello Sta-
tuto inalberava un bandierone grande quanto una
tenda, e disponeva ai balconi una fila di lampioncini
che splendevano malinconicamente nelle tenebre del
quartiere deserto. Poi, restava nel suo studio quanto
voleva, e prendeva i suoi pasti nelle ore più strava-
ganti. Studiava l'Enciclopedia popolare, ne mandava
a memoria gli articoli riguardanti le quistìoni del
giorno, e poi sbalordiva l'assemblea con la propria
erudizione, dicendo : « Su questa materia hanno scritto
Tizio, Caio, Sempronio, Martino, etc, etc. » Come
un tempo aveva gettato sulla folla il suo tiro a quattro,
— '59 —
COSI la schiacciava con tutto il peso della sua dottrina,
e la gente che si tirava da canto, un tempo, per non
restar sotto i suoi cavalli, esclamando tuttavia : « Che
bell'equipaggio ! » adesso lo stava a udire, intronata
della sua loquela, dicendo : « Quante cose sa ! » La na
tiva spagnolesca albagia della razza ignorante e pre-
potente, e la necessità d'adattarsi ai tempi democratici
si contemperavano cosi in lui, a sua insapxita. Pur di
arrivare all' intento, niente lo arrestava, le imprese
più ardue non lo sgomentavano ; leggeva i libri piili
grevi come se fossero romanzi ; come un romanzo
avrebbe letto un trattato di calcolo sublime. Cavava
da quello studio il mediocre profitto che era solo pos-
sibile : acquistava una infarinatura di tutto, ammagaz-
zinava cognizioni disparate, idee contraddittorie, una
scienza farraginosa e indigesta. Ma, in mezzo alla
massa ignorante della nobiltà paesana, si guadagnava
la riputazione di « istruito, » e quando la gente minuta
udiva nominare il principino di Mirabella, tutti dice-
vano : « Quello che ora fa il letterato ? »
Una bella mattina, tra le stampe che la posta gli
portava a cataste, ricevette da Palermo il primo fasci-
colo delVAraìdo Sicolo, opera istorico -nobiliare del
Cavaliere don Eugenio Uzeda di Francalansa e Mira-
bella. Come lui, tutti i parenti, i sottoscrittori, i cir-
coli ne ebbero un esemplare. L'opera storico-nobiliare
cominciava con Brevi cenni amplificati sulle dinastie
che avevano regnato nell' isola : Real Casa Normanna,
Real Casa Sveva, Real Casa d'Angiò e cosi via discor-
rendo fino alla Real Casa Sabauda — che il cavaliere
aveva riconosciuto la nuova monarchia per vender co-
pie del libro alle biblioteche dello Stato. I brevi ap-
punti amplificati fecero ridere Consalvo, la Real Casa
Sabauda fece imbestialire donna Ferdinanda, benché
del resto la vecchia adesso fosse in un immutabile
stato di furore per via della lite ancora indecisa. Ma
la sua collera contro la famiglia del principe s'ac-
crebbe naturalmente, poiché la stampa di quelle « por-
• — t6o —
cherie » era stata possibile per l'anticipazione fatta dal
principe a don Eugenio !...
Dopo aver promesso duemila lire, il principe però
non ne aveva date più di cinquecento, per le quali lo
zio aveva dovuto rilasciargli una cambiale con la data
in bianco; ma, dopo la morte di don Blasco, i rap-
porti finanziarii tra zio e nipote avevano preso una
piega pericolosa. Don Eugenio, dapprima con le buo-
ne, poi con le minacce, scriveva al nipote chiedendo
altri quattrini, perchè, in caso contrario, egli avrebbe
fatto lega con Ferdinanda per impugnare il testa-
mento del fratello ; il principe, da canto suo, con la
cambiale in mano, pretendeva tenere in riga lo zio.
Avviata la stampa dell'opera, il cavaliere piovve un
giorno da Palermo : era più sordido di prima, aveva
l'aria più affamata che mai. Dopo una lunga serie di
trattative, il principe sborsò altre duemila lire, me-
diante le quali don Eugenio rinunziò con apposito atto
a tutto quel che avrebbe potuto eventualmente toc-
cargli nella spartizione dell'eredità del monaco, e ri-
conobbe il nipote proprietario di mille esemplari del-
l'opera.
Il principe aveva capito che l'impresa di quella pub-
blicazione non era poi l'affare sballato che tutti crede-
vano. I fascicoli successivi, dove s' iniziava- la storia
delle singole famiglie, andavano a ruba. Don Eugenio,
in verità, si restringeva a trascrivere il Mugnòs e il \'il-
labianca, infiorandoli di locuzioni di sua particolare fat-
tura ; ma, da una parte, quei libri erano introvabili, o
costavano caro e si prestavano poco alla lettura, coi
loro vecchi tipi, con la loro carta secca, gialla e polve-
rosa; mentre l'edizione di don Eugenio era veramente
bella, e i fascicoli degli stemmi colorati fiammeggia-
vano dal tanto minio e dal tanto oro; da un altro canto,
poi, il compilatore usava 1' innocente artifizio di sop-
primere le indicazioni troppo precise, talché tre, quat-
tro, cinque famiglie che portavano per caso lo stesso
nome senza nessuna relazione di parentado, potevano
— Ibi —
credere che la storia della sola autenticamente nobile
fosse anche la propria. A Palermo, a Messina, in tutta
la Sicilia, egli trovava cosi una quantità di « gentilesche
genti » e quindi di associati. Certuni volevano dire che
prendesse altri quattrini per aggiungere qua e là:
« Una branca di cotanto blasonata famiglia fiorisce tut-
tosl nella vetusta città di Caropepe... » Donna Ferdi-
nanda, pertanto, diventava paonazza dall'indignazione;
e anche Consalvo nutriva un profondo disprezzo per
quel parente che non solo prostituiva in tal modo sé
stesso, ma discreditava tutta la casata. Il principino
però, al contrario della zia, teneva per sé i propri! sen-
timenti, e manifestava solo quelli che gli giovavano.
Sentiva di dover fare in politica come aveva visto fare
a suo padre, in casa, quando si teneva bene con tutti
e assecondava le pazzie di tutti quanti, salvo a dare un
calcio a chi non poteva piij nuocergli. Adesso adope-
rava anch'egli quel metodo, piaggiando tutti i par-
titi. Quello dello zio duca aveva sempre il mestolo in
mano. Veramente nei quattro anni passati dallo scio-
glimento della questione romana, il favor popolare
aveva a poco a poco ricominciato ad abbandonare il
deputato, poiché questi, dimentico del pericolo corso,
persuaso d'aver consolidato stabilmente la propria po-
sizione, non temendo più sommosse e rivolgimenti,
aveva ripreso a mostrarsi partigiano, a badare agli af-
fari proprii e degli amici piuttosto che a quelli del
paese, a trattare il collegio come un feudo ; ma, se la
gente spicciola ricominciava a mormorare, i pezzi
grossi, invece, i capi della camarilla si lasciavano am-
mazzare per r Onorevole, non giuravano per altro che
per lui, per i suoi sani principii di moderazione : nel
novembre di quell'anno Settantaquattro, egli fu rie-
letto, senza dimostrazioni, ma senza opposizioni : alla
unanimità. Cosi Consalvo, dinanzi allo zio ed ai suoi
amici celebrava la saldezza della loro fede, l'eccellenza
nel principio conservatore « da cui dipende la salute
dell' Italia » ; ma trovandosi dinanzi a qualcuno degli
De Roberto. 1 Viccri: - II 11
avversarli, affermava la necessità del progresso, la
convenienza che anche la Sinistra facesse la prova del
governo, perchè « come dice il celebre Tal dei Tali, i
partiti debbono alternarsi al potere. » E se gl'i stavano
di fronte due che la pensavano in modo contrario, ta-
ceva o dava ragione ad entrambi e torto a nessuno.
Tranne che nel grande principio aristocratico, nel pro-
fondo sentimento di sprezzo verso la ciurmaglia, nella
ferma opinione d'esser fatto veramente d'un'altra pa-
sta, neir ardente bisog-no di comandare al gregge
umano come avevano comandato i suoi maggiori, egli
era disposto a concedere tutto. Non aveva neppure
scrupolo di sostenere a parole il contrario di quel che
pensava, se era necessario nascondere il proprio pen-
siero ed esprimerne un altro. Le parole « repubblica » e
« rivoluzione » gli facev'ano passare brividi di paura
per la schiena ; ma, per .secondare la corrente demo-
cratica, per farsi perdonare la sua nascita, s'ingra-
ziava il partito estremo. Al Circolo Nazionale buona
parte dei socii, pure accettando le istituzioni, onora-
\'ano, sopra tutti gli uomini del risorgimento, Mazzini
e Garibaldi; altre società, specialmente le popolari, fe-
steggiavano il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, in
loro onore; egli ripetè l'esposizione del bandierone e
dei lumi anche in quell'occasione, cercò apposta i più
noti repubblicani per dir loro : « Io non capisco l'esclu-
sivismo di certuni : senza Mazzini il fuoco sacro si sa-
rebbe spento; e senza Garibaldi, chi sa, Francesco II
sarebbe ancora a Napoli ».
Né credeva alla sincerità della fede altrui. Monar-
chia o repubblica, religione o ateismo, tutto era per
lui quistione di tornaconto materiale o morale, imme-
diato o avvenire. Al Noviziato aveva avuto l'esempio
della sfrenata licenza del monaci che avevano fatto
voto dinanzi al loro Dio di rinunziare a tutto; in casa,
nel mondo, aveva visto che ciascuno tirava a fare il
proprio comodo sopra ogni cosa. Non c'era dunque
nienl 'altro fuorché l'interesse individuale; per soddi-
- i63 -
start' il suo amor proprio eg'li era disposto a giovarsi
di lutto. Del resto, il sentimento ereditario della pro-
pria superiorità non gli permetteva di riconoscere il
male di questo scettico egoismo : gli Uzeda potevano
fare ciò che loro piaceva. Il conte Raimondo aveva
distrutto due famiglie; il duca d'Oragua s'era arric-
chito a spese del pubblico, il principe Giacomo spo-
gliando i proprii parenti ; le donne avevano fatto stra-
\ aganze che confinavano con la pazzia : se egli dun-
que s'accorgeva talvolta d'essere in fallo, secondo la
morale dei più, pensava che in fin dei conti faceva
meno male di tutti costoro.
IV.
Il principe Giacomo tardò molto a riaversi intera-
mente dal colpo che l'ultima spiegazione col figlio gli
aveva procurato.. Con la minaccia d'una congestione ce-
rebrale, si condannò da sé stesso, pel terrore di morire
di subito, a una dieta magra che gli impoverì il san-
gue. Debole, irritabile, divenne più di prima il terrore
della casa, e attribuendo più che mai il proprio male al
pestifero influsso del figliuolo, non soffriva più d'u-
dirlo nominare. Nei primi tempi, se Baldassarre o qual-
cuno dei lavapiatti o della servitù alludeva al princi-
pino, egli esclamava, afferrando 1' ignobile amuleto,
tenendolo stretto come in procinto di naufragare : « Sa
Iute a noi !... Salute a noi !... » e ingiungeva alle per-
sone di tacere, di smettere immediatamente, rosso in
viso come se davvero fosse per morir soffocato. La
gente si faceva il segno della croce udendo parlare di
quella paura inumana, di quell'avversione contro na-
tura; Teresa ne soffriva più di tutti. Poiché suo fra-
tello non poteva più venire al palazzo, ella stessa an-
dava a trovarlo, in compagnia della principessa, per
— 164 —
la quale Consalvo era tornato d' un' indiiìcrcnza. quasi
serena ed urbana, poco lontana dall'affabilità. La ma-
drigna, di nascosto dal principe, mandava al giova-
notto buona parte della roba che i fattori portavano
dalla campagna, e quantunque ella stessa disponesse
di pochi quattrini, pure metteva a disposizione del
figliastro la propria borsa. Consalvo, ringraziandola,
non accettava nulla : suo padre gli aveva fatto un asse-
gno, e Baldassarre gli portava ogni primo del mese i
quattrini. Erano pochi, ma egli s' ingegnava di farli
bastare, soffocava i suoi bisogni costosi, mortificava i
suoi desideri! di lusso; e non ne soffriva, o ne soffriva
come d'una cura dolorosa, necessaria al riacquisto della
salute. Quanto al principe, era come se egli non avesse
più quel figliuolo : costretto a parlare di lui, non lo
chiamava più « mio figlio, » né « Consalvo, » né « il
principino, » ma « Salut'a noi !... » Diceva, per esem-
pio, a Baldassarre : « Porta la mesata a Salut'a noi... »
oppure domandava alla principessa, in qualche raro
momento di buon umore : « Che dice quella bestia di
Salut'a noi ?... »
E Teresa non pensava più a Giuliano, dimenticava
il proprio dolore, atterrita da quell'odio scellerato.
Ella non leggeva più, non sedeva più al pianoforte,
col triste pensiero sempre nella mente. L'esilio del fra-
tello era grave al suo cuore ; ma perché aveva egli
suscitalo l'ira del padre ? Come aveva osato incolpar-
lo?... Se pure egli avesse avuto ragione? se era ve-
ro?... Allora si nascondeva il viso tra le mani, come
nel pauroso momento della rivelazione, per non pen-
sare, per non rammentare. Non rammentava ella la
madrigna far da padrona in casa della sua povera
mamma? Non rammentava il dolore provato all'annun-
zio che suo padre sposava ' quell'altra qualche mese
dopo la morte della sua santa mamma?... Ma no! Ma
no ! Per discacciare i suoi ricordi, per vincere l'or-
ribile pensiero, si segnava, pregava, e usciva fortifi-
cata dall'orazione. Era colpa dimorare in quei pen-
- i65 -
sieri, continuar quell'indagine : ella unicamente doveva
al padre rispetto, obbedienza ed amore. E credendo suo
debito compensarlo della ribellione di Consalvo, lo ub-
bidiva cecamente, lo ser\dva con umiltà.
Il principe non le sapeva grado di quella sua ine-
sauribile bontà. Se talvolta, essendo triste, provando
il bisogno di sollevare un istante lo spirito oppresso,
ella si metteva al pianoforte, i suoni lo irritavano, le
ingiungeva che smettesse. Sempre più interessato, liti-
gava sulle spese per le sue vesti ; Teresa si conten-
tava di tutto. Ma per solo capriccio di criticare, di eser-
citare comunque la propria autorità, ed anche per una
specie d'invidia che, goffo com'era sempre stato, gli
destava l'abilità con la quale ella faceva figurare come
un abito di lusso la pilli modesta vesticciuola, la pun-
zecchiava assiduamente a proposito della sarta o del
figurino di mode.
Un giorno però, contro il solito, s'occupò dell'abbi-
gliamento della figliuola non per rimproverarne l'ele-
ganza, ma per giudicarlo troppo modesto.
— Non hai un abito più' grazioso da mettere oggi ?
Era una domenica d'estate, e come di consueto la
principessa e Teresa andavano fuori in carrozza per
prendere il gelato e fermarsi poi dinanzi al cancello del
Giardino pubblico, a veder la folla pedestre che v'en-
trava borghesemente durante il concerto. Ma, usciti ap-
pena dal portone, donna Graziella, che s'abbottonava
ancora i guanti; disse a Teresa :
— Andiamo a fare una visita alla zia Radali. Oggi
è il suo onomastico.
Da un pezzo non la conducevano più li; ma la prin-
cipessa e la duchessa si salutarono come se si fossero
lasciate il giorno innanzi. C'erano i due figliuoli, il duca
e il barone, e altri parenti; furono serviti i rinfreschi, la
società si sciolse molto tardi.
La duchessa restituì la visita coi figliuoli, e le rela-
zioni furono riprese con più intrinsichezza di prima. Il
duca Michele, mezzo calvo, grasso, asmatico, trascu-
— i66 —
rato nel vestire, stava male e mal volentieri in società;
Giovannino invece vi fig^urava moltissimo. Salutando
la cugina, mettendosi vicino a lei, parlandole, eg^li fa-
ceva mostra di molta grazia, d'una viva premura; il
primogenito, più grossolano, più ignorante, apriva di
rado la bocca, non parlava se non di quaglie e di co-
nigli, del Biviere e del Pantano, di cani e di doppiette.
Teresa, cortese ed amabile con tutt'e due, sentiva risor-
gere e a poco a poco farsi più forte l'ammirazione per
la bellezza del cugino. Ella aveva dimenticato Bianca-
\ì\\a, ma c'era un vuoto nel suo cuore : il pensiero di
Giovannino lo colmava. Dopo una lunga mortificazione,
l'anima sua schiudevasi ancora una volta all'amore;
il canto le fioriva sulle labbra, il pianoforte ridiventava
il suo confidente, i libri di poesia i suoi ispiratori.
Tra le due famiglie l'intimità si venne stringendo
sempre più; c'era un continuo scambio di regali, la
A'oce del matrimonio di Teresa con uno dei cugini tor-
nava ad acquistar nuovo credito ; ma ne il principe né
la principessa si spiegavano con nessuno. Baldassarre
però trionfava : il partito che egli aveva destinato alla
padroncina era quello che i padroni preferivano ! E
con un piacere immenso, con una gioia indicibile, ve-
deva che tra la signorina e il barone la simpatia cre-
sceva ogni giorno. Il duca Michele regalava gran quan-
tità di cacciagione agli Uzeda, ma Giovannino, che si
occupava con amore di floricoltura, mandava enormi
mazzi, i quali finivano tutti nella cameretta di Te-
resa, o piante rare e delicate che ella educava amoro-
samente. Amante della buona tavola, il primogenito
era sempre un po' intorpidito dal cibo e dalle libazioni ;
se si facevano quattro salti, egli restava sopra una
poltrona a sonnecchiare; Giovannino ballava con Te-
resa. Una delle cose che più facevano piacere alla prin-
cipessina era l'udir parlare del fratello in quella casa
dove non si poteva più nominarlo : farne le lodi, van-
tarne l'intelligenza, la serietà della conversione, era il
miglior mezzo per guadagnarsi il cuore della sorella.
— 167 —
E Giovannino, rammentando i tempi del Noviziato e
le monellate commesse a San Nicola, profetava a Con-
salvo il più lieto avvenire, andava apposta a fargli
visita per riferire a Teresa d'averlo trovato intento allo
studio.
— Sapete, cugina, — le disse una sera, — Con-
salvo
— Sst...! — esclamò piano Teresa, giungendo le
mani. — Il babbo
Infatti il principe passava in quel momento vicino ad
essi, dirigendosi verso la duchessa.
— Vogliono Consalvo, — riprese Giovannino all'o-
recchio della cugina, — consigliere comunale. Ve-
drete che risulterà dei primi —
Benedetto Giulente, come aveva promesso, fu il
padrino del candidato. Egli non sospettava di prepa-
rare il terreno ad un rivale. Gli pareva che un posto
nella rappresentanza civica bastasse all'attività e alla
ambizione del nipote ; tutt'al piìi Consalvo avrebbe po-
tuto prender parte, più tardi, all'amministrazione mu-
nicipale, essere eletto assessore e, chi sa, un giorno,
nominato anche sindaco. Che aspirasse al Parlamento,
né sospettava, né credeva possibile. Prima di tutto, lo
zio duca gli aveva garentito tante A'^olte che, ritiran-
dosi dalla politica militante, avrebbe ceduto a lui, Be-
nedetto, il proprio posto; e questo ritiro, attesa l'età
dell'Onorevole, poteva tardare ancora di poco; forse il
seggio sarebbe rimasto libero alla prossima legisla-
tura, quando Consalvo non avrebbe neppure compiuti gli
anni dì legge. Del resto gli mancavano tante altre
cose, l'esperienza della vita pubblica, principalmente,
e segnatamente il patriottismo. Agli occhi di Benedetto,
che si struggeva da tanti anni dal desiderio d'essere
mandato • alla Camera, aver preso parte alle battaglie
dell'indipendenza e dell'unità, aver pagato un tributo
di sangue, era il massimo titolo per aspirare alle pub-
bliche cariche. Ora Consalvo non solo era bambino
— i68 —
quand'egli si batteva sul Volturno, ma fino a due anni
addietro non aveva nascosto a nessuno l'affezione e il
rimpianto per l'antico regime. Giulente credeva che
la conversione del nipote fosse in gran parte merito
proprio, e ne andava naturalmente altero, e si credeva
destinato a guidare ancora per lungo tempo l'erede
degli Uzeda nella vita pubblica; l'atteggiamento osse-
quiente del giovanotto lo confermava in questa fiducia.
Ad aprirgli gli occhi non valse l'esito delle elezioni
amministrative. Egli stesso era tra i candidati, avendo
finito il suo quinquennio, e Consalvo si presentava
la prima volta ; Consalvo fu eletto il secondo, subito
dopo lo zio duca, sempre primo; Giulente ebbe il de-
cimo posto Alla prima riunione del Consiglio ricon-
vocato, il principino venne severamente vestito d'una
redingote tagliata all' inglese, con cravatta scura e cap-
pello alto : mentre già tutti erano ai loro posti, egli
s'aggirava per l'angusta sala delle riunioni, salutando
i conoscenti, chiacchierando col sindaco, interrogando
il segretario e volgendosi di tanto in tanto alla mezza
dozzina di curiosi che stavano vicino all'uscio. Sedu-
tosi finalmente in un angolo, per evitar vicinanze, co-
minciò a sfogliare, con mani inguantate, il volume
del bilancio e a prendere appunti, facendo correre l'u-
sciere per spedir biglietti a destra e a manca, come
aveva visto che usava a Montecitorio. Appena si pre-
sentò l'occasione di parlare, l'acchiappò a volo. Trat-
ta vasi dell' inaffiamento stradale che facevano con un
metodo troppo primitivo : egli chiese di parlare e spiegò
quello che aveva visto all'estero. Raccomandò il si-
stema di Londra e suggerì al sindaco l'idea di scrivere
al Lord Mayor « che è il primo magistrato civico della
capitale inglese. » Mentre c'era, aggiunse che il Muni-
cipio avrebbe dovuto pensare anche ad ordinare un
corpo di pompieri. « Nei miei viaggi, non vidi mai
città, per piccola che fosse, la quale non avesse simile
istituzione, la cui necessità non ho bisogno di far no-
tare agli onorevoli del consiglio. » Nondimeno, per di-
— log —
mostrare la convenienza di quel servizio, enumerò
quante case s'incendiavano a Costantinopoli, in media,
ogni anno. « È vero che non siamo in Turchia » e
fece una breve pausa per dar tempo ai colleghi di ri-
dere della facezia, « ma pensate un poco, onorevoli del
consiglio, ai grandi magazzini di zolfo che si trovano
ad ogni pie' sospinto dentro le mura della nostra cit-
tà. » Allora spiegò che lo zolfo « è una sostanza emi-
nentemente combustibile, come quella che entra nella
composizione della stessa polvere pirica; e se le sue
lente combinazioni con l'ossigeno, preparate nelle offi-
cine, sono di tanta applicazione nell'industria e nel
commercio col nome di acido solforico, una combina-
zione troppo rapida manderebbe in fiamme la nostra
città »
11 discorso ebbe un bel successo : pochi osserva-
rono che quel giovanotto di primo pelo aveva 1' aria
di far la lezione; quasi tutti ammirarono la facilità della
sua parola e giudicarono che il principino di Mira-
bella era davvero un giovane aistruito ». Egli continuò
a parlare ogni giorno : per la discussione del bilancio
pronunziò una trentina di concioni una piii sbalordi-
tiva dell' altra : sulla quistione della dote al Comunale
tirò in ballo Sofocle e Euripide, gli odei della Grecia
e i circhi romani ; parlando dell'ospedale fece un pic-
colo corso di clinica distinguendo tutte le malattie per
le quali bisognava poter disporre d'altrettante sale;
a proposito della pescheria citò Darwin e 1' Origine
della specie, « giacché il pesceluna che s' imbandisce
nelle nostre mense e le sardine che ailimentano il
popolo discendono dagli stessi protozoi ». Sul capitolo
del camposanto arrisciiiò questa idea : « Io, veramente,
non sarei alieno dal concetto storicamente più este-
tico e scientificamente più razionale della crema-
zione » ma le unanimi, vivaci proteste di una doz-
zina di consiglieri clericali lo fecero accorto che sba-
gliava strada.
Lì dentro, e nel paese, i clericali erano una forza
con la quale bisognava patteg^giare. Già essi avevano
notato che il principino, imbandierando e illuminando
la sua casa per tutte le feste costituzionali e demo-
cratiche, pareva non accor^gersi delle solennità reli-
giose, della festa di Sant'Agata specialmente. La cele-
bravano, come sempre, due volte all'anno : in febbraio
e in agosto; ma la nuova Giunta libera-pensatrice,
giudicato che una sola gazzarra bastasse, aveva sop-
presso dal bilancio l'assegno, per la festa estiva.
Questo fii il segnale di una specie di guerra civile.
Dal pulpito, nei confessionali, nelle sacrestie i preti
incitavano i fedeli alla riscossa ; i liberali si ostina-
vano nel loro proposito, gì' indifferenti erano costretti
a prendere un partito, e le cose minacciavano di
guastarsi. Il Consiglio fu chiamato a decidere. Una
folla straordinaria .'issistè alle tempestose sedute :
sagrestani, scaccini, appaltatori e mercantucci inte-
ressati alla festa pel g-uadagno che ne speravano ;
giornalisti improvvisati badavano a stendere precise
relazioni del dibattimento per divulgarle. I campioni
liberali facevano grandi sfoggi di eloquenza, ma erano
fischiati di santa ragione; i clericali, quasi tutti poveri
oratori, erano invece portati alle stelle. Il duca d'Ora-
gua non parlava, come non aveva mai parlato, ma
si sapeva che avrebbe votato a favore ; Giulente, in
cuor suo, era contrario, ma per far la corte allo zio
avrebbe votato come lui. Con chi si sarebbe messo
il principino? C'era una grande curiosità di saperlo;
pertanto,' il giorno che egli parlò, una folla tripla del
consueto si stipava nella piccola sala e tendeva le
orecchie dalle contigue. E,gli cominciò a parlare in
mezzo a un silenzio profondo. L'esordio accrebbe la
curiosità, consistendo, al solito, nella ripetizione lauda-
tiva di tutto ciò che avevano detto « gli egregi preo-
pinanti ». Poi : « Ma, signori del consiglio, consenti-
temi di lasciare per un momento la quistione che
sta sul tappeto e di rivolgere a me stesso una domanda,
che parrebbe non avere, ma invece ha diretto rap-
I?! —
porto con quella (i cronisti notarono: segni d' atteìi-
zione). La domanda è questa : i rappresentanti del
paese vengono a sedere nell' aula consiliare per soste-
nere le idee che passano loro pel capo, e siano pure
provvide e giuste, o non piuttosto per eseguire il
mandato che ripetono dal popolo sovrano?... Certa-
mente per tutelare gl'interessi, per soddisfare i bisogni
del popolo che rappresentano. Ora, di fronte alla
quistione che ci occupa, il paese ha una volontà? Se
si, qual è dessa?... Signori del consiglio, sarebbe vano
nasconderlo : il paese, o per lo meno la più gran parte
di esso, vuole la festa! » Il silenzio religioso mante-
nuto fino a quel punto fu rotto da un urlo d' appro-
vazioni : uragano d' applausi, notarono i cronisti cleri-
cali, mentre i consiglieri liberi-pensatori scrollavano il
capo, facevano atto di protesta, chiedevano di parlare.
Calmo in mezzo alla tempesta, data un'occhiata alle
cartelle che teneva dinanzi, egli riprese, dominando il
tumulto con la voce squillante : « Consideriamo per
un momento accertato che la volontà del paese è per
la festa : noi, suoi delegati, qual altro obbligo avremo
se non quello di tradurla in atto? E mi scusino i miei
colleghi che siedono a quei posti (additando i liberali
più avanzati) io comprenderei che a questo concetto
si ribellassero tutti gli altri, non mai essi, i quali fanno
consistere nell'imperativo categorico uno dei punti più
salienti del loro programma!... » Nel silenzio che tornò
a regnare tutt' intorno, egli cominciò allora una lezione
sul libero arbitrio, citando il « celebre Aristotile »,
r« illustre scuola scozzese », e nominando un gran-
d' uomo tedesco, inglese o francese ogni mezzo minuto.
Il peso di quel discorso schiacciava l'uditorio; ma
egli s' era già guadagnato il cuore della folla, e la
sua erudizione non poteva se non farlo ammirare di
più. Tuttavia, per non dispiacere ai rappresentanti
delle idee radicali, quando finì la sua lezione, riap-
piccò : « Né la persona rivestita d' una procura abdica
ai proprii principi! pel fatto che'^ esegue la volontà
— 172 —
del mandante. Ho sentito lanciare in quest' aula 1' ac-
cusa di clericalismo contro tutti coloro che voteranno
la festa ; ma, signori del consiglio, chi può essere
così ardito da leggere nelle coscienze? A'ogliamo forse
tornare ai tempi infausti del Torquemada? Voi sapete
che qui seggono uomini d' un patriottismo superiore
ad ogni discussione » — la piaggeria andava allo zio
duca — « i quali, votando la festa, non intendono per
nulla cancellare tutto un passato che la storia ha
scritto a lettere d'oro nei suoi annali imperituri!...
Anch'io voterò la festa (forniidahile scoppio d'ap-
plausi) ma il mio voto non pregiudica i miei prin-
cipe (nuovi applausi). Dei miei principii sono respon-
sabile dinanzi alla mia coscienza, e con la mia coscienza
io non transigo'! {benissimo !) Né io consiglierei mai
agli egregi oppositori di transigere con la loro; ma,
o signori del consiglio, in quest'aula vi possono essere
clericali, cattolici, atei, protestanti.... ebrei.... turchi,
se volete (ilarità), e siete proprio sicuri che io non
segua la dottrina di Maometto? (nuova ilarità). Ho
letto il Corano, che è il \'angelo degli Islamiti, e se
davvero esiste il paradiso delle Uri, forse più d' uno
fra voi si convertirebbe alla fede ottomana! (scoppio
di risa generali). Ma anche un turco, siatene sicuri,
se venisse in quést' aula mandato dal nostro popolo
che vuole la festa, la voterebbe!... Se io ordino al pro-
curatore che amministra i miei feudi di eseguire un
certo lavoro, sarebbe per lo meno curioso che il mio
procuratore si rifiutasse, perchè ostano i suoi principii!
(ilarità, applausi). Se costui si rifiuta, sapete che cosa
succede? Io lo mando via! E se noi rifiuteremo la
festa, sapete che cosa farà il paese? Eleggerà altri
consiglieri che cancelleranno il nostro voto e ristabi-
liranno r assegno! »
Oramai ad ogni periodo g"li applausi scrosciavano
come gragnuola, e quando egli cominciò a dimostrare
per quali interessi « legittimi, rispettabili, onesti » tutte
le classi della popolazione volevano la festa, l'ova-
— T73 —
zione si mutò in trionfo : i festaiuoli per poco non Io
portarono a braccia per le vie ; gii stessi oppositori
doA'ettero riconoscere la sua abilità. Per la festa i
suoi balconi furono illuminati a giorno; e poiché la
processione della Santa passava sotto casa sua, eg'Ii
fece dar fuoco a un considerevole numero di bombe e
mortaretti.
Il Consiglio, il giorno prima, lo aveva eletto asses-
sore.
Giusto per l'occasione ci fu grande ricevimento, in
casa del principe . la duchessa coi figliuoli arrivò tra i
primi, e Giovannino, presa a parte Teresa, le diede la
notizia della nomina del fratello. Ella non potè gustar-
la, perchè il principe era di un umor nero da far spa-
vento. Nella mattina, il tribunale aveva pubblicato la
sentenza relativa al testamento di don Blasco ; la quale,
sulla fede del risultato della perizia, dichiarava false
le ultime volontà del Cassinese, buon' anima sua. Quel
disastro, coincidendo con l'assunzione di Consalvo
all' assessorato, era parso al principe una nuova prova
del potere iettatorio di « Salut'a noi », e tutto il giorno
egli aveva smaniato come un pazzo. Ora, perchè non
si dicesse che era troppo dolente della cosa, sfor-
zavasi di mostrarsi indifferente, di discorrere del più
e del meno. Gira e rigira, ogni discorso però finiva
con una sfuriata cdntro i periti corrotti e i giudici
birbanti. « Li hanno pagati apposta, per far dire bianco
al nero. Se avessi voluto pagarli anch'io, a quest'ora
la sentenza direbbe tutto il rovescio ».
Teresa aiutava la madre a servire gl'invitati; il
duca Radali non si faceva pregare, sempre pronto a
bere ed a mangiare ; ma Giovannino aspettava che
Teresa avesse finito per servirla egli stesso. Ella as-
saggiò appena il gelato che il giovane le offri. Il malu-
more del padre non le dava cuore di divertirsi, di
goder della festa, della compagnia di Giovannino.
Questi non la lasciava cogli occhi, pareva cercar I' occa-
sione di restarle vicino un momento.
— 174 —
— Che avete, cugina?... Xon siete contenta?... —
le disse, mentre la folla degl' invitati ai'facciavasi per
veder passare la processione.
— No, non ho nulla — Perchè?
— Avete una cert' aria.... Xon per colpa mia, spero?
— Che dite mai!... X'enite a veder la Santa.
Ella troncava co^ì ogni volta i colloqui i che minac-
ciavano di prendere una piega pericolosa. Era dover
suo fare così ; non già che le parole tènere, gli sguardi
innamorati del cugino 'le dispiacessero. L' altro fra-
tello, meno riguardoso, senza dirle nulla di gentile,
era capace di metterle le mani addosso, di branci-
carla, di abbracciarla, voltando poi la cosa in ischerzo,
facendo ridere tutti, togliendo a lei il modo di doler-
sene ; ma i tentativi timidi e secreti di Giovannino la
turbavano, come qualcosa di proibito, un vero peccato».
-Al balcone, dove e' era ressa di signore, ella potè
appena sporgere il capo per veder ia processione :
Giovannino le si pose accanto, fingendo anch' egli di
guardare.
Saliva dalla via un rumore come d'alveare, tanta era
la folla, e il campanone del Duomo coi suoi rintocchi
lenti e gravi pareva batter la solfa alle campane della
Badia, della Collegiata e dei Minoriti : « Viva Sant'A-
gata!...» Tutte le signore s'inginocchiarono; Teresa,
prostrata, col capo basso, gli occhi fissi alla Santa, si
fece il segno della croce. Cominciava lo sparo dei fuochi
d'artificio pagati dal principe; in mezzo al fumo che pa-
reva quello d'una battaglia lampeggiavano i colpi rapidi
e frequenti come le scariche di un reggimento; le grida
di viva si perdevano in mezzo al fragore degli scoppii e
solo vedevasi sul mar delle teste sventolare i fazzoletti
come sciami di colombe impazzate. Teresa piangeva a
calde lagrime, dalla commozione, pregando la Martire
gloriosa di ricondurre la pace in famiglia, di comporre
tutti i dissensi, di far felici il padre, il fratello, la ma-
drigna, le zie, tutti, tutti.... E a un tratìo senti pren-
dersi, premersi, stringersi forte la destra : era Giovan-
— 17^ —
nino, inginocchiato al suo fianco. El'la non ebbe cuore
di svincolarsi da quella stretta : le pareva che la vSanta
benedicesse quell'unione, che le promettesse tutto il suo
aiuto. E il crepitio delle bombe e dei mortaretti, il cla-
more delle campane e delle grida umane diveniva più
assordante ; e in mezzo g^quel frastuono le parve d'udire
parole soavi, la voce siin che mormorava: «Teresa
Teresa, mi vuoi bene ? »
1 fuochi cessarono a un tratto, e l'urlo degli evviva
sali al cielo. Allora, dolcemente, lentamente, dopo aver
risposto alla stretta di Giovannino, ella liberò la propria
mano — E nel silenzio rifattosi a poco a poco, s'udì una
voce che gridava :
— Ala siete insorditi ?
Era il cavaliere don Eugenio, arrivato allora allora.
J^gli pareva più morto di fame di quando era partito.
E 'abito, tutto macchiato e rattoppato, gli piangeva ad-
(iosso; le scarpe non dovevano veder cerotto chi sa da
quanto, la cravatta pareva un pezzo di corda. Il viso del
principe, alla vista dello zio, se era già scuro, si fece
buio pesto. Dopo la sentenza contraria, ci mancava que-
st'altro affamato ! Ed appunto don Eugenio aveva fatto
il viaggio di Palermo per chiedere nuovi quattrini :
— Ho un'idea; siccome \' Araldo
— Volete ancora soldi?... — gli gridò sul muso il
principe, mettendo da banda l'Eccellenza. — State fre-
sco ! Xon vi bastano tutti quelli che vi siete presi ? In-
vece di restituire, chiedete dell'altro?
— Io non ho da restituire nulla; puoi pretendere solo
le copie !
— Sicuro che le voglio !
— Dopo che ho rinunziato alla causa ?
— Grazie tanto della rinunzia ! Dice che il testamento
è falso: avete capito? .Andate a riscuotere la vostra
parte, andate I...
I danari arruffati con V Araldo Sicolo non avean fatto
prò al cavaliere. Prima di tutto, la gente da lui man-
data attorno ad incassare il prezzo dei fascicoli si tratte-
- r76 -^
neva, di riffe o di raffe, una buona metà : certuni poi
se l'eran battuta col valsente. Provato a far da ss, i
guadagni se n'erano andati a spese di viaggio. Il car-
taio, l'incisore e il tipografo avevano riscosso da parte
loro solo qualche acconto; quindi s'erano accordati per
sequestrar le copie dell'opera e non liberarle se non dopo,
pagamento, talché don Eugenio, se ne volle vendere,
dovè pagarle quanto costavano e contentarsi di guada-
gnarci qualche lira. I premii versati dai « branchi » delle
« blasonate famiglie » gli eran serviti a fare qualche
giorno di buona vita, e adesso egli precipitava di nuovo
nella miseria. Per sollevarsi, tentava un altro colpo : il
Xuovo Araldo, ossivero Siipplimento all'opera storico-
nohiliare. Con meno pudore e più fame di prima, egli
voleva metterci non solo le famiglie dimenticate, ma
anche i nuovi nobili, quelli che non si trovavano nel
Mugnòs e nel Villabianca, la gente che si faceva dare
dell cavaliere senza avere titoli autentici, che sfog-
giava stemmi più o meno fantastici. Ma per far questo
gli bisognavano altri quattrini — \"isto di non poter spe-
rare nulla dai principe, andò da Consalvo, che nella
sua qualità di assessore poteva dargli aiuto; ma il prin-
cipino adesso aveva fatto un altro passo avanti neLle
idee politiche. Il i6 marzo di quell'anno 1876, dopo
sedici anni, il partito di destra era finalmente capitom-
bolato con grande stupore del moderatume paesano e
gioia infinita dei progressisti. In quel frangente i nemici
del duca profetarono che il grande patriotta, seguendo
la solita tattica, si sarebbe voltato contro gli antichi
amici, a favore dei nuovi trionfatori ; ma la profezia
non s'avverò. Il duca, che non andava più da tanto
tempo alla capitale, e non sapeva perciò le ragioni e
r importanza della rivoluzione parlamentare, non cre-
dette alla riuscita e alla durata di essa, e si mostrò più
che mai saldo nelle proprie idee. Questa fu la sua sal-
vezza ; perchè i progressisti trionfanti non avevano an-
cora voce in capitolo, mentre quasi tutta la classe diri-
gente del paese era contro la strombazzata novità.
— 177 —
Sciolta la Camera, un certo avvocato Molara ardi pre-
sentarsi contro il duca, facendo un programma quasi ri-
voluzionario in cui si parlava del « più che trilustre sgo-
\erno, » di diritti « conculcati, » di rivendicazioni « im-
minenti, » non che di red^c rationem. I fautori del duca
si strinsero intorno a lui sentendosi con lui minacciati.
Per rispondere alla « sfida » del Molara, l'Oragua mise
fuori, dopo cinque legislature, una « Lettera ai miei elet-
tori. » Benedetto Giulente, che aspettava ancora di po-
ter fare un programma per proprio conto, la scrisse.
Essa enumerava i titoli della Destra alla gratitudine del-
l'Italia, la cui unificazione era tutta opera di quel par-
tito : se errori erano stati commessi, questi avevano la
loro origine nelle, circostanze e non nelle intenzioni. Don
Gaspare fu cosi rieletto con duecento e più voti ; Molara
potè raggruzzarne appena un centinaio. Uno dei ministri
della Riparazione, passando da Catania, fu accolto a
fischiate.
Ma intanto che il duca s'ubbriacava del nuovo trionfo.
Consalvo fiutava il vento, si rendeva conto del muta-
mento operatosi in tutta Italia, dell' imminenza delle ri-
forme liberali. Pertanto, senza prender parte all'agi-
tazione elettorale, dichiarò che la Destra era morta e
sepolta. Tenendo la gente a distanza, per non conta-
giarsi, cominciò a dichiarare d'esser « dem.ocratico. »
E lo zio don Eugenio veniva appunto in quel frangente
a proporgli l'affare del Nuovo Araldo!... Egli lasciò che
quello straccione facesse anticamera un bel pezzo; poi,
udita la sua domanda, alzò le spalle.
— Ma che araldo e trombettiere ! Queste cose hanno
fatto il loro tempo ! Il Comune non può spendere \
denari dei contribuenti per incoraggiare pubblicazioni
ispirate alla divisione delle classi sociali. Ce n'è una
sola : quella dei liberi cittadini !
E la risposta, udita dagli impiegati, ripetuta in tutti
gli ufificii, gli valse il plauso dei buoni democratici. Il
cavaliere andò subito a riferirla al principe, per farsi
un merito mettendogli in peggior vista il figliuolo. Ma
De Roberto. / Viceré - II 12
né la denunzia né le insistenti preghiere gli valsero un
soldo : Giacomo anzi pretendeva i quattrini anticipati,
e l'accusava di sciocchezza, per soprammercato, a causa
del sequestro che s'era lasciato porre dallo stampatore.
Il cavaliere tentò un nuovo passo presso la sorella
Ferdinanda. Presentatosi in 'casa sua, g'ii chiusero
l'uscio sul muso. Nondimeno egli fece parlare alla zi-
tellona per ottenere un piccolo prestito che a lei non
sarebbe costato nulla ed a lui avrebbe assicurato un
pane : la vecchia rispose che neppure a vederlo crepar
di fame gli avrebbe dato un soldo per stampare quelle
« schifezze ».
Chiusa quest'altra via, don Eugenio andò dalla ni-
pote Chiara. Trovò il marchese solo : sua moglie, la
quale da un certo tempo non gli dava più requie, aveva
un bel giorno fatto attaccare di nascosto e se n'era
andata al Belvedere col bastardello per non tornarci
più. Il cavaliere tentava di esporre i suoi guai al nis
potè ; ma questi non finiva più di narrare i proprii,
tutto ciò che quella matta gli aveva fatto soffrire ; talché
il povero Gentiluomo di Camera se ne andò via ancora
una volta a mani vuote.
Allora, non sapendo più a qual santo votarsi, si ri-
volse a Giovannino Radali. Col fiuto d'un bracco affa-
mato, s'era accorto dell'amoretto fra i due cugini, spe-
cialmente dai discorsi di Baldassarre. Il maestro di casa
era più che mai contento e soddisfatto della piega che
prendevano le cose. L' intimità cresciuta tra le due fa-
miglie era indizio che il principe approvava il matri-
monio — giacché Sua Eccellenza non faceva nulla senza
un secondo fine — e il bene che i due giovani si vo-
levano assicurava la loro unione. Se ancora non se ne
parlava, la ragione andava cercata nei dispiaceri che il
principe aveva patiti per via del testamento : siccome
il padrone trattava gli affari ad uno per volta, bisognava
naturalmente aspettare che la lite finisse del tutto perchè
egli si decidesse a maritar la figliuola. Sciogliendo il
riserbo che manteneva scrupolosamente su tutte le fac-
— 1/9 —
cende del padroni, Baldassarre dava quindi agli intinii
l'assicurazione che, composta la lite, il matrimonio si sa-
rebbe certamente combinato.
Il cavaliere pertanto cominciò a strizzar l'occhio a
Giovannino, a parlar bene di lui dinanzi a Teresa, la
quale si faceva di mille colori. « Quasi non si sapesse
che sarà tuo marito!...» sussurrava alla nipote; e al
g'ovane : « Quasi non si sapesse che sarà tua mo-
glie!... » Egli li incoraggiava, dava all'uno notizie del-
l'altra, riferiva saluti e ambasciate, finché chiese a Gio-
vannino un piccolo prestito di mille lire. Il giovane le
diede subito, e allora don Eugenio prese il volo.
V.
«Un sindaco a ventisei anni?... Dove s'è visto?...
Bisognerà dargli nello stesso tempo un aio!... Avremo
l'amministrazione delle balie!...» Ma le satire non
attecchivano, tanto entusiasmo animava i partigiani di
Consalvo Uzeda. In un anno che il principino era stato
assessore, non s'eran forse visti in città continui mi-
glioramenti, quanti non avevan saputo compierne in
diciotto anni i suoi predecessori ? I sergenti di città che
prima andavano attorno bracaloni, unti e lerci, tra-
scinando le sciabole arrugginite come vecchi spiedi,
adesso, per opera sua, sfoggiavano divise nuo-ve fiam-
manti, tutte mostreggiature, alamari e nappine da
farli parere altrettanti ammiragli. E il corpo dei pom-
pieri, con gli elmi lucenti e i pennacchi rossi come
quelli dei soldati romani del Santo Sepolcro, non era
tutta opera sua?... « Largo ai giovani ! Largo ai gio-
vani istruiti come il principino di Mirabella ! »
Egli adesso non st>udiava più, giudicando sufficiente
la sua preparazione, accorgendosi del resto che nella
scienza principale, quella di gettar polvere agli occhi,
— i8o —
era g'ih maestro. Sapeva che la grande popolarità della
sua casata dipendeva dal fasto esteriore, dalle livree
fiammanti, dalle carrozze rilucenti, dal [guardaportone
maestoso ; e quantunque dicessero che i tempi erano
muiati, tutte queste cose, i segni \isibili della ricchezza
e della potenza, non avevano potuto, non potevano per-
dere mai, per mutar di tempi, il loro valore. I provve-
dimenti di quella che egli già chiamava, essendo sol-
tanto assessore, « la mia amministrazione, » s'erano
dunque aggirati su lutto ciò che dava all'occhio, che
poteva essere subito apprezzato dalla folla. Quindi
egli aveva messo il più grande impegno nel reggimen-
tare, nel vestire di divisa i corpi municipali dei quali
era capo e che passava poi in rivista, come un gene-
rale : i custodi, gli spazzini e gli accalappiacani. Uscito
dalla casa paterna, una delle sue piccole sofferenze, sop-
portata del resto pazientemente, come tutte le altre,
era sfata quella di non aver più un drappello di came-
rieri, di sguatteri, di cocchieri e di famigli che s'in-
chinassero al suo passaggio ; adesso teneva sotto i
suoi ordini un piccolo esercito.
11 suo tormento era tuttavia il contatto con la gente
e le cose. Riceveva tenendo ficcate le mani in tasca per
non aver da stringere le altrui, o le stringeva coi
guanti che poi gettava via ; firmava i fogli tenendo la
penna con due dita intanto che un impiegato li trat-
teneva perchè non gli scorressero sotto, e quando la-
sciava il Palazzo di città faceva chiudere il suo seggio-
lone in un ripostiglio ^perchè nessuno avesse da sedercisi
sopra. Un giorno che non fu trovata la chiave, restò sei
ore in piedi. E il suo terrore erano certi impiegati poco
puliti, coi capelli lunghi, le unghie nere. Sbuffava,
esclamava : « Non vi buttate addosso alla gente, »
mentre gli parlavano di cose di servizio, o gli riferi-
vano lo stato degli affari in corso; e invece di rispon-
dere alle loro domande, usciva inaspettatamente in un :
« Ma tagliatevi quella zazzera ! » oppure : « Pulitevi un
po' le unghie !... »
— t8i —
« Come se lutti potessero passar la g'iornaia allo
specchio, al par di lui ! » mormoravano i rimproverati,
dandogli dell'aristocratico, del superbo e dell'infinto,
poiché, a sentirlo, tutti gli uomini erano fratelli, fatti
per sedersi sopra una stessa panca — Ma le mormora-
zioni si perdevano nel coro delle lodi degli altri impie-
gati che egli aveva creati, e ai quali aveva fatto au-
mentare lo stipendio, o concedere gratificazioni, o ac-
cordar licenze, o condonar colpe : tutti quelli che gli
stavano dinanzi con maggiore umiltà e gli davano del
Vostra Eccellenza, come servi. Cosi, il partito che lo
voleva innalzare al supremo magistrato, se era forte
in città, al Municipio era fortissimo. Tuttavia, egli si
schermiva, adducendo l'età immatura, la mancanza di
pratica; e a Giulente, il quale faceva il suo giuoco con
sempre ma,ggiore ingenuità, aveva confidato che temeva
di fare un capitombolo e di chiudersi l'avvenire. « Non
cadrai, » assicurava Benedetto, con aria di protezione;
« ci siamo noialtri che ti sosterremo, tutto il partito
dello zio duca. » Ma egli non s'arrendeva, si faceva
pregare dal prefetto, ringraziava « dal profondo del
cuore » le commissioni che andavano ad invitarlo, ma
dichiarava che il peso era troppo forte per le sue spalle.
Continuava a nicchiare, sapendo che c'era una cor-
rente contraria, gì' immancabili brontoloni, i malcon-
tenti invidiosi, tutti quelli che volevano romperla coi
soliti signori, con gli eterni Uzeda. E come gì' im-
piegati municipali gili ripetevano ogni giorno :
— Il sindaco ha da esser \'ostra Eccellenza : il paese
lo vuole —
— Che ne so io? — rispose una volta. — Il paese
non m'ha detto niente!
Allora fu messa insieme una dimostrazione, con mu-
sica e bandiere, per andarlo ad acclamare capo della
città. Egli si lasciò strappare una mezza promessa,
«se il prefetto proporrà la mia nomina — » La dimo-
strazione andò a gridare : « \'iva il sindaco Mirabella ! »
^otto i balconi della Prefettura. E quando il decreto d'\
— l82 —
nomina fu pronto, egli pose un altro patto : che a com-
porre la Giunta entrassero tutte le frazioni del Consi-
glilo, dai clericali borboneggianti ai repubblicani. Lo
lasciarono libero di dettar egli stesso la lista degli as-
sessori : in capo ci mise Benedetto Giulente. Questi ebbe
un bel protestare ; Consalvo gli disse :
— Se non accettate, tutto va a monte. Io sarò il
sindaco di nome, di fatto faremo ogni cosa insieme.
Capisco che vi chiedo un sacrifizio, mia voi ne avete
fatti ben altri !
Figurarsi Lucrezia ! Ella non si potè veramente dar
pace.
— Di sindaco, assessore ! Fa il progresso del gam-
bero ! Qualche giorno di questi lo nomineranno bidello !
IH mestiere pel quale è nato ! E s'è fatto infinocchiare
da quel gesuitello ! Per servi.g'H da comodino ! per fargli
da servitore ! che non è buono ad altro !
Ella, se n'andava a sfogare dalla zia Ferdinanda e
tutt'e due erano nervosissime, intrattabili, perchè giusto
s'aspettava di momento in momento la sentenza della
Corte d'appello sull'affare del testamento. Il giorno che
essa fu pubblicata e diede ragione al principe, annul-
lando la prima perizia e ordinandone una nuova, zia
e nipote, verdi dailla bile, fecero cose dell'altro mondo;
il povero Giulente, avvilito dalle tante grida, dai tanti
rimproveri, scappò di casa come disperato. Il principe
invece, che negli ultimi tempi era tornato a star male,
guari come per incanto, e manifestò il proprio con-
tento parlando quasi urbanamente con le persone, chie-
dendo perfino notizie di « Salut'a noi. »
Qualche settimana dopo, nonostante il caldo della sta-
gione, la principessa andò attorno con la figliuola, fa-
cendo grandi acquisti di biancheria; poi chiamò ope-
raie che si misero a cucire e a ricamare servizii d'ogni
sorta. « Lavoriamo per la principessina ! » dicevano
esse con tono d'affermazione che voleva tuttavia provo-
care una conferma; ma la principessa non diceva niente;
fibbracciava invece più spesso del solito la figliuola, Ja
- i83 -
guardava con una cert'aria come per dire : « Aspetta e
vedrai !... » Teresa non le domandava nulla, ma com-
prendeva che il g-iorno della sua felicità era vicino.
Baldassare gongolava, annunziava il matrimonio senza
tante reticenze : la cosa era certa oramai : il principe
non andava tutti i giorni in casa della duchessa, per
regolare gì' interessi ? Poteva esser quistione di setti-
mane, e tutto il parentado avrebbe ricevuto comunica-
zione del lieto avvenimento.
Infatti, un giorno, a proposito di certe coperte da
Ietto tra le quali non riusciva a scegliere, Teresa disse
alla madrigna :
— Faccia Vostra EcceUenza, per me sono tutte
belle....
— Debbo forse usarle io ? Non capisci che si tratta
di te ? — rispose la principessa.
Una viva fiamma sali alla fronte di Teresa. Ella
trattenne il respiro ed abbassò le ciglia.
— Vieni qui !... — e attirataila sul cuore, donna
Graziella cominciò : — Si tratta di te, del tuo matri-
monio.... È venuto il momento di farti felice.... Credevi
che tuo padre non pensasse a te ? Tanti affari, tante
cure!... Ma adesso faremotutto presto, vedrai!... —
Stampatole un bacio in fronte mentre le reggeva il
capo con tutt'e due le mani, esclamò : — Sei contenta
di divenir duchessa ?
Un momento, Teresa credè d'aver capito male. Battè
le palpebre guardando negli occhi la madrigna, e ripetè
come un'eco :
— Duchessa ?...
— Duchessa Radali, sicuro, ed anche baronessa di
Filici, perchè il tuo secondogenito porterà questo titolo !
Duchessa, e con molti ducati ! Una delle più ricche !
Tuo padre, perchè Consalvo s'è portato male con lui,
ti tratterà bene.... Ha già stabilito tutto con la zia....
E il miio non sarà poi tuo?... E che? Fingi di non
sapere?... Perchè mi guardi cosi?... Che hai?...
— Mamma.... mamma....
— i84 —
Sempre più pallida come la madrigna veniva dicendo
quelle parole, e più smarrita e più tremante, quasi ve-
desse una cosa di spavento, ella adesso portava una
mano alla tempia ed afferrava con l'altra la mano della
principessa.
— Mamma, no io non credevo —
— Che cosa?... Figlia mia! Confidati a me!... Non
credevi?... Ma io invece ero sicura — Veniva qui quasi
ogni giorno!... Ebbene, lo sai adesso!... No?... Dici di
no?... E perchè? Con qual motivo?... Tuo padre non
bada a sacrifizii per assicurarti questo partito !... Tren-
tamila onze, capisci ?... Ti dà trentamila onze !... E Mi-
chele ne possiede quattro volte tante E tu dici di
no?... O perchè?...
— Perchè credevo.... non credevo — che fosse lui...
— Chi dunque?... Un altro?... — E la principessa
parve cercare ; a un tratto, quasi rammentandosi : —
Suo fratello, forse ? — soggiunse.
Lasciatasi cadere sopra una seggiovia. Teresa na-
scose il volto tra le mani e scoppiò in pianto. Fin dal
primo momento ella ave\ a sentito, col cuore stretto,
che tutti i suoi rifiuti sarebbero stati invano ; che se
avevano deliberato di darla al primogenito, ella doveva
a qualunque costo accettarlo ; e le melate parole della
madrigna che le diceva, giungendo le mani : « Se avessi
saputo!... Perchè non hai parlato?... Adesso che tuo
padre ha combinato ogni cosa I... » la confermavano in
quella sconsolata fiducia, facevano raddoppiare il suo
pianto Parlare? A chi, ed a che scopo? Se in quella
casa non c'era confidenza, se tutti stavano in guerra,
unicamente curanti del proprio tornaconto? Se l'ave-
vano prima abituata a cedere in tutto e poi cullata nella
fiducia che l'avrebbero fatta contenta ? Poteva ella sup-
porre che avrebbero scelto da loro, senza consultarla,
e che un giorno sarebbero venuti a dirle : « Sai, bi-
sogna che tu sposi chi non ti piace ?... » E perchè, poi ?
Perchè volevano darle quell'altro e non chi aveva il suo
cuore ?
- i85 -
— Pel tuo meglio ! — esclamava la madrigna, —
abbiamo deciso cosi pel tuo meglio ! È il primogenito,
sarai duchessa, i tuoi figli avranno due titoli da dividersi,
mentre con l'altro non ne resterà loro nessuno — Ed è
anche più ricco; non molto, è vero; ma c'è tuttavia
una differenza !... E la figilia del principe di Franca-
lanza non deve sposare un oscuro cadetto come una
qualunque !...
Che le importava di ciò ! Se ella aveva dato il suo
cuore a Giovannino ? Se non aveva mai pensato che
l'altro fratello, cosi grossolano, cosi brutto, potesse
essere suo marito ?
— Ma tu non sai, — riprendeva la principessa, —
che neppure la zia duchessa consentirà al matrimonio
di Giovannino, ancora quando noialtri acconsentissimo,
come io vorrei acconsentire, per farti contenta ? Xon sai
che la zia vuol dar moglie al solo primogenito ? Questa
è la legge delle nostre famiglie ; che anzi, se i tempi
non fossero mutati, Giovannino non avrebbe neppur
pensato a inquietare una ragazza come te, sapendo di
non poterla sposare !
— No, no!... — proruppe allora Teresa fra le la-
crime; — non l'accusate; sono stata anch'io.... gli vo'
bene anch'io —
— Andiamo!... — fece la madrigna con un sorriso
pieno d'indulgenza; — Fantasie di ragazzi, cose che
passano!... No?... — riprese con un altro tono, ve-
dendo che il muto pianto di Teresa ricominciava. —
Ti ostini a dare un dispiacere a tuo padre ? Come se
gliene mancassero?... E allora diglielo, che non lo
vuoi !
— Io, iTuamma?...
— • Vuoi dunque che tocchi a me darg^li questa grata
notizia?... E sia! Anche a me dispiace il tuo rifiuto,
sai.... Ma, ma, ma Non sono tua madre !... È giusto
che a te, come a tuo fratello, non importi il mio piacere
o il mio dispiacere —
— Mamma !... Perchè dice cosi?... Non sa che 1' ho
sempre rispettata ed amata come la mamma mia?.,.
— i86 —
— E sia !... E sia !..
Ah, perchè non aveva accanto la sua mamma vera,
in quella triste ora che il bisogno d'un affetto sincero,
d'una protezione gelosa era più necessario ! La mamma
sua non l'avrebbe lasciata sola, piangente, come la la-
sciava la madrigna, con queste sole parole per tutto
conforto :
— - E sia; dirò tutto a tuo padre! In fin dei conti,
ci avrà da pensar lui!...
La principessa non riparlò piìj a Teresa del matri-
monio, come se mai gliene avesse tenuto parola.
Neppure il principe le disse nulla ; ma dal contegno
mutato del padre, ella comprese che sapeva ogni cosa
e che gliene voleva. Da un giorno all'altro non le
diresse più la parola, non la chiamò più per nome, parve
non accorgersi della sua presenza; e dissipatasi dal suo
volto l'aria di contento per le buone notizie della lite,
egli si rannuvolò peggio che mai, riprese a montare
in bestia per niente. La notizia cominciò a trapelare fra
i parenti : i più. giudicavano sciocca Teresa, che preferi-
va il barone al duca ; alcimi la sostenevano, Consalvo tra
questi. A lui non importava un fico secco della sorella,
ma per dar prova di dottrina e di democrazia : « Vedete
la forza del pregiudizio? » esclamava. « Vogliono dare
mia sorella a un cugino, » e giù una lezione sui matri-
monii tra consanguinei ; « ma tra i due le danno quello
che non vuole, non quello che le piace; e perchè? Per
una differenza di parole! Duca o barone!... Pazienza
ci fossero dietro a questi titoli la ducea o la baronia ! »
L'avversione della zia Ferdinanda e di Lucrezia ebbe
nuovo alimento; qiiella sciocca preferiva il secondoge-
nito al primo ! Si opponeva alla volontà del padre ! E
il padre che non aveva saputo educarla a un'obbedienza
più cieca !... Lo zio duca, coi piedi in due staffe, come
sempre, pencolava un po' di qua, un po' di là, ma in
cuor suo era favorevole al partito voluto dal principe,
come più degno della casata. E del resto, se anche la
duchessa non volava dar moglie al cadetto?
- i87 -
La duchessa, infatti, s'era poste le mani in capo.
Dopo aver sacrificato tutta la sua vita per amore di
quel primog-enito, per assicurare una grande ricchezza a
lui ed alla sua discendenza, dopo aver tanto aspettato
a darg-li mog-lie perchè nessuna, a suo giudizio. Io me-
ritava ; ora che gli aveva trovato la cugina Teresa, che
era alla vigilia di coronar l'opera di trenta lunghi anni,
l'amoretto di Giovannino distruggeva a un tratto tutti
i suoi piani. Ella non aveva sospettato una cosa si-
mile, tanto le pareva che Giovannino dovesse sentir l'ob
bligo di restar scapolo affinchè solo il primogenito con-
tinuasse la casa. « Quando Michele prenderà moglie
Quando Michele avrà figli » ella, lo stesso Giovan-
nino non aveva parlato d'altro che del matrimionio di
Michele, del duca. I due fratelli si volevano bene, erano
andati sempre d'accordo; se dunque Giovannino pareva
voler mettere bastoni tra le ruote, la colpa era di lei
che non lo aveva avvertito del matrimonio disegnato.
La colpa era anche di Michele. Indifferente a tutto,
incapace di riscaldarsi per niente. soJo amante della
bella caccia e della buona tavola, quando la madre aveva
lasciato passar gli anni senza dargli moglie egli non
aveva chiesto di prenderla ; adesso che gli proponeva
la cugina Teresa, si disponeva a sposarla, senza vo-
lontà, senza desiderio, come avrebbe fatto un'altra cosa
qualunque. Trattava la cugina con la confidenza giu-
stificata dalla parentela, scherzava con lei come scher-
zava con tutti, un po' grossolanamente; era incapace
di dirle una parola tenera : chi poteva dunque sospet-
tare che quello fosse un futuro promesso della ragazza ?
Non lo sospettava neppure Baldassarre, il quale rimase,
udendo che il fidanzato non era più il suo favorito,
ma l'altro fratello. Come ? Il principe voleva dare quel-
l'altro alla padroncina ? Se la signorina non lo voleva !
Se lui stesso, Baldassarre, aveva annunziato a tutti che
il promesso era il barone Giovannino ? « Andiamo ! il
principe non sa che la padroncina vuol bene al piccolo.
Quando vedrà che dice davvero, si persuaderà.... » In-
— i88 —
\ece, poiché Teresa aveva sempre gli occhi rossi di
pianto, per l'avversione che le dimostrava il padre, per
la freddezza che ostentava la stessa madrigna, per la
nuova guerra scoppiata in famiglia mentre ella voleva
far opera di pace, un giorno la principessa le disse :
— Si può finalmente sapere che hai ?
— Xiulla, mamma ; non ho nulla.
— Allora, perchè questo broncio continuo ? Ti ostini
sempre nella tua idea?... Oh, adesso è tempo di parlar
chiaro. Tuo padre ha dichiarato che sposerai Michele,
o nessuno. Non ho voluto dirtelo prima, credendo che
egli si sarebbe piegato, ma tu lo conosci meglio di me
E del resto, proprio in questo momento vuoi dargli un
gran dispiacere ? Non sai che è ammalato, molto più
gravemente che non sembri?.., E non solo tuo padre,
ma anche la duchessa ? Due famiglie ! Avete disturbato
due famiglie !... Adesso che sai come stanno le cose,
continua pure, se ti piace Certo, oggidì la volontà
dei parenti non ha pei figli forza di legge. Se lo vuoi
a qualunque costo, puoi anche scappartene di casa,
come fanno le ragazze senza rispetto e senza pudore
— svolgendo questi argomenti, la voce di donna Gra-
ziella si addolciva, quasi ella non potesse credere alle
ipotesi che enunziava ; — e potrete anche maritarvi, ma
ad altre condizioni, beninteso, e senza la benedizione
dei vostri parenti e se tu credi che in tal modo po-
trete esser felici, fa' pure!...
Teresa non piangeva più, adesso; aveva versato tante
lacrime in segreto, bagnando il suo guanciale, tutte le
notti ! Guardava dinanzi a sé, fiso, senza veder nulla,
con un tremito nervoso della mascella, con una piega
senza fine amara del labbro.... E la principessa, smessa
la severità, ricominciava a persuaderla con le buone,
amorosamente, dicendole che i migliori giudici di quel
che le conveniva erano i suoi parenti ; che ella poteva in-
gannarsi, come s'era in,gannata, per esempio, sua zia
Lucrezia. Aveva voluto a qualunque costo sposare Giu-
lente, e adesso come ne parlava? Certo i casi erano di-
— iSo —
Versi, perchè tra Michele e Giovannino non passava
tanta differenza da rendere l'uno degno di lei e l'altro
no ; ma c'era una grave ragione che li consigliava a
darle iil maggiore, una ragione che bisognava pur dire.
- — Se Michele non è cosi bel giovane come Giovan-
niino, ha una salute di ferro; mentre suo fratello è gra-
cile, cagionevole Senza contare un'altra cosa, più
grave ancora : la soverchia irrequietezza dello spirito —
Non sai che suo padre era già pazzo quand'egli nacque ?
Dio disperda la profezia, ma se un giorno anche a lui
voltasse il cervello?... Avresti fatto un bell'affare!...
\'edi che tuo padre adduce dunque ragioni e non ca-
pricci. Contrariarlo importa dargli un dispiacere che
gli può riuscire fatale, tanto più che la sua malattia
non si sa che cosa sia.... Ho pianto tanto, giorni ad-
dietro, quando il dottore mi confidò che bisogna pensare
alla sua salute !... Non te ne volevo dar nulla; ma è ne-
cessario che tu sappia quale sarebbe la tua responsa-
bilità nell'opporti ai suoi desiderii, che non mirano ad
altro fuorché al tuo bene —
E ricominciò il giorno dopo, e poi l'altro appresso, e
cosi sempre, con le buone, coi ragionamenti, ai quali
Teresa non opponeva i ragionamenti contrarli che le si
affollavano nella mente. Che esempio era quello della
zia Lucrezia, se costei aveva mutato sentimento, senza
ragione, per stravaganza — come dicevano tutti?... E
se temevano per la salute morale di Giovannino, perchè
le consigliavano di portargli un colpo cosi forte, come
quello di rifiutar di sposarlo, dopo ch'egli le aveva
detto di voler bene a lei sola?.... No, ella non diceva
né questa, né quante altre cose pensava; perchè, do-
vendo manifestare tutto l'animo suo, avrebbe dovuto
dire che suo padre voleva sacrificarla ad uno sciocco
pregiudizio, che la madrigna fingeva quell'affetto per
indurla a fare ciò che voleva il marito ; avrebbe dovuto
dire che in nessun'altra famiglia la malattia del padre
è stata ragione di ordire l'infelicità delle figliuole; e
avrebbe dovuto dire ancora che la ribellione di Con-
— igó —
salvo si dimostrava ora giustificata, avrebbe dovuto ri-
bellarsi ella stessa Ma questo era peccato! 11 confes-
sore glielo avvertiva, raccomandandole la prudenza,
l'obbedienza, l'abnegazione, tutte le virtù cristiane, di
cui in famiglia ella aveva luminosi esempi : Suor Croci-
fissa, che da bambina stava a S. Placido, che aveva ri-
nunziato con vocazione esemplare al tristo mondo per
darsi allo Sposo celeste, e adesso, giusto premio delle
sue virtù cristiane, era Badessa del monastero; Monsi-
gnor Lodovico che anche lui aveva disprezzato il posto
spettantegli al secolo per abbracciare lo stato monastico.
E la beata Ximena, nei secoli andati. Proprio quell'anno
ricorreva il terzo centenario della sua esaltazione fra gli
Eletti : voleva la discendente mostrarsi degenere, pro-
prio mentre Ella la guardava dal paradiso con più
amore e fervore?... E le stesse cose le ripeteva la zia
Badessa, a San Placido, dove ora la principessa la
conduceva ogni domenica per ordine del marito.
La Badessa, col viso color della cera tra i veli bianchi,
•era rimbambita dei tutto, non sapeva far altro che ri-
petere alla nipotina, dietro le grate del parlatorio, quel
che le avevano indettato : « Bisogna fare la volontà di
tuo padre e tua madre.... Cosi comanda Nostro Si-
gnore, cosi comanda la Vergine Immacolata, cosi co-
manda il patriarca San Giuseppe.... » La sua voce aveva
il tono che si prende nel recitare le litanie; e lì, tra le
mura del monastero. Teresa rammentava la fanciul-
lezza lontana, l'antica paura provata quando la posa-
vano sulla ruota per farla entrare ndl' impenetratoile
badia; ma rammentava ancora le lodi delle monache,
quand'ella aiutava a ornar di fiori gli altari, ad accen-
dere i ceri dinanzi al Crocefisso : « Monachella santa !
Monachella santa!... » E l'istinto del sacrifizio, i moti
d'umiltà, la sete di ricompense che l'avevano occupata
bambina si ridestavano in lei. Il confessore le meiteva
un altro scrupolo nell'anima : quello di spingere al pec-
cato un'altr'anima; giacche ■ — ella non lo sapeva, ma
era cosi — il minore dei Radali minacciava di ribellarsi
apertamente alla madre....
— i9i —
Era falso ; Giovannino' non pensava niente affatto a
ribellarsi; perdeva soltanto la sua gaiezza, all'annun-
zio del disegnato fidanzamento del fratello. E Bal-
dassarre, sempre più incaponito a conubinare il matri-
monio del secondogenito, non capiva pili niente di
quanto avveniva. Don Giovannino aveva si o no fatto la
corte alla cugina ? La signorina aveva si o no mostrato
di gradirla ? Il duca Michele era sì o no del tutto
indifferente al'la cugina come ad ogni altra, e voleva
si o no un gran bene al fratello ? Allora tutto quel
diavolio donde veniva? Dal principe, cocciuto come
tutti gli Uzeda... - — ma Baldassarre, a un certo punto,
si turava la bocca per non ripetere i giudizii della gente
su quella casata — e dalla duchessa, che non per nulla
era un poco Uzeda anche lei !...
Il centenario della Beata Ximena fu celebrato con
pompa straordinaria. Per il triduo la chiesa dei Cap-
puccini, tutta rosse drapperie e frange dorate e tappeti
fioriti, fu illuminata a giorno; le campane sonavano a
festa, le messe che si segaiivano a tutti gli altari chia-
mavano una folla sterminata di fedeli d'ogni stato. I di-
scendenti della santa vi convennero anch'essi, ma in ore
diverse, per evitarsi, dal tanto amore. La principessa
e Teresa, il primo giorno, restarono un momento per
impetrar dalla gloriosa parente la guarigione del prin-
cipe Giacomo, da due settimane inchiodato a letto da
misteriose sofferenze. Ma la solennità più grande era
serbata per il terzo giorno, quando, dopo il Pontificale,
il popolo sarebbe stato ammesso a contemplare la salma.
Gi^i, per cura del Padre Guardiano, coadiuvato dal
Padre Camillo e da Monsignor Vicario, era venuto in
luce un opuscolo intitolato : Nel terzo centenario della
canonizzazione della Beata Uzeda, e stampato con molto
sfoggio di margini e di colori. Tutti i parenti ne ave-
vano ricevuto un esemplare, e Teresa che s'era confes-
sata e aspettava di comunicarsi il giorno della gran
festa, m'editava il suo. La leggenda della santa, che
ella aveva udito ripetere, a brani, in diverso modo,
era in quel libriccino narrata per filo e per segno.
- — ìgz —
« Ximena, della illustre prosapia degli Uzeda », così
cominciava il primo capitolo, « fu figlia al Viceré Con-
salvo ed alla nobile Caterina dei baroni di Marzanese.
Fin dai suoi teneri anni, diede esempio di edificazione
alla famiglia, facendo sua delizia delle sacre immagini e
deg-li ufìRcii divini. Quantunque per naturale elezione
Essa volesse dedicar la sua vita allo Sposo Celeste,
pure le ragioni della politica persuasero LI padre suo
a far'la sposa del conte di Motta- Reale, potente signore
spagnuolo, ma uomo d'efferato animo e senza timor di
Dio ». Seguiva la narrazione dei rifiuti opposti da Xi-
mena, dei lunghi pianti, del contrasto tra l'amor filiale
ed il celeste ; ma un giorno, essendo la fanciulla in
età di quindici anni, avverossi singolare prodigio : un
Angelo apparve a Ximena, il quale le disse : Il Signore
t' ha eletta per redimere un'anima : obbedisci ». .Allora
la fanciulla aveva accettato il partito.
Il secondo capitolo descriveva il castello del conte,
posto sopra un luogo eminente, « a cavaliere di più
strade battute dai mercatanti », e narrava le scellera-
tezze del suo signore. « Aggrediva i viandanti, li la-
sciava nudi, legati ad un albero in mezzo alla strada ;
oppure li menava prigioni o li spegneva tra spasimi
crudeli». La sua vita era un'orgia; egli faceva ol-
traggio alle donne, gozzovig'liava da mane a sera, be-
stemmiava Dio e i Santi, e si prendeva beffe dei Mi-
nistri del Cielo ». E i tormenti inflitti alla sposa erano
materia del terzo capitolo. Schernita tuttodì per le sue
pratiche devote, costretta a udire gì' impuri parlari di
quel malvagio e dei suoi accoliti, a vedere le loro scel-
leraggini, ad assistere alle loro turpitudini, Ximena fa-
cevasi usbergo sempre piia saldo della sua fede, pre-
gando ai traviati il perdono dell'Onnipotente : ma la
nequizia di quel tristo suo sposo, irritata da tanta esem-
p'are santità, offesa dalla protezione che la consorte
prestava ai poveretti caduti nelle unghie di lui, mise
Ximena a tal prova, che la stessa penna arrossisce in
narrandola. Una sera, ebro per la gran quantità di vino
— ^93 —
tracannato, lasciò che i suoi amici penetrassero nella
camera nuziale, doAC Ximena riposava dopo una gior-
nata tutta spesa nel pregare e nel fare il bene. Desta ■
d'un tratto la meschina, e atterrita dagli sguardi diso-
nesti di quegli ubriachi, salta giù dal talamjo, cadendo
ai piedi d'una Sacra Imagine della SS. \'erg-ine del-
l'Aiuto che teneva sempre con gran devozione al ca-
pezzale; ed ecco nuovo prodigio operarsi: s'arrestano
gV imbestiahti, quasi magico cerchio impedisca loro
appressarsi alla donna : e tornati a un tratto alia ra-
gione, allontanansi facendo il segno della croce dinanzi
alla Immagine ».
Partito un bel giorno il conte pei suoi possedimenti
di Spagna, e restata sola in Sicilia la S(posa, tutto s'era
a un tratto mutato nel castello di Motta-Reale. « Dove
prima echeggiavano osceni canti, e ferri incrociati, e
colpi di fuoco, e grida selvagge e lugubri lamenti, solo
le laudi dell'Altissimo salirono al cielo. Quel luogo, g'à
terrore dei viandanti, divenne ritrovo di derelitti e di
infermi, attirati dalla gran fama di carità de'lla contessa.
Alloggiava dessa i pellegrini, adottava gli orfanelli, soc-
correva i bisognosi, curava gli ammalati, e le sue mani
stesse medicavano le piaghe e le ferite e prodigiosa-
mente le risanavano. In quei luoghi dove tanti miseri
erano caduti vittime del conte, altari e croci s'alzarono,
ad espiazione degli antichi delitti, a conversione dei
miscredenti. Tutte le sostanze di Ximena furono spar-
tite alle chiese; Essa viveva vita frugale, dicendo: « Il
poco mi soverchia, il molto rni spaventa ». Non con-
lentavasi che i poveri venissero a lei, ma si andava ai
poveri, sfidando le intemperie e i pericoli, protetta vi-
sibilmente dal Cielo... ».
Nessuna notizia, frattamto, del conte. Che cosa fa-
ceva? Dov'era? « Una notte di tempesta, mentre guiz-
zavano i lampi e scoppiavano i tuoni, la contessa, le-
vatasi e destata la sua fantesca, le disse : « \'a' ad
aprire, qualcuno batte ». La donna rispose : « Non bat-
tono, è il tuono ». E una seconda volta la contessa
09 Robtito. / Viceré II IS
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levossi e disse alla donna : « Va' ad aprire, qualcuno
balte » e la donna rispose : « Non balLono, è il vento ».
K una terza volta la contessa levossi e disse alla donna :
« Va' ad aprire, qualcuno batte », e la donna rispose :
« -Non battono, è la piog-gia ». Ma, comandata che sve-
gliasse i servi, la fantesca levossi anche lei, e dischiusa
la porta del castello, un miserabile chiese della sig'nora.
Era costui un vecchio, lacero, scalzo, sud cui viso sta-
\ano impresse le stimmate del vizio; un terribiìe male
che è la giusta punizione dei dissoluti, aveva corrose le
sue fattezze, e i suoi occhi s'erano chiusi alla luce del
di. Moriva di fame, non reg'g'evasi in piedi, e un fan-
ciulletto avrebbe'lo avuto alla propria mercè. Chi era
quel vecchio ? ».
Era il conte di Motta-Reale. « Dissipate nei bagordi
e nei giuochi tutte le sue ricchezze, perduta la salute,
abbandonato dagili antichi compagni di gozzoviglie, re-
spinto da tutti per l'orrore del male che lo struggeva,
egli trascina\asi di luogo in luogo, blasfemando ed im-
precando ; finché, tornato in Sicilia, udì della gran ca-
rità d'una donna che accogilieva e medicava qualunque
infermo, anche i lebbrosi. E nei salire al castello, nel
penetrarvi, i suoi morti occhi non avevano potuto rico-
noscere l'antico suo covo, né le sue orecchie piagate
avevano potuto riconoscere la voce della consorte. Ma
ben Essa avealo riconosciuto. E ristoratolo di cibo e di
bevande, medicate le sue piaghe, lavati i suoi piedi,
Ximena lo mise a riposare nel proprio letto — E il mi-
serabile che insino a qualche ora indietro avea blasfe-
mato e disperato, sentì per la prima volta una dolcezza
soave aiUargargli le vene, e un fuoco di gratitudine scio-
giliergli il cuore impetrato... Ma l'ora sua era suonata,
e il Signore avea stabilito di donargli non l'effimera
salute del corpo, ma sì quella dell'anima... Il vec-
chiardo, tra le cure della Beata, al lieve mormorio delle
preci che Essa mormorava, entrava in agonìa. Ma la
sua agonia non aveva nulla di terribile; anzi pareva a
lui d'esser risanato del tutto, e udire musiche ineffabili.
— 195 —
V re.~.pii are prulumi soavissimìi, laddove poco innanzi
marciva nel lezzo e avea rotta tutta la persona E
un sorriso di contento g^li schiudeva la bocca, mentre
le sue labbra mormoravano : « Chi sei tu dunque che
non mi resping-esti e mi ridoni la vita?... » E la Beata
rispose : « Guardaimi in viso ».
« Allora avvenne più grande prodigio. Gli occhi del
cieco si schiusero : egli ricomobbe sua mog-lie, la donna
che aveva maltrattata ed offesa, e che sola lo proceg-
geva neJla miseria e nell' infermità ; e nel punto che
l'anima sua, perdonata e redenta, saliva ail cieJo, dalle
sue labbra uscirono queste parole : « Santa, Signore !
Santa ! ».
Teresa aveva gii occhi bagnati di pianto, dalla com-
mozione; ma il libretto non era Hnito. L'ultimo capitolo
narrava i nuovi e più grandi e più chiari esempii di
carità e santità che la Beata aveva dati dopo la morte
d&ì marito ; da ultimo narrava la morte di lei e i suoi
miracoli. « Non era per anco spirata, che stormi d'au-
gclletti scesero sul tetto della sua casa, posaronsi sul
davanzale del suo verone, entrarono nella sua cameretta,
quasi messaggeri celesti venuti ad incontrarne l'Anima
belila. Soa^'e profumo di rose e gelsomini e giacinti
sprigionossi, come incenso, dal suo corpo ; e un gran
numero d' infermi che trassero a contemplarla l'ultima
volta sul letto ferale guarirono miracolosamente sol-
tanto per aver baciato il lembo deMa sua veste. Per
prodigio divino, la spoglia terrena di questa Eletta sal-
vossi dalla corruzione : dopo tanti secoli, il frale della
Beata conserva ancora la freschezza ed il colore che
aveva in vita, sì che pare che Essa sia assopita in un
sogno divino. In occasione di pestilenze e d'altre pub-
bliche e private calamità, la Beata Uzeda ha operato
innumerevoli miracoli, come fu provato dinanzi ai Sacri
Tribunali di Roma. A tal uopo pubblichiamo qui per
la prima volta il processo defila Sua canonizzazione, che
abbiamo potuto procurarci grazie all'alta intercessione
dell' Eminenfcissimo Cardinale Lodovico Uzeda, preclaro
discendente della Beata ».
— 196 —
E quella lettura, la solennità del centenario, i di-
scorsi del confessore e della madrig-na e della zia mo-
naca, la malattia del padre, la stessa esaltazione dello
zio Lodovico alla suprema dig^nità eccksiastica avvenuta
m quei g-iorni, tutto concorse a piegare, come cera, il
cuore di Teresa... La costringevano forse a sposare un
mostro, come avevano costretto, nei tempi, la santa?
Michele non era un mositro, era un buon giovane ; e i
parenti non la costringevano, le tenevano il linguaggio
della persuasione, le consigliavano la virtù dell'obbe-
dienza, parlavano pel suo bene, per la pace delle due
famiglie, per la salute di suo padre, ammalato — dice-
vano — dai tanti dispiaceri. La incitavano a non se-
guire il tristo esempio di Consalvo; le promettevano
ogni ricompensa terrena e celeste... E poi, quella so-
lennità del centenario, la - cerimonia del terzo giorno,
l'adorazione della salma ! Ella s'era accostata all'altare
per la comunione, aveva ricevuto l'Ostia, mentre le spire
delH' incenso e il profumo dei grandi mazzi di fiori im-
balsamavano l'aria, e le campane squillavano a festa,
e l'organo cantava, grave e potente. Quante fronti umi-
liate, quante preghiere mormorate dinanzi alla santa, a
cui ella era state paragonata I Ma un infinito terrore
la stringeva, da lungo tempo, da tanti anni, all' idea
di dover vedere la morta, il secolare cadavere, quasi
che per un nuovo mostruoso prodigio il corpo esanime
potesse sollevarsi dalla bara, infrangere i vetri, affer-
rarsi ai viventi spandendo attorno l'odore nauseabondo
dei balsami corrotti... E in mezzo ajlla folla che aprivasi
rispettosam,ente sul loro passaggio, mentr'ella avanza-
vasi verso la cappella tutta lucente, il suo terrore cre-
;,ceva, l'agghiacciava, le sue gambe piegavansi, bri-
vidi di freddo le scendevano dalla niica giù per la
schiena.... Ah, quella cassa !
Con gli occhi serrati, ella cadde in ginocchio, smar-
rita, tremante, folle dalla paura. L'na voce al suo fianco
mormorò :
— Pregala per tuo padre... promettile che sarai
buona com» lei...
— 197 —
Dalla paura, per andar subilo via, per non veder
quell'orrore, ella rispose con gli occhi serrati :
— Si...
E passò delil'adtro tempo. Il principe migliorò e ri-
cadde, la duchessa venne al palazzo col solo primoge-
nito; la trama dei consigli, delle persuasioni, degli inci-
tamenti si strinse intorno a Teresa. La miadrigna le
disse che Giovannino, per non esser d'ostacolo alila fe-
Tcità del fratello, aveva dato l'esemipio dell 'obbedienza,
se n'era andato ad Aug^ista, dove domicilia vasi per ba-
dare alle proprietà. Teresa consideravasi impegnata
dinanzi alla Beata : acconsenti. Mise un patto solo :
disse alla madrigna :
— Farò quel che vorrete, purché il babbo mi pro-
metta una cosa. Che faccia pace con mio fratello e con-
senta almeno a rivederlo, se non vuole che torni a vi-
vere qui. Che finisca la lite con le zie e venga a un
accordo. Xon sarà difificiile concluderlo, purché ciascuno
ceda in qualche cosa. Se volete, parlerò 'o stessa con
le zie. — La sua voce era grave, il suo sguardo velato.
— Sei una santa ! — esclamò donna Graziella. —
Tua madre certo t' ispira ! Vedremo cosi la pace tor-
nare fra tutti !... Parlerò subito a tuo padre, ed otter-
remo ciò che tu vuoi.
Il domani, infatti, le annunziò :
— Tuo padre acconsente. Consadvo verrà qui il
giorno in cui ci verrà il tuo promesso, .andremo ad
invitare noi stessi le zie ; e per la lite speriamo che si
venga all'accordo.
Tre mesi dopo, la duchessa venne a presentare il
duca in casa della fidanzata. Già Consalvo era arrivato
al palazzo, e Teresa, presolo per mano, lo aveva guidato
nella camera del padre.
— Babbo, — gli aveva detto; — c'è qui suo figlio
che viene a baciarle la mano.
Il principe, tenendo la sinistra in tasca, gli porse la
destra a baciare, e alla domanda del figliuolo : « Come
— 198 —
sta \'ostra Eccellenza?» — «Benissimo», — rispose,
calcando un poco la voce, e senza domandarg-li : « E
tu? » Non avevano ancora barattate quattro parole, che
la carrozza di donna Ferdinanda entrò con gran fra-
casso nel cortile. La principessa baciò la miano alla
vecchia, e abbracciò la cognata Lucrezia, la quale por-
tava un abito eleg-antissimo : seta color d'ailbicocco con
guarnizioni pistacchio.... Ella avea fatto sapere' a tutti
che la lite col fratello s'avviava ad un amichevole com-
ponimento e che le bisognava adesso dare molt-e com-
missioni alla sarta per lo sposalizio di « mia nipote la
principessina con mio nipote il duca ». Era piena di
debiti, co^n la sarta, con la modista, il gioielliere : im-
brogliava sempre più l'amministrazione del marito, ma
la sua parte nell'eredità di don Blasco avrebbe appia-
nato ogni cosa.
Tutti gli altri parenti sopraggiunsero : il duca d'Ora-
gua, Giulente, iti marchese senza la moglie, la quale
non voleva più venire dal Belvedere, dove il bastardello,
cresciuto neg-'li anni e rovinato dall'educazione di lei, la
picchiava di santa ragione. Il principe, salutando i pa-
renti, guardava con la coda dell'occhio Consalvo e non
cavava di tasca la mano sinistra. Arrivò finalmente il
promesso con la madre. Il duca, vestito quasi degan -
temente, non faceva poi un troppo brutto vedere, e
pareva veramente felice. Sua madre gli aveva spie-
gato che Teresa era innamorata di lui, e che i bronci di
Giovannino derivavano dall' idea che questi s'era fìt'to
in capo di sposar la cugina, senza che né la ragazza, né
la famiglia, né lei .stessa che era sua madre e doveva
contare bene per qualche cosa, acconsentissero. Quindi
se n'era andato ad Augusta; 11 si sarebbe persuaso del
proprio torto. Pertanto la duchessa era trionfante :
l'opera a cui aveva atteso durante tutta la vita si com-
piva lietamente : il primogenito accasavasi, continuava
la razza; il cadetto, dopo ed a causa di quell'amore con-
trastato, non le avrebbe dato certamente altre inquie-
tudini. Quanto alla principessa, sfolgorava dalla sod-
— 199 —
disfazione : il matrimonio di Teresina era tutta fatica
sua particolare. È vero che la rag"azza aveva dato
prova di grande arrendevolezza, e perciò ella la baciuc-
chiava og-ni quarto d'ora, in presenza della gente; ma i
buoni consigli, le ragioni persuasive chi li aveva dati ?
Lei, per la felicità della sua cara figliuola, per la sod-
disfazione del marito, .per la pace della famiglia !...
Anche il pri-nciipe mostrava una bella ciera, nonostante
r inquietudine ispiratagli dal figliuolo e le tracce della
recente malattia. La transazione per l'eredità di don
Blasco era stata discreta : la casa a donna Ferdinanda,
la rendita al duca, il quale aveva fatto due grossi regali
a Lucrezia ed a Chiara : centovent'onze l'anno a Carino ;
il Cin'aliere col nuovo podere — il più grosso e bel boc-
cone — a lui.
Cosi la pace era generale, e solamente donna Ferdi-
nanda guardava in cagnesco Consalvo per l'apostasia
della quale s'era macchiato. Ma Teresa, do'po aver rap-
pattumato il fratello col padre, riprese Consalvo per
mano e lo condusse dinanzi alla zia.
— Zia, — disse, — Consalvo le vuol baciare la mano.
Fgli si chinò subito a prender la zampa rugosa per
nascondere ri riso che gli solleticava la gola. Quella
A-ecchia che aveva acchiappato senza tanti scrupoli un
pezzetto della roba della Chiesa dopo avere sbraitato
contro i fedifraghi, l'aveva con lui perchè egli, a parole
soiltanto. aveva mutato politica !... E mentre faceva
uno sforzo straordinario sopra sé stesso per avvicinarsi
alile labbra la mano di lei, ella la ritraeva, credendo di
fargli cosa sgradita, borbottando un freddo : « Va bene,
va bene !... » Egli volse le spalle alla vecchia matta. Ma
comic chiamar Teresa ? Consalvo rideva tra sé, vedendo
lo zelo col quale costei andava accoppiando i parenti
recalcitranti. Per metter pace tra gente che il domani
avrebbe ricominciato ad azzuffarsi, per dar prova d'ob-
bedienza a quei birbanti del padre e della madrigna,
perché si dicesse che era una figliuola modello, aveva
rinunziato all'amore di Giovannino, sposava quel ci-
trullo del duca !
200
— Sei contenta? — non potè fare a meno di doman-
darle, a quattr'occhi.
— Si, — ella rispose; e la tristezza del sacrifizio che
le velava la fronte si diradò per dar luogo aiMa serenila
dell dovere compito...
Ora, mentre questo avveniva nella Sala Gialla, Bal-
dassarre, nell'anticamera, parlava solo, fuori di sé :
— Guardate un po'... E io che non credevo!...
Adesso anche lei !... Ma allora come sono, tutti pazzi ?. ..
Questa no! Non dovevano farmela!...
No, fino all'ultimo momento egli no'n aveva creduto
a quel clie gli diceva tutta la città : « Il duca ! Sposa
il duca! » No, rispondeva egli a tutti con un sorriso
di compassione, come uno che la sa più lunga degdi
altri... Adesso, vedendo tutta quella gente riunita, il
duca seduto accanto alla padroncina, la padroncina che
riceveva i complimenti di tutti, la testa cominciava a
girar,gli. Ijl sangue degli Uzeda si^ris vegliava --ia-luL^_
Dopo cinquant'anni di devozione sconfinata, di obbe-
dienza cieca, di volontà annichilita, egli aveva espressa
un'opinione, annunziato uii avA^enimento. Tutto lo aveva
persuaso a crederlo immancabile ; e quando il principe si
era opposto, egli aveva fatto assegnamento sulla vo-
lontà dei giovani. Invece, il barone se n'era andato ad
Augusta, la principessina sorrideva al duca. Allora vo-
leva dire che per il capriccio di coloro, per la loro stiam-
beria, la parola di lui, Baldassarre, non valeva niente ?
Eg^li valeva meno, in quella casa, del manico della gra-
nata?... E parlava solo, non udiva gli squilli del cam-
panello, dimenticava gli ordini, sbagliava il servizio;
ma quando la gente cominciò ad andarsene, un' impa-
zienza febbrile l'animò ad un tratto. Spingeva via le
persone con gli occhi, non stava fermo un minuto, e
finalmente, quando credette che non ci fosse più nes-
suno, entrò nella Sala Rossa.
— Ecce'llenza...
C'era ancora il principino. Vedendo entrare il maestro
<li rasa. Consalvo s'alzò e baciò la mano al padre. Ebbe
appena voltate le spalle, accompagnato da Teresa e
dalla principessa, che il principe, cavata finalmente la
sinistra dalla tasca dove l'aveva sempre tenuta, squadrò
le corna contro il iettatore. Ma la voce di Baldassarre
lo richiamò :
— Eccelilenza —
. — E tu, che vuoi ?
— - EcceJlenza, — disse il maestro di casa, — io me
ne vado.
— Dove ? — domandò il principe, credendo d'avergli
dato qualche commissione della quale s'era dimenticato.
— Me ne vado via. Chiedo licenza a Vostra Eccel-
lenza.
Il padrone lo guardò un poco, credendo d'aver frain-
teso.
— Licenza ? Perchè ?
— Per niente, Eccellenza. Sono stato quarant'anni
in casa di Vostra Eccellenza, ora me ne voglio andare.
\'ostra Eccellenza può tenermi per forza ? In casa sua,
\'ostra Eccellenza comanda come gli pare e piace ; chi
le può dir nulla?... Anch' io in casa mia sono padrone.
\'ostra Eccellenza può procurarsi un altro maestro di
casa migliore di me ; non ne mancano : il primo del
mese io me ne vado.
— Sei impazzito ?
— Non ne mancano In casa sua Vostra Eccellenza
è padrone fa come crede... Io me ne vado — Il primo
del mese
VI.
Uno dei primissimi provvedimenti del giovane sin-
daco, appena insediato al municipio, era stato quello
relativo alla costruzione di un'« aula » per le riannioni
consiliari. All'antica saletta fu sostituito un gran salone
provvisto di due file di banchi che, per gradi, si eie-
vavano dal suolo ad anfiteatro, con tre ordini di posti
per ciascuna fila. In fondo al salone una specie di alto
e vasto pulpito comprendeva : a destra, in bassio, i posti
della Giunta, in alto quello degli scru'tinatori e la pol-
trona destinata al pi'efetto ; a sinistra, l'ufficio di se-
ij-reteria ; nel mezzo di tutta la baracca, sopra un'alta
predella, il seg'giolone sindacale dorato e scolpito, con
un cuscino che l'usciere toglieva e chiudeva a chiave
quando il principino scioglieva l'adunanza e se ne an-
dava. Nel centro del salone, un g-ran banco per le com-
missioni ; più oltre, tavole per « la stampa » ; dirimpetto
al pulpito sindacale la tribuna pubblica. « Un Parla-
mento, in miniatura ! » dicevano quella che erano stati
a Roma; e le adunanze del consiglio, sotto la presi-
denza di Consalvo, prendevano ora un vero carattere
parlamentare. L'ordine del giorno che prima attacca-
vano manoscritto dietro un uscio, si distribuiva, stam-
pato, a tutti i consig'lieri ; un appo.sito regolamento,
elaborato dal sindaco, prescriveva le norme da seguire
nelle discussioni pubbliche. Gli oratori non potevano
parlare più di tre volte sopra uno stesso soggetto ; al
segretario era rigorosamente vietato d' interloquire,
neppure per rispondere alle domande dei consiglieri, e
se qualcuno di costoro aveva da la.gnarsi della sipor-
cizia stradale o dei cani senza guinzaglio, il principino
gli gridava dal suo seggiolone : « Presenti domanda
d'analoga inteipellanza ».
Prima cura della nuova amministrazione furono i la-
\ori pubblici. Il sindaco, in un discorso dove rammentò
la via Appia, « che da Roma conduceva all'Adriatico »,
d'mostrò la necessità di si-stemare le strade; e la città
fu messa sottosopra, sommie considerevoli furono spese
per indennizzare i proprietarii danneggiati; ma la vi-
stosità dei risultati fruttò considerevoli elogi al. giovane
amim i n i strato re .
Con le strade, l 'amministrazione Di Mirabella, come
tutti la chiamavano, provvide alla costruzione d'un
grande mercato, d'un grande teatro, d'un grande ma-
cello, d'una g-randc caserma, d'un gran cimitero. Nuovi
edifizii sorg•e^■ano da per tutto, il lavoro non cessava,
la città trasformavasi, le lodi del principino salivano al
cielo. Qua'lcuno, timidamente, faceva osservare che tutte
quelle cose stavano benissimo ; ma, e i quattrini ? Ce
n'erano abbastanza?... Consalvo rispondeva che il bi-
lancio d'una città in via di continuo progresso « presen-
tava tale elasticità » da permettere non che quelle, ma
sipese anche maggiori. La popolarità essendo tutta sua,
egli faceva degli assessori ciò che voleva; se manife-
stavasi qualche velleità di contraddizione, la sedava
suscitando gli uni contro gli altri coloro che s'accorda-
vano nell'oipposizione ; oppure, quando l-a faccenda era
più seria, minacciando di andarsene. Aliora tutti si che-
tavano. E di quel che riusciva bene egli aveva tutto il
merito; di quel che non otteneva l'approvazione del
popolo rigettava la colpa sulle spalle della Giunta.
Le tornaite consiliari erano diventate' uno spettacolo a
cui, grazie alla « tribuna » pubbdica, la gente accorreva
come alla commedia o al giuoco dei bussolotti ; i sociì
del Club, gli ex-compagni di bagordi del principino sa-
livano di tanto in tanto lassù, con l'intenzione di can-
zonarlo; ma la serietà, il sussiego, l'autorità di Con-
salvo s'imponevano talmente, che essi arrischiavano ap-
pena tra loro qualche epigramma.... Chi rammentava
più la prima fase della sua vita ? La sua riuscita lo in-
superbiva, la sua forza quasi lo stupiva; ma ormai
non era sicuro di poter arrivare dove avrebbe voluto ?
« Sarà deputato, lo manderemo a Roma quando avrà
gli anni; in lui c'è la stoffa d'un ministro! » comincia-
vano a dire in città ; ma se udiva queste cose, egli
scrollava le spalle, con un sorriso mezzo di compiaci-
mento, mezzo di modestia, quasi a significare : « Grazie
della buona opinione che avete di me ; ma ci vuol altro! »
Cosi eg^li si teneva bene con tuitti,- raccogilieva lodi
da ogni parte. Quelli che s'accorgevano del suo gioco
e lo denunziavano, o non erano creduti, o erano so-
spettati d'invidia o di malignità, o finailnuente, se tro-
204 —
vavano credito, sentivano rispondersi : « Fanno tutt/
cosi, in questi tempi d'armeggio ! Il principino ha
questo di vantaggio, che è ricco e non ha da ingrassarsi
alle spalle nostre ! » Ma gili oppositori più vivaci non
mancavano. Come trasformavasi materialmente, la città
prendeva anche moralmente un nuovo indirizzo. La po-
polarità del vecchio duca andava scemando di giorno
in giorno; il Circolo Nazionale, che aveva s.padroneg-
giato, perdeva sempre piij credito. Le nuove società
popolari non ne avevano ancora, ma le rifonne pro-
messe dalla Sinistra l'avrebbero loro conferito : frat-
tanto, alla discussione dei negozii pubblici partecipa-
vano classi e persone dapprima incapaci di compren-
derne nulla. Anche la stampa era più ardita, se non più
libera, e trattava con pochi riguardi gli antichi spa-
droneggiatori. Il principino, fiutando il vento, sfog-
giava coi democratici le sue idee di democrazia. A
udirlo, la libertà, l'eguaglianza scritte nelle leggi erano
ancora un mito : il popolo era stato cullato nell'opi-
nione che le antiche barriere fossero state infrante ;
ma i priviilegi esistevano sempre ed erano soltanto
d'altra natura. Avevano largito il diritto del voto, e
questo era parso una rivoluzione ; ma quanti gode-
vano di cotesto diritto? Bisognava dunque farne un' al-
tra, « legale e morale », per estenderlo a tutti. La
parola « rivoluzione » gli scottava le labbra e gli faceva
tremare il cuore ; e il desiderio intinilo, sincero, ardente
dell'animo suo era che vi fosse un numero di cara-
binieri doppio di quello dei cittadini ; ma poiché il
vento soffiava da un'altra parte, egli cercava la com-
pagnia dei radicali più noti per dir loro : h La repub-
blica è il regime ideale, il sogno sublime che un giorno
ara realtà, poiché essa suppone uomini perfetti, virtù
adamantine, e il costante progresso dell'umanità ci
fa antivedere il giorno del suo compimento ». E dichia-
rava : « Io sono monarchico per la necessità di questo
periodo transitorio. Milioni e milioni d'uomini liberi
possono volontariamente riconoscersi e vantarsi sud-
diti di un uomo come loro? Io non ho nessun pa-
205 — -
drone! » E in questo era sincero, perchè a\rel)bc voluto
esser egli stesso padrone degli altri.
Il duca e i suoi malvacci amici, ostinandosi a giurar
sulla Destra, aspettando il ritomo di SeHa e Min-
gfhetti come quello di Nostro Signore, avevano creato
un'Associazione Cusìitiizionale, di cui tuttavia l'ono-
revole deputato non aveva voluto es.ser capo. Anch' egili
adesso, in cuor suo, riconosceva che la strada non
aveva uscita; ma oramai egli stava per toccare la
settantina, era stanco, non gili resta\a più nulla da
fare. In meno di venti anni aveva n^esso insieme una
sostanza di parecchi milioni, le cure della quale prende-
vano tutto il resto della sua attività. Deciso vera-
mente a ritirarsi dalla vita pubblica, aveva un' ultima
aimbizione : quella d'essere nominato senatore; se,
quindi, per finir bene dinanzi all'opinione pubblica,
non gli conveniva abbandonar bruscamente il partito
al quale, dopo il Settantasei, s'era legato ancora più
stretto, non gli conveniva neppure muover g-uerra
troppo apert-a a quella Sinistra da cui aspettava la
seggiola a Palazzo Madama. Quindi aveva dato a
Benedetto Giulente 'a presidenza della Costituzioìiale,
contentandosi del posto di semplice gregario. Frat-
tanto, contro questa società era sorta una Progres-
sista, alla quale s'era fatto ascrivere Consalvo. « Zio
e nipote l'un contro l'altro armati ? Il ragazzo che si
^ribella al \ecchio? » dicevano in piazza ; ma le eterne
male lingue insinuavano che la cosa era fatta d'amore
e d'accordo, che il duca era ben contento d'avere il
nipote nel campo contrario, come il principino si gio-
vava del credito deMo zio tra i conservatori. Del resto,
quantunque consocio dei progressisti, egli dichiarava
a questi ultimi che la Sinistra non aveva ancora u un
■finanziere della forza del Sella », né « oratori eleganti
come Minghetti ». Ma a quelli che non nascondevano
i disinganni prodotti dal regime costituzionale, non
aveva nessuna difficoltà a dichiarare : « L'errore è stato
di credere che potesse dare buoni frutti. Il gregge ha
— 2o6
sempre avuto bisogno d'un pastore con relativi ba-
stoni e cani di guardia... » Dava ragione perfino a quei
pochi che rimpiangevano l'autonomia della Sicilia : « Di-
ciamolo francamente tra noi : forse oggi staremmo
meno peggio! » Non avrebbe fatto nessuna difficoltà a
concedere alla zia Ferdinanda che il governo borbonico
era il solo amabile ; ma poiché la vecchia non poteva
giovargli, lasciava ch'ella cantasse. Anzi, si giovava
di quell'opposizione, non che della rottura col padre.
Siccome sapeva che molti, udendo celebrare la sua fede
democratica, ridevano d'incredulità, esclamando : « Lui,
il principino di Mirabella, il futuro principe di Franca-
lanza, il discendente dei Viceré? Andiamo!... » egli af-
fermava : « Per questa fede, per questi principii io sono
venuto in urto con mio padre, ho rinunziato all'eredità
di mia zia, sosterrei ogni maggiore avversità !... »
Nella Giunta, tra i conservatori aristocratici é i
radicali progressisti di tanto in tanto s' accendeva una
lite ; allora egli esclamava : « Qui non bisogna par-
lar di politica !... » ma una volta che la contessa di-
venne più vivace, lo tirarono in ballo. Rizzoni, radi-
calissimo, esolamò :
— Ma domandatelo al principino, se l'avvenire non
è nostro, se anch' egli non è democratico!...
— Mio nipote? — rispose Benedetto Giulente. —
L ' aristocrazia incarnata?. . .
Costretto a rispondere, egli sorrise, si lisciò i baffi,
e disse :
— L' ideale della democrazia è aristoc~raitico.
— Ccime? Sentiamol... Questa è nuova!... Che dia-
volo!... — esclamarono tutti.
Egli lasciò che dicessero : poi ripetè :
— L'ideale della demiocrazia é aristocratico — Che
cosa vuole infatti la democrazia? Che tutti gli uomini
sieno egTuali! Ma eguali in che cosa? Forise ndlla
povertà e nella sog-gezione? Eg'uali nelle dovizie, nella
forza, nelila potenza — E poiché, dopo un momento
di stupore, le esclamazioni ricomincia\ano, egli troncò
207 —
di batto la discussione: — Adesso passiamo all'allro
articolo : X'ulo id governo per la costruzione d' Uii
baciiio di carenaggio
Egli andava adesso qualche voilta da suo padre.
Non sentiva più avversione contro di lui : lo zelo, la
febbre con la quale s'occupava della cosa pubblica,
la tensione di tutte le sue energ^ie al conseguimento
del nuovo scopo, non lasciavano posto a nessun altro
sentimento né d'odio né d'amore. Quanto al principe,
le visite del figliuolo gili mette\ ao i brividi addosso,
ed appena lo udiva annunziare dal nuovo maestro di
casa — poiché Baldassarre, cocciuto come un v&r-o-
Uzeda, era proprio andatò'^vìa — ficcava la sinistra
in tasca e non la traeva se non per spianarla, aperta
col segno delle corna, dietro ail fig'liuolo, quando costui
si decideva a sgomberare. I loro discorsi s' agg^ira-
\ ano sopra cose indilierenti, come fra estranei; vi
principe fingeva di non sapere che Consalvo fosse il
primo magistrato civico; ma insomma adesso stavano
insieme da cristiani.
Teresa, ora duchessa Radali, vedeva in tal modo
coimpensato il proprio sacrifizio. Eccettuati i primis-
simi tempi, quando la memoria di Giovannino non era
interamente morta nel suo cuore, e più grande le era
parsa la superiorità di lui suU' altro fratello, ella non
aveva del resto sofferto quanto aveva temuto. \I1 duca
Michele non solo la trattava bene e le lasciava ogni
libertà; ma le dimostrava, a modo suo, un po' alla
grossa, un affetto vivo e sincero. La duchessa madre,
anche lei, dalla soddisfazione di vedere riusciti i proprii
disegni, le faceva gran festa e la metteva perfino a
parte dd governo della casa. Il barone se n'era andato
ad Augusta, badava agli affari di campagna e scri-
veva due o tre volte il mese al fratello od alla madre,
chiudendo le sue lettere con un « saluto la cognata ».
La tranquillità che regnava nella sua nuova casa, la
pace che ristabilivasi nell' antica, 1' affezione del ma-
— 2o8 —
rito, i trionfi di Consalvo, }e lodi che raccojjlieva ella
stessa — poiché, tra le giovani si,gnore, aveva occu-
pato subito il primo posto — facevano fiorire sulle
sue labbra sorrisi a grado a grado più schietti. Vera-
mente, ella non sentiva più l'anima disposta a com-
porre musiche o poesie, ma sedeva ancora spesso al
pianoforte per esercitarsi, e nel farsi bella spendeva
forse maggiori cure di prima.
Adesso era libera di leggere i libni clie più le pia-
cevano; e quando non aveva nulla da fare, divorava
romanzi, drammi e poesie. L'eccitazione di quelle let-
ture non le impediva però di attendere alle pratiche
religiose con zelo e fervore : in casa Radali verùvano
lo stesso monsignor Vescovo, lo stesso Vicario, gli
stessi pregiati che frequentavano la casa del priincip>e :
essi additavano a tutti la duchessa nuora come mo-
dello di domestiche e cristiane virtù.
Presto la gravidanza le fece dimenticare del tutto
i sogni del passato, e l' affezionò meglio alla realtà
del presente. Soffrì pochissimo durante la gestazione ;
il tempo voilò rapido in mezzo a tante cure ed a tanti
pensieri. Il parto fu felicissimo ; tutti aspettavano un
maschio e un n^aschio nacque, un bambino grosso e
florido che pareva d' un anno. « Poteva essere altri-
menti? » dicevano tutti. « Per una figlia e una sposa
buona come lei, protetta da una Santa in cielo?... » I
preparativi del battesimo furano grandiosi : il duca
volle il fratello come padrino. La duchessa madre
approvò; Teresa, riposando sul letto nuziale, dove
restava più per una beata indolenza che per neces-
sità, 'disse che naturalmente la scelta non; poteva
essere migliore. Giavamnino tardò a ritspondere, ma
sollecitato dal duca anche a nome della madre e della
moglie, arrivò la vigilia della cerimonia.
Pareva un altr'uomo: s'era fatto più forte, il sole
lo aveva abbronzato, la barba cresciuta gli dava
un'aria più maschia, simpatica quanto l'antica, ma in
modo diverso. Strinse la mano alla cogfnata, chieden-
— 2og —
tloJe premurosamente nottizie della sua salute, e volie
veder subito il nipotino che giudicò un- amore e baciò
e ribaciò fino alla sazietà. Ancora più calma e serena
di lui, elJa lo accotlse come un amico che non si vede
da molto temiipo. Dopo la cerimonia del battesimo,
alla quale furono invitati tutti i parenti stretti e larghi,
tutte le conoscenze, mezza città, Giovannino annunziò
che ripartiva. Fecero a gara per trattenerlo, ma egli
dichiarò che e' era molto da fare in campagna, e
andò via prccnettendo ad ogni modo di tornar presto
a rivedere il figlioccio.
Molti degli invitati al battesimo, nuovi tra gli Uzeda,
avevano chiesto chi fosse un vecchio magro e sfian-
cato, il quale portava un abito nuovo fiammante e
certe scarpe che non ne potevano più, un cappello
unto e una mazza col pomo d'argento.
Era il cavaliere don Eugenio. La stairrupa del Nuovo
Araldo, ossifero SuppUìnento, gli aveva procurato un
altro momento di benessere. Aveva scialato, posse-
deva qualche soldo : ma lo scandalo era enorme : egli
ave\~a attribuito titoli di nobiiltà e stemimi e corone
a quanti lo avevano pagato : speziali, calzolai, barbieri
sfoggiavano dentro le botteghe quadri dalle cornici
dorate dove, sotto corone, elmi e variopinti svolazzi,
si vedevano scudi con leoni, aquile, serpenti, gatti,
lepri, conigli, ogni sorta di bestie passanti e volanti ;
e poi castelli, torri, colonne, montagne; e poi astri
di tutte le grandezze, lune d'argento, piene e falcate;
soli d'oro, stelle, comete; e tutti i colori dell'aride,
tutti i n:etalli, tutti i mantelli. Né scrupoli, né dif-
ficoltà lo avevano arrestato : a chi si chiamava Panet-
tiere aveva daio per arme un forno fiammante in
campo d' oro, a chi portava il nome di RapicavoJi
un bel mazzo di verdura in campo d' argento. Cosi
l'impresa aveva fruttato di gran bei quattrini; ma,
ccwne r altra volta, buona parte s' era perduta per via.
Egli aveva però riscattato l'edizione del primo Araldo
Da Hoberto. I rUrrè - Il U
— 2IO —
che il tipografo teneva sotto sequestro, e con nii'Hc
copie dell'opera se n'era tornato al suo paese per
venderle e mang-iarci su.
Faceva il conto senza il principe. Sistemato l' af-
fare della lite, questi s'era pentito dell'accordo, e si
lagnava d' essere s.tato defraudato, d' esser rimasto
con un pugno di mosche, mentre l' eredità di don
Blasco doveva toccare tutta a lui. Il malumore, l'inap-
petenza, la debolezza di cui aveva sofferto, tornavano
a tormentarlo : sordamente irritato, incaipace di con-
fessarsi ammalato pel superstizioso timore di accre-
scere con la confessione la malattia, se la prendeva
con la fig-lia che g-li aveva imjposto la transazione,
dichiarava d'essere stato spogliato come in un bosco.
Appena visto tornare lo zio, e udito che aveva qualche
soldo, andò a chiedergli la restituzione del prestito.
E siccome don Eugenio tirò in ballo la rinunzia ai
proprii diritti, egli gridò :
— Che diritti e che storti? Sono stato spogliato!
Si sono preso tutto! Io v'ho dato i quattrini; resti-
tuiteli, adesso che li avete.
Vista la mala parata, don Eugenio gli confidò :
— Non li ho ! Ti giuro che non li ho ! Ho quattro
soldi per tirare innanzi ; se ti do duemila e cinque-
cento lire, come mangio?
— Datemi allora le copie — rispose pronto Gia-
como.
— Ma sono il mio solo provento ! Se tu me le togli
dove vado a sbattere? Che t'importa di un po' di
carta sporca?... Tu che sei tanto ricco? Per me è il
pane!... Le venderò a poco a poco, avrò tanto da
camipucchiare
Inflessibile, il principe volle presso di sé tutta l'edi-
zione deìV Araldo Sicolo e del Suppìimenfo, come garan-
zia del proprio credile
Quantunque mezza Sicilia fosse inondata di quella
pubblicazione, pure riusciva spesso a don Eugenio
di collocarne qualche copia; e allora andava a pren-
derla dal principe pruiiitllcndo di portare i quattrini
per poi dividerli con lui; ma i quattrini non veni-
vano mai, talché un bel giorno, stanco d'esser bef-
fato, il nipote gli dichiarò :
— i Mi pare che lo scherzo sia durato a lungo ;
d'ora in poi, se vorrete altri esemplari, li pagherete
anticipatamente.
Allora, finiti i soldi che aveva portato da Palermo,
gì' imbarazzi ricominciarono per 1' ex-Gentiluomo di Ca-
mera. Come un fattorino dd libraio, egli saliva e scen-
deva scale, coi piedi gonfi dalla gotta, trascinandosi
penosamente, per offrire il suo Araldo, per mostrarne
un fascicolo di saggio, e quando arrivava a scovare
un compratore corrcAU a supplicare il principe perchè
gli desse la copia, giurando e spergiurando che sarebbe
tornato subito coi quattrini ; ma il principe, diuro :
« Porta'teli prima! » Non sapendo dove dar il capo, il
vecchio fenmaA'a i parenti e le semplici conoscenze per
farsi prestare le trenta lire ; raggranellatele, le portava
al nipote, il quale solo dopo averle intascate rilasciava
r esemplare. Ma, riscosso il prezzo dal compratore,
don Eugenio dimenticava di soddisfare i debiti con-
tratti, talché r operazione si rinnovava ogni volta con
mag-gior difìficoltà. Del resto, il cavaliere trovava da
un certo tempo la piazza molto più dura di prima : da
gente a cui egli non aveva mai proposto V Araldo,
sentivasi rispondere : « Un' altra volta? L' ho già! »
Dicevano così per mandarlo via?... Un giorno, per
sincerarsene, volle domandare a uno di costoro come
r avesse : « Oh, bella! 1' ho comprato! È venuta una
persona di casa vostra: non siete zio del principe?... »
Il vecchio si batté la fronte : quel birbone di Gia-
como!... Xon contento di avergli preso novemila lire
di roba in cambio deiUe duemila e cinquecento anti-
cipiate, non contento d'avergli 'reso impossibile la
vendita pretendendo l'anticipazione del prezzo, adesso
vendeva le copie per proprio conto! « Ah, ladro! Ah,
ladro !... » Ma, composta la fisonomia all'abituale bona-
rietà, corse al palazzo.
— 212 —
-*- Se anche tu bui venduto 1' opera, facciamo ì
conti! — disse al principe.
— Che conti ? — rispose costui, quasi cascando
da/Ue nuvole.
— Hai venduto il libro! A quest' ora il mio debito
sarà estinto.
— Ci vuol altro!... I conti li faremo quando avrò
tempo
Don Eugenio tornò, assàduamente ; ma il nipote un
po' gli diceva che aveva da fare, un po' che gli doleva
il capo, Un po' che stava per andar fuori. Lo zio
non perdeva la pazienza; tornava ogni giorno, a ram-
mentargli la promessa ; anzi una brutta mattina gli
disse, gettandosi sopra una seggiola :
— Senti, i conti li faremo quando sarai comodo;
ma oggi non ho niente in tasca e sono stanco. Pre-
sitamó qualche cosa.
— Come? Volete il resto? — esclamò il principe
impallidendo. — Credete forse che siamo pari ? Si' sono
vendute mezza dozzina di copie in tutto ! Avete il viso,
di chiedere altri danari ?
— Xon ho come fare — g'ii confidò il cavaliere, con
un viso da affaimato, guardandolo bene negli occhi.
— E venite da me? Che pretendente? Che vi dia
da mangiar io? Perchè avete sciupato ogni cosa? Per-
chè non avete pensato mai all' a\'venire?
— Io ho da mangiare, capisci? — ripetè il cava-
liere, con lo stesso tono di voce; e i suoi occhi pare-
vano volersi mangiare il nipote.
— . Andate da vostro fratello, da vostra sorella...
che hanno l'obbligo d' aiutarxi... Perchè venite da me?
Ma, spaventato dall'espressione del vecchio, gli voltò
le spalle. Quando lo udì andar via, chiamò il porti-
naio per ordinargli di non lasciarlo mai piia salire.
E il provvedimento riscosse l'unanime approvazione
della servitù : veramente quel cavaliere non faceva
onore alla famiglia, non tanto per quel che si diceva
sul conto di lui, quanto per la condizione in cui era
I
— 213 —
caduto. I] nuovo maestro di casa confessò : « Io mi
vergognavo, ogni volta che lo dovevo annunziare al
padrone — »
Tutti i tentativi del vecchio per salire al palazzo
furono vani : egli ebbe un bel dichiarare : « Mio niipete
mi aspetta, m' ha detto che sarebbe in casa », oppure :
« L' ho visto rientrare », oppure : « Eccolo li, dietro
quella finestra »: il portinaio, i cocchieri, i famigli
g'ii dicevano sul muso : « Vostra Eccellenza può andar-
sene, che perde il suo tempo », e gli davano dell' Ec-
ceillenza come in temipo di carnevaile ai facchini di
piazza vestiti da barone. Egli tentò di salire per forza,
ma allora lo afferrarono e lo spinsero fuori : « Eccel-
lenza, con le brusche?... Questi non son modi da
EccelJenza pari vostra!... » Un giorno, si mise a sedere
in portineria, dichiarando che non si sarebbe mosso
fino al passaggio de*l nipote. Sulle prime, il gnaarda-
portone ci scherzò su ; poi tentò persuaderlo con le
buone, prendendolo dal lato dell'amor proprio: «Qui
non è il posto di \'ostra Eccellenza!... Un cavaliere
come \'ostra Eccellenza sedere con un portinaio! Non
si vergogna?... » Ma il vecchio non si moveva, non
rispondeva, cupo, affamato come un lupo ; e il por-
tinaio cominciò a perdere la pazienza, smise a un
tratto r Eccellenza; « Se ne vuole andare, si o no?... »
e cernie don Eugenio restava inchiodato suilla seg-
giola, queir altro montò finalmente in bestia, smise
anche il lei, e afferratolo per le spalle, lo fece sorgere
e lo spinse fuori ad urtoni, gridando :
— Fuori, vi dico, corpo del diavolo !
Donna Ferdinanda lo cacciò via come un cane
rognoso : il duca gli dette un piccolo soccorso, facen-
dogli intendere di non dover fare assegnamento sopra
ailtre elemosine. Procurargli un posto era il meglio
che si pote'sse fare e ciò che egli stesso desideravo ;
c|uindi Benedetto Giulentc, il quale lo aveva anch' egli
sovvenuto, jie parlò a Consalvo,
— 214 —
— Che posto volete darg-li? — rispose il princi-
pino. — È una bestia, non sa far nulla. \'olete che lo
zio del sindaco serva da usciere o da accaiappiacani?
Era chiaro che al Municipio non c'era da far niente
per il jeg^ittiimo orgogilio del principino. Giulente andò
dal duca, sug-gerendogli di metterlo in qualche ufficio
alla Provincia o a'ila Prefettura. E il duca, per evi-
tare altre domande di sussidii, fece in modo da otte-
nergli un posto di copista all'Archivio provinciale, il
meglio che si potè trovare. Ma quando ne diedero
comunicazione all' interessato, il cavaliere diventò rosso
come un rosolaccio.
— • A me un posto di scrivano? Per chi m' avete
preso?
— Ma veda — gli fece considerare rispettosa-
men'te Benedetto : — Vostra Eccellenza non ha titoli
accademici... è avanzata in età... le amministrazioni
pubMiche sono esigenti...
— E mi proponi di fare il copista? — gridò il
cavaliere. — A me, Eugenio Uzeda di Erancalanza,
Gentiluomo di Camera di Ferdinando II, autore deì-
V Araldo Si'coìo?... Perchè non lo fai tu, pezzo d'asino
che sei?
LI vecchio ricominciò a chiedere aiuto. Ma il duca,
per punirlo del rifiuto deil posto, gli chiuse la porta
in faccia, e Lucrezia, dopo averlo giudicato degno
dei più alti ufFicii per far onta al marito, non lo valle
neppur lei per la casa quando lo vide questuare —
Un giorno, il cava'lierc, sempre piij miserabile e strac-
ciato, andò dalla nipote Teresa. II portinaio, non rico-
noscendolo, non voleva lasciarlo passare; arrivato
finalmente dinanzi alla duchessa nuora, che giunse le
mani vedendolo in quello stato, comlinciò a querelarsi :
— \'edi come m'ha l'idcitto tuo padre? Quel birbante
che m'ha rubato il libro? Quel ladro che mi ha....
— Zio, per carità!... — esclamò Teresa: e vuotò
la sua borsa nelle mani del vecchio che tremava dalla
ruipidigia alla vista dei quattrini. Egli si riprcsentò
a'itre valle al palazzo ducale, ma la duchessa madre,
per evitare i commenti tra la servitù, dichiarò a Te-
resa che, se voleva soccorrerlo, facesse pure; ma che
in casa non lo lasciasse più venire.
Ed anche quella porta gii fu chiusa.
Egli aspettava che g-li procurassero un posto di pro-
fessore o di cassiere, tanto da vivere silg'norilmente
senza far nu'lla ; e siccome non lo contentavano, fer-
mava per istrada le persone di sua conoscenza, nar-
rava a modo suo i proprii casi :
— M'hanno spogliato, m'hanno ridotto alla mii-
seria! Mio fratello il Benedettino m' avea lasciato cin-
quecent'onze l'anno, e stracciarono il testamento, ne
fecero uno falso! 11 principe mio nipote m' ha rubato
la mia g-rand' opera deW Araldo Sicolo!... Mi chiudono
la porta in faccia! A me, Eug"enio di Francalanza!
Gentiluomo di Camera! Presidente dell'Accademia dei
Quattro Poeti!... Sanno forse chi sono io? Se veniste
a casa mia, vi farei vedere quante medag^lie e diplomi :
uno scaffale intero!...
La sua meg'alomania, con la miseria, g^li stenti, le
umiliazioni, cresceva di giorno in giorno; egli annun-
ziava :
— Il governo m' ha invitato a Roima per una cat-
tedra dantesca. Ma io non ci vado! Fossi pazzo! Me
ne andrò piuttosto in Alemagna, dove conoscono tutte
le mie celebri òpere, e la scienza è rispettata!... Il
prefetto mi ha detto che il Re mi vuole come profes-
sore di suo figlio. Io fare il maestro di scuola? Per
chi m' hanno preso? Se lui si chiama Savoia, io mi
chiamo Uzeda. Ehi, don Umberto, siete forse al
buio?.... — Poi, all'orecchio: — Potreste favorirmi
cinque lire? Ho dimenticato il portafogli a casa —
Gliene davano due, una o anche mezza ; egli met-
teva in tasca ogni cosa. I parenti, avvertiti di quello
scandalo, si stringevano nelle spalle, o dicevano :
« Bisogna finirfla », senza far poi nulla. Giulente e
Teresa, di nascosto, lo soocorrevano come meglio
- — 2 l6
potevano : ma egiì aveva g^ià preso l' abitudane di
questuare, il niiestiere era dolce e comodo, il passaig-g^io
dei denaro dalia tasca altrui alla propria gdi pareva
naturalissimo ; e poi un sordo istinto di rappresaglia
contro i parenti lo spingeva a continuare per far loro
■ onta.
E un giorno si diffuse per tutta la città una notizia :
— Non sapete nulla? Il cavaliere don Eujgenio
chiede 1' elemosina!
Egli accattava, alla lettera. Anclie se aveva in tasca
quaiclie lira, s'avA'icinava agii sconosciuti, tendeva la
mano, diceva :
— Per gentilezza, mi favorite due soldi? Un soldo,
per comprare un sigaro?
Acchiappava la moneta come u»"^^ preda, la cac-
ciava in tasca; s' aAmcinava a un altro:
— Un soldo, per favore?
Teresa, accompagnata dal marito, andò a trovarlo
nello staimòugio dove s'era ridotto, gii si gettò ai
piedi :
— Zio, noi le daremo tutto quel che vorrà, purché
non faccia più questa cosa!... Una persona come lei,
abbassarsi cosi ?
— Si, si
Egli prese i denari che gli porgevano; il domani
ricominciò. Adesso era un'idea fi-asa ; la malattia che
tornava a tormentarlo finiva di scombuiare la sua
debole testa d' Uzeda. Lacero come un vero accattone,
con la barba bianco-sporca spelazzata sul viso smunto,
i piedi in groisse scarpe di panno, andava attorno,
appojggiandosi a un bastone, chiedendo :
— Un soldo, per favore!... per questa volta sola!...
E per procacciarselo dava spettacolo della sua paz-
zia. Certuni gli domandavano chi era, se non era il
cavaliere Uzeda? e allora lui :
— Eugenio Consalvo Filippo Blasco Ferrante Fraji-
cesco Maria Uzeda di Francalanza, Mirabella, Oragua,
Uumera, etc, etc, Gentiluoimto di Camera (con eser-
cizio) di Sua Maestà, quello era Re ! — e si cavava il
cappello — Ferdinando II; medagiliato da Sua Altezza
il Bey di Tunisi del Nisciam-Ifitkar, presidente del-
l'Aocademiia dei Quattro Poeti, memlbro oorniispon-
dente di più società scienti fico -letterarie -vulcanolog-iche
di Napoli, Londra, Parigi, Caropepe, Pietroburgo,
Paolobuirgo, Nuova York e Forliniipapoli, autore della
celebre opera storico-araildico-blasonico-gentilesco-cro-
noJogica intitolata l'Araldo Sicolo con supplimento....
Un soldo, per comprarmi un sigaro....
VII.
LI secondo figliuolo di Teresa, un altro maschio,
nacque un anno dopo il primo, tanto che tutti dice-
vano agli sposi : « Si vede che non perdete tempo! »
Se al primo parto la duchessa non aveva sofferto, di
quest' altro quasi non s' accorse : degno premio della
purezza dei suoi costumi. La cerimonia del battesimo,
questa volta, fu modesta, un po' perchè era nato un
cadetto, il baroncino, un po' per un' altra raignone
incresciosa. Grattandosi un giorno sotto la nuca, in
mezzo alle spalle, per un forte prurito, il principe
aveva calcato le unghie fino a farsi un po' di sangue.
Lì per lì non ci aveva badato, ma doipo qualche
tempo gli si formò, nel punto maltrattato, una specie
di bottone che crebbe fino a impacciarlo nei mlo\'i-
menti e ad impedirgli di star supino nel letto. Tutti
attribuirono il fatto all'eccessivo grattamento; nondi-
meno, siccome l'incomodo non andava via, fu neces-
sità chiamare un chirurgo. Il dottore confermò che
era una cosa da nudla, ma disse che senza una pic-
cola incisione non sarebbe guarita. Il principe all' an-
nunzio dell'operazione impallidì, rifiutando di sotto-
porvisi ; ma giusto, dopo il parto di Teresa, quel lumo-
— 2l8 —
retto era cresciuto ancora, dandogli! tanto fastidio che
egli aveva consentito a lasciarselo tag'liare. L' opera-
ziioncella durò più che non si credesse e il principe
dovè restare inodti giorni in casa ; pertanto il batte-
siimo del baroncino di Filici fu celebrato senza pompa.
Il sindaco Consalvo fece da compare; da Aujgiista
venne per assistere alla cerimonia Giovannino. Du-
rante l'anno, egli aveva fatto, secondo la promessa,
due o tre vis/ite al figilioccio : visite brevi, d' uno o
due giorni. Dice\ano che egli avesse ad Augusta, e
propriatmente nelle terre di Costantina, la figliuola d' un
fatitore, una bella contadina bianca, rossa e prospe-
rosa, per via della quale rifiutava di stare a lungo
a Catania. La duchessa madre ne era contentissima,
come della più sicura garanzia contro il matrimbnio.
Il duca godeva neJ sentire che suo frate'Uo si diver-
tiva; e quanto a Teresa, nonostante che l'onestà le
'impedisse d' aipiprovar quel legame, pure dimostrava
al cognato un affetto fraterno, e gfìì faceva molta
festa ; se da Augusta eg'li mandava qualche commis-
sione alla madre, spesso 1' eseguiva ella stessa. Ch'e-
deva ordinariamente biancheria, oggetti d'uso dome-
stico, mia di tanto in tanto anche tagli d'abiti da
donna, busti, fazzoletti di seta.... Servivano per la
figlia del fattore?
Tutte le volte che veniva alla casa materna, egli
aveva il viso più cotto, la barba più ispida, la pelle
delle mani più dura. Su quella faccia da Arabo del
deserto il bianco degli occhi era però dolcissimo. Teresa
ringraziava il Signore della saggezza che gli aveva
i5-pirata, della salute che oiH accordava ; però, in cuor
suo, ella -domandava come mai quel giovane tanto
eileganite, così avido d'i piaceri, delle cose belle e
ricche, ave\ a potuito rassegnarsi a far la dura vita
di campagna, a ^ iAcre con una contadina, in mezzo
a contadini?... Xon era però lei stessa la causa di
quella trasformazione ? E subito, quasi a scagionarsi
ai proprii occhi, ella pensava : « Sono trasformata an-
— 2ig —
ch'iol... » Dov'erano più, infatti, le sue ispirazioni
poeitiche, le sue alate fantasie? Aveva preso marito da
due anni, e g-ià coiruinciava la terza gravidanza. Quan-
d'alia sognava di Giuliano Biancavilla, di Giovannino,
pensava forse di divenire una macchina da far figliuo-
li?... Ora dava guerra a quei pensieri che lo spi-
rito della tentazione doveva certo suggerirle — Bian-
cavilla, tornato dal suo viag'gio, dimenticava anche
lui, prendeva moglie : un giorno ella lo incontrò a
faccia a faccia; trasali un momento, ma un'ora dopo
r incontro se ne dimenticò. Giovannino era suo co-
gnato ; più nulla restava cosi dei sogni antichi. Se ne
doleva forse ? No ! Pensava : « Che cosa mi manca
per esser felice? Sono giovane, bella e ricca, tutti mi
vogliono bene, tutti mi lodano, ho due angioletti di
tìgli : di che mi lagno? » E nella misura delle proprie
forze aveva fatto il bene : la sua mamma di lassù non
doveva benedirla? La Beata non poteva esser con-
tenta di quella lontana discendente?
Lo spirito della tentazione si serviva di arti molto
sottili per turbarla in quella serenità. Forse erano i
libri, le poesie, i romanzi, quelli che, certe volte,
quando si sentiva più tranquilla e sicura e sorrideva
di maggior beatitudine, facevano sorgere a un tratto
una specie di nebbia che offuscava il suo bel cielo, e
le davano un senso di oscuro sgomento, e il rancore
d'un bene perduto prima ancora che ella avesse potuto
raggiungerlo. Era peccato leggere quei libri, seguire
quelle visioni ? Il confessore, i preti che la circonda-
vano dicevano, si, che erano pericolosi ; ma non rico-
noscevano forse nello stesso tempo che il pericolo, per
lei, era molto più lontano, giacché ella aveva un'anima
retta e una mente sana e una coscienza purissima?... E
poi, e poi, e poi, ella aveva rinunziato a tante cose ; se
avesse rinunziato anche a vivere con la fantasia, che le
sarebbe rimasto ?
Anche Giovannino lcgge\a molto; tutte le volle che
veniva da Augusta, le domandava : « Cognata, avete
libri da prestarmi? » e ne portava via a casse, in
mezzo alia rdba di cui veniva a rifornirsi. In qual
modo ammazzare il tempo quando non e' era da ve-
gliare ai laA'ori della terra : la v^ndemania, le semi-
nagioni, i raccolti?... Un'altra cosa di cui si prov-
vedeva, venendo in città, era il solfato di chinino. A
Costantina, nei poderi della Balata e della Favarotta
regnava la malaria ; eg"li, veramente, nella stag"ione
del pericolo se ne andava a Melilli, sui colli Iblei,
dove l'aria era balsamica; ma, ad ogni buon fine,
per sé come pei lavoratori, era bene che il sovrano
r'medio non mancasse mai.
Una bella sera d'estate. Teresa e la duchessa madre,
lasciato a casa, in custodia della cameriera, il duchino,
e presa in carrozza la balia col figliuolo più piccolo,
facevano la consueta passeggiata. Il baroncino lat-
tante, cullato dal moto dcilce dell legno, dormiiva in
mezzo a una nube di garza sulle g-inocchia della
nutrice. Teresa portava per la prima volta un abito
molto ricco arrivatole da quaJche giiorno da Torino ;
ella vedeva che tutte le signore le cui carrozze incro-
cia vamsi con la sua si voltavano, esamlinandola, am-
mirandola. La carrozza saill fino alla Madonna delle
Grazie; le padrone e la balia scesero, entrarono nel-
r angusta cappella e s' inginocchiarono dinanzi all' al-
tare. Teresa aveva chinato g-li sguardi per evitare la
vista del muro pieno di ex-voto orribili, del carnaio che
la dis,gfustava ora come l'inorridiva bambina; nia,
fissando l' imagi ne della ^'ergine, le diceva tutta la
sua gratitudine per le grazie di cui la colma\'a. Sen-
tivasi tanto calma, da un cento tempo; quasi felice!
Da un pezzo nulla più la turbava; nessun soccorso
aveva da chiedere alla Madonna. Sì, la salute sempre
malferma di suo padre, l'umor tetro che lo rodeva
dopo l'operazione chirurgica. Chiuso, cupo, cruccioso,
con più bisogno di prima di prendersela con qual-
cuno, e^g-li era tornato a rimavgginnr 1' idea di dar
Dio^lie a Consalvo, Quantun(^ue non parlasse e paresse
— 221 —
tioin occuipafsi di quel iettatore, rodevasi al pensiero
della fine della propria razza, se quel iettatore non pren-
deva mog'lie. E gli aveva cercato un nuovo partito,
a Pailenmo, un partito che tutti astsiciiravano straor-
dinario; ma Consalvo aveva detto ancora dì no, e il
principe aveva rotto un' altra volta più violentemente
con lui Teresa pregò più a lunsfo, pertanto; poi
si seg^nò e sorse in piedi. La suocera era già alzata;
la balia, l' umile contadina che reggeva in braccio il
frutto delle sue viscere, finiva di pregare ; il bambino,
destato daiUo scalpiccio dei passi, dal borbottare dei
ciechi questuanti, guardava la fiamma dell' altare tra
ridente ed attonito. Ella distribuì tutto qxiel che aveva
in tasca ai poveri e risali in carrozza. La duchessa
madre ordinò al cocchiere di andare a fermarsi al
Caffè di Sicilia.
Lì, il cameriere non aveva ancora portato i gelati,
che una voce alterata esclamò dietro la carrozza :
— Teresa — Mamma....
Era il duca, irriconoscibile, con la camicia disfatta
dal sudore, pallido -come un morto. Rivolto al coc-
chiere, mentre esse domandavano sgomente :
— Che c'è? — Michele!... Che hai?...
— Torna a casa! — ordinava egli. ■ — Torna su-
bito
E aiprì Io sportello, salì, si gettò a sedere accanto
alla balia.
— Mio padre? Il bambino? — esclamava già
Teresa, afferrandogli una mano ; . ma egli :
— No, no....
E mentre i cavalli, sferzati, partivano traendo scin-
tille dàil lastricato, spiegò finalmente :
— Giovannino.... Un telegramma del fattore — La
perniciosa!... Sono corso dal dottore, poi alla sta-
zione.... Vi ho cercato da per tutto.... Partirò sta-
notte, con un treno straordinario —
Nel primo momento, Teresa provò quasi un senso
— ±2± —
d'I sollievo. Smarrita alila vista del marito, atterrita
dalle sue oscure paròle, a\eva creduto alle più ter-
ribiiii catastrofi : la morte del padre, un' improvvisa
minaccia per 1' altro suo figlio. Assicurata che nessuno
dei suoi era in pericolo, ella non attribaji molta gra-
vità alla malattia del cognato. Poiché MicheJe perdeva
la testa, e la suocera, improvvisamente intenerita per
quel figliuolo che aveva tanto trascurarto, simianiava
adesso e parlava di partire, di correre a chiamare
altri dottori, ella sentiva che toccava a lei ragionare.
Letto il telegramma del fattore, la sua fiducia s'af-
fermò. Il telegramma diceva : « Fratello Vostra Eccel-
lenza trovasi a letto con febbre alta, somministrato
subito chinino temendo trattisi perniciosa; venga qual-
cuno faimiglia insieme dottore ». Il duca non aveva
posto attenzione alla forma dubitativa dell'annunzio;
ella diede coraggio a tutti, s' offerse di accomipagnarli ;
ma la duchessa che esclamava ogni due minuti : « Fi-
glilo mio!... Figlio mio!... » volle che restasse. Allora
ella preparò le valige pel marito e per la suocera,
non dimenticando nuilJa, raccomiandando loro di non
lasciarla senza notizie, a.ssicurandoli che anche della
perniciosa il chinino già somministrato e le cure del
dottore di Catania avrebbero sicuramente trionfato.
All' una della notte iMichele e la duchessa parti-
rono. Restata soda in casa, la sua fiducia cominciò a
mancare. Se non si fosse trattato d' una cosa grave,
il dispaccio, la richiesta d'un altro dottore, la chia-
miata dei parenti no<n sarebbero staiti necessarii. E
perchè non aveva firmato egli stesso il teleo^ramma?...
Stringendosi al petto i bambini, ella pregava in cuor
suo : « Signore, Madonna delle Grazie, fate che non
succeda una disgrazia!... »
E perchè col giorno, quando Michele e la duchessa
dovevano esser giunti al capezzale di lui, non veniva
nessuna notizia?... Ella diceva tra sé, per darsi corag-
gio : «Nessuna nuova, buona nuova!... » e tentava
raffiigurarsi i voliti ilari del marito e della suocera
nel vedere il fratello e il figlio sorrider loro, rassicu-
rarli Perchè dunque non rassicuravano lei stessa?
Xon sapevano che anche lei era inquieta?... Come si
rimiproverava, adesso, il crudele egoismo che l'aveva
quasi fatta gioire, udendo che in pericolo versava il
cognato! Non le era quasi fratello? Non 1' amava ella
di fraterno amore?... Come si perdeva adesso, come
si cancellava la memoria di quell'altro amore che
a\eva nutrito per lui! Adesso restava solo l'amico, il
parente, colui che aveva tenuto ali fonte della reden-
zione la creaiturina sua!...
E le notizie mancavano ancora. Veniva gente a
chiederne, parenti, amici : ed ella non poteva darne.
Il marchese Federico, scotendo il capo, riferì d'aver
sentito dire che 1' imprudente giovanotto era stato a
dormire parecchie notti ntelle terre della Balata, nel
fitto della malaria : « Ho paura che sia di quella
buona : sarebbe peggio d' una schioppettata ». La prin-
cipessa Graziella protestava : « Ma che! Le mlale nuove
le porta il vento!... Se gli hanno dato il chinino a
tempo, non c'è pericolo! »
Fino a mezzogiorno non Vienne nulla. Ella stessa
voleva fare un dispaccio per sollecitar la risposta; ma,
comunicata l'idea alla madrigna, costei rispose che
non le pareva il caso, che era meglio aspettare.
Nel pomeriggio restò di nuovo sola. I tristi pen-
sieri tornarono ad assalirla. Per combatterli, per discac-
ciarli, si mise in orazione. Pregando, pensò alla Beata,
alle lampade votive ardenti nella sua cappella. Con la
veste che indossava, buttatosi soltanto uno scialle
sulle spalle, accompagnata dalla cameriera, si fece
portare in carrozza chiusa ai Cappuccini. Sotto 1' al-
tare, stava sempre la secolare cassa mortuaria, l'og-
getto dei suoi terrori. Ella ne sostenne la vista, giunse
le mani, invocò dalla santa parente la sallute dell
poveretto, e ordinò al sagrestano d'accendere una lam-
pada perpetua. Tornata a casa, non trovò nulla, ma
uno squillo di campanello la fece trasalire : forse era
— 224 -^
li dispaccio. Era invece un usciere municipale mandate»
da Consalvo, il quale voleva sajpere le novità.... Ella
schiuse una finestra, avendo bisogno d' aria. Tornando
in camera sua, cadde sopra una seggfiola, col viso
nascosto tra le mani. Lo vide morto. Michele non le dava
la notizia funesta per riguardo del suo stato. E a un
tratto, il passato le tornò tutto alla memoria : ella lo
rivide come lo aveva conosciuto, come lo aveva amato :
udi la sua voce dolce quando le aveva domandato :
«Teresa, Teresa, mi vuoi bene?...» e con gli occhi
aridi, con voce strozzata, ella riconobbe : « Si, 1' ho
ucciso io!... Per me ha mutato vita... è andato a
seppellirsi laggii^i... Iia trovato la morte!... »
Sorse in piedi. Se qualcuno l'avesse udita?... Le
crleature dormivano; eilla era sola. E i dolorosi, i
malvagi pensieri tornarono ad assalirila. Non era stata
soltanto lei, erano stati anche, e più, tutti quegli altri !
La sua miadrigna, suo padre, la madre di lui, tutta
quella genite dura, spietata, inesorabile, tutti quelli che
avevano impedito d'esser felice a lui ed a lei stessa.
Perchè ella non era stata felice, no, mai! E le davan
lode per 1' amore clie portava al marito! Se non 1' aveva
amato neppure un momento! Se le ispirava quasi disgu-
sto! Se disprezzava la sua ignoranza, la sua volga-
rità ! E r avevano sacrificata pei loro puntigli, pei
loro capricci, per la superstiziome dei titoli, per V ido-
latria deMe vane parole! Pazzi e maligni : aveva ragione
Consalvo. Egli aveva ben fatto, che s' era ribellato.
La sciocchezza era stata tutta sua, nell' obbedir ceca-
mente. Colpa sua! Anche sua! Per obbedire, per risipet -
tare, per contentare : chi? « Gli assassini di nostra
madre!... »
Con gli occhi spalancati, ella trattenne il restpiro.
Il bambino l'aveva udita?... La guardava, coi chiari
occhi sereni, lucenti come celesti spiracoli nella penom-
bra della sera.... Non corse a lui. Nella penombra,
anche l'argento del Crocefisso, il vetro del quadro della
^Madonna lucevano. Perchè dunque Essi permettevano
queste cose? Non le sapevano? Non le vedcxano? Non
potevano impedirle?
La porta si schiuse : la cameriera entrò esclamando :
— ■ EcceiMenza, il telegramma !
Ella lesse : « Dottori assicurano superato ultimo ac-
cesso. Riprende conoscenza. Siamo più tranquilli ».
Allora ruppe in pianto.
LI duca tornò dopo una settimana. Suo fratello era
entrato in convalescenza, ma quel giorno dell'arrivo lo
avevano trovato boccheggiante : in uin accesso di delirio
aveva tentato buttarsi g-ià dal balcone ; quattro uomini
a stento erano riusciti a trattenerlo. Un vero miracolo
l'aveva salvato. Appena in grado di viaggiare, lo avreb-
bero riportato a casa per assicurare la guarigione col
cambiamento d'aria.
Infatti, pochi giorni dopo, la duchessa madre, restata
al suo capezzale, scrisse chiamando il duca per aiutarla
a trasportare il sofferente. Quando Teresa lo vide arri-
vare, curvo, dimagrito, con la barba ispida sul viso
giallo, quasi non lo riconobbe. La pace era tornata
adesso nell'anima di lei. Aveva un istante disperato
del soccorso divino, e giusto mentr'ella dubitava, mentre
quasi accusava il Signore d'averla dimenticata, un mi-
racolo aveva salvato il poveretto. Ella vi riconosceva
r intercessione della Beata : innalzava quindi al cielo le
più fervide azioni di grazie. La lampada ardeva ora
notte e giorno nella cappella, la voce del prodigioso
soccorso accresceva la fama della Santa. —
Nessuna traccia della tempesta restò più in lei. Di-
nanzi al cognato, debole, scarno e tremante, ella non
provava nuli 'altro che una grande pietà, non faceva
altri voti che per la sua guarigione. Mentre gli prodi-
gava tutte le sue cure, come una suora, pensava :
(( Com'è imbruttito ! Non si riconosce più!... » Egli
lasciavasi curare come un bambino, senza forza, senza
volontà, senza mlemoria. Il terribile colpo l'aveva stor-
dito, la fibra si rinsanguava a poco a poco, ma le fa-
Da Roberto, 1 Viceré - Il 1">
226
colta della mente erano più tarde a ripristinarsi. Le
fortissime dosi di chinino gli avevano quasi tolto l'udito;
spesso, egli credeva d'essere ancora ad Augusta, chia-
mava la gente che aveva intorno laggiij. La parola era
rara sulle sue lablbra;'lo sguardo stanco, fisso, a mo-
menti pareva cieco.
Dopo un mese, i dottori consigliarono di portarlo in
montagna. Sua madre lo accompagnò alla Tardarla.
Durante la loro assenza, che durò tre mesi. Teresa
partorì un altro maschietto. In novemlbre, il freddo non
permettendo più di stare in mezzo ai boschi, la du-
chessa e il convalescente tornarono : Giovannino era
adesso guarito del tutto, i colori della salute gli fiori-
vano in viso; la mente però era debole ancora. La sua
lieve sordità lo rendeva inquieto, irritabile, nervoso.
Ora smaniava per andar fuori, per veder gente; ora si
chiudeva in camera, evitando tutti. Spesso, ad una lieve
contraddizione, a un'osservazione senza importanza del-
la madre o del fratello, si spazientiva, rispondeva sgar-
batamente ; alle volte gridava con le mani in testa : ((\'o-
lete dunque farmi iimipazzire ?... » Solo Teresa pareva
esercitare un' influenza pacificatrice sul suo spirito am-
malato. Come per virtù d'un senso più fine, perfetto,
egli intendeva sempre tutto ciò che diceva Teresa, quasi
leggesse le sue parole negli sguardi, nello stesso movi-
mento delle labbra. Ed a poco a poco, per quel benefico
influsso, egli migliorò, guari, riprese le abitudini d' un
tempo, ricoiminciò a vestirsi con cura, a prendere inte-
resse alle cose che vedeva e udiva. Un giorno si fece
radere la barba : fu una specie di trasformazione come
quelle che si vedono al teatro : ringiovanì in un mo-
mento, il bel ragazzo di un tempo riapparve.
— Così va 'bene ! — gli disse Consalvo, che veniva
spesso a trovarlo, quando le sue occupazioni sindacali
lo lasciavano libero.
Egli era adesso all'apogeo della popolaritcà : non si
sentiva parlare d'altro che della sua intelligenza, della
sua accortezza, del gran bene che faceva al paese : il
— 227
governo l'aveva nominato commendalore della Corona
d' Italia. Spesso, tuttavia, s' impegnavano discussioni
tra lui e Giovannino, poiché quest'ultimo osservava che
col sistema di buttar via allegramente i • quattrini in
opere più o meno utili, le finanze del Comune, già llori-
dissime, correvano rischio di dare un crollo.
— Chi ne ha ne spende I — rispondeva Consalvo. —
Après nnoi le déìiige...
— Dovranno far debiti, se continuerai di questo
passo. . .
— • Qualcuno li pag'herà. Mio caro, ho da farmi po-
polare ; mi servo dei mezzi che trovo. Credi tu che
questo g'reg-ge m'apprezzi per quel che valgo? S' ha da
buttarg-li la polvere agli occhi !
Teresa e Giovannino, nei loro discorsi, parlavano)
sempre di lui, s'accordavano interamente nel giudicarlo.
Quel suo disprezzo di tutto e di tutti li addolorava :
certo, era un segno di forza ; ma alla lunga non avrebbe
potuto nuocergli ? Teresa, specialmente, credeva che la
forza vera fosse più modesta, più riguardosa, più timida ;
il cognato consentiva nei suoi giudizii ; però scagionava
Consalvo, attribuiva quel che c'era di men bello in
lui al sistema politico. Doleva sopra ogni cosa a lei che
il fratello non avesse una fede salda e desse ragione a
tutti e si ridesse di tutto. Egli non praticava più, e
ciò la crucciava infioitamente ; ma avrebbe piutto-
sto preferito una franca negazione ai sotterfugi ch'egli
poneva in opera. Per Sant'Agata, alla testa della Giunta,
con l'abito nero e le decorazioni, egli assisteva alla
messa pontificale, dinanzi a mighaia di persone stipate
nella cattedrale; poi dichiarava: «La mascherata è
finita! ».
— Perchè ci vai, allora? — gli domandava la sorella.
— È meglio restare a casa, se credi che sia una ma-
scherata.
— • È meglio... — confermava Giovannino.
— Se resto a casa, perdo l'appoggio dei sagrestani e
dei baciapile !
— 228 —
— • Ma i liberi ipensatori che ti vedono in chiesa, —
sogg^iung^eva il cugino, mentre Teresa approvava col
capo, — che dicono ?
— Dicono, come me : « Costa, il favore popolare !... »
No, no, ella non voleva che suo fratello fosse così.
E sosteneva con lui discussioni vivaci, durante le quali
egli le dava della pinzochera, della clericale, per finire
con una raccomandazione : « Xon m' inimicare i tuoi
Monsignori ! ».
Ma i prelati che venivano a trovare la giovane du-
chessa le facevano anch'essi molti elogi del fratello.
Scrollavano un poco il capo, veramente, a motivo dello
scetticismo di lui, ma riconoscevano le sue buone qua-
lità; e «quando il fondo è buono, non bisogna dispe-
rare ». La frequentazione di quegli ecclesiastici, l'ascolto
che prestava loro, non facevano rinunziare Teresa alle
sue idee, in fatto di politica religiosa. Devota credente
ma non bigotta, ella non poteva condannare, per esem-
pio, la soppressione delle fraterie, udendo narrare —
adesso che era maritata — gli scandali dei Benedettini.
E perchè mai il Papa ostinavasi a pretendere il do-
minio temporale, se Gesù aveva detto : « Il mio regno
non è di questo mondo»?... Ma simili opinioni, che
avrebbero fatto scomunicare ogni altra, erano in lei
toMerate dai suoi confidenti spirituali, i quali del resto
le stavano attorno, tiravano partito della sua pietà,
dell' influenza che esercitava sul fratello sindaco. Se vo-
levano far entrare certi ragazzi all'Ospizio di beneficenza
o certi vecchi a quello di mendicità o certi ammalati
agli ospedali ; se bisognava sostenere le Suore di ca- '
rità che gli atei volevano mandar via, oppure ottenere
a prezzi di favore il terreno per gli asili cattolici ; se
sorgevano contestazioni tra il Municipio e la Curia,
Teresa serviva da intermediaria, otteneva spesso da
Consalvo quanto gli chiedeva. Ma gli scherzi, i mot-
teggi, le scettiche dichiarazioni del fratello che diceva
di concedere quelle cose per ottenerne il ricambio a suo
tempo, le facevano male. Una volta che ella gli rim-
proverò la mancanza di carattere, le rispose sorridendo :
— 22g —
— Mia cara, non sai la storia di quello che vedeva
una festuca negli occhi altrui e non la trave nei pro-
prii ? Pensa un po' a ciò che hai fatto tu stessa !
Erano soli. Ella chinò il capo.
— \'olevi sposar Giovannino, ed hai preso .Michele
che non volevi : è vero, si o no? Ed era un atto gra-
vissimo, il più grave di tutta la vita, quello che decide
dell'esistenza... Hai fatto cosi per mancanza di carat-
tere, potrei dirti per seguire il tuo esempio. Io dirò
invece che 1' hai fatto perchè t'è convenuto ! Il carattere,
tienlo bene a mente, è ciò che torna conto...
Ella continuò a tacere. Era la prima volta che il
fratello le parlava di quelle cose intime. Ma, quasi per
correggere ciò che vi 'poteva esser d'urtante nelle sue
parole. Consalvo riprese :
— Del resto, non te ne faccio colpa. Può darsi che
sia stato meglio per te. Il povero Giovannino, dopo la
malattia, non ha più la testa a posto...
— Perchè?... — domandò ella. — Come puoi dirlo?
A me non pare...
— • Non parrà a te, pare a tutti quelli che gli par-
lano. Xon vedi com' è sempre nelle nuvole? Guardalo
quando camlmina solo per le strade : urta i passanti, non
vede le carrozze, tal e quale come suo ipadre...
— Dici davvero ?
— ■ L'altro giorno, se non erano le guardie di città,
restava sotto un carro. Certe volte non ragiona, mi fa
ripetere due e tre volte le cose prima che capisca...
Parlane a tuo marito, fatelo curare, state attenti prima
che succeda una disgrazia.
Ella rimase profondamente turbata. Le pareva che il
cognato fosse ristabilito del tutto ; nulla le faceva più
sospettare che lo squilibrio della sua mente durasse. Ora
aspettando ch'egli rincasasse, provava quasi un senso
di paura, come se veramente un pazzo stesse per ve-
nirle dinanzi. Ma vedendolo rientrare sereno, sorridente,
con un cartoccio di dolci pei bambini, con una quantità
di notiziole per lei, ella fu certa che Consalvo s' ingan-
nava, o almeno che esagerava sicuramente.
. — Sai, — g^li disse la prima volta che restò soht
con lui, — i tuoi timori sono ingiustificati ; Giovannino
non ha nulla...
Consalvo scosse il capo ; ma come Teresa insisteva
dimostrandogli che in casa il giovane non dava alcun
sospetto, che con lei ragionava benissimo, egli si lasciò
scappare, con aria di galanteria :
— Credo che stia bene... con te.
A quelle parole, repentinamente, prima ancora che
ne avesse considerata la significazione, una vampa le
salì al viso. \''oleva rispondergli, dirgli che lo scherzo
era scon\eniente e indegno, che quelle parole conte-
nevano un sospetto ingiurioso ed infame, chiedergli di
spiegarle meglio, costringerlo a disdirle.... ma tutte
quelle idee passavano ratte come lampi per la sua mente,
ed ella restava muta, soffocata, avvampante, non udendo
più nula dei discorsi del fratello... Quando si trovò
sola provò a ragionare. Che aveva voluto dire Consalvo?
Era possibile che sospettasse di lei ? E se anche avesse
accolto un sospetto di quel genere, sarebbe venuto ad
esprimerlo dinanzi a lei?... No, era uno scherzo, un'al-
lusione sconsiderata ma innocente a quel che c'era stato
un tempo — Ma perchè non aveva ella risposto subito,
dichiarando che quelle parole erano fuori di luogo ?
Perchè era rimasta così turbata, perchè la sua inquie-
tudine durava ancora, adesso che ella si prendeva la
testa fra le mani e si rivolgeva tutte quelle domande ?...
Aveva taciuto perchè era stata colta in fallo?... Qual
fallo?... Suo cognato, dunque, era inquieto lontano da
lei e non ragionava, per causa di lei ? E allora per qual
virtù, quando le stava dinanzi, era sorridente e se-
reno?... Ed ella, che cosa aveva fatto perchè ciò
fosse possibile? Lo aveva curato, gli aveva dimostrato
il bene fraterno che gli voleva, s'era valsa dell'ascen-
dente che esercitava su lui per guarirlo.... E poi?
Nient'altro !... Nient'altro !... Il Signore le era testi-
monio!... Nulla, come un fratello!... Perchè dunque 'e
parole del fratello suo?... Forse perchè c'era stato
qualcosa fra loro, un tcmipo, tanto tempo prima? Per-
chè Giovannino non le era fratello di sangue?... E un
dubbio atroce le passò per la mente : « Se quello che
ha detto Consalvo è ripetuto dagli altri?... ».
Lo stupore dominava quella tempesta di dubbii, di
paure, di proteste. Come 'mai, se ella era innocente non
solo di atti ma anche di pensieri. Consalvo aveva po-
tuto pensare al male o solamente ramimentare il passato,
che ella credeva morto e sepolto? Come mai?... Per-
chè?... E vedendo rincasar Giovannino, udendolo di-
scorrere seduto accanto a lei alla tavola comtuie, ella
comprese : perchè vivevano adesso sotto lo stesso tetto,
perchè erano tutìo il giorno insieme, perchè uscivano
insieme in carrozza, perchè ella lo ritrovava in casa del
padre, delle zie, da per tutto dove andava — No, non
s'era accorta ancora che la loro intimità fosse giunta a
tal segno, o piuttosto non aveva compreso che quel-
l'intimità potesse far nascere un sospetto orribile; ma
ecco che la sua mente cominciava a rischiararsi : sì, non
le era fratello, era un estraneo, un uomo che ella aveva
amato altra volta Bisognava dunque che egli an-
dasse via, che se ne stesse lontano, come nei primi
anni del matrimonio, come prima della malattia — Sì,
andarsene via.... E ad un tratto ella comprese una
cosa più terribile di tutte : che ciò era impossibile, per-
chè.ella lo amava. All'idea di non vederlo più, al pen-
siero di ro^mpere quella cara e dolce comunione di
anime, ella senti lacerarsi il cuore. E poiché non più
lampi interrotti, ma una luce cruda illuminava adesso
il suo pensiero, ella riconobbe che non lo amava sol-
tanto per la compagnia spirituale, ma tutto, anima e
corpo, come prima, come sempre.... ""
Suo marito s'era fatto più grasso e più goffo, aveva
perduto gli ultimi capelli : il suo cranio lucido le faceva
ribrezzo. All' idea di passar la mano sulla chioma folta
e odorosa di Giovannino ella tremava — Perchè s'accor-
davano nei giudizii, nei gusti, nelle opinioni ? Perchè sì
amavano !... Perchè ella sola, nel tempo che egli soffriva,
era stata buona a sedare lo sipirito inquieto? Perchè si
amavano!... S'amavano, voleva dire che erano infami !
Tanto più degni d'eterna dannazione, quanto più sacri
erano i vincoli che avrebbero dovuto rispettare!... Lei,
la santa!... la santa!...
Ed alla ^ua mente atterri* a 'parve che il peccato fosse
commesso, senza più scaonpo. Tutte ìe volte che Giovan-
nino le stava vicino, ella tremava come dinanzi al te-
stimonio ed al complice della propria colpa. Lo evitava,
non lo guardava più in viso, smaniava quand'egli te-
neva in braccio i nipotini, baciandoli lungamente, avi-
damente, quasi baciasse lei stessa, una parte della sua
carne «Che avete. Teresa?» le domandava egli; e
r im'barazzo, la freddezza di lei divenivano più grandi,
poiché non le diceva più cognatia, ma la chiamava por
nome, ed ella stessa lo chiamava per nome, tanto la
loro intimità s'era stretta. Micheile, la suocera, comin-
ciavano a notare anch'essi il mutato lumore di lei e non
sapevano a che attribuirlo, o lo mettevano in conto di
un malessere indefinibile di cui ella lagnavasi. Se aves-
sero saputo !... Se avessero scoperto !...
Quando giunse al parossismo, il suo terrore si risolse,
come una febbre. Che ipotevano scoprire ? Quali atti,
quali parole, quali sguardi d'intelligenza? Era mai ac-
caduto nulla fra loro, un giorno, un'ora, un minuto,
che li avesse costretti ad arrossire? Dov'era la colpa,
fuorché nel pensiero ? Ed era ella proprio sicura che
egli nutrisse come lei il pensiero peccaminoso ? Che
prova diretta ne aveva ? Quel suo spavento, al contrario,
la repulsione che ora gli dimostrava, non potevano es-
sere gili unici indizii denunziatori ? E a poco a poco,
sforzandosi a ragionare, quetossi. Egli sarebbe andato
via, il tempo avrebbe ancora una volta spento il fuoco
divampante a tratti nel suo cuore, come gl'incendii vul-
canici—
l^n improvviso peg-gioramento del padre la aiutò a
dimenticare. Il tumore, scomparso da un pezzo nel
punto dov'era passato il ferro del chirur,go, riappariva
nuovamente più a destra, verso l'ascella. L' infermo,
appena accortosi della riuova formazione maligna, ebbe
un cosi formidabile accesso di furore impotente, che lo
spavento gelò le anime dei suoi. Ella accorse, passò
intere giornate al capezzale del disperato, sopportò pa-
zientemente tutti gli scoppii del suo livore, alleviò le
le pene della madrigna. I dottori, al momento oppor-
tuno, s'apprestavano a tagliare, a bruciare; anche que-
sta volta l'infermo urlò che non voleva. « \'ogliono
amimazzarmii !... Non sono dottori, sono macellai !...
Li pagate per ammazzarmi, per illberarvi di me!... ».
E nel delirio, buttata via a un tratto la maschera del
zelante cattolico timorato di Dio, orribili, sconce be-
stemmie gli uscivano dalle labbra. La principessa si
turava le orecchie. Teresa alzava gii occhi al cielo ; i
Monsignori però affermavano : « Non è lui quello che
parla, è il male Egli non sa ciò che dice — » Ma,
scorgendo le vesti nere, l'infermo gridava : « E voialtri
corvacci, che volete?... Fiutate la carne umana, cor-
vacci?... Via di qua!... \'ia di qua!... » La crisi finì
con un pianto dirotto. Egli promise messe alle anime
del Purgatorio, ceri e lampade a tutte le Madonne e
a tutti i Crocefissi, chiese perdono ai suoi, scongiu-
rando che non lo abbandonassero. Teresa, inginocchiata
al suo capezzale, lo indusse a lasciarsi operare un'altra
volta.
— Fate — fate come volete — Ma non mi lasciate !...
Per carità, per l'anima di tua madre ! non mi lasciare —
Ella assistè al imacello. Dapprima, la vista del padre
che per l'azione del cloroformio, sotto la maschera di
feltro, s'agitò, rise, disse parole incomprensibili, poi si
quetò; impallidi, parve morto, le gelò il sangue nelle
vene ; ma ella fece forza a sé stessa per non essere di
impaccio ai dottori ; e con straordinaria tensione della
volontà vinse i proprii nervi. Ma alla vista dei ferri,
alle zaffate dell'acido fenico che si mescolavano alle
esalazioni dell'anestetico, un senso di freddo le sali al
cuore, un moto di nausea le passò per la gola, e a un
tratto le parve che tutte le cose girassero.
— A'ada via ! \"ada via !... — le diceva il chirurgo
quando tornò ih sensi ; ma ella scosse il capo: aveva
promesso, restò.
Xon vedeva la piaga, ma il gesto circolare che l'ope-
ratore faceva col braccio, iJ sangue che sprizzò sui
grembiali del chirurgo e degli assistenti, che macchiò
il letto e il pavimento, che fece più disgustoso l'odore
dell'aria. Quanto sangue ! Quanto sangue ! Se ne colma-
\ano le catinelle; vuotate, si ricolmavano Ella
stava dall'altro lato del letto, tenendo una mano del
padre, fredda come quella d'un cadavere. Non poteva
né pregare né pensare, vinta dall'orrore : una sola idea
occupava il suo spirito: «Quando finiranno?... Non
finiranno più ?... ».
Non finivano mai. Come un artefice alle prese con la
materia inerte da ridurre alla forma prestabilita, il
chirurgo tagliava ancora, recideva, raschiava; lasciava
uno strumento e ne pigliava un altro, poi riprendeva
il primo, calmo, freddo, attentissimo. Ed im incidente
prolungò l'attesa, ritardò l'operazione. Una goccia del
putrido sangue cadde sulla mano scalfita dell'assistente;
perchè quell'uomo non fosse avvelenato accesero il ter-
mocauterio, il platino rovente fu passato sulla sua
mano; s'udi il frizzo della carne bruciata, l'aria di
venne mefitica.
Dopo un'ora, lutto finì. Lavate le macchie, fasciata
la piaga, riposti gli strumenti nelle custodie, il prin-
cipe fu destato. Il primo sguardo del padre, cieco an-
cora, ancora morto, accrebbe il terrore di Teresa. Non-
dimeno, ella attese il ritorno della vita; disse al padre,
sorridendogli, stringendogli la mano :
— È fatto... tutto è andato benissimo... Non é vero,
dottore ?...
Ma ad un tratto ogni forza l'abbandonò. Suo marito,
entrato con la principessa e gli altri parenti, la portò
via, in una sala lontana. 11 dottore venne a dire, con
tono d'autorità :
— 235 —
— ■ \'olele si o no andarvene a casa, adesso?... An-
date a riposarvi : qui non c'è più nulla da fare...
Non ebbe la forza di rientrare neppure un istonte
nella camera dell'infermo; volle però che Michele re-
stasse, per recargliene più tardi le nuove. Scese le scale
barcollando, appoggiata al braccio del dottore, e si
lasciò cadere sul sedile della carrozza. E mentre i ca-
valli correvano, e l'aria smossa le vivificava il petto,
anche lo spirito liberavasi finalmente dalla lunga op-
pressione. Ella pensava : « Quanti dolori ! quante mi-
serie ! ». Che valevano al padre le ricchezze, l'impero
ai quali aveva tanto tenuto ? Non avrebbe dato tutto
per la salute?... Ed era condannato! Quell'opera-
zione era quasi inutile : l'ascesso sarebbe riapparso al-
ti ove... E contro queUla povera vita ròsa dal m^le,
un giorno, un momento, in cuor suo — non a parole,
Signore, col solo pensiero; ma con un pensiero ugual-
mente colpevole — contro quella povera vita ella s'era
ribellata... Perchè?... Come era stato possibile?... Se
egli aveva torti, adesso li pagava, con un supplizio
atroce. E se aveva torti, toccava a lei giudicarlo? Egli
non aveva posto opera a farla felice : poteva giudi-
carlo per ciò?... E dov'era la felicità? Sarebbe ella
stata felice altrimenti ? Chi sa quali altri dolori ! Quante
miserie !... E sempre il gesto del chirurgo che inci-
deva la viva carne le stava dinanzi agli occhi... Pen-
sava suo padre a queste cose? Riconosceva d'essersi
ingannato?... Ella non doveva giudicarlo; ma perchè
dunque le tornavano a mente tutte le accuse che aveva
udito ripetere contro di lui : che era stato duro, falso,
violento ; che aveva spogliato le sorelle e i fratelli, e
falsificato il testamento del monaco, e lasciato morire
accattando lo zio, e amareggiata la vita e affrettata la
morte della moglie, della madre di lei ?... Erano vere
queste cose? era egli cosi tristo?... Se l'invidia, la
malignità lo avevano calunniato, quanto più tristo era
il mondo ? Che tristo e orribile mondo, quello dove
l'odio tra padre e figlio poteva allignare!... Egli non
- 236 -
Aoleva veder Consalvo ; il sacrifizio di lei era stato
dunque inutile ! Sarebbe morto senza vederlo, bestem-
miando e piangendo Che mondo di tristezza, che
mondo di miseria!... Allora, rapidamente, quasi i
cavalli che la trascinavano la trasportassero indietro
nel tempo, ella pensò a*lla Badia, dove, fanciulla, s'era
sentita opprimere, come ad un sicuro rifugio, a un
porto riparato dalle tempeste... Beata, sì, la zia mo-
naca che passava i suoi giorni, tutti eguali, tra le
preghiere e le semplici cure della santa casa, fuor della
vista del male, al sicuro dalle tentazioni, dagli errori
e dalle colpe. Ella pensava : « Perchè ho avuto paura
del monastero ?... Cosi vi fossi entrata per sempre !... ».
L' imaginazione dolente riconosceva adesso che la ve-
rità era li, in quel silenzio, in quella solitudine, in
quella rinunzia. « Vi entrerei ora ? » chiedeva a sé stessa ;
e rispondeva : « Ora, all' istante ! ». Che era la vita se
non l'aspettazione della morte ? Perchè avrebbe pro-
vato repugnanza per la solitudine, la rinunzia, il silen-
zio della vita claustrale, se ella sentivasi sola, spaven-
tosamente sola, se aveva rinunziato a tante cose
che le erano state a cuore, se le voci del mondo erano
tristi e dolorose? « Se io non fossi nata?... ».
Un brivido di freddo l'assali quando la carrozza ar-
restossi nel cortile di casa sua. E i suoi figli ? Aveva
dimenticato i suoi figli ? Quando li ebbe stretti al petto,
la lunga agitazione del suo spirito si risolse in pianto.
Ed in quel punto ella udi una voce, una voce viva,
dolce e pietosa :
— ■ Teresa, che avete?... Com'è andata?... Sta
male ?...
Non potè rispondere ; il pianto la strozzava.
— Teresa!... Per l'amor di Dio, non v'angustiate
così ! Voi che siete tanto forte !... L'operazione non è
riuscita? SI?... E allora?... Andiamo, Teresa, siate
ragionevole!... Guarirà, vedrete Poveretta!... Ha ra-
gione... Ma ora basta! Basta, Teresa... Sentitemi...
ditemi... Michele non è venuto con voi?...
— 237 —
Ella rispondeva a cenni del capo. Voleva dirgli di
tacere, perchè quella voce dolce, quelle parole buone
accrescevano la tempesta del pianto, perchè quella
soave pietà le rivelava la propria miseria. No, ella non
era forte; era debole, timida, fragile; non poteva dare
aiuto agli altri; aveva ella stessa bisogno d'appoggio
e di soccorso.
E la caritatevole voce diceva ancora :
— . Poveretta! Poveretta!... Fatevi animo... Sono
qui i vostri figli; guardateli, guardate come sono belli...
Fatelo per amore di questi angioletti, non v'ammalate
anche voi... E la mamma che non c'è !... \'olete vostro
fratello? Volete che lo mandi a chiamare?... Dite che
cosa volete; sono qua io...
Ed il suo braccio la cinse, la sua tempia sfiorò la
tempia di lei. Ella piangeva ancora, ma di tenerezza,
non di dolore : dopo l'orrore che aveva visto, dopo le
tristezze che aveva pensate, l'anima sua aveva bisogno
di conforti, e le confortanti parole le scendevano soavi
all'anima come un balsamo. Avendo pensato d'esser
sola al mondo, di non aver nessuno che 1' intendesse,
abbandonavasi ora, con la trepida voluttà della debo-
lezza, a quella forza,. a quella simpatia. Egli le asciu-
gava gli occhi, le divideva sulla fronte i capelli scom-
posti. La sua mano tremava.
— ■ Cosi... — . mormorava — ■ basta cosi...
Le passò nuovamente il braccio attorno alla vita, le
prese una mano. I singhiozzi che le sollevavano il seno
ambasciato facevano più stretto l'abbraccio. La baciò
in fronte.
Ella si liberò dalla stretta e levossi. La duchessa so-
pravveniva.
Da quel momento, entrambi lessero il pensiero della
colpa nei loro sguardi. Evitavano di guardarsi, ma il
pensiero persisteva, come se qualcuno, le stesse mute
cose lo esprimessero. Se la mano, se l'abito dell'una
sfiorava quello dell'altro, le fronti arrossivano, le menti
si turbavano. Ella non pensava più a suo padre che se
ne moriva, non ai suoi figli. Alla tentazione, soltanto,
sempre. Andò a gettarsi dinanzi alla Beata : la lam-
pada votiva ardeva perennemente, come la fiamma che
struggeva il suo cuore. Non valsero le preghiere : nes-
suno le udiva. Nulla valeva. Ella pensava : « Sarà
oggi... sarà domani... ».
Suo marito le disse una volta :
— Giovannino m'inquieta... torna ad esser turbato
come dopo la malattia, hai visto?
Ella non aveva visto nulla : stupivasi come non si
fossero accorti ancora dello smarrimento suo proprio.
— Non parla, non ride, pare che ricominci a tor-
mentarlo qualche fissazione... Che possiamo fare?
Che potevano fare ?
Un giorno, a tavola, Giovannino annunziò :
— • Parto per Augusta.
Era la salvezza, ella pensava che era la salvezza,
mentre la duchessa e Michele esclamavano :
— Un'altra volta? Per prendere una recidiva? In
questa stagione?... Di qui non ti lasceremo partire !
Ella pensava che era la salvezza; e come Michele,
le domandò :
— È vero che non può partire ?
— È un' imprudenza... — rispose.
Egli alzò lo sguardo su lei. Non si guardavano negli
occhi da tanto tempo. Allora ella ebbe paura : quegli
occhi spalancati, fiammanti, terribili, gli occhi del folle,
ripetevano a lei : « Volete dunque farmi impazzire ? ».
E rimase. Ma divenne un selvaggio. Ella s'accorse
.«>ubito della pazzia, perchè era rivolta contro di lei.
La evitava, non le rivolgeva la parola. Quando gli
presentavano i bambini li respingeva, quasi toccasse
lei stessa nel toccar la carne della sua carne. Una ter-
ribile misantropia lo assali, non andò più fuori : un
giorno, costretto ad uscire, non rincasò. Tornò il do-
mani : non si seppe dov'era stato.
Quel giorno ella fu chiamata, all'alba, dalla princi-
— 239 —
pessa. Il .principe Giacomo era agli estremi; il sangue
avvelenato incancreniva a poco a poco tutto il suo
corpo. La mattina prima, con grande stupore di tutti,
egli aveva mandato a chiamare Consalvo. \'ole\a fare
vm ultimo tentativo per indurlo a prender moglie; la
paura della iettatura cedeva dinanzi alla suprema ne-
cessità di assicurare la discendenza. Nella mente su-
perstiziosa, indebolita ancor più dal male, il matrimonio,
del figlio era d'altronde l'unico mezzo di togliergli quel
funesto potere. Ammogliato, stabilito in una casa pro-
pria, padrone d'un assegno e della dote della moglie,
non avrebbe avuto ragione di augurare corta vita al
padre.
Consalvo venne subito, s' informò premurosamente
della sua salute, sedette al suo capezzale. Il principe
spiegò :
— T' ho fatto chiamare per dirti una cosa... È tempo
che tu prenda moglie.
— Pensi \'ostra Eccellenza a guarire ! — esclamò
Consalvo. — Poi si parlerà di questi negozii.
— Xo, — insistè il principe. — Devi prender moglie
ora... — Non aggiunse : « Perchè io sto per morire... »
Consalvo frenò un moto di fastidio.
— Ma che teme Vostra Eccellenza?... Che la nostra
razza si spenga?... Non dubiti... prenderò moglie, glie-
lo prometto... Mi lasci però un po' di tempo... Vuole
che io ne prenda l'impegno in iscritto? — aggiunse
sorridendo. Sono pronto!... È contenta?...
L'infermo tacque un poco; poi riprese con voce
breve :
— Voglio che tu non perda tempo... Ha da esser
ora.
— ■ Oggi, subito, all' istante?... — continuò Consalvo
con lo stesso tono di scherzo.
— Ora... o te ne pentirai!
Egli nascose più difificilmente un moto di ribellione.
— Ma santo Dio, che fretta ha mai Vostra Eccel-
lenza?... Neanche s'io fossi una ragazza che invec-
— :ì^o — ■
chiando corresse il rischio di non trovar più partiti I
Ho appena ventinove anni ; posso aspettare ancora,
fare una buona scelta. Ai tempi di Vostra Eccellenza
davano moglie ai ragazzi di diciott'anni ; ora le idee
sono altre. Non dico che col sistema antico riuscissero
cattivi mariti e padri... ma, come si pensa oggi, come
penso io, bisogna aver acquistato una larga esperienza,
essere nella pienezza della vita prima di dar la vita
ad altri. Forse sbaglierò ; ma a prender moglie ora, le
assicuro che farei infelice la mia compagna e sarei in-
felice io stesso. Mi pentirei se ascoltassi Vostra Ec-
cellenza. Vorrei farla contenta, se l'obbedienza al suo
desiderio non portasse conseguenze troppo gravi a
me e ad altri...
Finché il figlio parlò, sfoggiando la sua eloquenza,
il principe non disse una parola. Quando Consalvo andò
via, egli s'afferrò al campanello e sonò disperatamente ;
e la principessa, le persone accorse lo trovarono in
uno stato da fare spaA^ento. Pallido come se fosse già
morto, con le mascelle contratte, con le coltri stret-
tamente afferrate tra le mani adunche :
— Il notaio ! Il notaio ! Il notaio ! — mugolava.
Ad ogni parola dei familiari che gli domandavano che
avesse, che tentavano calmarlo, mugolava, come un cane
arrabbiato :
— Il notaio!... Il notaio!... Il notaio!...
Teresa lo trovò in quello stato. Non si chetò se non
prima venne il notaro. E allora diseredò il figlio. Sola-
mente nell'impeto dell' ira, per vendicarsi, aveva po-
tuto indursi a dettare le sue ultime volontà. E arre-
stando con rauche grida le osservazioni del vecchio
notaro che non credeva alle proprie orecchie e cercava
richiamarlo alla ragione e impedire quella mostruosità,
dettò :
— Nomino erede universale di tutto il mio patri-
monio, di tutto il mio patrimonio, mia figlia Teresa
Uzeda duchessa di Radali... con l'obbligo che faccia
precedere il cognome dei suoi figli dal mio casato,
- 2^1 —
chiamandoli Uzeda-Radali di Francalanza... e cosi pei
tutta la discendenza, sino alla fine...
— • Eccellenza...
— Scrivete !... Lascio a mia moglie Graziella prin-
cipessa di Francalanza il mio palazzo avito... con l'ob-
bligo espresso, espresso, scrivete : espresso, che vi
dimori essa sola, vita naturai durante...
— Signor principe !...
— . Scrivete !... — E continuò a dettare i legati alle
persone di servizio, ai parenti per il corrotto, alle
chiese per le messe, ai preti per le elemosine ; e non .
una sola parola, non un accenno a quel figlio. Ordinò
che i funerali fossero celebrati col decoro competente
al suo nome, che il suo corpo fosse imbalsamato ; ma
a mano a mano che esprimeva queste intenzioni, la sua
voce s'arrochiva, gli spiriti vitali lo abbandonavano :
quando fini, parve al notaio che l'ultimo momento fosse
giunto davvero. Ma allora l' infermo si rianimò, prese
il foglio, lo rilesse parola per parola e lo firmò. Quando
le ultime formalità furono compite, quando il testa-
mento fu chiuso, quella violenta eccitazione venne meno
a un tratto. Egli aveva parlato della propria morte !
Aveva dettato le ultime volontà ! Aveva provveduto ai
funerali ! Egli era iettatore di sé stesso ! Xon gli restava
più che morire ! Nessuno gli cavò più una parola : im-
mobile, tetro, serrò gli occhi, aspettando.
Il notaio era già corso dal duca :.
— Il principino diseredato ! Messo fuori di casa I
Erede universale la figlia! Il palazzo alla madrigna !...
E quando mai s'è vista una cosa simile?... La casa
Francalanza è proprio finita?... Pensateci voi!... Ripa-
rate lo scandalo !... Persuadete quel pazzo!...
Il duca, in quei giorni, aveva da fare : la tredicesima
legislatura era stata chiusa, i comdzii convocati per il
26 maggio. Deciso a ritirarsi se lo avessero nominato
senatore, egli ripresentavasi ancora una volta perchè la
nomina non voleva venire. E tra la devozione dei vecchi
amici, tra 1' indifferenza sfiduciata di quanti speravano
Dt, Roberto. / Victrc - II IC
— 24^ —
nclia promessa riforma elettorale per sbarazzarsi di lui, j
la sua candidatura non andava pegg^io delle altre volte : j
Giùlente, credutosi sul punto di ottenere il posto, tor- i
nava a battersi per lo zio. Nonostante le sue occupa-
zioni, udite le notizie portategli dal notaio, il duca
accorse al palazzo ; ma il principe aveva dato ordine [
di non lasciar entrare anima viva. Andò allora in cerca 1
di Consalvo. Questi era al Municipio, dove presiedeva,
nella sala della Giunta, una riunione d' ingegneri per
una nuova opera che aveva divisata : la costruzione di
grandi acquedotti destinati a dotar d'acqua la città.
Udendo che suo zio lo chiamava, chiese permesso a,gli
astanti e andò a riceverlo nel suo gabinetto.
— Non sai che succede? — esclamò piano il duca,
ma con aria grave ed inquieta; e gli riferì ogni cosa. ;
— Ebbene? — rispose Consalvo, arricciandosi i baffi. ]
— Come, ebbene?... Ma va' a gettarti ai suoi piedi!... 1
Chiedigli perdono!... Arrenditi una buona voltia — \
— Io?... Perchè?... — E con un sorriso ambiguo,
soggiunse : — Può togliermi quel che mi dà la legge ?
No?... Faccia del resto ciò che gli pare !
Lo zio restò a jgiuardarlo, interdetto, non compren-
dendo. Era dunque vero ? Quell' Uzeda non somigliava
a tutti gli altri? Quando gli altri litigavano, s'azzuffa-
vano, passavano sopra a tutti gli scrupoli e a tutte le
leggi pur di far quattrini, quello lì restava indifferente,
sorrideva udendo che era diseredato ?
— Ma tu non pensi a ciò che perdi !... Il palazzo
lasciato a sua moglie per cacciartene via?... Non ca- j
pisci questa cosa?... Non te ne duole?.., 1
Consalvo lasciò che lo zio dicesse ; poi rispose :
— • \'ostra Eccellenza ha finito ?... Sappia che la legit-
tima, cioè un quarto del patrimonio, mi basta, anzi mi
soverchia. Quanto al palazzo — egli tacque un poco, ,
perchè questo veramente gli coceva : il principe aveva '
saputo portare il colpo, — quanto al palazzo, case non
ne mancano, e coi quattrini se ne fanno di più belle
della nostra .adesso Vostra Eccellenza permetta : la '■
commissione m'aspetta.
E la notizia si diftuse per la città. Ad una voce, in
alto e in basso, il principe fu biasimato. Antipatia e
odio contro il figliuolo, sia pure ; ma fino a questo
punto?... L'anima a Dio e la roba a chi spetta !... Non
si rammentava egli dunque che anche la vecchia prin-
cipessa sua madre lo aveva odiato, ma che, nondimeno,
lo aveva trattato come il prediletto?... La cosa era
solo possibile in quella gabbia di matti. Pazzo il padre
e pazzo il figlio ! Ma i fautori del principino esclama-
rono : «Vedete il suo disinteresse?... Per esser uomo
di carattere, per non transigere, perde un patrimonio,
e non gliene importa niente ! ».
Ma se tutti, universalmente, biasimavano il principe,
tra la servitù, tra i familiari, tra i lavapiatti regnava
una vera costernazione. La casa Francalanza finita ! Le
ricchezze alla femimina ! 11 palazzo alla moglie ! Era
venuta dunque la fine del mondo?... E una sola per-
sona durava fatica a nascondere la propria gioia : la
duchessa Radali madre. La sostanza che si riuniva nelle
mani del suo primogenito era dunque immensa ! Il du-
chino non avrebbe potuto contare le proprie rendite.
Se Giovannino non si fosse ammogliato — e lei c'era
per questo ! — la ricchezza del futuro duca avrebbe dato
le vertigini !... Ella quasi le provava, non compren-
deva come Michele restasse indifferente a quell'an-
nunzio, come le dicesse :
— Mamma, non penso a questo — Penso a Giovan-
nino Non lo vedete? Cupo, taciturno, certi giorni mi
fa spavento...
Ella non vedeva ntdla, era persuasa che Michele esa-
gerasse; la soddisfazione le si leggeva negli occhi, si
manifestava ad ogni atto, ad ogni parola. E Teresa la
guardava, non comprendendo. Sola fra tutti, ella non
sapeva del testamento del padre. Non udiva i borbottìi
dei parenti, non comprendeva le allusioni della gente.
Aveva un fuoco ardente nel petto, un chiuso fuoco che
la consumava a poco a poco — Perchè non lo aveva
lasciato andar via? Perchè non aveva stornata la ten-
— -'44 -
fazione ? E gli ocelli di lui dicevano sempre : « Volete
ilunque farmi impazzire?... ».
Ella non poteva né udire né comprendere nulla, sotto
il peso della tragica fatalità che sentiva aggravarsi tut-
t' intorno. A momenti pregava che l'agonia del padre
durasse, perché solo quell'agonia, quello spavento di
morte la distoglieva dal pensiero cocente. Che sarebbe
avvenuto dopo la morte del padre?... Poi, vedendo
l'atroce supplizio del principe, s' incolpava di quella
preghiera inumana —
Il principe moriva a pezzo a pezzo, tra bestemmie e
preghiere, scoppi! di furore e di pianto. Ora aveva paura
di restar solo, ora la vista della gente sana lo rendeva
furibondo. Nominata erede la figlia, respingeva anche
lei, poiché, dovendo ereditare, anche lei doveva affrettar
coi voti la sua morte. Nessuno gli parlava né del testa-
mento, né di null'altro : bisognava, per accontentarlo,
che egli stesso avviasse un discorso. Più spesso, la sua
porta era chiusa : nessuno poteva penetrare fino a lui.
E una notte un servo corsfe in casa Radali : il prin-
cipe era agli estremi. La notizia fu comunicata al ba-
rone Giovanni, perché avvertisse il fratello che dormiva
con la moglie.
— E come si fa?... Come si fa?... — balbettava egli,
in preda a una confusione straordinaria.
Andò finalmente a chiamare la madre. La duchessa
corse nella camera maritale; all' improvvisa apparizione
Teresa, che non dormiva più da tanto tempo, sentì un
gran freddo serpeggiarle pel corpo.
— Mio padre?... — e cacciato un grido, cadde ri-
versa sul letto. La duchessa scosse il duca Michele per
destarlo dal sonno greve, e corse a cercare un cordiale.
La cameriera e la balia accorsero anch'esse.
Nella stanza attigua il barone pareva istupidito. Suo
fratello lo chiamava, le persone di servizio gli dicevano,
passando e ripassando in fretta : « La povera duches-
sina !... Venga anche Vostra Eccellenza... » ma egli
guardava la soglia della camera nuziale con occhio
fisso, dilatato, couBe se ci vedesse qualche cosa di or-
ribile.
— Giovannino ! — gridò a un tratto il duca.
Egli entrò. Era distesa sul letto, con le braccia nude,
il seno nudo, i capelli d'oro diffusi sul guanciale, le
labbra dischiuse, gli occhi rovesciati.
— ■ Aiutami a sollevarla...
Era rigida come una morta. Egli la sollevò per le
ascelle. Come se le mani gli scottassero, si mise a scuo-
terle. Tremava. Tremavano tutti, perchè la notte era
glaciale.
— ■ Riprende i sensi, — annunziò la duchessa.
Allora egli s'allontanò, andò a mettersi dietro la fine-
stra dell'altra stanza. Mezz'ora dopo uscirono tutti e
tre: la suocera e il marito reggevano Teresa; Michele-
disse al fratello :
— Tu va' a letto Fa freddo.... Tornerò appena
potrò.
In casa del principe c'era tutta la parentela. Consalvo
stava nella Sala Gialla con gli zii ; al capezzale del mo-
rente c'era solo la principessa e lo zio duca. Teresa andò
a 'rruettersi accanto alla madrigna.
— È meglio che finisca, — dicevano nella Sala
Gialla — soffre troppa
Consalvo non diceva nulla. Pensava impaurito a
quel male terribile che un giorno avrebbe potuto rodere,
distruggere il suo proprio corpo in quel momento pieno
di vita. Era il sangue impoverito della vecchia razza
che faceva, dopo Ferdinando, un'altra vittima precoce,
poiché suo padre aveva appena cinquantacinque anni.
Sarebbe anch'egli morto prima del tempo, prima di
conseguire il trionfo, ucciso da quei mali terribili che
amimazzavano gli Uzeda giovani ancora ? Suo padre
avrebbe dato tutte le proprie ricchezze per vivere un
anno, un mese, un giorno di più. Che avrebbe dato egli
stesso, .perchè nelle proprie vene scorresse il sangue
vivido e sano di un popolano?... «Niente!... ». Il
sangue povero e corrotto della vecchia razza lo facev,]
— 246 —
quel che era : Consalvo Uzeda, principino di Mirabella
oggi, domani principe di Francalanza. A quello storico
nome, a quei titoli sonori egli sentiva di dovere il posto
guadagnato nel mondo, la facilità con cui le vie mae-
stre gli s'aprivano innanzi. «Tutto si paga!... » pen-
sava; ma piuttosto che dare qualcosa per vivere la vita
lunga e forte d'un oscuro plebeo, egli avrebbe dato
tutto per un solo giorno di gloria suprema, a costo
d'ogni male... «Anche a costo della ragione?». Solo
quest'altro oscuro pericolo che pesava su tutta la gente
della sua razza lo atterriva; ma poi, considerando la
lucidità del suo spirito, la giustezza dei suoi criterii,
l'acutezza della sua vista, rassicuravasi ; quei poveri
di spirito, quei monomaniaci che s'eran chiamati Fer-
dinando ed Eugenio l'zeda avevano potuto perdere la
riagione : non egli era minacciato Ed in quel mo-
mento, sotto r influenza di quei pensieri, di quel senso
di paura, si giudicava quasi severamente per la lunga
lotta sostenuta contro il padre. L'ostinazione, 1' irre-
movibile durezza di cui aveva fatto mostra non era un
sintomo inquietante, 'a prova che anch'egli poteva un
giorno smarrirsi, come quegli altri ? Anche resistendo
alle im'p>osizioni del padre, anche giudicandolo come
meritava, non avrebbe egli potuto conservare una certa
misura, rispettare le forme, salvar le apparenze ? Per-
chè quello scandalo? Non poteva fargli anzi torto?...
E adesso sentivasi quasi disposto a chieder perdono al
morente, a nuitar politica
Recitavano le preghiere degli agonizzanti, nella ca-
mera dell' infermo; il principe rantolava. Dinanzi allo
spettacolo della morte, il senso di paura agghiacciava
nuovamente il cuore di Consalvo. Egli aveva pietà del
padre, di tulli i suoi. Stravaganti, duri, prepotenti, ma-
niaci : erano knse responsabili delle loro brutte qua-
lità ? « Tutto si paga !... » e anch'essi pagavano il gran
nome, la vita fastosa, le più invidiate fortune!... Ma
quel \iso affilato del padre, quello sguardo cieco, quel
rantolo affannoso!... Il giovane piegava i ginocchi,
— 247 —
intuiva cose che aveva negate. Egli che s'era fatto
beffe della religiosità della sorella, accusandola di bi-
gotteria, comprendeva ora che la preghiera e la fede
erano per lei un rifugio. Inginocchiata, con le mani
giunte, immobile come una figura sepolcrale, ella non
vedeva, non udiva. Consalvo quasi invidiava 1' imman-
cabile conforto cui ella poteva ricorrere nella tristezza
Il sacerdote che vegliava l'agonizzante alzò ad un
tratto le braccia al cielo. S'udì lo scoppio di pianto
della principessa, i gemiti delle donne di servizio, i so-
spiri della marchesa e di Lucrezia.
Solo Teresa non piangeva; neppure la duchessa
Radali e donna Ferdinanda, in verità. Tutti sfilarono
dinanzi al cadavere, baciandone la mani. Le donne si
lasciarono condur via, tranne la figlia e la moglie. Nel-
la Sala Rossa, la duchessa ripeteva che era meglio fosse
morto, quel poveretto; non era vivere, il suo. Ilduca
col .maestro di casa e Benedetto Giulente davano dispo-
sizioni per la circostanza, mentre i servi sbarravano
tutte le finestre, tutti i portoni. Michele, fattosi vi-
cino a Consalvo, gli stringeva la mano, mormorando :
«Coraggio!...» Egli stava per rispondere qualcosa,
quando udì una voce :
— ■ Eccellenza
Era il portinaio che gli faceva cenno di dovergli par-
lare.
— • Permetti.... — disse al cugino, e avvicinossi al
servo, credendo gli chiedesse qualche ordine.
— ■ Eccellenza.... venga qui.... — • mormorava l'altro,
trascinandolo nella stanza attigua con aria di mistero,
che Consaho, nonostante la tristezza del momento, giu-
dicava un poco buffa. — Eccellenza ! — esclamò a un
tratto, quando furono soli, con voce di terrore che diede
un senso di raccapriccio al giovane. — Che disgrazia.
Eccellenza !... Suo cugino il barone.... il cognato della
duchessina
— Giovannino? — esclamò egli, non comprendendo.
- S'è ammazzato, è morto!... Or ora; è venuto or
ora il cameriere della duchessa — L'ho lasciato abbas-
so— Morto, con una pistolettata — Per avvertir prima
Vostra Eccellenza Bisogna mandare qualcuno
Un sospiro di terrore e d'ambascia sfuggi dal petto
a Consalvo. Il « figlio del pazzo, » la pazzia, la morte
violenta!... Ad un tratto si scosse, strinse il braccio al
servo :
— Non una parola a nessuno, capisci?... .Andrò io
stesso — Aspetta il mio ritorno Non dire che sono
andato fuori
Sentiva di dover fare qualcosa. E quel sentimento,
la nettezza della percezione, la rapidità della risoluzione
gli procuravano un , vero senso di sollievo, di fiducia,
come se uscendo da un sogno penoso s' accorgesse in
quel punto d'esser desto e al sicuro.... Alla pazzia, al
suicidio del cugino non era estranea Teresa : egli non
sapeva in qual misura, ma era certo che non la so'a
eredità, non la sola malattia avevano sconvolto il cer-
vello del giovane. Bisognava dunque nascondere il sui-
cidio per Teresa, per la famiglia, per la gente E ap-
pena giunto in casa dei Radali, appena entrato nella
camera dove il cadavere giaceva per terra, ai piedi di
un divano, sotto un trofeo d'armi, esclamò dinanzi alla
serviti! costernata :
— Ah, quest'armi maledette!... Credeva che il re-
volver fosse scarico.... Povero Giovannino!... Che dis-
grazia !...
Nessuno osò rispondere. Prima che sopraggiungesse
la giustizia, egli tolse l'arma che il morto stringeva nel
pugno, ne cavò le cinque cartucce rimaste, e la ripose
in mano al cadavere. E al pretore, che saputa la morte
del principe Giacomo, gli diceva con aria dolente :
— Signor principe!... Che disgrazie!... Due in una
volta!... Non pare credibile!...
— Non pare davvero — confermò egli, con chiara
voce, interamente rassicurato.
Quel « signor principe » che il magistrato gli dava pri-
ma d'ogni altro gli rammentava che una nuova èra s'a-
\
— 249 —
priva per lui. La fermezza di cui aveva dato prova, la
prontezza con cui aveva visto quel che doveva fare lo
rassicuravano : egli non aveva paura di cadere nelle
pazzie degli Uzeda ; dei suoi aveva soltanto la ricchezza
e la potenza. E l'inganno in cui trascinava la giustizia
non era l'ultimo motivo del suo compiacimento; egli di-
ceva al pretore :
-— Il mio povero cugino era solo in casa — Aveva
la passione delle armi Credette che questo revolver
fosse scarico Invece, guardi, c'era una sola car-
tuccia dimenticata —
Vili.
Le due duchesse stettero un mese fra la vita e la
n>orte. II dolore della madre fu terribile, poiché ella
vide nella spaventosa disgrazia la mano di Dio. Quella
morte era stata permessa affinchè ella scorgesse il
proprio errore e misurasse la colpa commessa disa-
mando, trascurando, disprezzando quel poveretto. Ella
aveva quasi calcolato sulla morte di lui, perchè l'al-
tro ne godesse! Non s'era neppur ravveduta alla
prima minaccia, quando lo sventurato era stato sul-
l'orlo della fossa ! Cosi, dinanzi al cadavere sangui-
noso, una mano l'aveva atterrata : ricuperati i sensi,
le sue lacrimie non cessarono più ; nel vedere il muto,
inconsolabile dolore dell'altro figlio, le crisi di pianto
quasi la soffocavano. Quanto alla duchessa Teresa,
tutti furon meravigliati della forza straordinaria che
dimostrò nei primi momenti. Le due disgrazie che
mettevano in lutto le due famiglie colpivano lei più di
tutti, perchè iella faceva parte di entrambe : pure,
nelle primissime ore, mentre gli altri perdevano la
testa, ella die' prova d'una resistenza incredibile. Che
alla notizia della morte del barone rimanesse insen-
— 250 —
sibile, par\c quasi naturale, percliè ella aveva già
chiuso g-li occhi al padre ed era quindi sotto il peso
d\m dolore più grande. Solamente Consalvo non riu-
sciva a comprendere come la nuova sciagura che im-
pressionava gli altri per la tragica coincidenza con la
prima, e piìi per la sua imprevedibile rapidità, non sco-
tesse la sorella, non le procurasse un moto di stupore,
quasi ella l'avesse prevista. Strappata dal letto di morte
del principe, ella sola potè strappare il marito e la suo-
cera dal cadavere del giovane, ella sola li indusse a
lasciar la casa e a ricoverarsi coi bambini dai Franca-
lanza. Vegliò tutta la notte, senza piangere, tergendo
il pianto degli altri, passando dalla madrigna alla suo-
cera, dai figli al marito. Solamente col nuovo giorno,
quando venne da San Martino dei Bianchi il suono del
mortorio, ella portò la mano al cuore e cadde.
La pietà fu immensa. « Solo il Signore potè darla
tanta forza», dissero i prelati; «un'altra sarebbe rima-
sta fulminata sul colpo! » E le donne, i servi, gli umili :
« Pensare, » esclamavano, « che in due ore ha visto i
cadaveri del padre e del cognato!... ^'^eramente. c'era
da impazzire ! « Donna Ferdinanda, Lucrezia e la mar-
chesa, calmissime, s' alternavano al capezzale delle tre
inferme, perchè anche la principessa dovè mettersi a
letto. Consalvo stava spesso accanto alla sorella, te-
neva compagnia a Michele; la sera, però, faceva por-
tar su il registro aperto al pubblico in portineria. Egli
numerava le centinaia di firme disposte in colonna e le
centinaia di biglietti di visita ammucchiati in due grandi
vassoi, leggeva gli articoli necrologici terminanti tutti
con : « Le nostre piili sentite condoglianze al figlio incon-
solabile ; » i voti di simpatico dolore deliberati dal Con-
siglio comunale, dalla Camera di commercio, dai soda-
lizii politici. Quelle carte erano il documento e la mi-
sura della sua popolarità e del suo credito, poiché grandi
e piccoli, noti ed ignoti, tutta la città passava sotto il
portone del palazzo. Dopo il funerale, celebrato con
pompa slraoidinaria, egli cominciò a ricevere. Dalle due
alle sei <li giorno, dalle otto alle undici di notte, le
sale erano stipate : assessori, consig-lieri, impiegati, il
prefetto, il generale, il questore, parenti, amici, cono-
scenze, amoniratori d'ogni genere, fautori di tutte le
risme, rappresentanti di tutti i partiti e di tutte le clien-
tele sfilavano continuamente. Tutti insistevano, con aria
adatta alla circostanza, sulla doppia incredibile sciagura ;
egli si diffondeva im pezzo sulla malattia del padre e
suir» accidente » del cugino; ma poi, per toglier dall'im-
barazzo le persone, avviava il discorso sopra un altro
soggetto, chiedeva notizie degli affari agli assessori ed
al prefetto, commentava con- gli altri i risultati delle
elezioni generali, la nuova riuscita dello zio duca. Quin-
dici giorni dopo le due morti, tornò al Municipio : non
capeva ormai vivere fuori di li, temeva che le cose an-
dassero a soqquadro senza di lui, in mano di Giulente,
il quale, come assessore anziano, aveva preso la firma.
Ingolfato di nuovo nel mare degli affari pubblici,
quando tornava al palazzo, quando desinava, quando an-
dava a letto, non pensava ad altro. Del resto, nessuno
lo disturbava, le inferme si rimettevano lentamente, as-
sistite dalla principessa vedova, da Lucrezia felicissima
di poter fare nuovamente da padrona di casa, dalle altre
parenti, senza contare i soliti Monsignori. La duchessa
suocera cominciò prima a levarsi ; aveva poco più di
cinquant' anni, e parve una vecchia decrepita. Teresa
dava maggiormente da pensare ai dottori ; il suo male,
ostinato, ribelle, come alimentato da un veleno miste-
rioso, si prolungava esaurendo le sue forze. A poco a
poco, andò meglio anche lei, ma il giorno che tentò
di levarsi cadde senza sentimento. Poi tornò a ria-
versi. Consalvo, una mattina, prima d'uscire, passato
a chiedere alla sorella se aveva bisogno di nulla, la
trovò con la madrigna, la duchessa e Michele. Appena
egli entrò, si volsero tutti dalla sua parte, taciturni,
con aria grave. Teresa, con la testa sollevata da un
monte di guanciali, sul cui candore il suo viso emaciato
pareva di cera, disse con voce lenta e fioca, come stanca :
— 252 —
— Ascolta, Consalvo; siedi un momento.... Abbiamo
da parlarti.
Eg"li sedette, aspettando.
— Ascolta : abbiamo parlato d' una cosa che ti ri-
guarda Nostro padre.... tu sai che nostro padre,
in un momento di collera.... volle.... volle preferirmi a
te Io non credo che questa potesse essere la sua
volontà vera Se il Signore non ce lo avesse tolto,
egli r avrebbe certo modificata.... Io ho detto a Mi-
chele ed alla mammia che, in coscienza, non posso ac-
cettare quel che ho avuto in tali condizioni — —
Tacque un poco, poi aggiunse :
— Dite voi non posso.
Un momento di silenzio. La duchessa aveva gli occhi
pieni di lacrime, scrollava il capo amaramente. Con-
salvo disse :
— Perchè parlare di queste cose, adesso ?
Le parole della sorella, quella rinunzia all'eredità, lo
lasciavano del tutto indifferente. Da un pezzo erasi abi-
tuato all'idea di non aver altro dal padre che la le-
gittima. Piuttosto lo stupiva un poco il magnanimo di-
sinteresse di Teresa, che il cognato e la zia appro-
vavano.
— L'na volta o 1' altra, — diceva Michele, — biso-
gnava pure parlarne. Id e mia - madre approviamo
pienamente Teresa ; non vogliamo profittare di quel
testamento per portarti via il tuo Siamo ricchi ab-
bastanza— siamo troppo ricchi — e daremmo
Girò il capo per nascondere gli occhi rossi di la-
crime. La duchessa singhiozzava.
— Ma perchè ora ? — ripetè Consalvo. — Ci sa-
rebbe stato tempo Zia, si calmi!... \'a bene, va
bene; vi ringrazio.... Voi sapete che io non ho certi
pregiudizi! — voglio dire che, per me, tutti i figli,
maschi o femmine, primogeniti o — Scorgendo l'at-
teggiamento umile, quasi supplice della vecchia, non finì
la frase; disse: — Insomma, se Teresa rinunzia al
testamento, divideremo ogni cosa eg'ualmente : va bene
cosi ?
\
— Si ; come vuoi....
Teresa, rimasta immobile, con gli occhi chiudi, parve
destarsi.
— Un' altra cosa, — riprese. — La felice memoria
volle pure, nello stesso momento di cruccio — volle
lasciare alla mamana questa casa — Non è giusto nep-
pure che tu l'erede del nome.... il solo del nostro
nome, ne esca
Egli .provò una commozione indefinibile : era il pia-
cere di trionfare della volontà del padre, 1' orgoglio di
poter restare nella casa degli avi, la paura di dovere
qualcosa in cambio alla madrigna. Infatti, Teresa con-
tinuava :
— La mamma rinunzia alla casa.... prenderà invece
un' altra proprietà o un compenso in denaro —
— • Per me !... — esclamò la principessa Graziella.
— È lo stesso ! Io desidero che tutto si faccia d' ac-
cordo, che la famiglia sia semipre unita —
— Però, — continuava Teresa, ' — non bisogna
che neppur lei esca dalla casa di suo marito — Tu le
cederai un quartiere, fino ai suoi mille anni La pro-
prietà sarà tua
Tacque una seconda volta. Pareva che sul punto di
morire, con l'anima già staccata dal mondo, dettasse
le ultime disposizioni per assicurare la pace, il be-
nessere, la felicità di chi restava.
Donna Graziella, sotto 1' influenza della generosità
e del disinteresse di cui tutti davan prova, per non
esser da meno degli altri, perchè non si dicesse che
ella sola metteva ostacoli all'accordo generale, aveva
consentito al cambio; ma nulla al mondo l'avrebbe
indotta a sfrattar dal palazzo.
— È giusto.... \'a bene.... — disse Consalvo. —
Grazie !... C intenderemo.
Da quel giorno Teresa andò migliorando più rapi-
damente. Un coro di lodi, per quel che aveva fatto,
per la nobile rinunzia di cui avev,a preso l' iniziativa e
che aveva indotto tutti gli altri ad accettare, si levò
— i^4 —
da ogni parte. Il vescovo in persona venne a trovarla,
appena ella l'u in giado di riceverlo; e mentr" ella gii
baciava la mano, piangendo, le disse : « Figlia mia,
ho saputo. Sii benedetta ora e sempre, pel bene che
fai. » Ella scosse il capo, mormorando : « Che è que-
sto!... » poi, anche a nome della suocera e del ma-
rito, lo pregò di distribuire diecimila lire di elemosine.
Già gli altri prelati avevano ricevuto commissione di
far dire messe pel riposo delle anime del principe e
del barone.
I Radali avevano già stabilito di lasciare il palazzo
Francalanza, per andarsene alla Tardarla, appena Te-
resa sarebbe stata in grado di sopportare il viaggio.
Dal giorno funesto, solo Michele aveva rimesso piede
nella casa macchiata dal sangue del fratello ; ma, pei
preparativi della partenza, era necessario che una
delle donne vi si recasse. E poiché la prova era più
dura alla madre. Teresa andò lei accompagnata dal
marito. Sali le scale appoggiata al suo braccio ; ma,
entrando nell' anticamera, fu costretta a sedere, a fiu-
tar la fialetta dei sali. Riavutasi, compi quel che aveva
da fare con la fermezza antica. Le stanze del morto
erano tutte chiuse.
II domani partirono per la montagna, dove resta-
rono tutta r estate e 1' autunno.
Frattanto Consalvo stabilivasi definitivamente al
palazzo paterno. Lasciato alla principessa il quartiere
di mezzogiorno, e,gli s' era riservato quello di gala,
ma pei soli ricevimenti, fissando la propria abitazione
al secondo piano. Con la madrigna non aveva quasi
nulla in comune ; facevano tavola separata perchè de-
sinavano a ore diverse, ciascuno aveva le proprie per-
sone di servizio e la propria carrozza. Si vedevano di
tanto in tanto per le necessità dell' amministrazione.
Consalvo non sapeva nulla dello stato della casa,
mentre la principessa ne era a giorno; quindi, se l'am-
ministratore chiedeva ordini o schiarimenti, egli la-
— 255 —
sciava dire alla madiiyna. Non solamente si sentiva
attirato dagli affari pubblici più che dai suoi proprii,
ma giudicava che non valesse la pena di occuparsi di
questi ultimi finché le proprietà restavano indivise.
La divisione fu cominciata al ritorno dei Radali. Le
due duchesse erano interamente rimesse in salute : la
suocera pareva ancora più vecchia e la nuora era in-
cinta. Tutti gli articoli del contratto furono stabiliti di
comime accordo, con lo stesso disinteresse di cui ave-
vano dato prova in principio. Teresa volle che tutti i
feudi storici restassero al fratello, contentandosi delle
proprietà di fresco acquistate, delle rendite, dei capi-
tali, dei crediti diversi. In cambio, Consalvo volle che
di questa differenza tutta morale fosse tenuto conto
nella valutazione delle terre. La principessa, rinun-
ziando al palazzo, prese le tenute di Gibilfemi e il
podere dell' Oleastro, che valevano il doppio.
Consalvo, durante le trattative, era andato quasi
lutti i giorni dalla sorella. Continuò nell' abitudine
presa anche dopo. In fin dei conti egli doveva esserle
grato della rinunzia che aveva raddoppiato, da un
quarto alla metà, la sua parte. Ma, nonostante questa
specie di dovere, nonostante la tristezza del lutto, egli
riusciva difficilmente ad astenersi dal punzecchiar la
sorella per la fervente, la crescente sua devozione.
Adesso il \'icario, il confessore, le suore di carità pa-
revano domiciliati in casa di lei. Le nuove chiese della
Madonna della Salette e della Mercè, i miracoli di
Lourdes e di Valle di Pompei, l'opera dei missionari!
erano argomento di tutti i loro discorsi. I disciolti
frati Cappuccini, tornati a riunirsi in barba alla legge,
avevano comprato una casa con le oblazioni dei fedeli :
Consalvo seppe che sua sorella aveva contribuito a
queir acquisto. Non aveva ella, prima, giudicata prov-
vida la legge che disperdeva quelle comunità ? Come
poteva mai andare ogni venerdì a pregare nella cap-
pella della Beata Ximena, dove ardeva la lampada ac-
cesa per la salute di Giovannino, della cui pazzia e del
— 256 —
cui suicidio ella era stata in parte cagione? Sapeva
ella che il giovane s' era ucciso, e non era già morto
d'accidente?... iLa sua fede ostinata, resistente ai
disinganni, era sincera o non più tosto una forma della
mania ereditaria tra i suoi ? Consalvo inclinava a que-
st'ultima ipotesi, anche perchè egli non aveva fede al-
cuna ; ma non un atto, non una parola rivelavano quel
che e' era nel cuore della sorella. Quando egli arrischiò
le sue prime allusioni ironiche, ella gli disse :
— Senti, Consalvo : ognuno ha da rispondere a Dio
delle proprie azioni. Io posso soffrire del tuo scetti-
cismo, ma -non vengo a rimproverartelo. Cosi vorrei
che tu rispettassi le mie credenze, e se ti piace di
chiamarle cosi, le mie superstizioni. Ti chiedo troppo?
Egli chinò il capo, prima di tutto perchè il ragiona-
mento era giusto, e poi anche perchè le aderenze di
Teresa nel mondo clericale gli potevano giovare.
Infatti, il giorno tanto aspettato s' avvicinava rapi-
damente : la riforma elettorale era all' ordine del
giorno; dopo averla votata, la Camera si sarebbe
sciolta. Ed egli s'accorgeva adesso che la propria ele-
zione non era cosi sicura come gli era sembrata il
primo giorno, a Roma, durante la sua conversazione
con r onorevole Mazzarini e poi nei principii della sin-
dacatura. Per l'allargamento del voto e per lo scru-
tinio di lista, non più le poche centinaia di elettori dello
zio potevano mandarlo alla Camera : ce ne volevano
migliaia. E se egli era sicuro della città, non sapeva
che assegnamento fare sulle sezioni rurali.
Già il vecchio duca, fiutato il vento, annunziava ai
suoi intimi che avrebbe accettato un seggio al Senato :
sicuro d'essere spazzato via come una foglia secca,
egli si ritirava finalmente in buon ordine, fingeva di
rinunziare spontaneamente per non patir l'onta d'una di-
sfatta. E mentre Consalvo pensava ai casi suoi, in-
quieto per quel mutamento, per quella « rivoluzione
morale » da lui invocata m'a avvenuta un po' troppo
_ — 257 —
presto, Glulente non vedeva nulla, non s'accorgeva di
nulla. Fiutava le pedate al duca come fosse l'oracolo di
vent' anni addietro, aspettava di raccoglierne 1' eredità,
giurava ancora sulla Destra e su Cavour, era sicuro
che i nuovi elettori avrebbero dato il gambetto al go-
verno della Riparazione, restaurando il principio mo-
derato. E pensando niattina e sera a queste cose, la-
sciava ancora le re<iini della casa alla moglie, la
quale, finendo d' ini'brogliarc ogni cosa, aspettava an-
che lei adesso, senza dirne nulla, anzi continuando a
deriderlo, l'elezione, per non dargli i conti, perchè egli
potesse far quattrini come lo zio Gaspare —
Consalvo non s' occupava di lui : lo disprezzava tal-
mente che, certe volte, .quasi gli faceva pena. Rico-
nosciuta la necessità di presto mettersi all' opera, egli
affrettò una risoluzione che aveva già presa da un
pezzo : rinunziare all' ufficio di sindaco. Non solo avea
bisogno d' esser libero, ma g'i conveniva evitare un
grave pericolo : che, prolungando il suo soggiorno al
Municipio, il vantaggio ottenuto andasse perduto e si
niutasse in danno irreparabile. Infatti, la baracca co-
m.inciava a scricchiolare. Le spese pazze da lui fatte
avevano esaurita la cassa, l'ultimo bilancio s'era chiuso
con un deficit considerevole, che egli aveva potuto dis-
sim'ulare a furia d'artificii; ma la situazione non era
più sostenibile ; bisognava o imporre tasse o contrarre
un debito, ed egli non voleva affrontare 1' impopolarità
di simili provvedimenti. Afferrò quindi il primfo pre-
testo -per battersela. L' amministrazione comunale •di-
scuteva ancora una volta sul modo di riscuotere i dazii,
poiché il sistema dell' appalto ncn aveva fatto buona
prova. Egli dichiarò, nelle private conversazioni, che
il ritorno alla riscossione diretta era per lui uno sbaglio
e che perciò bisognava correggere i difetti del sistem.a
vigente, non abbandonarlo ; in Giunta non fiatò, lasciò
che la maggioranza si pronunziasse. La maggioranza
deliberò di mutar sistemia. La sera stessa, andato a
casa, egli scrisse due lettere : una al Prefetto, con la
De Roberto. I Viceré - Il 17
— 258 —
quale rassegnava le sue dimissioni; l'altra, collettiva,
a tutti gli assessori, annunziando loro che « per ragioni
di delicatezza » aveva già mandato la rinunzia alla
Prefettura.
Fu come un fulmine a ciel sereno. « Delicatezza?... »
esclamò Giulente, a cui tutti gli altri chiedevano spie-
gazioni; «Che delicatezza? Io non capisco!...» E la
Giunta in corpo andò a trovarlo, mentre la notizia si
diffondeva rapidamente per gli ufificii.
— Ci spiegherai, — gli disse Benedetto in nome dei
colleghi, — che significa Cjuesta lettera ?
— Significa, . — rispose il principe, guardando per
aria — che io non ho voluto esercitare nessuna co-
strizione, e siccome il vostro modo di vedere è con-
trario al mio, così, per lasciarvi liberi, me ne vado.
— Jvla a (proposito di che?... Forse dei dazii?... '
— Dei da«ii,. come di altre cose —
Comprendendo che quella gente veniva per indurlo a
ritirare le dimissioni, egli tagliava la via alle msistenze.
Disse che da un pezzo, in tante questioni, in cento pic-
coli affari quotidiani, s' era accorto che non e' era più
fra loro il buon accordo d'un tempo. Ora egli non po-
teva né rinunziare alle proprie idee, né imporle agli
altri : il meglio era quindi andarsene.
— Potevate però dirlo prima ! Non piantarci in
asso! È questo il modo?...
Confusamente, essi comprendevano il tiro che aveva
loro giocato, il ballo in cui li lasciava ; Giulente sol-
tanto insisteva :
— Ebbene, c'è mezzo di riparare : torneremo sulle
deliberazioni prese ; i\ Consiglio non le ha ancora esa-
minate ; faremo come vorrai
— È inutile che insistiate, — dichiarò Consalvo. —
La mia risoluzione è irrevocabile. Persuadetevi pure
che non sono fatto di ferro. Ho lavorato parecchi anni
pel mio paese; ora ho bisogno di riposarmi. Del resto,
sarebbe tempo che pensassi un poco agli affari di casa
mia, adesso che li ho sulle spalle Grazie della vostra
— 259 —
premura, — gli assessori invece schiumavano; — ma
credete, non posso. Nessun uomo è necessario ; voi
avete tanta esperienza quanto me; lascio l'ammini-
strazione in buone mani —
Benedetto andò dal Prefetto, perchè s' interponesse :
fiato sprecato. La Giunta si riunì in casa di Giulente,
per deliberare. Alcuni, volendo evitare gl'imbarazzi,
sostenevano che alle dimissioni del sindaco dovcGsero
seguire quelle di tutti gli assessori ; ma non sarebbe
parsa una diserzione ? Non avrebbero dimostrato la
loro incapacità e dato credito alla voce che li diceva al-
trettanti burattini mossi dai fili che il sindaco tirava
a suo talento ?
— È un tradimen'o ! — vociferavano i più acca-
niti. — Un nero tradimento ! Ci siamo lasciati gio-
care da cotesto birbante !
— Calmia, di grazia!... Perchè tradimento?... Che
interesse avrebbe?...
— Come, che- interesse ?... — e allora gli cannarono
sul muso: — Ma non capite?... Non capite che vuol
essere deputato, e che ci pianta vedendo pericolar la
baracca, ora che ha sfruttato la situazione?... Ora che
ha altro da fare, con le elezioni imminenti ?
Egli impallidiva, guardava intorno con aria smar-
rita secondo che la mente gli si schiariva. Si, negli
ultimi tempi aveva ben capito che il nipote nutriva
anche lui l'ambizione d'esser deputato; ma era sicuro
che non si sarebbe presentato subito, che gli avrebbe
ceduto il passo almeno la prima volta, e ad ogni modo
poteva forse sospettare un tiro di quel genere, 1' imbro-
glio in cui lo metteva, 1' eredità di tasse, di debiti,
di odii che gli lasciava tra le braccia ? Ora egli non
protestava più contro le recriminazioni, le rampogne
vivaci che i suoi colleghi lanciavano contro l' ex-sin-
daco. «Inganno!... Tradimento!... Birbonata!... Azione
degna di colpi di coltello !... » tutte queste parole
echeggiavano invece nel suo pensiero ; egli riconosceva
che erano giuste, com.prendeva finalmente che quel
200 — -
birbante da lui iniziato alla vita pubblica gli portava
via il posto tanto aspettato e g"li - sparava calci per
tutta gratitudine. É il duca ? Il duca che gli aveva
tante volte promesso ci lasciare, a lui, ritirandosi, l'ere-
dità politica ?.... Il duca, dal quale egli corse, gli disse :
— È vero, t'avevo promesso il mio .appoggio, ma
in altri tempi, quando non potevo prevedere la situa-
zione attuale.... Ora che si presenta Consalvo, capisci
tu slesso in che imibarazzo mi trovo....
« Dunque è vero? Anch'- egli è traditore, peggio del
nipote?» pensava Benedetto; m^a, ad alta vece:
— Vostra EccelFenza però non ignora che Consalvo
è di sinistra, che appartiene alla Progressista, men-
tre Vostra Eccellenza —
— Pensi ancora alla Destra e alla Sinistra ? —
esclamò ridendo il duca, che aveva in tasca la forma.le
pronies-sa d' un seggio al Senato. — Non vedi che i
partiti vecchi sono finiti? che c'è ama rivoluzione?
Chi può dire che cosa uscirà dalie urne a cui hanno
chiamato la .plebe? Un vero salto nel buio!... Se mi
presentassi io stesso — per giusiificarsi, riconosceva
finalmente la verità — resterei nella tromba!... E vuoi
che gli elettori ascoltino la mia vóce? L'appoggio che
posso dare è puramnente ideale — fprse sarà una pietra
al collo che affonderà il candidato.
Allora Giulente corse da Consalvo. Era in uno stato
d'esasperazione violenta; dinanzi al vecchio non aveva
csato. infrangere 1' antico rispetto, ma sentiva il bi-
sogno di sfogare, di dire ciò che occorreva a quel
birbante. *
— ■ Tu hai fatto... hai fatto ciò che hai fatto per i tuoi
fini, per lasciar nell' imbroglio me?... Per rovinarmi ?...
Per prendere il mio iposto?...
Consalvo lo guardò con un ambiguo sorriso, fingendo
di non capire.
— Che avete?... Calmatevi!... Non capisco —
— È vero che presenti la tua candidatura?
— Forse, se avrò probribilità di riuscire
— 201 —
— E non sapevi non sai che il posto è mio? Che
da tana anni lo aspetto? Che tuo zio me l'aveva pro-
messo?...
— Posto ? — fece Consalvo, con la stess' aria d' in-
genuo stupore. — Qual posto ? Con lo scrutinio di
lista non ci sarà ipiù un posto solo, ce ne saranno tre.
— E ridi, anch.e ? Mi canzoni, anche? Dopo avermi
preso il posto, a tradimento ?
Il «sorriso scomparve dal viso di Consalvo.
— Vi faccio osservare che siete riscaldato e che non
riflettete a quel che dite.
- — Ah, non rifletto?
— Qui non si tratta di posti di platea, dove siede
chi ha pagato il' ibig-lietto. Io non v' ho preso nulla,
per la semplicissima ragione che nulla avevate. Se
credete di poter riuscire, nessuno v'impedisce di piC-
sentarvi. Se da parte mia avrò questa persuasione, mi
presenterò anch' io. La ncslra parentela non e cosi
stretta da renderci incompatibili. Non c'è nessun im-
pegno tra noi; ognuno è libero di far quel che crede...'.
— . E tu sei anche libero di piantarci in asso, ora
che vedi il baratro spalancato?...
— Non e' è baratro. C'è qualche difficoltà da supe-
rare ; vuol dire che avrete l'agio di far valere la
vostra abilità
Il sangue montò- alla testa di Benedetto :
— Siete tutti d'una, razza! — gridò improvvisa-
mente; — tutte birbe matricolate....
Consal\o lo guardò un momento nel bianco degli
occhi. A un tratto gli sparò una risata .sul muso, gli
voltò le spalle e scomparve.
Giulcnte, neir uscire, non rispose al saluto dei servi,
non udì ciò che gli veniva dicendo il maestro di casa.
Credettero che fosse impazzito, vedendolo scappar via,
acceso in viso, col braccio levato e il pugno chiuso.
Parlava solo: «Falsi, bugiardi, traditori!... La rivo-
luzione! Il salto nel buio!... Essi però saltano in
i i'':]i !.. S' è aggiustato gli affari di casa sua !... Adesso
202
il nipfilc!... Il salto nel buio!... Borbonici fin nelle
ossa!... Dovevano impiccarlo, al Sessanta!... Ed io,
bulTonc, che li ho serxiti tiitt' e due!... Gli auguri! a
Francesco II!... Adesso è di Sinistra!... Buffone!...
Sono stato sem'pre buffone ! » Cocente, insoffribile, de-
sta^asi a un tratto in lui la coscienza della situazione
subalterna in cui era stato tenuto, del mal garbo con
cui lo ave\ano trattalo. « La nostra parentela non è
cosi stretta!,.. » Quel bardassa gliel'aveva spiattel-
lato in faccia!,.. Parenti? Erano stati mai parenti per
lui ? Tutti, tutti lo avevano guardato dall' alto, come
un intruso, come indegno di loro! Lo avevano dapprima
sdegnato per i suoi studii, quegli ignoranti, per
r« ignobile» laurea da lui ottenuta : ed erano stati
i soli a favor dei quali aveva dovuto esercitare la profes-
sione, per sostenere le loro magagne : la vecchia, il
principe, Raimondo — «Chi sono dunque?... Una
mala razza di predoni spagnuoli, arricchiti con le la-
drerie!... A me?.,. Io me li metto sotto i piedi!...»
Invece egli li aveva serviti, corteggiati, piaggiati; che
altro aveva fatto se r^on m(agnificare la loro presun-
zione, incoraggiare le loro pazzie, approvare le loro
birbonate ? !< Buffone ! buffone ! Sono sempre stato buf-
fone !... »
Arrivò a casa senza sapere da che parte e' era ve-
nuto. Straippò il campanello, eritrò come uno spiritato.
Lucrezia, sdraiata sopra una poltrona, colle mani sulla
pancia, lo guardò un poco curiosamente, poi disse :
— Che hai ?
Egli le si piantò dinanzi, con gli occhi fuori dell'or-
bite.
— Che ho?... Che ho?... Ho che sono una massa
d' infami traditori !...
— Chi ?
— Chi? Tuo zio, tuo nipote, -i tuoi parenti, quella
mala razza, che maledetta sia l'ora e il giorno....
Ella lo guardava sempj-e come un oggetto strano e
ridicolo. Più stupita che sdegnata, interruppe :
— 263 —
— Che diavolo dici ?
— Che dico? Quel che ho da dire. Vorresti difen-
derli ? O tieni loro il sacco ?
— Sei proprio un in-i'becille, — esclamò ella, levan-
dosi.
Allora Benedetto perse il lume degli occhi. Afferra-
tala per un braccio, gridò :
— È vero?... Hai ragione di dirlo, tu!... Sono un
imbecille....
E le lasciò correre un ceffone, tremendo, che la
colse nel pieno della guancia e tonò come una schiop-
pettata. A un tratto la lasciò e andò a chiudersi in
camera.
I servi che avevano visto entrare il padrone a quel
modo inusitato, erano rimasti in ascolto : nessuno di
loro fiatava. La cameriera, finita la scena, sogguardava
tratto tratto dall' uscio rimasto aperto, sper vedere che
faceva la signora. Costei era immobile, dietro la fine-
stra, con la guancia gonfia ed infocata. Dopo un' ora,
restava sempre nella stessa posizione. Subitamente si
mise a passeggiare guardando per aria come per ac-
chiappar mosche, guardando per terra come cercando
un oggetto smarrito, arrestandosi di botto in mezzo
alla cariiera quasi colta subitamente da un' idea, ri-
prendendo poi la corsa quasi inseguendo qualcuno. Ai
servi che le chiedevano ordini rispondeva brevemente,
ma non in collera. La guancia le si sgonfiava e sbian-
cava a poco a poco ; tratto tratto ella vi portava la
mano.
— Eccellenza, — vennero a domandarle, — è ora
d'apparecchiare?
— Aspettate, — rispose; e andò a picchiare alla
camera del marito.
Benedetto era buttato sul letto, coi panni sbottonati,
la testa ancora in fiamme. Vedendo entrare la moglie,
non disse nulla. Lucrezia gli si fece vicino :
— Come ti senti ? — gli domandò.
— Bene, — rispose Giuiente, senza guardarla.
— 264 —
— Vuoi desinare ?
, — Come ti piace.
— O credi che fcia presto ?
— Come credi.
— Allora posso ordinare ?
Egli fece col capo un gesto d' indifferenza. Lucrezia
dette ordine che allestissero. Poi tornò nella camera
del marito.
— Perchè resti a letto ? Hai nulla ?
— No, nulla.
Benedetto s'alzò per andare a buttarsi sopra una
poltrona. Era pentito dell' atto brutale, ma non espri-
meva il suo pentimento. Ruminava continuamente il suo
rancore, considerava i partiti che gli si presentavano,
non sapeva a quale appigliarsi.
— ■ Che avete deciso al Municipio? — domandò an-
cora Lucrezia.
— Non so niente !... — proruppe egli. — Non vo-
glio sentir parlare più di nulla!... Vadano tutti al
diavolo!... Se qualcuno dei tuoi mi viene innanzi, lo
n-.ando ruzzoloni per le scale.
— Hai rag;one, — rispose sua moglie.
Dietro l'uscio, il giorno innanzi, aveva compreso, dai
discorsi degli assessori, il tiro giocato da Consalvo a
suo marito ; aveva capito che Benedetto non poteva
essere deputato. Nel primo momento era rinata in
lei l'avversione pel nipote, per quegli Uzeda che pa-
revano avessero giurato di schiacciarla e pretendevano
■"ccr.parrare tutto per loro. Ma non sapeva ancora con
chi prendersela. Era proprio colpa di Consalvo, o non
piuttosto di quella bestia di Benedetto ? Ciò che ave-
vano detto gli assessori èra vero? 11 duca non avrebbe
riparato?... Né l'aspetto sconvolto di Giulente quan-
d' era rincasato, né le violente parole contro Consalvo
e il duca l'avevano persuasa; forse egli avrebbe par-
lato un giorno intero senza riuscire a nulla. Il ceffone
la converti. Quasi che il suo torbido cervello avesse
bisogno d'una scossa materiale per funzionare rego-
— 265 —
larmente, ella disse subito tra sé : « Ha ragione ! » Du-
rante le €ue ore passate in camera, a guardar la via
senza vedere, a passeggiare come una bertuccia in gab-
bia, aveva ripetuto mentalmente: «Ha ragione!... È
Consalvo!... È lo zio!... Mi vogliono schiacciare!...
Chi sa che cosa credono!... D'esser padroni proprio
di tutto?... » E ora, mentre Benedetto si sfogava, ella
ripeteva: «Hai ragione! Hai ragione!...» Durante
il desinare tacquero entrambi. Giulente assaggiava ap-
peena le vivande e lasciava la posata nel piatto. « Ti
senti imale?... Desideri qualcosa?... Vuoi andare a
letto?... » Ella gli prodigava ogni sorta d'attenzioni,
lasciava di mangiare quando il marito non mangiava
più. A un punto", Benedetto si alzò. Si sentiva real-
mente male, tutto sossopra, e andò a letto. Ella 1' aiutò
a spogliarsi, gli sprimacciò i guanciali, gli preparò il
caffè.
— A'uoi restar solo ? \'uoi riposare ?
— Sì.
Ella se n'andò. Aveva appena chiuso l'uscio che lo
riapri :
— ■ Non t' angustiare, — tornò a dire al marito. —
Deputati non se n' ha da fare uno solo. Ti presenterai
anche tu. \'edremo chi è più forte, o lui o noi !
IX.
La situazione del collegio era questa : smantellata
la rocca affaristico-conservatrice che per vent' anni
aveva sosienuto il duca d' Oragua, sbaragliata 1' As-
sociazione Costituzionale, in dissoluzione la stessa Pro-
gressista, floride e battagliere le società operaie che tro-
vavano finalmente, nel voto, 1' arma con la quale po-
ter scendere in lizza. Mentre, tra la classe borghese,
gli antichi moderali, gli ammiratori di Lanza e di
— 266 —
Sella erano costretti a nascondersi, le nuove falano^i
di elettori parlavano di più grandi libertà, di più ra-_
dicali riforme, di repubblica e di socialismo. Ma queste
parole, spaventando i progressisti timorati, potevano
•spingerli tra le file dei conservatori, dar nuova vita al
boccheggiante moderatismo. Il posto pili vantaggioso
era dunque tra i progressisti e i radicali. Consalvo di
Francalanza lo prese immediatamente. La sua ascri-
zione, al partito di Sinistra, la sua rottura con lo zio
dopo la « rivoluzione parlamentare » del 1876, legit-
timavano il programima ultra-liberale che egli veniva
annunziando.
Appena andato via dal Municipio, aveva cominciato
il lavorio fuori città, nelle sezioni ruraH. Popolani e
contadini si svegliavano laggii^i alla politica; c'erano
società operaie, circoli agricoli, casini democratici or-
dinati e disciplinati, coi quali bisognava venire a patti.
I nobili, i borghesi, i facoltosi furono conquistati su-
bito. Accompagnato da amici e amimiratori spontanea-
mente offertisi, egli cominciò il giro del collegio. Il sin-
daco, il signore più ricco, o la persona più influente
dava un pranzo o un ricevimento in suo onore, invi-
tando gli altri maggiorenti. Non si parlava delle ele-
zioni, ma il principe, affabile con tutti, s' informava
dei bisogni del paese, ascoltava i reclami di tutti, pren-
deva note sopra un taccuino, e lasciava la gente am-
maliata dai suoi modi cortesi, sbalordita dalla sua elo-
quenza e soddisfatta come se egli avesse scritto il
decreto per la costruzione della ferrovia, per la ripa-
razione delle strade, per il traslocamento del pretore.
Ma, dopo il banchetto o la refezione, dopo la visita
ai capoccia. Consalvo andava alla sede delle società
popolari. Li, in quelle piccole stanze con mobili so-
spetti, "affollate da povera gente dalle mani callose, co-
minciava il suo tormento. Egli stringeva quelle mani,
senza guanti ; si mescolava a quegli umili, sedeva tra
loro, accettava i rinfreschi che gli offrivano, e non un
moto dei suoi -muscoli rivelava lo spasimo che quelle
— 267 —
vicinanze e quei contatti gli facevano soffi-ire. Istruito
con precedenza, teneva lunghi discorsi sui bisogni del
paese, sulla crisi dei vini o degli agrumi, sulla gra-
vezza delle imposte, e prometteva leggi intese a pro-
teggere l'agricolttira, assicurava lenimenti di tasse,
premii, agevolezze di ogni genere. La sua teoria era
quella del progresso, « del progresso che mai non s'ar-
resta.... » ma, se vedeva pender dalle pareti i ritratti
di Garibaldi e di Mazzini, insisteva sull'urgenza di
« più ampie libertà richieste dallo spirito dei tempi»;
se vedeva quelli della famiglia reale, riconosceva la
necessità di andare « coi calzari di piombo ». Quasi
sempre egli trovava qualcuno che gli faceva da g^uida ;
ma talvolta non c'era nessuno che potesse presentarlo
nei circoli più intransigenti : allora egli si presentava
da sé, chiedeva del « s-gnor presidente », annunziava
^ che trovandosi di passag-gio aveva desiderio di visitare
« questo sodalizio tanto benemerito del paese ». Quasi
da per tutto si guadagnava simpatie e accaparrava
voti. Il solo fatto che don Consalvo Uzeda principe
di Francalanza faceva loro una visita, dis,poneva que-
gli umili in favor suo. Le strette di mano, i discordi
famigliari, le grandi frasi e le promesse convertivano
i più restii. Molti però recalcitravano ; egli otteneva
tuttavia l'effetto di metter la scissura dove prima era
l'accordo. Una dozzina di società lo elessero, seduta
stante, presidente onorario; egli ringraziò per «l'in-
signe onore *di cui sarei indegno se non avessi da far
valere l' imimenso affetto per gli operài, i cui miglio-
ramenti, il cui «benessere, la cui felicità sono stati e
saranno sempre lo scopo della mia vita ». Dopo i di-
scorsi ufficiali egli soggiungeva : « Quando avrete bi-
sogno di me, quando verrete in città, rammentatevi
che la mia casa è la vostra »
E ancora non si parlava dell'elezione. Esaurito quel
prim.o punto del suo programma, egli passò al se-
condo, cioè all'accordo con gli altri candidati. Per
tre seggi, c'era una dozzina d'aspiranti; ma tolte le
— 268 —
pretensioni ridicole, comie quella di Giulente, resta-
vano, oltre la sua, quattro candidature serie : l'av-
vocato \'azza, che aveva un'estesissima clientela e si
presentava con prog'ramma « liberale » senza indica-
zione di partito parlamentare; il professor Lisi, g'ih
presidente della Progressista, e perciò con idee di
Sinistra; Giardona e Marcenò, radicali. Consalvo si
mise in relazione col primo di questi due, che era il
più temperato, per un'azione comune. Dal radicalismo
annacquato di costui al liberalismo avanzalo suo pro-
prio c'era tanta disianza da non potersi intendere?
Nondimeno, i fautori di Giardona vollero dichiara-
zioni esplicite : egli s'impegnò a dare il suo voto a
tutte le rifornie chieste dal partito e sopra tutte alle
riforme sociali. Andò a dire in mezzo a loro : « Io
sono socialista. Dopo che ho studiato Proudhon, mi
sono convinto che la proprietà è un furto. Se i miei
antenati non avessero rubato, io dovrei guadagnarmi
la vita col sudore della fronte ». Tuttavia quelle di-
chiarazioni non soddisfacevano interamente. I radicali
più avanzati che sostenevano Marcenò gli si volta-
rono contro. A'enne poi fuori un giornaletto, La Lima,
che lo prese di mira, chiamandolo il « nobile prin-
cipe, il sire di Francalanza », alludendo ai suoi parenti
borbonici, affermando che un aristocratico suo pari,
discendente dai Viceré, non poteva esser sincero quando
sfoggiava tanta fede democratica. Allora anch'egli
fece pubblicare un foglio, // nuovo cletiorc. Tutti i
numeri, dal principio alla fine, erano pieni di lui,
delle sue gesta al Municipio, dei suoi titoli alla gra-
titudine del paese. I giornali quotidiani anch'essi ave-
vano articoli esaltanti « il giovane patrizio democratico
a fatti, non a parole ».
Stretto il patto con Giardona, restava da scegliere
tra il Lisi e il Vaz'za per formare la triade. Egli vo-
leva niettersi con quest'ultimo, perchè era il più forte ;
m,a .Giardona minacciò di mandare tutto a monte,
perchè il \'azza, proclamandosi ambiguamente « libe-
— 2bg —
raie », era 11 più inoderato di tutti e ben visto perfino
dalla Curia. Invece, l'alleanza con Lisi, che s'avvici-
nava più alle loro idee, era la sola naturale. Egli ri-
conobbe questa convenienza. Fu stabilito l'accordo, ma
ciascuno si mise all'opera per proprio conto.
.La legge della riforma era ancora dinanzi al Se-
nato che già ogni sera riunivasi gente in casa del
principe : nobili parenti, impiegati comunali, maestri
elementari, avvocati, sensali, appaltatori : un veglione.
Il quartiere di gala era aperto al pubblico; egli non
relegava gli elettori nelle stanzette buie dell'ammi-
nistrazione, comfc aveva fatto suo zio; spalancava le
nobili Sale Gialla e Rossa, il Salone degli specchi, la
Galleria dei ritratti. Tutti erano animati dal più vivo
entusiasmo; la gente minuta che veniva la prima volta
al palazzo, che sedeva sulle poltrone di raso sotto
gli sguardi immobili dei Viceré, si sarebbe fatta ta-
gliare a pezzi iper quel candidato che prometteva n-.ari
e monti, il bene generale e quello particolare d'ogni
singolo votante. Un perito agrimensore compose un
opuscolo intitolato : Consalvo Uzeda principe di Fran-
calanza, brevi cenni biografici, e glielo presentò. Egli
lo fece stampare a migliaia di copie e diffondere per
tutto il collegio. Il ridicolo di quella pubblicazione,
la goffaggine degli elogi di cui era piena non gli da-
vano ombra, sicuro com'era che per un elettore che
ne avrebbe riso, cento avrebbero creduto a tutto come
ad articoli ci fede. Un infinito dispre77n di q^lp1 grpp-g£
lo animava, e un rancore violento contro chi tentava
sbarrargli la via. Perchè, infatti, come l'agitazione cre-
sceva, gii attacchi della Lima divenivano più acri, e
una quantità di fogli, foglietti e bollettini elettorali,
sorti per sostenere questa o quella candidatura, o per
speculare sulla curiosità che induceva la gente a buttar
via i soldini in carta sporca, lo aggredivano mattina
e sera, gliene dicevano di ccftte e di crude. Dinanzi
alle persone ne rideva; dentro s'arrovellava: potendo,
avrebbe messo il bavaglio a quei libellisti, li avrebbe
— 270 —
banditi, imprigionati. Ma l'accusa ciie più lo feriva,
che lo faceva veramente sanguinare, era quella che
cominciavano a lanciare : « Elettori, il candidato che
noi vi presentiamo non ha feudi né blasoni, non oro
da corrompere le coscienze; ma voi, cittadini, dimo-
strerete che la vostra coscienza è un tesoro troppo
g-rande perchè un pugno di monete possa comprarla ».
Era una menzogna, giacché egli non spendeva altri
quattrini se non quelli della stampa, della posta, delle
carrozze ; ma poteva trovar credito più delle altre, ed
egli voleva esser eletto per l'attitudine alla vita pub-
blica di cui aveva dato prova, per la coltura che s'era
affannato ad acquistare. Poi, rammentando 1' impegno
preso con sé stesso di restar calmo, di lasciar dire,
scrollava le spalle, dominava gli impeti di sdegno, ì
moti di cruccio ; diceva : « Mi eleggano pel blasone
e pei feudi, che m' importa? Purché mi eleggano! »
E agli intimi che s'arrabbiavano per lui vedendolo
aggredito a quel modo : « Hanno ragione! » rispon-
deva, sorridendo : « il mio più grande titolo all'ele-
zione é quello di principe! »
Ciò che egli esprimeva con la facezia era la verità.
« Principe di Francalanza » : queste parole erano il
passaporto, il talismano che operava il màracolo di
aprirgli tutte le vie. Egli sapeva che le dichiarazioni
di democrazia non gli poteviano nuocere presso gli
elettori della sua casta, poiché costoro non lo crede-
vano sincero ed erano sicuri di averlo, al momento
buono, dalla loro; dall'altro canto sentiva che le ac-
cuse di aristocrazia non lo pregiudicavano molto presso
la gran maggioranza di un popolo educato da secoli
al rispetto ed all'ammirazione dei signori, quasi orgo-
glioso del loro fasto e della loro potenza. Per lui,
il buon popolo che si lasciava taglieggiare dai Viceré
era stato pervertito da false dottrine, da .sciocche lu-
singhe : egli era sicuro che prendendo a quattr'occhi
uno di quelli che più vociavano « libertà ed egua-
glianza » e dicendogli : « Se foste al mio posto, gride-
2/1
reste così ?» il fiero repubblicano sarebbe rimasto in un
beli' impiccio. La quistione, dicevano alcuni, era che
questi posti eminenti, queste situazioni privilegiate non
dovevano più esistere : ma allora Consalvo sorrideva
di pietà. Quasiché, ammessa pure la possibilità d'abo-
lire con un tratto di penna tutte le disuguaglianze
sociali, esse non si sarebbero di nuovo formate il
domani, essendo gli uomini naturalmente diversi, e il
furbo dovendo sempre, in ogni tempo, sotto qualunque
regime, mettere in mezzo il semplice, e l'audace pre-
venire il timido, e il forte soggiogare il debole! Non-
dimeno piegavasi, concedeva tutto, a parole, allo spi-
rito dei nuovi tempi. I giornaletti arrabbiati lo mor-
devano tenacemente con l'accusa di miuffosità « spa-
gnolesca », di orgoglio « organico » ; egli diceva agli
elettori che gli davano del « signor principe » a tu!;to
spiano : « Io non mi chiamO' signor Principe, mi chiamo
Consalvo Uzeda » Metteva adesso una specie -di
zelo nello spogliarsi di tutto ciò che poteva offendere
il sentimento dell'uguaglianza umana, non parlava più
dei '« miei viaggi » e dei « miei feudi », pareva volersi
scusare del suo titolo e delle sue ricchezze, quasi
vergognoso del grande stemma infisso sull'arco del
portone, della rastrelliera del vestibolo, dei ritratti
degli avi, come d'altrettante macchie, d'altrettanti at-
testati d'indegnità. Ma egli faceva cosi a tempo e
luogo, dinanzi ai radicali sinceri, ai repubblicani puri;
la più gran parte del tempo sapeva d'avere intorno
persone che chiamandolo « principe », mostrandosi in
sua compagnia, credevano di partecipare in qualche
modo al suo lustro.
Lavorava come un cane, a far visite, a scriver
lettere, a dirigere i suoi galoppini, a presiedere le
adunanze del comitato. La notte stentava a prender
sonno, con la mano scottata dal contatto di tante
mani sudice, sudate, ruvide, incallite, infette; con la
mente infiammata dall'ansietà della riuscita. Sarebbe
riuscito? A momenti ne aveva l'intima e salda cer-
tezza ; il governo era per lui: Mazzarini, arrivato al
potere, ministro dei lavori pubblici, gli aveva trascritto
da Roma tutte le lettere con le quali lo raccomandava
al Prefetto. Ma non si contentava di riuscire, voleva
stravincere, essere il primo degli eletti, assicurarsi sta-
bilmente il collegio con una votazione unanime, ple-
biscitaria. L'accordo col Giardona g'ii giovava certa-
mente, na quello col Lisi era stato forse un errore.
La situazione di \'azza era invece fortissima, molti
assicuravano che sarebbe riuscito il primo : raccoglieva
adesioni dovimque e i clericali specialm.ente, senza
sostenerne in pubblico la causa, lavoravano per lui,
sott'acqua, ma con efficacia g-randissima. Era stato
un vero sbaglio rinunziare a quest'alleanza e preferir
Lisi; per tentar di riparare, per giovarsi del lavorìo
delle sacrestie, egli pensò di rivolgersi alla sorella.
Non la vedeva da un pezzo, ma sapeva che la sua
vita severa, austera quasi, la rinunzia totale dopo i
lutti alle occupazioni ed ai piaceri mondani, l'edifi-
cante pietà, l'avevano messa ancora più in grazia dei
Monsignori. Andò dunque da lei. Sul punto d'entrare
nel suo salotto udì una voce squillante che diceva :
— ■ L'ho cantato a tutti, non mi stancherò di ripe-
terlo! Cada Sansone con tutti i filistei!
Era la zia Lucrezia. Egli si ferm.ò ad ascoltare.
— Vostra Eccellenza mi perdoni — rispondeva dol-
cemente Teresa — ma parlare così contro suo ni-
pote—
— Mio nipote?... Che nipote?... — vociferava l'al-
tra. — A lui duncjue fu permesso trattare così mio
marito? Pan per focaccia, dice il proverbio! Bene-
detto non risulterà, ma neppur lui : la vedremo! Piut-
tosto mi meraviglio di quella bestia di Monsignore
— Zia!
— Di quel bestione di Monsignore, che non vuole
appoggiare mio marito. Invece di fare il giuoco di
Vazza, dovrebbe sostener Benedetto, che è stato sem-
pre moderato e perciò pii^i vicino ai clericali! E mi
— 2^1 —
meraviglio più di te, che non vuoi spendere una pa-
rola per tuo zio!... Ala gli parlerò io! Ho lingua, e
posso parlar da me! Se tutti abbandonano Benedetto,
ci sono qua io! Io non l'abbandonerò! Ho lui solo
•al mondo!... Capisci che gli hanno procurato una
malattia di fegato? Tirano a ucciderlo, cotesti .assas-
sini! Ma riderà bene chi riderà l'ultimo!
Contenendo le risa, Consalvo entrò. Appena lo vide,
Lucrezia levossi.
— Ti saluto, ho da fare — disse alla nipote ; e
senza guardarlo, quasi non l'avesse scorto, ma cal-
cando la voce, e passandogli dinanzi gonfia e impet-
tita, ripetè : — Riderà bene chi riderà l'ultimo!
Consalvo si mise a ridere.
— Quella pazza l'ha con mie!... Che diavolo pre-
tendeva? Che le hanno fatto?
— Poveretta, non ne dir male — rispose Teresa,
con pietosa indulgenza.
— ■ È già una fortuna che tu non le dia ragione!
Voleva che pei begli occhi di suo marito io rinun-
ciassi all'avvenire? E adesso, tutt'a un tratto arde
d'affetto per cotesto marito prima vilipeso?...
Teresa non rispose ; fece solo un gesto di grande
•compatimento.
■ — E che voleva da te? Ti parlava dell'elezione?
— Si.
— Voleva il tuo voto, ah! ah!
— No, credeva che io potessi giovarle.
— E che le hai risposto?
— Che non posso nulla.
— E per me? — soggiunse rapidamente Consalvo.
— Per nessuno, fratello mio!... Io non mi occupo
di queste cose.
— • Ma i tuoi Monsignori ? — ■ esclamò egli sorri-
dendo.
— Né io né essi parliamo di queste cose.
— Di che parlate allora, spiegami un po'?
Al tono leggermente canzonatorio di Consalvo, la
Do Roberto. / Viceré - Il 18
— 274 —
duchessa chiuse gli occhi un momento, quasi ad at-
tinger forza per affrontare le contraddizioni, quasi a
pregare pel. miscredente.
— Parliamo, in questi giorni, d'un gran miracolo
che il Signore ha permesso. Non hai sentito discor-
rere della Serva di Dio?
Egli sapeva qualcosa, così in aria, d'un preteso
prodigio avveratosi in persona d'una contadina di Bei-
passo; ma Teresa, senza aspettare la sua risposta:
— È un'umile contadinella — proseguì — che vive
in una casupola, col padre e la madre, nelle cam-
pagne di Belpasso. È stata sempre religiosissima, ma
da qualche tempo si manifestano in lei i segni della
Grazia. Tutti i venerdì, dopo esser rimasta tre ore
in ginocchio, le appariscono sul corpo le stimmate di
Nostro Signore; ella esala un odore d'incenso soa-
vissimo e dalle sue labbra
— Questi li chiami segni della Grazia? Sono feno-
meni isterici!
Teresa tacque un poco, con la stessa espressione
dell'indulgenza che s'accorda ai poveri ignoranti.
— Se fossero fenomeni isterici, i dottori l'avreb-
bero curata. Invece, nessuno di quanti l'hanno vista
ha saputo spiegare queste manifestazioni ; tutti i loro
pretesi rimedii sono rimasti inefficaci.
— . Vuol dire che hanno chiamato dottori asini....
— No, i più riputati!... Sulla fronte le appare una
macchia rossa in forma di croce, sul costato la figura
del giglio — A voce più bassa aggiunse: — Mon-
signore andrà a visitarla.
— Vedrà anche il costato?
Ella si trasse indietro, i.suoi sguardi espressero
uno sdegnato biasimo.
— Consalvo! Sai che mi duole udirti parlare cosi
— Andiamo! Non si può scherzare?... Ma tu credi
sul serio ?...
— Credo — rispose brevemente.
Egli la considerò un poco. Voleva dirle : « A chi
~ ^75 —
la dà! a intetidere?... Sei amimattita come tutti i no«
stri?... » Ma non era venuto per questo.
— Delle elezioni, dunque, non parlate?
— No. Sono quistioni che io non capisco; e poi,
la Chiesa non partecipa a queste lotte.
— Né eletti né elettori, eh? Eppure i tuoi Padri
spirituali si danno un gran da fare per un certo av-
vocato....
— Il Santo Padre ha ordinato che i cattolici non
vadano alle urne come partito —
— Ah!... Dunque sai che c'è distinzione fra partito
ordinato e cittadini spiccioli?
— Non è difficile intenderlo.
— • Va bene, va bene!... E come singoli cittadini, i
cattolici che fanno?
— Appog-g"iano, talvolta, chi più s'accosta a loro.
— Cioè?
— Chi crede.
Le due parole significavano : « Tu non sei fra que-
sti ; ecco perchè io non posso nulla per te». Ma
Consalvo, che faceva l'ingenuo, replicò :
— Chi crede a che cosa?
— Prima di tutto agli eterni principii.di verità.
- — E poi?
— Al trionfo della Chiesa!
— • Anche tu?... — cominciò Consalvo, sul punto
di protestare, di dire li fatto suo a quell'ialtra sciocca.
Ma si contenne ancora una volta. Che gì' importava
di quelle sciocchezze? L' importante era sapere se bi-
sognava assolutamente rinunziare all' intromissione di
lei. — Ah, va benissimo!... — riprese, con tono di-
verso. — Il trionfo della Chiesa!... Ma su chi deve
trionfare, sentiamo?
— Sopra i suoi nemici e i suoi persecutori.
— Ch.i sono? Dove sono? In Italia? In Francia?
Sentiamo un po' : che bisogna fare? Restituire Roma
al Papa, eh? Dargli tutta 1' Italia', tutto il mondo?
Sentiamo, spieghiamoci una buona volta, per saperci
— 276 —
fegolare, per vedere fino a qual punto potremo Inten-
derci—
Ella disse, seriamente :
— È inutile che tu la prenda su questo tono. Presto
o tardi il diritto legittimo trionferà.
— Come? Quando? Dove?
Eila alzò il capo e socchiuse gli occhi, quasi ispi-
ranccsii
— Nascerà — disse — un gran Monarca, . dalla
diretta progenitura di San Luigi di Francia, e si chia-
merà Carlo. Egli farà dell' Europa sette regni, e rimet-
terà il Santo Padre sulla cattedra di Pietro....
Questa volta Consalvo non riuscì a frenare le risa.
— Ah! Ah! Ah!... S'ha da chiamare proprio Carlo?
E perchè non Filippo, Ignazio, Epaminonda?... Ma
dove diavolo peschi simili fandonie?
— Che t'importa, se sono fandonie?... Mi duole
che tu ne rida... Ti ho detto molte volte che ciascuno
ha le proprie convinzioni —
— Si ! Si !... Ma donde t'è venuta questa qui ? Dove
hai saputo che accadranno tutte queste belle cose?
Ella stese il braccio verso una scansietta piena di
libri e vi prese un volum.etto legato con pelle nera e
dorato sui tag'i. Consalvo lesse sul frontespizio : « L'Eu-
ropa liberata ovvero Trionfo della Chiesa di G. C.
su tutte le usurpazioni e tutte le eresie. Eco dei
Profeti e dei SS. Padri.... » A un tratto volse il capo,
udendo il cameriere che annunziava, dalla soglia, sco-
stando la tenda :
. — Padre Gentile, Eccellenza.
Entrò un prete alto, asciutto, con' forti occhiali sul
naso adunco come un rostro.
— Il principe di Francalanza, mio fratello — pre-
sentò Teresa. — Padre Antonio Gentile...
TI prete inchinossi profondamente. Consalvo lo squa-
drava da capo a piedi. Un altro, adesso! Quella casa
diventava una sacrestia!
— Il Padre — aggiunse Teresa, rivolta al fratello
— 277 —
— ha la bontà di dirigere l'educazione dei miei bam-
bini
— Io' sono ben lieto — rispose l'ecclesiastico —
di poter servire la signora duchessa —
— Non è siciliano? — gli domandò Consalvo, per
dire qualcosa, perchè non paresse che andava via su-
bito, ma impaziente di svignarsela poiché s'accorgeva
d'aver già perduto troppo tempo.
— Signor no, sono romano — rispose il Padre.
— È da un pezzo fra noi?
— Da qualche mese appena.
— Tanto piacere — fece il principe, alzandosi.
Il ^reie s'alzò e s'inchinò una seconda volta. Te-
resa gli chiese permesso e accompagnò il frateFo.
— Dunque? — insistè Consalvo. — • Che bisogna
fare per ottener l'appoggio della signora duchessa?
— Ma io non valgo a nulla!... — protestò Teresa,
con un discreto sorriso.
— Bisogna giurare fedeltà a Carlo, al Gran Mo-
narca?... Non c'è altro scampo?... Ma se ancora ha
da venire?... Basta, arrivederci!... E quest'altro, dove
l'hai pescato? Chi è?...
— f Uno dei Padri più colti della Compagnia di
Gesù!...
« Tempo perduto! Tempo perduto!... » Non c'era
da cavar nulla da quegli Uzeda! I migliori, quelli
che parevano i più saggi, a un tratto si rivelavano
pazzi, come gli altri. Questa qui, adesso, si chia-
mava in casa i Gesuiti, credeva alle balorde profezie,
ai pretesi miracoli, diventava cieco strumento in mano
dei preti! Dov'era la fanciulla d'una volta, graziosa,
gentile, poetica, pietosa ma non bigotta, credente ma
non accecata? Anche al fisico, aveva perduta l'ele-
ganza del portamento, ingrassava, era irriconoscibile.
La ipazzia soggiogava anche lei, prendeva la forma
religiosa, diventava misticismo isterico! Tutti ad u
modo, tutti!... Egli solo pi stiniav^ savio, forte, pru-
dente, immune dal vizio ereditario, padrone e g^iudice
di sé stesso e degli altri.... E apparso sulla Gazzetta
ufficiale il decreto che chiudeva la sessione, egli si
buttò a capo fitto nella lotta.
Giorno e notte la sua casa parve trasformata in
una piazza, in un pubblico mercato, dove i delegati
discesi dalle sezioni rurali e gli elettori cittadini an-
davano e venivano, discutendo, contrattando, gridando,
col cappello in testa, con le mazze in mano. Più gente
veniva, più egli ne invitava : i galoppini, per suo or-
dine, rimorchiavano lassù, adescati dal marsala e dai
sigari, dalla curiosità di entrare nel palazzo dei Viceré,
gonfii dell' importanza a cui erano assunti d'un tratto,
individui di tutte le classi, bottegai, scrivani, uscieri,
trattori, barbieri, gente più umile ancora, servi, guat-
teri, tutte le infime persone che per aver messo una
firma dinanzi al notaro tenevano nelle loro mani una
frazione della sovranità. Egli stringeva tutte quelle
mani, accoglieva tutta quella gente con un « grazie
dell'adesione! » dava del lei sopra e sotto; essi anda-
vano via incantati, accesi d'entusiasmo, protestando :
K E lo dicevano superbo! l^n signore tanto alla
mano!... »
Una sera, facendo il giro delle sale. Consalvo vide
una faccia nuoV(a, che rassomigliava tuttavia a chi?...
A Baldassarre, il suo antico maestro di casa ! Ma i
favoriti erano scomparsi, e invece sulle labbra già
sbarbate dell'ex-scrvitore cresceva un grosso paio di
m.ustacchi tinti come stivali.
— Grazie dell'adesione • — gli disse Consalvo, strin-
gendogli la mano.
— Niente!... Dovere!... — balbettò Baldassarre.
Uscito dalla casa del principe, il maggiordomo s'era
buttato alla politica, aveva abbracciato la fede demo-
cratica, presiedeva ora una società operaia di . mutuo
soccorso. Giacché il principino — Baldassarre adope-
rava ancora il diminutivo per designare l'antico pa-
droncino — si presentava con programma democra-
— 279 —
tico, egli aveva indotto i consocii ad appog-g-iarlo ;
così rientrava nel palazzo lasciato da servo con l'im-
portanza di uno che portava un bel gruzzolo di voti.
Seduto sopra una di quelle poltrone di raso che prima
aveva avanzato ai signori, egli si guardava intorno
ed ascoltava con la gravità dell'antico maestro di casa,
era più serio e decorativo di tanti altri ; un sindaco
di provincia che g'ii stava fianco gli disse :
— Da noi la riuscita è assicurata. E qui, profes-
sore, come vanno le cose?
— Eccellente! ■ — fece Baldassare, scrollando il capo.
I membri del comitato, quella sera, riferivano i
nomi degli elettori amici che avevano fatto iscrivere
nelle liste. L'antico servo s'avvicinò a Consalvo :
— Signor principe — non gli dava più, per de-
mocrazia, dell' Eccellensa — la nostra società ha fatto
iscrivere una cinquantina di elettori. Sono tutti nostri!
— La ringrazio ; non so come ringraziarla.
— Si figuri, per carità : dovere! Vinceremo certa-
mente! La vittoria è nostra!
— Accetto di cuore l'augurio cortese.
E Baldassarre, dimenticato il torto che gli aveva
fatto il principe defunto, si fece in quattro per assi-
curare il trionfo del principino, divenne in b-eve uno
dei suoi luogotenenti. Egli faceva i suoi rapporti a
Ccnsalvo, ne riceveva le istruzioni, gli dava a sua
volta consigli; e il padrone e il servo erano scom-
parsi, sedevano a fianco alla stessa tavola, il principe
passava la carta e la penna all'antico creato, si da-
vano del lei come due diplomatici stipulanti un
trattato.
La lotta diveniva frattanto più aspra. Consalvo aveva
fatto fare certe aperture ai capi clericali, ma costoro
avevano risposto che la sua alleanza con Lisi e Giar-
dona rendeva impossibile qualunque accordo. Giulente
boccheggiava. Per salvare il Municipio aveva dovuto
imporre nuote tasse, aggravare le antiche, congedare
impiegati, lasciare in asso tutte le opere non finite,
— 28o
ridurre tutte le spese; e la sollevazione era unanime
contro di lui per l'odiosità delle imposte, la gretterìa
eretta a sistema. La sua lunga aspirazione all'eredità
politica dello zio, la stessa malattia di fegato erano
un po' ridicele : sua moglie finiva di rovinarlo van-
tando il suo patriottismo dopo averlo deriso : « Al Vol-
turno stava per lasciare una gamba!... » domandando
a tutte le persone, ai commessi di negozio, ai ven-
ditori ambulanti: « Non siete elettore?... Allora andate
a farvi iscrivere.... » Ed ella gli aveva finalmente con-
segnato i conti cell'am'ministrazione, dove c'era un
baratro peggio che al Comune.
Gli altri candidati, però, non si davano vinti, i p'ù
pericolanti si ostinavano peggio, ricorrevano a tutti i
mezzi, contrattavano i voti, lanciavano accuse violente
ai rivali fortunati, specialmente al principe. e< Noi non
abbiamo nipoti educati dei Gesuiti, ne zii Cardinali
di Santa CH^a, né .parenti reazionari ; non ci ap-
poggiamo su tutti i partiti, dalla nobiltà alla cana-
glia!... ». Consalvo lasciava dire, correva in provincia,
tornava in città, allargava la cerchia dei proprii ade-
renti. I messi di Baldassarre, dal canto loro, predica-
vano nelle osterie la dem.ocfazla del principe, pagavano
da bere a quanti gli promettevano il voto. Una sera,
però, la discussione si fece brutta fra quelli che sta-
vano dalla sua e gli oppositori che davano al principe
del Rabagas, del gesuita e del traditore. Dalle parole
vennero ai fatti, volarono sedie e bottiglie, luccica-
rono i coltelli, gravi minacce furono proaunziate. Al-
lora Consalvo si rivolse agli antichi conipagni di ba-
gordo, alla gente con la quale aveva fatto vita, un
tempo, nelle taverne e nelle case di tolleranza : ceffi
spaventosi, pallidi bertoni con la faccia tagliata da
cicatrici fecero la guardia al suo palazzo, alla sua
persona; si disseminarono nei luoghi equivoci, minac-
ciando, intimorendo «Il candidato di Francesco II
ha sguinzagliato la mafia per tutto il collegio allo
scopo di spaventare gli onesti cittadini », denunzia-
rono i fogli avversarli ; ina nella violenza della bat-
taglia le più feroci accuse avevano perduto ogni effi-
cacia, erano naturalmente attribuite all'odio di parte,
al rancore di chi sentiva mancarsi il terreno sotto
i ,piedi. Il nome di Francalanza era su tutte le bocche,
nessuno dubitava oramai dell'elezione del principe. Eg^li
preparava il discorso elettorale.
Grandi cartelloni multicolori incollati per tutta la
città annunziarono l'avvenimento: « meeting elettq-
RALE. Cittadini: Domenica, 8 ottobre 1882, alle ore 12
meridiane, nella Palestra Ginnastica (ex-convento dei
PP. Benedettini) il Principe di Francalanza esporrà
il suo programma politico agli elettori del I Colle-
gio. » Seg'ui\"ano le firme del comitato : un presidente,
vecchio magistrato a riposo, ben visto da tutti i par-
titi e perciò niesso a quel posto da Consalvo ; poi
sei vice-presidenti, più di cinquecento membri, otto se-
gretari!, ventiquattro vice-segretarii.
Era una novità, questa d.ei discorsi-programmi. Le
elezioni non si pote\ano più fare alla chetichella, in
famiglia, coane al tempo del duca d' Oragua : ciascun
candidato doveva presentarsi agli elettori, render loro
conto delle proprie idee, discutere le quistioni del
giorno. « Almeno è certo che andranno al Parlamento
solo quelli che sanno parlare!... » Ala udire il prin-
cipe di Francalanza discorrere in piazza come un cava-
denti : lo spettacolo era veramente straordinario. Gli
altri candidati tenevano i loro discorsi nei teatri, ma
per quello di Consalvo c'era tanta aspettazione, pio-
vevano tante richieste di posti, arrivavano tante rap-
presentanze dalla provincia, che nessun teatro parve
sufficiente. La palestra ginnastica, che era il secondo
chiostro del convento di San Nicola, g-rande quanto
una piazza, aveva, con i suoi archi, le colonne e le
terrazze, una ccrt'aria di anfiteatro; era l'ambiente
più vasto, più nobile, più adatto alla grandezza del-
l'avvenimento. E poi Consalvo, da cui vaniva la scelta,
aveva una sua idea.
282 —
Egli andò a dirigere personalmente l'addobbo. Ma
intanto che i tappezzieri lavoravano^ a disporre trofei
di (bandiere e festoni d'oliera e tende e ritratti, '1
principe si guardaxa intorno con un .senso di stu-
pcre, sorpieso a un tratto dalle memorie della fr,n-
ciullez/a. L'enorn-;e e nobile monastero, la signorile
icimCra dei Fr.dri gaudenti, l'aristocratico collegio
della giovcnti^! era irriconciscibile. Scomparsi i corri-
doi che s'allungavano a perdita d'occhio, chiusi da
^muri e da cancelli, convertiti in sale e gabinetti sco-
lastici; il refettorio irasformato in salone di disegno
dell'Istituto Tecnico, ingombro di cavalietti, ornato di
'stampe e d'i gessi; il Coro di notte pieno d'attrezzi
rautici ; al pesto dei grandi quadri, sugli usci delle
camere, cartelli con l'iscrizione : Prima Classe, Dire,
zione, P re. si de Vida. GiiJ, nel cortile, i anagazzini tras-
Jormati in casern.t. Le generazioni di .soldai. *: di
studenti succedutesi dal Sessantasei avevano devastato
i chiostri, rotto i sedili, infronto le balaustrate; i
■muri erano pieni di figure e di motti osceni, e i ca-
lamai lanciati come fionde pel corruccio delle bocc'a-
lure o per la gioia delle promozioni avevano stam-
pato da per tutto larghe chiazze d'inchiostro.
Dinanzi a quella devastazione, Consalvo pensava
adesso con un senso di rammarico alla morte del
mondo monastico, che egli aveva vista con vivo tr -
pudio. Ma allora - — ram.mentava! — aveva quindici
anni, era impaziente di prendere il posto che lo aspet-
tava in società. Se gli a^^essero detto, allora, che
egli sarebbe tornato un giorno a San Nicola per di-
scorrervi dell'eguaglianza sociale e del pensiero lai-
'co!... No, egli non poteva assuefarsi a quest'ideale
democratico contro il quale protestava la sua educa-
zione ed il suo stesso sangue. Li, a San Nicola,
forse pii^i che a casa propria, egli era stato imbe-
vuto di superbia signorile, era stato avvezzo a con-
siderarsi d'una pasta diversa dalla comune — Dove
era la sua camera? Egli la cercava, al Noviziato, e
- 283 -
non la trovava. Forse dove stava scritto Gabinetto
'di fisica. Vn custode, facendogli da guida, narrava
le magnificenze del conventio, le feste sontuose, l'ab-
bondanza del conviti, 'a nobiltà dei Padri, e rammari-
caAasi n cstrando le ro\ine presenti, m Quii stavano i
inovìzii, tutti figli dei primi baroni : bei tempi! Adesso
ci vengono i figli dei ciabattini! » Il preslig"io della
i.obiltà e della ricchezza era dunque veramente impe-
'rituro, ise ■quel povero diavolo parlava cosi d'una ri-
'foma che gio^a^a ai suoi pari — Consalvo voleva
ni.spondere : « Avete ragione » xna il rumore di mar-
t€lJa»te che \eniva dalla palestra ig-li rammentava la
•necessità di nascondere i proiprii sentimenti, di rap-
■preterlar la parte che s'era aissunta. LI, fra que'le
iirura, egli s'ena messo jcol partito dei ::.orci ai quali
Fra Cola voleva tagliar la coda; qualcuno non gli
avrebbe fatto una co/pa di quel remotissimo passato?...
Bah! Chi si nammentaA a celle monelTate d'un ra-
gazzo! GioNannmo era miorto, non poteva tornar dal-
l'altro mondo a contraddirlo! E qu:;nd'anche?...
Frattanto i preparativi si venivano compiendo; la
domenica del comizio tutto fu pronto. L'aspetto della
palestra era grandioso. Duemila seggiole erano di-
sjposite in bell'ordine reir'arena, e rte'S'tava tuttavia
spazio libero per gli spettatori in piedi. Il lato meri-
dionale del portico, tiservato alla presidenza ed alle
associazioni, conteneva una gran tavola circondata di
poltrone e fanchcggiata da tavolini per la stamipa ic
gli stenografi. Gli altri tre lati erano per gì' invitati :
autorità, signore, rapfpresentanze varie. Tut^a la ter-
razza, come l'arena, restava agli spettatori minuti : per
difender le teste dal. sole erano state diis-tese grandi
tende di mussolina tricclore. Trofei di bandiere ab-
brackriiavsro le colonne, ed in mezzo a ciascun trofeo
spiccava un ritratto : a destra e a sinistra della ba-
lauistjiata da cui avrebbe parlato il candidato, Um-
berto e Garibaldi; poi Mazzini e Vittorio Emanuele;
poi Margherita e Cairoli ; e cosi tutto in giro Amedeo,
- 284-
Bixio, Cavour, iCrspi, Lamarmora, Rattazzi, Ber-
tiini, Cialdini, la famiglia sabauda e Ja garibaldina,
la monarchia e la repubblica, la Destra e la Sinistra.
Fin (dalle dieci, la folla cominciò a far ressa, ma
le porte erano custodite da buon nerbo di membri
del Comitato, riconoscibili a una gran coccarda trico-
Icre a'pipun'tala al ipetto. Giù, nel cortile esterno, si
Tiunixano le società attorno alle bandiene e ai labari,
per ricevere il candidato e accompagnarlo alla pa-
lestra. Ire lande larrivarono una dopo l'altra, coi
sodalizii piij num'^rosi, tirando'si dietro una folla di
cui'icsi; e il brusìo saWva al cielo, torrenti di g-ente
s' ingolfavano dallo spalancato portone della scala
reale. Gli strumenti dei .sonatori .s,pecchiavano al gaio
«ole autunnale; pennacchi e bandiere ondeggiavano al
vento; i cartelloni sr.ulticolori cestivano a festa i muri
del jiionastcro.
/■ Baldassarre, in redingote e cappello alto, con una
"coccarda grande ccme una mota di mulino, andava e
veniva, sudato, sbuffante, come ventotio anni addietro,
Cjuando ordinava l'aristccratico cerimoniale dei fune-
rali della vecchra iprinciposisa. Ma allora eg^H era servo
■stipercia'to, e adesso libero cittadino che interveniva
a un metingo democratico, e che prestava il suo ap-
poggio al principe non per quattrini ma per un' idea.
Alla folla che Aoleva entrare ad cgni costo, diceva,
alzando Je nani: « Signori n-.àei, un po' di pazienza;
c'è temipo ci vuole un'ora...; » Era possibile lasciar
entrare la ciurmaglia prima degli invitati?... Ma alle
undici e mezzo la resistenza fu impossibile : dato or-
dine ai tuoi 'C'iptndenli di difendere almieno i pasti
riservati, lasciò aprire la terrazza e l'arena. In un
attimo r onda umana vi si rovesciò. Era ancora la
folla anonima, il popolo minu'to; ma a poco per volta
ccjminciaA'ano a venine le persone di riguardo, signori
e signcre eleganti, dinanzi alle cui carrozze s'apriva
l'altra folla rimasta nel cortile esterno. Baldassarre,
nella palestra, additando alle dame i loro posti^ si
- --85 -
voltava tratto tratito verso i com;pag-ni : « Dite che Je
bande vengano qui, che ".prendano pcisto!... Non ci sarà
la naiiisica all'arrivo del candidato!... » Quelle bestie
non ne azzeccavano una! Impossibile aver le bande,
neanche dopo essersi sgxDl'ato un'ora; tanto fche dovè
correre eg-Iii stesso a chiamarle : « Che fate qui? Non
è '1 vcs'trio posto! Venite dentro!... » Egli non era
•più n.aggiordomo, ma le cose onalfatte non poteva
toll'erarle. Uno del comitato non disse che bisognava
isonare al primo arrivo del iprincipe? Egli si guastò :
« Il ricevim.ento si fa nella palestra, non nel cortile!
Vol'ete darmi lezioni?...» E mise It bande al posto
c^ppcrtuno, orìdinando : « Marci'a reale ed inno di Ga-
ribaldi!... »
Ora la ipalestra offriva uno spettacolo veramente
straordinario : 1' arena era un mare di teste, serrate le
file delle sedie, stretti come acciughe gli sipettatori io
piedi ; nella terrazza una folla variopinta, sulla quale
fiorivano gli ombrellini di molte signore che non ave-
vano trovato posto giù. Ma 1' aspetto più sontuoso era
quello dei portici: tutta la migliore società vi s'era
riunita, le dame nelle (prime fi'e, gli uomini dietro, ed
un ronzio come d'alveare si levava tutt'intorno : chiac-
chiere eleganti, profezie sull'esito delle elezioni, batti-
becchi politici, ma specialmente esclamazioni d' impa-
zienza, tentativi d'applausi di chiamata, come al teatro,
che facevano voltare il capo a tutti e cavare gli oro-'
logi. Scoccava già mezzogiorno, il campanone di San
Nicola dava i primi tocchi, quando venne da lontano
uin sordo clamore. «È qui, è qui — Arriva ci sia-
mo!... » S'udivano adesso distintamente le grida:
(c Viva Francalanza!... \'iva il nostro deputato!...» e
siooppii d'applausi il cui fragore cresceva, rimìbom-
bava nei corridoi, faceva tremare i vetri, destava tutti
gli echi sopiti del monastero. Dalla palestra la folla
•s'era levata in piedi, i colli erano tesi, gli sguardi
fissi all'arco d' ingresso. Squillarono a un tratto, into-
nate dalle tre musiche, le prime note della marcia
- 286 —
reale nientre apparivano le prime bamd'iere, é un urlo
formidabile, un vero uragano d'applausi, di evviva,
di grida confuse scoppiò nel vasto recinto, riecheggiò
tempestosamente tra ^ 'altra folla che circondava il can-
didato.
Consalvo avanzavasi, -pallidissimo, ringraziaindo ap-
pena oon un cenno del capo, assordato, abbacinato,
sgomentato dallo spettacolo. Dietro di lui, nuovi tor-
renti si riversavano nelle terrazze, nei portici, nel-
l'arena, vincendo la resistenza dei primi occupanti ; ma
tuttavia migliaia di mani applaudivano, sventolava o
fazzoletti e cappelli ; le signore, in piedi sulle seggiole,
salutavano coi ventagli e gli om/brellini, formavano
gruppi pittoreschi sul fondo scuro della gran folla
mascolina; e l'ovazione si prolungava, le grida sali-
vano ad acuti stridenti alle riprese della marcia, i bat-
timani scrosciavano come una violenta grandinata sulle
tegole. Qua e là piccoli gruppi di avversarii o d' in-
differenti resitavano silenziosi, ma dall'alto sembrava
che tutta quella moltitudine -avesise una sola bocca per
urlare, due sole braccia per applaudire. « Uno dtie
due e mezzo — tre minuti » alcuni contavano, con
gli orologi in mano, e si vedeva gente con le lacrime
agli occhi, dalla comimozione ; molti perdevano la voce :
stanchi di sventolare i fazzoletti, se li legavano ai
colli rossi e sudati. «Basta basta....» diceva Con-
salvo, a bassa voce, con un senso di vera paura di-
nanzi a quel mare urlante, e Baldassarre, da lontano,
non potendo attraversare il muro vivente che lo .ser-
rava tutt' intorno, faceva segni disperati alla musica;
e finalmente i sonatori compresero, la musica fini, gli
applausi e le grida si spensero; ma, ad u^n tratto,
mentre il presidente dei Comitato si faceva alla ba-
laustrata presentando il candidato, squillarono le note
dell'inno garibaldino, un nuovo fremito corse per la
folla, il delirio ricominciò Ora Consalvo, vinta la
paura del primo istante, ringraziava piij francamente a
destra e a manca, e sorrideva, sicuro di sé, gonfio il
— 287 —
cuore di fiducia superba. La musica cessò nuovamente,
la folla si chetò, le bandiere appoggiate -alle colonne
del portico formarono una nuova decorazione: l'uf-
ficio di presidenza, i giornalis.i, gli stenografi presero
posto alle loro tavole e i segretarii tirarono fuori dalle
cartelle i loro fogli. Uno di essi sorse in piedi, e iin
mezzo a un silenzio solenne cominciò con voce stridula
la litania deìle adesioni. Ma la gente stancavasi, ^e
parole si perdevano in un sordo mormorio. In un
gruppo di studenti motteggiatori discutevasi anima-
tamente se il candidato avrebbe cominciato con l'ari-
stocratico Signori o il repubblicano Cittadini? Uno af-
ferniò : « Scommettiamo che dirà Signori cittadini? »
Ma gli entusiasti lanciavano sguardi severi agU scet-
tici, intim.iavano il isilenzio. Finalmente la litania fini.
Consalvo, con una mano sul velluto della balaustrata,
voltato di fianco, aspettava. Ad un cenno del presi-
dente, isi volse alla folla :
— Concittadini!... Se la benevolenza dei miei amici
vi ha indotto a credere che io possegg'a le doti del-
l' oratore, e vi ha qui adunati con la promessa che udrete
un vero e proprio discorso, io sono dolente di dovervi
disingannare... ^ — La voce nitida, fermia, sicura, giun-
geva da per tutto, debole ma chiara anche negli an-
goli più rem.,oti. — Io vi dichiaro, concittadini, che
non posso, che non so parlare ; tale è il tumulto di
impressioni, di aentim.enti, d'affetti che sconvolge in
questo mo'niento l'animo mio. (Gli istenografi notarono :
Benissimo!) Io sento che fino ai miei giorni più tardi
non si potrà più cancellare il ricordo di questo mo-
mento indescrivibile, di questa immensa corrente di
simpatia che mi circonda, che m'incoraggia, che mi
riscalda, che infiamma il mio cuore, che ritorna a voi
altrettanto viva e gagliarda e sincera quale viene dai
vx)stri cuori a me. [Applausi prolungati.) Ma questa
restituzione è troppo poca cosa e non vale a sdebi-
tarmi : tutta la mia vita dedicata al vostro servigio sarà
bastevole appena. (Applausi.) Concittadini!... Voi chic-
— 288 —
dete un programma a chi sollecita l'onore del vostri
suffragi ; il mio programma, in mancanza d'altri me-
riti, lavrà quello della brevità ; esso compendiasi in tre
sole parole: Libertà, progresso, democrazia.... (Batti-
mani fragorosi ed en'hisiastici). Un superstizioso con-
tento occupa r animo mio, nell' udir voi, liberi citta-
dini, coronare d'applausi non me, ma queste sacre
parole, qui, tra questi vecchi muri che furono un tempo
cittadella dell' ignavia, del privilegio, dell' oscuranti-
smo teologico {Scoppio unanime di approvazioni cla-
morose) qui, tra queste mura, già covo dell'ignoranza,
oggi vivido faro da cui radia la luce del vittorioso
pensiero! {Nuovo scoppio di frenetici hattim^ani, la
voce dcU'ora'iorc è soffocata per alcuni minuti.) Con-
cittadini, la nnia fede in questi grandi ideali umani
non è nuova, non data da questi giorni, in cui tutti
la sfoggiano, come i g-alanti vantano le grazie della
donna desiderata {lìaritii) protestando di non vo-
lerne i favori — {Nuova ilarità) ma di star paghi a
sospirarla da lungi (Risa generali.) La mia fede
data dall'alba della mia vita, quando i pregiudizii di
casta che io conobbi, ma che non mi duole di aver
conosciuti, perchè ora sono meglio in grado di com-
batterli— (Benissimo!) mi vollero chiuso qui, tra
questa muri. Permettetemi eh' io vi narri un aneddoto
di quei giorni lontani. Erano i tempi in cui Garibaldi
il Liberatore correva trionfalmente da un capo al-
l'altro del feudo borbonico per farne una libera pro-
vincia 'della libera patria italiana (Bravo! beìie!) Io
ero allora fanciullo, ed alla mia mente inesperta ed
ignara il nome di GaribaldS sonava come quello di
un .guerriero formidabile che -altre leggi non cono-
scesse fuorché le dure, le violente leggi di guerra.
Un giorno corse una voce ; Garibaldi era alle porte
della nostra città ; i Padri Benedettini si disponevano
ad ospitarlo — non potendo subissarlo coi suoi diavol'
rossi — (Si ride.) Ed io quasi temetti di guardare in
viso quel fulmine di guerra, come se col solo sguardo
— 289 —
dovesse incenerirmi. Ed un giorno i miei compa-
gni . m'additarono l'Eroe dei due mondi. Allora io
vidi quel biondo Arcangelo della libertà intento, sa-
pete voi a qual opera? A coltivare le rose del nostro
giardino! Da quel giorno, la rivelazione di quel cuore
vasto e generoso, dove la forza leonina s'accoppiava
alla gentilezza soave.... {Scroscio di applausi) di quel-
l'uomo che, conquistato un regno, doveva, come Cin-
cmnato, ridursi a coltivare il sacro scoglio, dove oggi
aleggia '1 magnanimo spirito di Lui, che fu a ragione
chiamato il Cavaliere dell'umanità — »
Gli stenografi smisero di scrivere, tale uragano d' ap-
plausi e di grida si scatenò. Urlavano : « Viva Franca-
lanza !... Viva Garibaldi !... Viva il nostro deputato !... »
e le parole del principe si perdevano nel clamore uni-
versale, vedevasi solamente la bocca che s'apriva e
chiudeva come masticando, il braccio che gestiva ro-
tondamente per finire l'aneddoto: la confusione tra
Menotti Garibaldi e il padre, la sostituzione di sé stesso
al morto cugino.... « Silenzio !.., Parla ancora !... Viva
Garibaldi!... Viva il principino!... » Tratto di tasca il
fazzoletto, egli lo sventolò gridando : « Viva Garibaldi !
\'iva r Eroe dei due inondi !... » Poi, aspettando il si-
lenzio, si terse la fronte imperlata di sudore.
— Concittadini, — riprese quando fu ristabilita la
calma, — io sono giovane d' anni, e la vita potrà ap-
prendermi molte cose e dimostrarmi la fallacia di molte
altre, e darmi quell'esperienza, quel senno maturo che
ancora forse non ho; ma quali che sieno le vicende e
le prove che l'avvenire mi serba, una cosa posso affer-
mare fin da questo momento, sicuro che per volger
d' anni o per mutar di fortuna non potrà venir meno :
la mia fede nella democrazia !... {Salva d' applausi entu-
siastici). Questa fede mi è cara com'è cara al capitano
la bandiera conquistata nella battaglia.... {Scoppio di
battimani). AH' alpigiano che passa tutti i suoi giorni
tra le cime dei monti, il grandioso spettacolo nulla dice,
o ben poco ; all' alpinista che è partito dalla pianura, che
De Roberto. 1 Viceré - II 19
— 2go —
ha conquistato a grado a grado 1' ardua vetta sublime,
il cuore s' allarga di gioia, si gonfia di giusta superbia
nel contemplare il meritato orizzonte {Ovazione generale
e prolungata). Cittadini ! Io non voglio turbare la solen-
nità di questa adunanza portando dinanzi a voi le pic-
cole gare in cui si affannano le anime piccole ; ma voi
sapete che un'accusa mi fu lanciata; voi sapete che
mi dissero.... aristocratico — Gli stenografi non sep-
pero se notare impressione o silenzio o movimenti di-
versi; ma già r oratore incalzava : — Quest' accusa è
fondata sui miei natali. Io non sono resiponsabile della
mia nascita — {Noi No!) né voi della vostra, né al-
cuno della propria, visto e considerato che quando
veniamo al moiido non ci chiedono il nostro parere
{Ilarità fragorosa). Io sono responslibile della mia vita ;
e la mia vita è stata tutta spesa in un' opera di reden-
zione : redenzione dai pregiudizii sociali e politici, re-
denzione morale e intellettuale; e nuUa è valso ad ar-
restar quest' opera : né le facili seduzioni, né le deri-
sioni ironiche, né i sospetti ingiuriosi ; né, più gravi al
mio cuore, le opposizioni incontrate nello stesso focolare
domestico — {Bene! bravo! applausi). Voi vedete che
io non posso più rinunziare a questa fede ; essa mi é
tanto più cara e preziosa, quanto più mi costa....
{Scoppio di battimani fragoroso e prolungato. Grida di
Viva Francalanza !... Viva la Democrazia!... Viva la
Libertà!... L'oratore è costretto a tìacere per qualche
minuto).
Il piacere, l'ammirazione erano in ogni animo : negli
amici che vedevano assicurato il trionfo, negli avver-
sarli che riconoscevano la sua abilità, nella stessa gente
minuta che non comprendeva, ma esclamava : « Ma che
avvocato ! Non ci sono avvocati capaci di parlare così »
e le signore, animatissime, godevano come allo spetta-
colo, scambiando osservazioni suH' arte e sulla persona
del principe quasi fosse un primo attore recitante la
sua parte.
— Ma voi, concittadini, — riprese egli, — giudi-
— 291 —
cherete forse che se questa fede compendia tutto un
progTamfma, è mestieri che un legislatore si tracci una
precisa linea di condotta in tutte le particolari quistioni
riflettenti T orrentamento politico, l'ordinamento delle
arruministrazioini pubbliche, il regime economico e via
dicendo. Permettetemi dunque di dirvi le mie idee in
proposito. Disciolte le antiche parti parlamentari, non
ancora si delineano le nuove, io auguro pertanto la for-
mtazione, e seguirò le sorti di quel partito che ci darà
la libertà con 1' ordine all' interno e la pace col rispetto
air estero (Benissimo, applausi), di quel partito che rea-
lizzerà tutte le riforme legittime conservando tutte le
tradizioni rispettabili [Bravo ! bene !) ; di quel part"to
che restringerà le spese folli e largheggerà nelle pro-
duttive {Vivissimi applausi), di quel partito che non
presumerà colmare le casse dello Stato, vuotando le
tasche dei singoli cittadini [Ilarità generale, applausi),
di quel partito che proteggerà la Chiesa in quanto po-
tere spirituale, e la infrenerà in quanto elemento di ci-
vili discordie [Approvaaioni) , di quel partito, insomma,
che asisicurerà nel m.odo piìi equo, per la via più diritta,
nel tempo fpiti breve, la prosperità, la grandezza, la
forza della gran patria comune [Applausi getìerali).
Veramente gli applausi non furono generali a questo
passo, e anzi qualche colpo di tosse partito da un
angolo fece voltare mdlte teste.
— Voi mi direte, — proseguiva però l'oratore, —
che questo ^programima è troppo vasto ed eclettico ;
perchè, secondo un proverbio, è impossibile avere ad un
tempo la botte piena e la moglie ubbriaca (Ilarità).
La botte piena, c^enza poterne spillare 1' inebbriante li-
quore, rappresenterebbe una ricchezza inutile, e tanto
varrebbe che contenesse acqua o un altro fluido qualun-
que ; ma quanto ad avere anche la moglie ubbriaca,
sarebbe in verità troppa grazia : mie ne appello a tutti
i mariti. (Scoppio d' ilarità clamorosa, battimani vivi e
replicati.) Bisogna attingere dalla botte quel tanto di
vino che basti a saziar la sete, a letificare io spirito-.
De Roberto. I Ttcef» - Il 19*
— 292 —
Dicono i Francesi : Si jeuneusse savaitl Si vieiUesse pou~
vait ! Questo che è impossibile nella vita d' un sol uomo»
non solo è possibile, ma necessario nella vita collett'va
dei popoli. Il legislatore deve possedere le audacie della
gioventù accoppiate ^1 senno della vecchiaia ; la legge
deve tener conto di tutti gli interessi, di tutte le cre-
denze, di tutte le aspirazioni per fonderle e armoniz-
zarle : essa è necessariamente regolata sull'esperienza
del passato, ma non deve né può tarpar 1' ali all' avve-
nire ! (Ovazione.) Pertanto, invidiabili e invidiate sono
le nostre istituz.'oni, che mediante un prudente equili-
brio tra i due rami del Parlamento e il potere esecutivo,
permettono che ci s' avvicini alla suprema conciliazione.
Ma, come tutte le cose umane, queste istituzioni non
sono perfette, bensì perfettibili, e a tal opera di continuo
miglioramento io dedicherò tutte le mie forze, scevro
come sono e di paure e di feticismi. Lo Statuto può e
deve essere migliorato. Questa necessità è intesa da
tutti : dal popolo che reclamia intera la sua sovranità,
al Re che riconosce la sua dal popolo. (Approvazioni.)
Per nostra fortuna, Popolo e Re sono oggi in Italia
tutt* uno (Applausi) e la monarchia democratica di Casa
Savoia spiega e legittima i sentimenti democraticamente
monarchici degli Italiani. (Benissimo !) Fin quando se-
deranno su] trono principi leali e re galamtuomini, il
dissidio sarà impossibile, la nostra fortuna sicura !
(Scroscio di applausi prolungati, grida di : Viva il Re!...
Viva r Italia !... La voce dell' oratore è coperta dai bat-
timani.) Ma poiché l'assetto creila sovranità popolare
e il benessere delle classi laboriose debbono essere scopo
precipuo dei legislatori, sarà impossibile raggiungerlo
se non verranno a sedere alla Camera i più legittimi, i
più diretti rappresentanti del popolo. Lasciatemi quind*
augurare che molti candidati operai riescano eletti.
Molti combattono le candidature operaie, forti del
motto inglese che ^uona : the righi man in the tight
place. Ma essi dimenticano che questa citazione è una
spada a due tagli, e che allorquando il Parlamento
— 293 —
dovesse occuparsi di quistioni operaie, the rigìit men
in the righi pìaces sarebbero appunto i cittadini ope-
rai {Bene ! Bravo .') Una volta un parrucchiere s' im-
pancò a critico, e il celebre Voltaire, seccato da tanta
presunzione, gli disse: «Mastro Andrea, fate piut-
tosto parrucche. » {Ilarità). Ma se si fosse trattato di
dover fare parrucche, e Voltaire avesse voluto dire la
sua, mastro Andrea avrebbe potuto rispondere al ce-
lebre poeta : « Signor Voltaire, fate tragedie piuttosto !
{Ilarità fragorosa, applausi prolungati). Concittadini,
la quistione sociale, bisogna riconoscerlo francamente,
preme in questo momento più che tutte le altre. È essa
nuova? No, certo. Facciamone un poco la storia —
— Ci siamo! Adesso stiamo freschi!... — mormo-
rarono qua e là gli avversari!, gli studenti ; ma voci
crucciate ingiunsero; «Silenzio!» mentre l'oratore,
prese le mosse da Adamo ed Eva e da Caino ad Abele,
galoppava per la Babilonia, l' Egitto, la Grecia e
Roma, saltava a pie' pari il medio-evo, piomibava nel-
r Ottantanove, si arrestava al principe di Bismarck ed
al socialismo della cattedra. L' attenzione del pubblico
cominciava a diminuire, tuttavia molti si sforzavano dì
seguirlo in quella corsa pazza. « Lo Stato dovrà dun-
que essere l' incarnazione della divina Provvidenza ?
(Ilarità.) y^ No, dove lo Stato non può arrivare, deve
supptlire r iniziativa Individuale; quindi Trade-unions,
probiviri, cooperative, libertà di sciopero. Era cosi
sciolta la quistione sociale ? « No, ci vuol altro ! »
Qualche signora sbadigliava dietro il ventaglio la
gente che desinava all' una se la svignava. Ma, final-
mente, dichiarato che i problemi sociali « sono nodi
gordiani che nessuna spada deve tagliare, ma che
l'amoroso studio e 1' industre pazienza possono scio-
gliere, » r oratore passava alla politica estera. « L' as-
setto dell' Europa, sarebbe vano celarlo, risente ancora
delle preoccupazioni della ,Santa Alleanza. » L' unità
germanica doveva soddisfare gì' Italiani, ma forse il
panslavismo era un fenomeno non scevro di pericoli*
— 294 —
(( Io credo che s' apponesse il principe di Metternich
quando diceva.... Non sfug-gi tuttavia all'acuto
so uardo del conte di Cavour.... È certo che il con-
celto del celebre Pitt.... » Sfilavano tutti gli uomini di
Stato passati e presenti, entravano in /ballo Machiavelli,
Gladstone, Campanella, Macaulay, Bacone da Verula-
mio; l'oratore chiedeva a sé stesso: « Qual è la m's-
sione storica dell'Inghilterra?... Però la Spagna, se
udisse la voce del sangue?... » Tutto questo, pel tra-
dimento di Tunisi ! « No, non è stata la Francia dì
Magenta e Solferino ; è stata la Francia di Brenno
e di Carlo \ III !... » L'uditorio isi scosse un poco;
gli stenografi annotarono : grandi applausi. Ma gli
antagonismi di razza si sarebbero un giorno composti;
allora, .sarebbero sorti gli Stati Uniti d' Europa. « Però,
come ottimamente disse Camillo Benso, » la pace an-
dava cercata nelle fide alleanze e nei forti battaglioni
(Beniss'im^o). « Ferve la lotta tra i sostenitori delle
grandi navi e delle piccole : io credo che le une e le
altre siano necessarie all'odierna guerra marittima.
Caio Duilio distrusse la flotta cartaginese mutando la
battaglia navale in terrestre. [Bravo ! applausi.) » Cosi,
« un igiorno non lontano, rivendicati i nostri naturaJi
confini (Applausi vivissimi), riunita in un sol fascio la
gènte che parla la lingua di Dante {Scoppio di ap-
plausi) stabilite le nostre colonie in Africa e forse
anche in Oceania [Benissimo !) noi ricostituiremo 1' Im-
pero romano ! [Ov'a:;ione).
Subito dopo passò alla quistione delle finanze.
— Quivi sospiri, pianti ed alt! guai — [Ilarità).
Ma i guai non erano senza riparo. « Non facciamo per
carità di patria confronti con gli Stati Uniti d' Ame-
rica.... )) Prima di .tutto occorreva riformare il sistema
tributario. «Paul Leroy Beaulieu dice Secondo l'o-
pinione dell'illustre Smith » Citazioni e cifre si ac-
cavallavano. Pochi lo seguivano ormai in quelle elu-
cubrazioni, altra gente andava via, le signore sbadi-
gliavano francamente. « Passiamo adesso ai trattati
— 295 —
di com,mercio. ... Consideriamo l'ufficio dei comizii
agrarii... » Ad ogni annunzio di nuovo argomento, pic-
coli gruppi di spettatori seccati se ne andavano : « Bel-
lissimo d'i'scorso, ma dura troppo — » Gli uscenti co-
string^evano la folla a tirarsi da canto, i fedeli ingiun-
gevano : u Silenzio ! » e Baldassarre non si dava pace,
vedendo 1' ineducazione del pubblico. « Amministra-
zione della giustizia Giustizia nell'amministrazio-
ne. Discentrare accentrarydo, accentrare discentran-
do.... » Quanto alla marina mercantile, il sistema
-dei premii non era scevro d' inconvenienti. Poi, « ri-
forma postale e telegrafica, Jegislazione dei telefoni ;
non bisogna neppure dimenticare l' idra della buro-
crazia.... »
Adesso si vedevano larghi vuoti nell' arena e nei
portici, specialmente nelle terrazze dove il sole arro-
stiva i cranii. « Ma questo non è un programma elet-
torale, è un discorso ministro !... » sogghignavano al-
cuni; l'uditorio era schiacciato dal peso di quell'eru-
dizione, di quelle nomenclature monotone ; la luce
troppo chiara, il silenzio del monastero ipnotizzava la
gente; il presidente del comizio abbassava lentamente
la testa, vinto dal isonno ; ma, ad uno scoppio di voce
del candidato, la rialzava rapidamente, guardando at-
tonito attorno; i musicanti sbadigliavano, morendo dì
fame, Baldassarre dava di tanto in tanto il segnale
degli applausi, incorava i fedeli anch'essi accasciati e
vinti; si disperava vedendo passare inosservate le bel-
Tissiime cose dette dall' oratore. Questi parlava da
un'ora e mezza, era tutto in sudore, la sua voce s'ar-
rochiva, il braccio desLro infranto dal continuo gestire
si rifiutava oramai al suo ufficio. Egli continuava tut-
tavia, deciso ad andare sino in fondo, nonostante la
stanchezza , propria e del pubblico, perchè si dicesse che
aveva parlato due ore difilato. A un tratto alcune
seggiole rovesciate dalla gente che .scappava fecero un
gran fracasso. Tutti si voltarono, temendo un mciden-
te spiacevole, una rissa; l'oratore fu costretto a ta-
29^
cere un momento. Riprendendo a parlare, la voce g^H
lisci rauca e fidca dalla strozza ; non ne poteva più,
ma era alla perorazione^
— Queste ed altre riforme io vagfheggio, non ciedo
tuttavia di dover abusare della vostra pazienza. —
Sospiri di sollievo uscirono dai petti oppresisi. — Con-
cittadini ! Se voi mi manderete alla Camera, io dedi-
cherò tutto (mie stesso all' attuazione di questo pro-
gramma. {Bene ! Bravo !). Io non presumo di essere
infallibile, perchè non sono né profeta né figlio di pro-
feta {Si ride) accoglierò pertanto con lieto animo, anzi
sollecito fin da ora i miei concittadini a suggerirmi
quelle idee, quelle proposte, quelle iniziative che cre-
dono giuste e feconde (Benissimo). Il nostro motto
sia: Fiat lux! {Applausi). Luce di scienza, di civiltà,
di progresso costante {Scoppio di applausi). Il pensiero
della patria stia in cima ai nostri cuori {Approvazioni).
La patria nostra é quest' Italia che 11 pensiero di Dante
divinò, e che i nostri padri ci diedero a costo di san-
gue {Vivissimi applausi). La nostra patria è anche
quest' isola benedetta dal sole, dov' ebbe culla il dolce
tstil noA'o e donde partirono le più gloriose iniziarive
{Nuovi applausi). La nostra patria è finalmente que-
sta cara e bella città dove noi tutti formiamo come
una sola famiglia {Acclamazioni). Dicesi che i depu-
tati rappresentino la Nazione e non i singoli collegi.
(Ma in che consistono gì' interessi nazionali se non
neMa somma degli interessi locali ? {Benissimo, ap-
plausi) Io, quindi, se *^ol,gerò la mente allo studio dei
g:randi problemi della politica generale, credo di po-
tervi promettere che avrò a cuore come i miei proprii
g-li affari più specialmente riguardanti la Sicilia, que-
sto collegio, la mia città natale e tutti i singoli miei
concittadini {Grande acclamazione). Grato a voi tutti
dell' indulgenza con la quale m' avete ascoltato, io fi-
nisco invitandovi a sciogliere un triplice evviva. Vìva
l'Iitalia ! {Scroscio d' applausi, grida di : Viva 1' Italia !)
Viva il Re ! {Generali e fragorosi hattimayii.) Viva la
— 297 —
iibertà ! {Tutto il pubblico in piedi applaude e acclama.
Si .sventolano i fazzoletti, si grida : Viva Francalanza !
Viva il nostro deputato ! Il presidente abbraccia V ora-
tore. Commozione generale, entusiasmo indescrivibile).
Consalvo non ne poteva più, sfiancato, rotto, esau-
sto da una fatica da istrione : parlava da due ore da
due ore faceva ridere il pubblico come un brillante, lo
-commoveva come im attor tragico, si sgolava come
un ciarlatano per vendere la sua pomata. E mentre la
anarcia reale, intonata per ordine di Baldassarre, spro-
nava l'entusiasmo del pubblico, nel gruppo degli stu-
denti canzonatori domandavano :
— Adesso che ha parlato, mi sapete ripetere che
ha detto?
.<
Negli ultijTii giorni, 1' ansietà di Consalvo divenne
febbre scottante. La riuscita non poteva mancare, ma
egli voleva essere il primo. Il suo comitato oramai era
tutta la città, tutto il collegio, elettori e non elettori.
I cartelloni con la scritta : Votate pel Principe di Fran-
calanza, Eleggete Consalvo Uzeda di Francalanza, E
candidato al primo Collegio il Principe Consalvo di
Francalanza crescevano di dimensioni, erano lenzuola
di carta con lettere d' una spanna : sembrava che gli
stessi muri gridassero il suo nome.... Il primo! il
primo! Egli voleva essere il primo!...
La sera della vigilia e' era al palazzo un vero pan-
demonio : tutti domandavano: «Il principe?... Dov'è
il principe?...» ma la gente di casa rispondeva che
egli era presso lo zio duca, il quale stava poco bene.
Nondimeno il lavoro progrediva alacremente, come se
egli ci fosse. Erano venuti i rappresentanti di Giar-
dona e Lisi, per concretare la lista degli uffici eletto-
rali; frattanto si preparavano a partire coloro cui toc-
cava andare a vigilare nelle sezioni rurali. A mezza-
notte arrivò il principe. L' adunanza si protrasse fino
alle due, quando partirono le prime carrozze per le
sezioni lontane.
— 298 —
E il domani, costituiti gli ufficii, coininciata la vota-
zione, insieme con la notizia della vittoria del principe
— perchè gli elettori dichiaratisi per lui erano migliaia»
venivano apposta dalle villeggiature, si facevano tra-
scinare alle urne sopra le seggiole se non potevano an-
dare coi loro piedi — una voce si sparse, dapprima
sorda, poi sempre più alta fra i seguaci di Lisi : « Tra-
aJmento ! tradimento!...» Il principe, affermavano, si
era messo d'accordo, nelJe ultime ore della sera in-
nanzi, con Vazza; alcuni precisavano : L'abbiamo visto
noi entrare in casa dell'avvocato, verso le undici — »
e sostenevano che li si fosse complottato il tradimento,
l'accordo coi clericali, l'abbandono di Lisi, fors'anche
quello di Giardona. «Come, quando? Che diavolo in-
fiinocchiiate ? II principe è stato in casa del duca, non
si è mosso di 11 !.... » rispondevano i suoi fautori nel
tripudio della vittoria già assicuraita.
Al palazzo, verso il tramonto, arrivarono i primi te-
legramimi delle sezioni di prov'incia ; ma quei risliltati
non erano tutti egualmenfte favorevoli : i candidati lo-
cali avevano forti maggioranze; il posto del principe,
nelle prime somme, oscillava fra il secondo ed il terzo.
Consalvo, pallidissimo, aveva la febbre. Ma, come ve
nivano i risultati delle sezioni urbane, la sua posi-
zione si consolidava ; del terzo posto non si parlava più ;
egli stava con Vazza tra il primo e il secondo. Quando
arrivarono gli ultimi telegrammi e gli ultimi messi con
le cifre definitive, non vi fu più dubbio : egli era il
primo con 6043 voti; veniva dopo Vazza con 5989;
poi Qiardona con 4914; il radicale Marcenò restava
fuori con 3309; Lisi precipitava con meno di 3000 voti;
gli altri erano tu'tti a distanza di migliaia di voti, con
2000, con 1000 appena. Giulente non ne aveva più
di 700 !
Era notte alta, ma il palazzo Francalanza, illumi-
nato a giorno, risplendeva da tutte le finestre. Una
folla «(terminata traeva a coingratularsi « cOl primo
eletto del popolo » ; per le scale era un brusio ince**
— 299 —
sante; nelle sale non si respirava. Consajvo, raggiante,
circolava a st&nto in mezzo alla folla comipatta, affer-
rava tutte ìe mani, .si s'trilhgeva addosso a tutte le
persone, guarito interamente, come per incanto, dalla
mania dell' isolamento e dei contagi, nella pazza gioia
del magnifico triomfo. E quando una grande fiacco-
lata, un' imniensa dimostrazione con imusiche e ban-
diere, venne ad acclamarlo freneticamente, egli sì fece
al balcone, arriìngò la folla, si diede novamente in
pascolo alla sua curiosità, come un tribuno.
Per tre giorni la città fu in un continuo fermento :
ogni sera la dimostrazione si rinnovava, V entusiasmo
invece di raffreddarsi cresceva. Fra il basso popolo,
una canzonettia, sull'aria del Mastro Raffaele, furo-
reggiava :
Evviva il iprincipino
Che paga a tutti il vino;
Evviva Fraoalanza
Che a tutti empie la panza.
Gruppi di ubbriachi gridavano : « Viva ^''ittorio Ema-
nuele ! Viva la rivoluzione! Viva Sua Santità!...»
cose ancora più pazze. Per tre gionni il palazzo restò
ancora invaso dalla gente che veniva a congratularsi :
una prccessicine incessante dalle dieci del mattino a
mezzanotte, con appena due ore di sosta per la cola-
zione ed il pranzo. Modestamente, egli tentava par-
lare dei risultati generali, d'eir« ottimo esperimento »
che aveva fatto la nuova legge, del senno di cui ave-
vano dato prova gii ' Italiani; ma non lo lasciavano
dire, .gli parlavano soltanto di lui, della «sua clamo-
rosa, meritata vittoria.
Il quarto giorno usci nelle vie. Si spezzò il braccio,
dalle tante .scaippellate, dalle tante strette di m'ano. La
gio)ia gli si leggeva in viso, traspariva da tutti i suoi
atti e da tutte le sue parole, nonostante lo studio per
contenerla. Stanco di veder gente, per assaporare altri-
menti il proprio trionfo pensò dì far viteita ai parenti.
— 300 —
Cominciò dal duca, che veramente stava male, con gli
ottanta anni di maneggi e d'intrighi sulle spalle.
— È contenta Vostra Eocellenza dei risultati ? —
gli domandò Consalvo.
Ma il vecchio, quantunque aveisise raccomandato a
tutti il nipote perchè il potere restaase in famiglia,
pure non sapeva difendersi da un senso d' invidia ge-
losa pel nuovo astro che sorgeva, mentre egli non solo
era tramontato politicamente, ma (sentiva di aver poco
eia vivere.
— Ho sentito.... va bene.... — borbottò seccamente.
— Ha vilsto pure che nel resto d' Italia tutto è an-
dato benissimo ? Pareva dovesse cascare il mondo, e
'} radicali sono appena qualche dozzina. Anche la De-
stra ha guadagnato....
Egtll piaggiava un pcKo lo zio, del quale aspettava
adesso V eredità. A Roma avrebbe avuto biisogno di
denari, di jnolti denari ; quanto più ricco sarebbe stato,
tanto più presto avrebbe conquistato il suo posto alla
cajpitale. E la specie di freddezza che gli dimostrava
il duca non lo inquietava : a chi avrebbe dovuto la-
sciare la sua sostanza, .se non all' erede del nome degli
Uzeda ? Ai figli di Teresa, forse ?
'Lasciata la casa dello zio, egli andò dalla sorella.
Se doveva esser grato a costei per la generosità con
la quale s' era visto trattato al tempo della morte del
padre, non le ave^-a tuttavia perdonato il rifiuto di
aiutarlo durante la lotta : voleva ora farle vedere che
anche da solo aveva saputo trionfare. Ma Teresa non
c'era. Il portinaio gli disse che la duchessa nuora era
uscita con la carrozza di campagna, insieme con Mon-
signor A'icario. Egli sali tuttavia, e trovò la vecchia
duchessa con Padre Gentile.
— Teresa è andata a Belpa'sso a visitare la Serva
di Dio — sai bene, quella contadlnella dei miracoli..,.
Monsignor Vescovo n,on ha permesso a nessuno que-
sto genere di visite; ha fatto un'eccezione solo per
tua sorella
— 30I —
— La isantità della duchessa — disse compunta-
ir.ente il Padre gesuita ■ — • spiega e legittima questa
accezione.
Consalvo credè di dover chinare un poco il capo, in
atto di ringraziamento^ come per una cortesia detta
a lui stesso.
— E quando tornerà ?
— Stasera, certo.
— Monsignore, — continuava a spiegare il Padre,
— ha provvidamente impedito che questo spettacolo
alimentasse la malsana curioìsità della folla; ma i sen-
timenti cri(stia:ni che animano la .giovane signora e la
distinguono fra tutte....
La 'conversazione, sempre sullo stesso soggetto, con-
tinuava fra il g;^esuita e la duchessa. Consalvo, visto
sul tavolino da lavoro accanto al quale era seduto un
foglietto stampato, lo «scorreva con la coda dell' oc-
chio : « Formule du serment. En prósenice de la Tròs-
ce Sainte Trinité, de la Sainte Vierge Marie et de tous
« les Saints qui sont nés ou qui ont véfcoi sur le sol
«de au nom des pays de ici rerprésentés, et àe-
« vant notre vènere pasteur pére et chef spirituel, moi,
<t délégué a cet effet, je déclare formée la province
« chrétienne du som s le patronage special de Saint —
« Au nom de cette nouvelle province je reconnais libre-
« ment et solennellement le Christ Jesus, fìls de Dieu
K vivant, vrai Dieu et vrai homme, dans l'hostie
« sainte exposée sur cet autel, comme notre Seigneur
«et maitre et comme le Chef suprème du.... Au pied
« d'U Chriist Jesus nous jetons nos biens, no<s familles,
« nos personnes, notre vie, notre honneur, en un mot
« tout ce qui tient le plus au coeur de 1' homme.... »
Contenendo a fatica il sorriso, Consalvo sorse in piedi.
— Non sai che Ferdinanda sfa male ? — gli disse
la duchessa.
— Che ha ?
— Un'infreddatura. Ma alla sua età tutto può es-
ser grave.... Perchè non vai a trovarla?
— 30-' —
Egli ascoltò il consiglio. Anche da quella parte po-
teva venirgli qualcosa, un mezzo milioncino. Se
fosse Sitatb piij accorto, avrebbe preso con ]e buone
la vecchia, senza rinunziare, beninteso, a nessuna delle
proprie ambizioni. L'ostinazione, la durezza di cui
aveva dato prova anche con lei erano sciocche, degne
d'un Uzeda stravagante, non dell'onorevole di Fran-
icalanza, dell' uomo nuovo che egli voleva essere. E
arrivando in casa della vecchia, in quella ciasa dov' er,?
"venuto tante volte bambino, a veder gli stemmi, a udire
le storie dei Viceré, ad abbeverarsi d'albagia aristo-
cratica, un muto sorriso gii 'spuntò isulle labbra. Se gli.
elettori avessero saputo ?
— Come sta la zàa? — domandò alla cameriera,
una faccia nuova.
— Cosi così — rispose la donna, guardando cu-
ricnsamtente quel signore sconosciuto.
— D'itele che il principe suo nipote vorrebbe vedeila.
La \iecohia era capace di non riceverlo; egli aspet-
tava la risposta con una certa ansietà. Donna Ferd'-
niando, udendo che o' era di là Consalvo, rispose alla
cameriera, con voce arrochita dal raffreddore : « La-
scialo entrare. » Ella aveva saputo gli ultimi vituiperi'
commesisii dal nipote, la parlata in pubblico come un
cavadenti, i principii di casta sconfessati, l'inno alla
libertà e alla democrazia, il palazzo Francalanza invaso
dalla folla dei mascalzoni, Baldassarre ammesso al^a
tavola del principe che prima aveva iservito : Lucrezia
le aveva narrato ogni cosa, per vendicarsi, per rovi-
nare Consalvo, per portargli via l'eredità. E donna
Ferdinanda aveva sentito rimescolarsi il vecchio san-
gue degli Uzeda, dallo (sdegno, dall'ira; ma adesco
era lamimaliata, l' egoismo della vecchiaia e dell' in-
fermità temperava i suoi bollori. E Consalvo veniva
a trovarla; dunque s'umiliava, le dava questa soddi-
sfazione negatale per tanto tempo. Poi, nonostante le
apostasie e i vituperii, egli cria tuttavia il principe di
Francalanza, di capo della casa, il suo protetto d' una
volta — «Lascialo entrare »
— 303 —
Egli le andò incontro /premuroofamente, isi chinò sul
lettu'ocio di ferro, quello di tant'anni addietro, e do-
mandò :
— Zia, come sta?
Ella fece isolo un gesto ambiguo col capo.
— . Ha febbre? Mi lasci sentire il ipolso. ... No, sol-
tanto un po' di calore. Che cosa ha preso ? Ha chia-
miato un dottore?
— I dottori sono altrett^anti aisini, — g-li rispose bre-
vemente, voltandosi con la faccia contro il muro.
— \'otstra Eccellenza ha ragione.... sanno ben
poco ma qualcosa più di noi sanno pure — Perchè
non curarsi in principio?
La A'^ecchia rispose con uno scoppio di tos'se ca\€r-
nosa che fini con uno scaraoch'io giallastro.
— Ha la tasse e non prende null'a ! Le porterò io
certe pastiglie che sono davvero miracolose. Mi pro-
miette di prenderle ?
Donna Ferdinanda fece il solito cenno col capo.
— Io non sapevo nulla, altrimenti sarei venuto
prima. M'hanno detto ohe \'ostra Eccellenza stava
poco bene a momenti, in casa Radali — Sa che m,ia
sorella è andata oggi a vedere la Serva di Dio, quella
di cui 'si niarrano tante cose ? È andata col Vicario,
lei isolamente ha av^uto il permesso. Pare che sia un
favore insigne — A'ostra Eccellenza crede a tutto ciò
che si narra ?
Non ebbe risposta. Pure continuò a parlare, com-
iprendendo che alla vecchia dovev^a far piacere ud'r
chiacchier'e e notizie, vedersi qu'alcuno vicino.
— Io, col rispetto dovuto, non ne credo niente. È
forse peccato ? Lo stesso San Tomim^aiso volle vedere e
toccare, prima di credere.... ed era santo!... Ma fran-
camente, certe storie!... Teresa adesso è infatuata
Basta, ciascuno ha da vedersela con la propria co-
scienza.... E la zia Lucrezia che l'ha con me? Che
cosa voleva che io facessi ?... Mi va. sparlando per ogni
dove, quasi fossi l'ultimo degli uomini....
— 304 —
La vecchia non fiatava, gli voltava le spalle.
— Tutto pel grande amore del marito improvvisa-
mente divampatole in petto!.... Prima dichiarava ridi-
coli gli atteggiamenti di Giulente, — non lo chiamava
zio sapendo di farle piacere, — adesso sono tutti infami
coloro che non l'hanno sostenuto!
Un nuovo scc^ppio di tosse fece sofìSare la vecchia
come un mantice. Quando oalmosisi, ella disse con
voce affannata, ma con accento di tamaro disprezzo :
— ■ Tempi obbrobriosi!... Razza degenere!
La botta era diretta anche a lui. Conjialvo tacque
un poco, a capo chino, ma con un sorriso di beffa sulle
labbra, poiché la vecchia non poteva vederlo. Poi, fio-
camente, con tono d'umiltà, riprtese :
— Forse Vostra Eccellenza l'ha anche con me....
Se ho fatto qualcosa che le è dispiaciuta, gliene
chiedo perdono Ma la mia coscienza non mi rim-
provera nulla — Vostra_Eccellenza non può dolersi che
uno del suo nome sia di nuovo tra i primidel p^ese^^^..
j^orse Je_duole_n_mezzQ col_C[uale questo risultato &l_è.
raggimvto.j_:^^_Creiiauch£ .duole a me prima che _a_lei^. . .
Ma noi non sceg'liamo il tempo nel quale veniamo al
mondo: lo troviamo com'è, e com'è dobbiamo accet-
tarlo._ Del resto, se è vero che oggi non si sta molto
bene, forse che prima si stava d' incanto ?
Non una sillaba di risposta.
— Vostra Eccellenza giudica obbrobrio&ia 1' età no-
stra, né io le dirò che tutto vadia per il meglio; ma
é certo che il passato par molte volte bello solo perchè
è fpassato — L'importante è non lasciarsi sopraffare....
Io mi rammento che nel Sessantuno, quando lo zio
duca fu eletto la prima volta deputato, mio padre mi
disse : « Vedi ? Quando e' erano i Viceré, gli Uzeda
erano Viceré ; ora che abbiamo i deputati, lo zio siede
in Parlamento ». Vostra Eccellenza sa che io non andai
molto d'accordo con la felice memoria; ma egli disse
allora una cosa che m'é parsa e mi pare molto giusta
Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva
dai Re; ora viene dal popolo.... La differenza è più dì
nome che di fatto Certo, dipendere dana_jDanaglia
non è piacevole; ma _ neppure molti di quei sovrani
erano stinchi di santo. E un uomo solo che tiene nelle
proprie .mani le redini del mondo e si considera inve-
stito d'un potere divino e d'ogni suo capriccio fa
leg-g-e, è più difficile da guadagrere e da serbar pro-
pizio che non il gregge umano, numeroso ma per na-
tura servile E poi, e poi il m.utamento è più appa-
rente che real'e. Anche i Viceré d' un tempo dovevano
propiziarsi la folla ; se no, erano ambasciatori che an-
davano a reclamare a Madrid, che ne ottenevano dalla
Corte il richiamo o anche la testa!... Le avranno
forse detto che un'elezione adesso costa quattrini;
ma si rammenti quel che dice il Mugnòs del Viceré Lo-
pez Ximenes, che dovette offrire trentamila scudi al re
Ferdinando per restare al proprio posto e ci rimise
i quattrini ! In verità, aveva ragione Salomone quando
diceva che non e' è niente di nuovo sotto il sole !
Tutti si lagnano della corruzione presente e negano fi-
ducia al sistema elettorale perché i voti si comprano.
Ma sa Vostra Eccellenza che cosa narra Svetonio, ce-
lebre scrittore dell' antichità ? Narra che Augusto, nei
giorni dei comizii, distribuiva mille isesterzii a testa
alle tribù di cui faceva parte, perché non prendessero
nulla dai candidati !...
Egli diceva queste cose anche per sé stesso, per af-
fermarsi nella giustezza delle proprie vedute; ma, po'-
chè la vecchia non si muoveva, pensò che forse s' era
assopita e che egli parlava al muro. S' alzò, quindi,
per vedere : donna Ferdinanda aveva gli occhi spalan-
cati. Egli continuò, passeggiando per la camera :
— La storia é una monotona ripetizione ; gli uom'ni
sorto stati, sono e saranno isenipre gli stessi. Lecon-
dizioni esteriori mutano; certo, tra la Sicilia di primja
del Sessanta, ancora qua^i feudale, e questa d'oggi
pare ci sia un abisso ; ma la differenza è tutta este-
riore. Il primo eletto col suffragio quasi universale,
— 3o6 —
non è ne un popolano, né un borghese, né un demo-
cratico : sono io, perchè mi chiamo principe di Fran-
calanza. II prestigio della nobiltà non é e non può
essere spento. Ora che tutti parlano di democraz'a,
sa qual è il libro piia cercato alla biblioteca dell' Uni-
versità, dove io mi reco qualche volta per i miei studii?
L'Araldo Sicolo dello zio don Eugenio, felice memoria.
Dal tanto maneggiarlo, ne hanno sciupato tre volte
la legatura! E consideri un poco : prima, ,ad esser
nobile, uno godeva grandi prerogative, privilegi, im-
munità, esenzioni di molta imiportanza. Adesso, se
tutto ciò è finito, se la nobiltà é una cosa pura-
mente ideale e nondimeno tutti la cercano, non vuol
forse dire che il suo valore e il suo prestigio sono
cresciuti?... In politica, Vostra EcceHen2ia ha serbato
fede ai Borboni, e questo suo sentimento è certo
rispettabilissimo, considerandoli come i sovrani le-
gittimi Ma la legittimità loro da ch'e dipende? Dal
fatto che sono stati sul trono per più di cento anni
Di qui a ottarit'anni, \'ostra Eiocellenza riconosce-
rebbe dunque come legittimi anche i Savoia.... Certo,
la monarchia assoluta tutelava m'eglio gì' interessi della
nostra qasta; ma una forza superiore, una corrente
irresistibile l'ha travolta Dobbiamo farci mettere
il piede sul collo anche noi? Il nostro dovere, in-
vece di 'iprpz7are le nuovte leggi, mi pare quello di
servirceneL..
Travòlto dalla fo;gia oratoria, nel tripudio del re-
cente trionfo, col bisogno di giustificarsi agli occhi
proprii, di rimettersi nelle buone grazie della vecchia,
egli improvviisava un altro discorso, il vero, la con-
futazione di quello tenuto dinanzi alla canaglia, e la
vecchia stava ad (ascoltarlo, senza più tossire, soggio-
gata dall'eloquenza del nipote, divertita e quasi cul-
lata da quella recitazione enfatica e teataalc.
— Si rammenta Vostra Eccellenza le letture del
Mugnòs?... — continuava Consalvo. — Orbene, ima-
giniamo che quello storico .sia ancora in vita e voglia
- 307 —
mettere a giorno il suo Teatro genologico al capi-
tolo : Della famiglia Uzeda. Che cosa direbbe? Di-
lebbe press 'a poco : « Don Gafpare Vzeda ■ — egli
Dronunziò / la is e i; la it — fu promosso ai maggiori
carichi, in quel travolgimento del nostro Regno che
ipasisò dal re don Francesco II di Borbone al re don
\ ittorio Emanuele II di Savoia. Fu egli deputato
al -\ azionai Parlamento di Torino, Fiorenza e Roma,
( t ultimamente dal re don Umberto bave stato subli-
mato con singoiar dispaccio al carico di Senatore.
Don Consalvo de Uzeda, VIII prencipe di Franca-
lanza, tenne poter di Sindaco della sua città nativa,
indi Deputato al Parlamento di Roma et in prosie-
guo.... » — Tacque un poco, chiudendo gli occhi:
si. vedeva già lal banco dei miinistri, a Montecitorio;
poi riprese: — Questo direbbe il Mugnòs redivivo;
questo diranno con altre parole i futuri storici della
nostra casa. Gli antichi Uzeda erano commendatori
di San Giacomo, ora hanno la commenda della Co-
rona d' Italia. È una cosa diversa, ma non per colpa
loro! E Vostna Eccellenza li giudica degeneri! Scusi,
perchè?
La vècchia non rispose.
— Fisicamente, si ; il nostro sangue è impoverito ;
eppure ciò non 'mpedisce a molti dei noistri di arri-
vare sani e vegeti all' invidiabile età di Vostra Eccel-
lenza!... Al morale, essi sono spesso cocciuti, strava-
ganti, bislacchi, talvolta.... — voleva aggiungere
«pazzi.... )) ma passò oltre. — Non stanno in piace
tra loro, si dilaniano continuamente. Ma Vostra Eccel-
lenza pensi al passato! Si rammenti di quel Blasco
Uzeda, « cognominato nella lingua siciliana Sciarra,
che nel tosco idioma Uissa diremmo»; si rammenti
di quell'altro Artale Uzeda, cognominato Sconza, cioè
Guasta!... Io e mio padre non siamo andati d'accordo,
ed egli mi diseredò; ma il viceré Ximenes imprigionò
suo figlio, lo fece condannare a morte Vostna Ec-
cellenza vede che sotto qualche aspetto è bene che i
— 3o8 —
tempi siano mutati!... E rammenti la fellonia dei figli
di Arlale ili; rammenti tutte le liti tra parenti, pei
beni confiscati, per le doti delle femimine.... Con que-
sto, non intendo giustificare ciò che accade ora. Noi
isiamo troppo volubili e troppo cocciuti ad un tempo.
Guardiamo la zia Chiara, prima capace di morire piut-
tosto che di sposare '1 marchese, poi un'anima in due
corpi con lui, poi in guerra ad oltranza. Guardiamo
la zia Lucrezia che, viceversa, fece pazzie iper sposare
Giùlente, poi lo disprezzò come un servo, e adesso è
tutta una coisa con lui, fino al punto di far la guerra
a me e da spingerlo al ridicolo del fiasco elettorale!
Guardiamo, in un altro senso, la stessa Teresa. Per
obbedienzia filiale, per farsi dar della santa, sposò chi
non amava, affrettò la pazzia ed il suicidio del po-
vero Giovannino ; e adesso va ad inginocchiarsi tutti
i giorni nella cappella della Beata Ximefta, dove arde
la lampada acceca per la salute del povero cugino!
E la Beata Ximena che cosa fu, se non una divina
cocciuta ? lo' stesso, il giorno che mi proposi di mutar
vita, non vissi se non per prepararmi alla nuova. Ma
la storia della nostra famiglia è piena di simili con-
versioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel
male — Io farei veramente divertire Vostra Eccel-
lenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con
lo stile degli antichi autori : Vostra Eccellenza rico-
n£)iscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto.
No, la nostra razza non è degenerata : è sempre la
stessa. »
FINE.
ROMANZI ITALIANI
EDIZIONI TREVES.
I voluvìi segnati con * sono in corso di ristampa.
Adolfo Albertaxzl.
Ora e sempre . . , L. 2 —
Novelle umoristiche . .2 —
In faccia al destino . .5 —
11 zucchetto rosso. . .5 —
Il diavolo nell'ampolla . 3 —
Sibilla Aleramo.
Il passaggio 5 —
Una donna 5 —
Riccardo Alt.
0 uccidere, o morire. . 2 —
Ciro Alvi.
Gloria di re 2 —
Guglielmo Anastasl.
Eldorado 2 —
La rivale 2 —
La vittoria; La sconfitta. 2 —
Diego Angeli.
L'orda d'oro ó —
Centocelle ó —
Il crepuscolo degli Dei . 5 —
Il Confessionale . . .4 —
Luigi Archintl.
Il lascito del Comunardo. 2 —
Massimo d' Azeglio.
Niccolò De Lapi. 2 voi. . 4 —
Ettore Fieramosca . .2 —
À. 6. Barrili.
Capitan Dodèro . . .2 —
Santa Cecilia . . . .2 —
*I1 libro nero . . . .8 —
1 Rossi e i Neri. 2 voi. 4 —
Confess. di FraGualberto. 2 —
Val d'Olivi 2 —
Semiramide 2 —
Notte del commendatore. 2 —
Castel Gavone . . . .2 —
Come un sogno . . ,2 —
Cuor di ferro e Cuor d'oro.
2 volumi 4 ^
Tizio Caio Sempronio . 2 —
L'Olmo e l'Edera . . . 2 —
A. G. Barrili.
Diana degli Embriaci L
il merlo bianco . .
— Ediz. in-8 illustr.
La donna di picche ,
Conquista d'Alessandro
Il tesoro di Golconda .
L'XI comandamento.
11 ritratto del diavolo
11 Biancospino . . .
L'anello di Salomone.
0 tutto 0 nulla . .
Amori alla macchia .
Monsù Tome . . .
Fior di mughetto. .
Dalla rupe ....
Il Conte Rosso. . .
Lettore della Princi pessa
— Ediz. in-8, illustr.
Casa Poli dori . . .
La ]\Iontanara. 2 voi.
— Ediz. in-8, illustrata,
Uomini e bestie . .
Arrigo il Savio. . .
La spada di fuoco .
Un giudizio di Dio .
Il Dantino _. . . .
La signora Àutari .
La sirena
Scudi e corone. . .
Amori antichi . . .
Rosa di Gerico. . .
La bella Oraziana. .
— Ediz. in-8, illustr.
Le due Beatrici . .
Terra Vergine . . ,
1 figli del cielo . .
La castellana . . .
Il prato maledetto .
Galatea
Il diamante nero . .
Raggio di Dio . . ,
Il ponte del Paradiso
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2
2 ,
2
2
3 —
2
y
Milano — Fratelli TREVES, Editori — Milano
A. G. Barrili.
Fior d'oro . . . . L. 2 —
Tra cielo e terra . . .2 —
Re di cuori 2 —
La figlia del re . . .2 —
T suoi tre capolavori: Capitan
Dodèro. - Santa Cecilia. - 11
libro nero 3 5'
Carlo Emanuele Basile.
La Vittoria senz'ali . .5 —
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I racconti d' un fantaccino.
In-8, con 64 illustr. . 5 —
Lo spettro rosso . . .5 —
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I Seminatori . . . .5 —
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I racconti del bivacco . 5 —
Antonio Beltramelll.
Anna Perenna . . . . ó —
I primogeniti . . . . 5 —
II cantico 5 —
L'alterna vicenda . , .5 —
Gli uomini rossi . . .2 —
Le Novelle della Guerra, 'i —
La vigna vendemmiata . .3 —
Silvio Benco.
La fiamma fredda. , .2 —
Il castello dei desideri . 2 —
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Racconti romantici . .2 —
Serenada, race, sardo . 2 —
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Spunti d'anime . . .3 —
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Aristocrazia. 2 voi. . .4 —
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La nipote di don Gregorio. 2 —
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L'irredenta . , , , . 2 —
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Le aquile 5 —
La Gironda 5 —
L'Isola sonante. . . ,5 —
I sentieri della vita . . .5 —
II labirinto 5 —
La coda del Diavolo . .5 —
La bottega degli scandali ó —
Mit'i 6 —
Secondo il cuor mio . .5 —
L'amore beffardo . . .5 —
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L'Incantesimo . . . .5 —
L'Automa 2 —
Antonio Cacclanlga.
Bacio della cont. Savina. 2 —
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Villa Ortensia . . . .2 —
Il Roccolo di Sant'Alipio. 2 —
Sotto i ligustri. . . .2 —
Il Convento . . . . .2 —
Il dolce far niente . .2 —
La famiglia Bonifazio . 2 —
Rafiaeis Calzini.
La vedova scaltra . .3 —
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Papa Sisto. 4 voi. . . .8 —
Racconti . . . . . . 2 50
Re Manfredi. 3 voi. . .6 —
Giovanni Bande Nere. 2 v. 4 —
*Fra Paolo Sarpi. 2 voi. . 4 —
*La congiura di Brescia 2 vo-
lumi 4 —
Giulio Caprln.
Gli animali alla guerra. 4 —
Luigi Capuana.
March, di Roccaverdina. 5 —
Rassegnazione . . . .5 —
Passa l'amore . . . .5 —
La voluttà di creare. . 5 —
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Due convinzioni . . .5 —
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Bulico Castelnuovo.
I Mon calvo . . . . L. 6 —
L'on. Paolo Leoiifovte . 3 —
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Il taccuino perduto . .5 —
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Giovanni ChigglatO.
Il figlio Vostro. . . . 5 —
DomeDico Clàmpoll.
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G. p. Oleriol.
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lo XIX. 2 V. con illustr. 4 —
Luigia Codèmo.
La rivoluzione in casa . 3 —
Cordella.
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Vita intima 2 —
Racconti di Natale, ili. 4 —
Casa altrui 2 —
Catene 2 —
Per la gloria . . . .5 —
Il mio delitto . . . . 8 —
Per vendetta . . . .2 —
Verso il mistero . , .5 —
L'incomprensibile ... .2 —
Le donne che lavorano . 4 —
Enrico Corradlnl.
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La guerra lontana . .5 —
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La forbice di legno . .2 —
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n Re, le Torri, gli Alfieri 5 —
Danieli e Manfro.
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Gabriele D' Annunzio.
Il Piacere . . ... . fi 50
L'innocente «50
Gabriele D'AnnunzlO.
Trionfo deUa Morte . L. 7 —
Il Fuoco 7 —
Le Vergini delle Rocce. 7 —
Le novelle della Pescara. 5 —
Forse che si forse che no. 6 60
La Leda senza cigno. 3 v. 14 —
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Mercede 2 —
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La vita militare . . .5 —
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Alle porte d'Italia . .5 —
Romanzo d'unmaestro.2v. 4 —
Fra scuola e casa. . .5 —
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Memorie 5 —
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Nel Regno del Cervino . 5 —
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Nel Regno dell'Amore . 6 50
Nuovi racconti e bozzetti. 5 —
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Ricordi infanzia e scuola. 5 —
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Il vecchio della montagna 5 —
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Colombi e sparvieri . .5 —
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Canne al vento. . . .5 —
Le colpe altrui. . . .5 —
Nostalgie 5 — '
Il fanciullo nascosto . .5 —
Marianna Sirca . . .5 —
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Redivivo 2 —
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l'amore 2 —
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La messa di nozze; Un sogno;
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Tra gli Arabi . . . . 2 —
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Storie dell'amore sacro e del-
l'amore profano. . .5 —
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Specchi dell'enigma . .6 —
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Adolfo de Giillmbertl.
Ilsacrificiod'un'anima . 2 —
Il mistero di Valbrnna. 2 - '
Guido Gozzano.
L'altare del passato . L. 3 -
L'ultima traccia . . . ó -
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Macchiette e novelle. . 2
Destino 2
Silvano 2
La nube 2
Per punto d'onore . . 4 -
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Della vita di un Pierrot 4-
Luigi Gualdo.
Decadenza 2
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ronica Cybo. 2 voi. . 4 -
L'assedio di Firenze. 2 v. 4 -
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I Volti dell'Amore . . 5 -
Anime allo specchio. . 5 —
Le ore inutili . . . .3 —
Andrea GustaroUi.
Le mie peccatrici. . . 5 —
Rosalia Gwis-Adaml. .
La Vergine ardente . . 5 —
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Faustina Bon, romanzo tea-
trale fantastico. . .5 —
Jarro.
L'assassinio nel vicolo della
Luna 2 —
II processo Bartelloni . 2 —
Apparenze. 2 voi. . . .4 —
La duchessa di Naia. . 2 —
Mime e ballerine . . . 2 —
La moglie del Magistrato 3 —
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*Chi dura vince. . . . 4 —
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Il filo d'Arianna . . . 2 —
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La vita è buona . . .6 —
Cesarina Lupati.
La Leggenda della spada. 2 —
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Il tradimento del Capitano.
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Giuseppe Mantlca4
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Le spie. 2 voi 6 50
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Luigi Materi.
Adolescenti 2 —
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La piccola ni. Ha Cristina. 5 —
La città del giglio . . 6 50
Meroedes.
Marcello d'Agli ano . .2 —
Maria Messina.
Le briciole d.-l destino. 3 —
Guido Milanesi.
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Ombre, uomini e animali 5 —
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I pesci fuor d'acqua . .5 —
II sole del sabato . . .5 —
La bandiera alla finestra. 5 —
Guenda 5 —
Conoscere il mondo . .3 —
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Storie da ridere.... e da pian-
gere 3 —
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Dominatore della Malesi a. 6 50
— Edizione economica . 4 —
L'onda turbinosa . . . 5 —
— Edizione economica . 3 —
L'occidente d'oro . . . 6 50
— Edizione economica . 4 —
La principessa delle rose. 5 —
— Edizione economica . 3 —
Il tunnel sottomarino . H 50
Fiamme sul Bosforo . . 6 —
— Edizione economica . 3 -
Il Vascello aereo . . . 5 -
— Edizione economica . 3 —
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L'Indomani. In-8, illus. . 3 —
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La vecchia casa . . .4 —
Duello d'anime. . . .5 —
La sottana del diavolo . 5 —
Rogo d'amore . . . .5 —
Crepuscoli di libertà. . 5 —
Ada Negri.
Le Solitarie 6 50
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Il romanzo di Scampolo . 5 —
Ippolito NieTO.
Le confessioni di un ottua-
genario. 3 voi. . . .6 —
Angelo di bontà . . .2 —
A. s. Novaro.
L'Angelo risvegliato , .4 —
Ugo OJetti.
Donne, uomini eburattini 5 —
L'Amore e suo figlio. . 5 —
Mimi e la Gloria . . .5 —
Antonio Palmieri.
Novelle Maremmane . .5 —
I racconti della Lupa . 5 —
Alfredo Fanzini.
Piccole storie del Mondo
grande 4 —
La lanterna di Diogene. 5 —
Le fiabe, della virtù. . 5 —
Santippe 5 —
La Madonna di Mania . 5 —
Novelle d'ambo i sessi . 3 —
Viaggio di un povero lette-
rato ....... 6 —
Ferdinando Paolieri.
Novelle selvagge
3 —
Conte G. L. Passerini.
11 romanzo di Tristano e
Isotta ù —
Milano — Fkatelli TREVES, Editori — Milano
5 —
Francesco Pastonchl.
Le Trasfigurazioni . L. 5 —
Emma Ferodi.
Caino ed Abele. . . . 2 —
*Suor Ludovica . . . .2 —
Petrucoelll della Gatti uà.
Il sorbetto della Regina. 2 —
Memorie di Giuda. 2 voi. 4 —
Il Re prega 2 —
Le notti degli emigrati a
Londra 2 —
Lui£:i Pirandello.
Erma bifronte ....
L'esclusa
La vita nuda ....
Il fu Mattia Pascal . .
Terzetti
I vecchi e i giovani. 2 v.
La trappola
II turno ; Lontano. . .
S4 gira
E domani, lunedì
Un cavallo nella luna .
Quand'ero matto
Carlo PlaCCi.
Mondo mondano . . .
In automobile ....
Marco Prag^a.
La Biondina
Mario Pratesi.
Le perfidie del caso . .
Carola Prosperi.
La Nemica dei Sogni .
L'Estranea
Vocazioni
DiBo Provenzal.
Uomini, donne e diavoli.
Egisto Boi^g^ero.
Le ombre del passato .
Komokokis. In-8, illus. .
I racconti della mia
viera
Gerolamo Bovetta.
^Sott'acqua
II primo amante . . .
*Novelle
*I1 processo Moutegù . .
0 —
5 —
5 —
6 50
5 —
4 —
5 —
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3 —
3 —
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3-
3-
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Ri-
3 —
5-
5-
2 —
2
Ferdinando BttSSO.
Memorie di un ladro. L. 2 —
li destino del Re. . .2 —
Roberto Sacchetti.
Candaule 4 —
Fausto Salvatori.
Storie di parte nera e Storie
di parte bianca. . .6 —
Baron. di S. Maria (Fides).
Vittoriosa! 5 —
Vie opposte 5 —
Rosso di Saa Secondo.
Ponentino . . ... .5 —
La fuga 5 —
La morsa 6 —
10 commemoro Loletta . 3 —
Michele Saponaro.
Peccato 5 —
Francesco Sapori.
La Trincea 5 —
Terrerosse 5 —
o. A. Sartorio.
Romse Carrus Navalis . 2 —
Tre novelle a Perdita . 5 —
Augusto Schipplsi.
La colpa soave. . . .5 —
Isabella ScopolÌ-BÌaSÌ.
L'erede dei Villamari . 2 —
Matilde SCraO.
SuorGiovannadellaCroce 5 —
La Ballerina . . , .5 —
Ella non rispose . . .5 —
Dopo il perdono . . . .*> —
Evviva la vita! . . .6 —
La vita è così lunga! . 3 —
Serra-Grreci.
Adelgisa 2 —
La fidanzata di Palermo. 2 —
Sfinge.
Dopo la vittoria . . . 2 —
La costola di Adamo. . .') —
11 castigamatti. . . . :ì —
Valentino Soldani.
Viva TAngiulo! , , , j, -—■
Milano — Fratelli TREVES, Editori — Milano
Flavia Steno.
L'ultimo sogno. . . L. 2 —
Il pallone fantasma . .2 —
Così, la vita! . . . . 2 —
Fra cielo e mare . . .2 —
La veste d'amianto . .2 —
La nuova Eva . . . .2 —
n gioiello sinistro . .2 —
Il sogno che uccide . .2 —
Jl miraggio 2 —
Oltre l'odio 2 —
.ice Tartafarl.
Rete d'acciaio . . . .5 —
Térésah (Teresa Ubertis).
Il corpo e l'ombra . .5 —
Il salotto verde . . .5 —
La casa al sole. . . .5 —
Federigo Tozzl.
Bestie 5 —
Con gli occhi chiusi . . 5 —
I. Trebla.
Volontario d'un anno. - Sotto-
tenente di complein. . 4 —
Alessandro VaraldO.
Un fanciullo alla guerra . ó —
Le avventure . . . . 3 —
L. A. Vasaallo.
La signora Cagliostro . 4 —
Guerra in tempo di bagni. 3 —
La famiglia De-Tappetti. 3 50
Uomini che ho conosciuto. 5 —
Dodici monologhi . . . 3 50
Ciarle e macchiette , . 4 50
Diana ricattatrice. . . 3 50
Parla Gandolin . . .4 —
*I1 pupazzetto tedesco . 3 —
Il pupazzetto spagnolo . 3 —
Il pupazzetto francese . 3 —
Giovanni 'VttgA.
Storia di una capinera. 4 —
— Edizione economica . 2 —
Eva ■. . 3 —
Cavalleria rusticana . .5 —
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Per le vie 2 —
Giovanni Verg^a.
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Ricordi del capit. d'Arce. 2 —
I Malavoglia . . . .5 —
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Vagabondaggio. . . . 4 —
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Gli allegl'i compari di Borgo-
drolo. Con disegni , . 2 —
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La Notte, race, del 1915. 6 50
Remigio Zena.
La bocca del lupo . .2 —
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Luciano ZÙCCOli.
La Compagnia della Leg-
gera 5 —
L'amore di Loredana. . 5 —
Farfui 5 —
Ufficiali, sott'utficiali, caporali
e soldati 5 —
Il Designato 5^ —
Donne e Fanciulle . .5 —
I lussuriosi 4 —
Romanzi brevi . . . .5 —
Primavera 5 —
La freccia nel fianco . 5 —
L'Occhio del Fanciullo . 5 —
La vita ironica . . .5 —
Novelle prima della guer-~
ra 5 —
La volpe di Sparta . .5 —
Roberta ...... 5 —
II maleficio occulto . . 5 —
Per la sua bocca . . .5 —
Baruffa 5 —
L'amore non c'è pivi. . 5 —
ROMANZI STRANIERI
EDIZIONI TREVES.
1 volumi segnati con * sono in corso di ristampa.
FRANCESI.
Amedeo Achard.
Giorgio Bonaspada, 2 v.L. 4 —
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Gli amanti di Parigi. 2 v. 4 —
La rivincita di Clodoveo. 2 —
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La bella Nantese . . .2 —
La figlia del giudice d'istru-
zione. 2 volumi. . .4 —
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Un genero 2 —
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2 volumi . . . . 4 —
Arnoald e Fournler.
Il Figlio dello Czar . . 2 —
L'erede del trono . . .2 —
Balzac.
Mgmorie di due giovani
spose 2 —
Piccole miserie della vita co-
niugale 2 —
Papà Goriot 2 —
Eugenia Grandet . . .2 —
Cesare Bi rotto . . . .2 —
I celibi:
I. Pierina . . . .2 —
li. Casa di scapolo . 2 —
I parenti poveri:
I. La cugina Betta . 2 —
II. Il cugino Pons. . 2 —
Balzao.
Illusioni perdute:
I. I due poeti; Un gran-
d' uomo di provincia a
Parigi . . . . L. 2 —
II. Un grand'uomo di pro-
vincia a Parigi; Eva e
David 2 —
Splendori e miserie delle cor-
tigiane 2 —
Giovanna la pallida . .2 —
L'ultima incarnazione di Vau-
trin ....... 2 —
Il deputato d'Arcis . .2 —
L' Israelita 2 —
Orsola Mirouet. . . .2 —
Il figlio maledetto. - Gambara.
- Massimilla Doni , .2 —
Adolfo Belot.
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Alessandro Bérard.
Cj'pris; Marcella . . .2 —
Elia Berthet.
La tabaccaia . . . .2 —
11 delitto di Pierrefitte. 2 —
Fortunato BolSgObey.
L'avvelenatore . . . .2 —
La canaglia di Parigi . 2 —
L'orologio di Rosina . .2 —
La casa maledetta . .2 —
Il delitto al teatro dell'Opera.
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Albergo della nobile Rosa. 2 —
Cuor leggero. 2 volumi. 4 —
Il segreto della cameriera. 2 —
La decapitata . . . .2 —
La vecchiaia del signor Locoq.
2 volumi 4 ^
Mir,ANo — Fratelli TREVES, Editori — j\Iilano
Paolo Bourget.
Un delitto d'amore . L. 2 —
Andrea Cornelis . . .2 —
— Ediz. in-8 ilhistr. . 1 50
Enimma crudele . . .2 —
— Ediz. in-8 illustr. . 1 50
3Ienzogne 2 —
L'irreparabile . . . .2 —
Il discepolo 2 —
Il fantasma 2 —
La Duchessa Azzurra . 4 —
Alessio Bouvier.
Madamigella Olimpia . 2 —
Il signor Trumeau . .2 —
Discordia coniugale . .2 —
Buanach e Chabrlllat.
La figlia di Lecoq . .2 —
Alfredo Capu*.
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Quondam Eriche ti. . .2 —
*La stanza del delitto . 2 —
In cerca d'un perchè . 2 —
Un notaio in fuga . .2 —
Vittorio CherbuUez.
Miss Rovel 2 —
L'avventura di L. Bolski. 2 —
Samuele Brohl e comp. 2 —
L'idea di G. Testaroli . 2 —
Fattoria della cornacchia. 2 —
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Il milione . . . . .2 —
S. E. il Ministro . . . 2 —
♦Laura la saltatrice . .2 —
*La casa vuota . . . . 2 —
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Roberto Burat . . . . 2 ^
. La commediante. 2 voi, 4 —
I Moscardini. 2 voi. . .4 —
La fuggitiva . . . .2 —
Michele Berthier . . . 2 —
Troppo bello! (Puyjoli). 2 —
II 9 termidoro . . . .2 —
Maddalena Bertin. . . 2 —
Noris 2 —
Il bel Solignac. 2 voi. . 4 —
Beniamino Constant.
Adolfo 2-
Aifonso Daudet.
*Ditta Fromont e Risler L. 2 — •
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— Ediz. in-8 illustr. . 3 —
Numa Roumestan . . . 2 —
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♦L'Evangelista . . . .2 —
— Ediz. in-8 illustr. , 3 —
Pietro De Coulevain.
Su la frasca 2 —
Delpit.
Il figlio di Corali a . .2 —
Teresina 2 —
Il padre di Jlarziale. . 2 —
Appassionatamente . .2 —
6. De Lys.
Duplice mistero . . .2 —
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Giovanna e Giovanni . 2 —
L. De Robert.
Il romanzo del inalato . 4 — ■
Melchiorre De VogÙé.
Giovanni d' Agrève . .2 —
Gustavo DrOZ.
Attorno lina sorgente . 2 —
♦Marito, moglie e bebé . 2 —
Alessandro DuUiaB (figlio).
♦Teresa; L'uomo-donna . 2 —
Erckmann e Chatrian.
L'amico Fritz . . . .2 —
♦I Rantzau 2 —
La casa del guardaboschi. 2 —
Ottavio Feulllet.
Il signor di Camors . .2 —
♦La vedova. 11 viaggiatore. 2 —
Storia di Sibilla . . . 2 —
Un matrimonio nell' alta so-
cietà 2 —
Giulia di Trecoeur . .2 —
Paolo Féval.
La regina delle spade . 2 — ■
Gustavo Flaubert.
Madame Bovary . . .2 —
Anatole France.
♦Taide ; 2 —
Il delitto di Silvestro Bon-
nard 2 —
10 ^IiLANO — Fratelli TREVES, Editori — ]Milano
Emilio Qaborlau.
11 signor Lecoq. 3 voi. . 6 —
La cartella 113 . . . 2 —
Il processo Lerouge . .2 —
La vita infernale. 2 voi. 4 —
*I1 misfatto d'Orcival, . 2 —
Gli amori d' una avvelena-
trice 2 —
Edmondo de Ooncourt.
Maria Antonietta. . .2 —
La Faustin 2 —
Carina 2 —
Suor Filomena . . . .2 —
Emani;£le OonzaleS.
La strega d'amore. 2 voi. 4 —
La principessa russa. . 2 —
Le due favorite. 2 voi. 4 —
Il vendicatore del marito. 2 —
E. GrévlU».
Niania 2 —
Clairefontaine . . . .2 —
Maritiamo la figlia . .2 —
Amore che uccide. . .2 —
Il voto di Nadia . . .2 —
Nikanor 2 —
Perduta 2 —
Un violinista russo . .2 —
Dosia 2 —
Il romanzo d'un padre . 2 —
La via dolorosa di Raissa. 2 —
La principessa Ogherof. 2 —
Sonia 2 —
Ariadna 2 —
Halévy.
*L' abate Constantin . .2 —
Grillina (Criquette) . .2 —
Paolo Hervleu.
Lo sconosciuto . . . .2 —
L'Alpe omicida. . . .2 —
Arsenio Houssaye.
Diane e Veneri . . .2 —
Vittor Hugo.
Nostra Donna di Parigi o E-
smeralda. Con 72 incis. 5 —
Han d'Islanda. Illustrato. 3 50
Buff-Jargal. Con 36 ine. 3 50
Enrico Lavedan.
I bei tempi 4 —
Hugui's Le Boux.
II Padrone dell'ora . . 2 —
Pierre Lotl.
Mio fratello Ivo . . L. 2 —
Renato Maizeroy.
Piccola regina . . . .2 —
L'adorata 2 —
Camilla Mallarmé.
Come fa l'onda 4 —
Ettore MalOt.
Il dottor Claudio, 2 voi. 4 —
Un buon affare. . . .2 —
Il luogotenente Bonnet. 2 —
*iIilioni e vergogne . .2 —
Paolina 2 —
Paolo Marguerite.
*La tormenta 2 —
Amor nel tramonto . .2 —
La Principessa Nera. 2 v. 7 -
p. e Y. Margueritte.
Il Prisma 2 —
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Stirpe di vampiri. . , 2 —
Giulio Mary.
*Le notti di fuoco . . .2 —
La famiglia Danglard . 2 —
L'amante del banchiere. 2 —
M. Maryau.
Guénola. In-8, illnstr. . 2 —
Guy de Maupassaut.
Forte come la morte. . 2 —
Bei-Ami 2 —
Una vita 2 —
Il nostro cuore.' . . .2 —
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Casa Tellier 2 —
Prospero Mérimée.
La contessa di Turgis . 2 —
Carlo Mérouvel.
Priva di nome. 2 voi. . 4 —
Febbre d'oro. 2 voi. . .4 —
L'inferno di Parigi. 2 v. 4 —
L'amante del Ministro . 2 —
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Figlioccia della duchessa. 2 —
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Cu segreto terribilp . . 2 —
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Il maledetto
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Novelle napoletane . .
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••La veggente
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♦L'agenzia Rodille . . .
*L'ereditiera
Il ventriloquo. 3 voi. .
*I delitti del giuoco . .
*I delitti dell'ebbrezza .
Espiazione
*La bastarda. 2 voi. . .
*La Casina dei lillà . .
La morta viva. 2 voi. .
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*Un fiore all'incanto . .
^Compare Leroux . . .
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*Dna passione . . . .
*I fanti di cuori . . .
*Due amiche di St.-Denis.
♦L'avventuriero . . . .
Il segreto del Titano .
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Il curato di Favières .
i Gaudenti
2
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*10,000 franchi di mancia. 2 —
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Il nemico della signora. 2 —
Renato de Pont-Jeat.
L'eredità di Satana . . 2 —
Le colpe di un angelo . 2 —
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Compagno di catena. 2 v. 4 —
Abate PrévOSt.
Manon Lescaut. . . .2 —
Marcello PrévOSt.
Lettere di donne . . .2 —
Nuove lettere di donne. 2 —
Ultime lettere di donne. 2 —
Coppia felice . . . .2 —
Il giardino segreto . .2 —
L'autunno d'una donna. 2 —
Pietro e Teresa . . . 3 —
Le Vergini forti:
I. Federica . . . .4 —
IL Lea 4 —
La principessa d'Ermiage 4 —
Donne 4 —
A passo marcato . . .4 —
GU angeli custodi . . 4 —
Herr e Frau Moloch. . 4 —
Lettere a Francesca . .3 —
Lett. a Francesca marit. 4 —
Lettere a Frane, mamma. 4 —
L. Beybaud.
Il bandito del Varo . .2 —
Emilio Blohebourfp.
♦L'idiota. 2 voL . . . 4 —
Innamorate di Parigi. 2 r. 4 —
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La vita privata di Michele
Teissier 2 —
La seconda vita di Michele
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Lo zio d'America . . .2 —
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12 Milano — Fratelli TREVES, Editori — Milano
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La cuccagna (La Curée). 2
La conquista di Plassans. 2
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4 —
2 —
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Fergua Hume.
La dama errante . .
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L'Uccellino di Paradiso. 2
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*Jess, 0 Un amore nei Trans-
vaal 2 —
Il popolo della nebbia. 2 v. 4 —
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Elisabetta dai capelli d'oro 2 —
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